25 maggio 2014 – Lettera all’on. Kyenge

 

Ho inviato questa lettera aperta alla destinataria e la pubblicherò su facebook.
Servirà a qualche cosa?
Vista la mia esperienza temo di no ma non mi sento di lasciar perdere.

Gentile on. Cécile Kyenge,

Le scrivo a elezioni concluse per spiegarle le ragioni per cui ho dato il mio voto solo a lei, ragioni che non ho scritto prima perché non volevo entrare nel bailamme della propaganda elettorale secondo me malissimo giocata negli argomenti e nei modi.
Per essere comprensibile devo inserire le storie che mi hanno condotto alla scelta che ho dichiarato.

Prima storia
Delusa dall’atteggiamento del Pd su molte questioni e in particolare su un problema di cui dirò più avanti (le poche persone che so essere state capaci di una propria ragionata consapevolezza non hanno riscattato l’atteggiamento omissivo del Pd in quanto tale) avevo pensato a un voto per Tsipras, attratta dalla presenza di due persone che vorrei vedere nel Parlamento europeo, l’una – Barbara Spinelli – per la sua eccezionale competenza nella istituzione europee e nei Trattati firmati nel corso degli anni, l’altro – Adriano Prosperi – come storico di cui ho grande stima e soprattutto lo ritengo persona cui avrei affidato la mia speranza di poter leggere, nei fondamenti dell’agire del Parlamento Europeo, la consapevolezza delle  speranze di pace che, nell’immediato secondo dopoguerra – e se pensiamo al Manifesto di Ventotene – anche durante, avevano acceso l’idea dell’unità del vecchio continente.
Quella unità era sperata in un fondamento politico nato dalla lettura consapevole e responsabile di una storia drammatica e porterebbe fino al significato di scelte politiche quotidiane che non vogliano (e dalle proposte che ho sentito mi sembra invece lo vogliano) affidarsi all’occasionalità, eventualmente sostenuta da brandelli di ideologie più o meno metabolizzate.
Adriano Prosperi è candidato nella mia circoscrizione e mi sarebbe piaciuto votarlo affiancandolo a una candidata locale di cui ho stima.
E invece è arrivato lo schiaffo: Spinelli e Prosperi hanno dichiarato che, se eletti, si ritireranno per dar posto ad altri.
Vogliono ridursi a specchietti per le allodole? Non sono affari miei, non sono un’allodola.
E così, caduta la speranza Tsipras, sono tornata alla mia originaria ipotesi di scheda bianca.
Poi le cose sono cambiate.
Ma, per spigargliene la ragione devo passare alla

Seconda storia

Cinque anni fa l’allora ministro Maroni (era in carica il quarto governo di un tale già cav., già on. già molte altre cose) impose il voto di fiducia sulla legge che prese il numero 94/2009 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica). Ora la Corte Costituzionale la sta facendo a pezzi ma non si è occupata dell’aspetto che mi sta a cuore e su cui cerco di documentarmi: la lettera g) del comma 22 dell’art. 1 che impone la presentazione del permesso di soggiorno ai non comunitari che vogliano assicurare ai figli un certificato di nascita, come la legge di ratifica della Convenzione  di New York impone invece per ogni bambino (legge 176/1991).
La Corte non se ne è occupata perché nessuno ne ha messo in moto il meccanismo nelle forme dovute ma tanto non servirebbe se fosse discussa e approvata una semplice modifica già formulata in proposta di legge n.740, affidata alla commissione Affari Costituzionali e di cui non sembrano occuparsi più nemmeno i 104 proponenti.

Ora dobbiamo collegarci alla storia europea.
Ho scritto sopra di storia drammatica. Appunto
Il nazismo voleva che certe persone, interi popoli fossero Untermenschen, sotto uomini e dovessero scomparire dopo che tutta la loro capacità lavorativa, i loro corpi stessi fossero stati messi a disposizione del grande reich.
La burocrazia tedesca creò le condizioni perché i lager potessero esistere e prosperare e sappiamo cosa furono.
Non vennero calati dal cielo compiuti e prefabbricati nella soluzione finale: crebbero un po’ alla volta, nel diffuso consenso popolare.
Il fascismo rivendicò orgogliosamente la stessa dottrina e il popolo italiano aderì.
Si faccia predisporre, on. Kyenge,  una rassegna stampa dei giornali italiani del 1938.
Cominci dal discorso a Trieste di Mussolini (cav. pure lui e pure lui capo dell’allora governo). Era il 1938, se non erro il mese di ottobre … ma non le sarà difficile trovare la registrazione di quell’infame discorso. Lo ascolti.
E nessuno o quasi (e molto dovremmo ragionare su quel ‘quasi’) protestò, anzi ..
Legga (io l’ho fatto) gli articoletti dei giornali locali di allora con cui direttori didattici, preside, insegnanti  plaudono ufficialmente alla scomparsa dei loro colleghi e dei loro studenti cacciati da scuola perché ebrei.
Oggi il popolo italiano subisce una legge che caccia neonati dal consorzio civile negando loro il certificato di nascita e tutti – o quasi – stanno buoni e zitti. Tacciono anche i parlamentari e io non mi sento rappresentata da chi digerisce tranquillo un’infamia del genere. E’ una norma che mi offende per il fatto di essere stata scritta e votata a prescindere dai danni che può provocare.
Certo i neonati che la legge vuole fantasmi sono probabilmente pochi ma, fermo restando che il diritto ad esistere non si pesa né a quintali né a chili, ci sono.
Ce lo dice un complesso di 80 associazioni che fanno parte del Gruppo Convention on the Rights of the Child (che ha il compito di monitorare la Convenzione di New York):
«Il timore, quindi, di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto, con la conseguente mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato, in violazione del diritto all’identità (art. 7 CRC), nonché dell’art. 9 CRC contro gli allontanamenti arbitrari dei figli dai propri genitori».

«Pur non esistendo dati certi sull’entità del fenomeno, le ultime stime evidenziano la presenza di 544 mila migranti privi di permesso di soggiorno. Questo può far supporre che vi sia un numero significativo di gestanti in situazione irregolare»..

Ho parlato con  parecchi rappresentati del Pd (e salvo un consenso di alcuni a titolo personale e la predisposizione della negletta proposta di legge 740) ho capito che l’estraneità del problema per il Pd (e anche per Tsipras) è totale.
Ci si intestardisce ad affermare che la cittadinanza jus soli quando sarà sanerà tutto e a trasformare quel pur condivisibile obiettivo in un alibi per tacere sulla realtà che – solo in parte – le ho esposto.
Nel consenso diffuso (condito di finta inconsapevolezza intenzionalmente giustificante) abbiamo cominciato a creare i sotto bambini come il nazismo aveva creato i sotto uomini.

E allora perché le ho dato il mio voto?

Quando la settimana scorsa ci siamo incontrate a Udine in piazza San Giacomo io, a seguito del suo discorso per molti aspetti condivisibile ma non accettabile nell’omissione, sono intervenuta  e so che poi è stata avvicinata da due esponenti del Pd che hanno capito il problema.
Così il giorno successivo ho avuto la convincente sorpresa.
Sul più diffuso quotidiano locale ho letto, a seguito della proposta dei tre punti forti del suo programma in caso di elezione, «Giovani, donne, lavoro e integrazione», una precisazione che trascrivo: «La registrazione all’anagrafe italiana  per tutti i nuovi nati sul territorio in modo che a scuola non ci siano distinzioni, perché quella è la prima pietra di integrazione»
Aveva ascoltato, aveva capito, aveva superato l’omissione.
Io non so, on Kyenge, se sarà eletta al Parlamento Europe (spero di sì e che anche a Bruxelles resti capace di ascoltare, capire, rafforzare la sua determinazione e, se il caso, correggersi).
Lei è comunque parlamentare italiana. Quindi le faccio, con attenzione alla responsabilità che le spetta in entrambi i ruoli, quello che riveste e quello che forse rivestirà

due modeste proposte

Il 23 aprile nel corso della trasmissione di radio 3 (RAI – Tutta la città ne parla ore 10) un avvocato componente dell’Associazione Studi Giuridici Immigrazione  dichiarò (trascrivo dalla trasmissione ascoltabile in podcast):
«c’è un problema relativo a una questione  molto più grave.  Cioè la possibilità da parte di due persone che senza permesso di soggiorno, ma anche senza un documento di identità (la donna che è priva di un passaporto) di poter riconoscere il proprio figlio. Nel senso che sicuramente la normativa nazionale e internazionale le  riconosce questo diritto. Però questo diritto è stato posto in discussione più volte».
E ancora:
«  non è raro – purtroppo non è raro – il fatto che al momento del parto venga negata alla persona, alla donna che ha partorito in ospedale, la possibilità di riconoscere il figlio senza documento di identità, per cui una serie di strutture mediche trovano escamotage tipo per esempio la richiesta di testimoni che possano testimoniare che quella donna ha partorito quel figlio o anche altri stratagemmi assolutamente stravaganti»
Quindi i nostri sotto bambini non resterebbero, se ciò che ha detto l’avvocato dell’ASGI è vero, privi solo di certificato di nascita ma sarebbe negato persino il diritto naturale della madre che precede ogni burocrazia.
La mia proposta? Inviti il ministro della salute a verificare il fondamento di questa negazione della maternità  che a me sembra un crimine.

E ancora l’ASGI afferma (e sostiene tale affermazione con una lettera al MIUR del suo stesso presidente):
«Nelle indicazioni operative contenute nel testo del Ministero si trovano le indicazioni dirette alle segreterie scolastiche di richiedere ai genitori degli alunni stranieri, ai fini dell’iscrizione dei figli, l’allegazione alla domanda di copia del proprio permesso di soggiorno.»
Come nel caso precedente le chiedo di promuovere una verifica di questa procedura che paradossalmente contraddice addirittura la legge 94 che ho citato.

Cordiali saluti e auguri di buon lavoro ovunque si troverà ad operare.

Augusta De Piero  –  Udine

25 Maggio 2014Permalink

31 marzo 2014 – Suore Usa e salute sessuale a carico del sistema sanitario

Ho trovato la notizia che ricopio su La Stampa.  L’avevo letta su Adista Notizia n. 12 ma da lì non era trasferibile. Così l’ho cercata e la inserisco pro memoria.

La Ncan, che sostiene di rappresentare circa 2mila religiose, ha annunciato il suo appoggio all’”Affordable Care Act”, che prevede l’obbligo per le istituzioni di garantire procedure di contraccezione                             Marco Tosatti

È in pieno svolgimento la battaglia legale che oppone numerose istituzioni cattoliche degli Stati Uniti all’amministrazione Obama, in tema di aborto e contraccezione. E ancora una volta un gruppo particolarmente agguerrito di religiose statunitensi non manca di schierarsi contro la posizione adottata dalla Chiesa del Paese. La “National Coalition of American Nuns” (Ncan) che sostiene di rappresentare circa duemila religiose americane ha annunciato il suo appoggio all’”Affordable Care Act”, un provvedimento che fra l’altro prevede l’obbligo per le diverse istituzioni, anche religiose, di garantire  procedure di contraccezione, sterilizzazione e distribuzione di medicinali abortivi.

Nei prossimi giorni la Corte suprema dovrà decidere se ha ragione il governo, o due organizzazioni, la “Hobby Lobby” e la “Conestoga”, rispettivamente mennonita e cristiano-evangelica, che si oppongono a questa imposizione motivandola su base religiosa. La battaglia legale in questo senso è condivisa e alimentata da molti vescovi e diocesi cattoliche. Parecchie organizzazioni non-profit cattoliche hanno fatto ricorso a vari livelli di giudizio (fra di esse le Piccole Sorelle dei Poveri) e sicuramente anche i loro ricorsi giungeranno nel corso del tempo alla Suprema Corte.

Le religiose della National Coalition hanno pubblicato una lettera aperta. “La Ncan – scrivono – è costernata perché le Piccole Sorelle dei Poveri, l’Università di Notre Dame e altre organizzazioni cattoliche stanno battendosi contro l’Affordable Care Act. Queste organizzazioni, spronate dalla Conferenza episcopale statunitense stanno cercando di prendere in ostaggio tutte le donne rifiutando di garantire loro i contraccettivi”.

È opportuno ricordare che la Chiesa, dal tempo di Paolo VI, con la sua enciclica “Humanae Vitae”, accetta solo i metodi naturali per regolare la fecondità, escludendo quelli meccanici o chimici. Donna Quinn, leader della Ncan ha protestato contro la posizione assunta dalla Chiesa americana. “Ora abbiamo anche altre confessioni Cristiane che vedono quello che stanno facendo i vescovi cattolici e dicono: facciamo anche noi così. Non c’è libertà quando una donna può essere presa in ostaggio dal padrone di un’impresa”. Donna Quinn è una suora di Chicago che partecipa alle manifestazioni con una felpa bianca che ha la scritta “Suore pro-Choice”, ha accompagnato donne ad abortire ed è stata molto critica con l’investigazione sulle religiose Usa iniziata nel 2012. Durante il Sinodo dei Vescovi sulla “Vita Religiosa” del 1994 la Ncan partecipò a una sorta di “Contro Sinodo” al femminile.

Queste suore hanno trovato l’appoggio di Debra Haffner, una sessuologa e pastora della Chiesa unitaria universalista, presidente e fondatrice di un ente il “Religious Institute” specializzato nei rapporti fra fede e sessualità. Haffner ha lanciato una campagna sui social media per sostenere l’iniziativa della National Coalition.

Nel frattempo è ancora in corso la visita apostolica avviata dalla Congregazione per i Religiosi e la Vita consacrata, per  studiare la situazione degli istituti religiosi femminili degli Stati Uniti, che nel corso degli anni hanno creato non pochi problemi di dottrina e di disciplina. Il segretario della Congregazione, l’arcivescovo José Rodrigio Carballo, una delle prime nomine di papa Francesco, ha dichiarato recentemente che la visita apostolica terminerà prima dell’inizio dell’Anno dedicato alla Vita consacrata e che avrà inizio nell’ottobre 2014, senza sovrapporsi al Sinodo sulla Famiglia.

 

 

31 Marzo 2014Permalink

7 febbraio – Mutilazioni Genitali Femminili

Ieri era la giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili.
Non ho fatto in  tempo a trascrivere questo mio articolo comparso sul numero di gennaio di Ho un sogno.   Provvedo oggi.

CONTRO LE DONNE. LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI NEL NOSTRO PAESE

Avevamo concluso il pezzo dello scorso numero su Le donne migranti e il diritto alla salute – un’intervista a Claudia Gandolfi, medico e operatrice del GrIS del FVG (Gruppo Immigrazione e Salute della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni) – con un  richiamo alle mutilazioni genitali femminili, un problema terribile per chi le subisce e una questione che è doveroso affrontare. Le donne mutilate sono ormai presenti sul nostro territorio e non basta riconoscere la mutilazione come reato per impedire nuovi casi. Ancora una volta ci viene in aiuto Claudia Gandolfi, mettendoci a disposizione una sua ricerca sul tema.

Violazione dell’integrità fisica, psichica e morale delle donne, le mutilazioni genitali sono interventi distruttivi e intesi al controllo della sessualità delle giovani, che possono avere entità differenti:  dall’asportazione del prepuzio del clitoride o del clitoride stesso con rimozione parziale o totale delle piccole labbra, all’infibulazione o circoncisione faraonica, cioè l’asportazione di parte o della totalità dei genitali esterni e sutura o restringimento del canale vaginale.

Naturalmente le conseguenze sulla salute delle donne sono molto gravi e si manifestano sia nei rapporti sessuali e nel parto, sia con l’insorgenza di vere e proprie patologie. Occorre considerare non solo le possibili emorragie legate all’intervento o lo shock, ma anche le infezioni che ne conseguono: setticemia o tetano, infiammazioni pelviche o del tratto urinario, epatiti, HIV, ostruzione del flusso mestruale e delle urine, fistole urinarie e fecali. È necessario tener presente, ancora, che la mutilazione non solo viene praticata senza anestesia ma in condizioni igieniche precarie e con strumenti rudimentali (coltelli, forbici, rasoi o pezzi di vetro e in alcuni contesti anche pietre affilate). A eseguire l’intervento sono in genere donne anziane autorevoli nella comunità ed “esperte” nella pratica, ma anche ostetriche tradizionali o barbieri del villaggio.

In generale le mutilazioni genitali femminili vengono collocate tra le tradizioni che segnano il passaggio dall’infanzia all’età adulta, un rito attraverso il quale si diventa “donna”. Appartengono a culture tribali antiche e profonde e non vi sono evidenze scientifiche di una correlazione tra religione e diffusione della pratica: sono diffuse sia fra i cristiani (protestanti, cattolici e copti), che fra i musulmani, gli ebrei, gli animisti e gli atei in Africa, Medio Oriente, Asia. L’Organizzazione mondiale della sanità stima che nel mondo siano 100-140 milioni le donne mutilate e che le bambine sottoposte a tali pratiche raggiungano, ogni anno, circa i 2 milioni.

Le bambine, appunto. Un periodo cruciale per il rischio che si intervenga su di loro – anche se residenti in Europa – è il periodo delle vacanze estive quando, affidate alle nonne, rischiano di essere mutilate a garanzia di un loro apprezzamento e di una “sicura” vita matrimoniale. Sebbene molti stati si oppongano alla mutilazione (che pur viene praticata) con leggi che la condannano e campagne di informazione affidate a esponenti delle comunità di villaggio (soggetti importantissimi per l’autorevolezza loro riconosciuta), il rischio resta. E non è indifferente nemmeno per le bambine e le adolescenti  che vivono in Europa e in Italia.

È fondamentale quindi che anche da noi i medici (in particolare i ginecologi, per le attività di cura, e i pediatri, per la dovuta prevenzione) conoscano il problema e se ne facciano carico nell’ambito delle rispettive competenze.  In Italia è stata approvata la  legge n. 7 del 9 gennaio 2006 “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile”, che prevede una pena dai quattro ai dodici anni di reclusione per chiunque pratichi mutilazioni genitali su una bambina o una donna, sia che l’operazione avvenga in Italia, sia che venga praticata nel paese d’origine e poi rilevata al rientro nel nostro paese. E la pena è estesa non solo a chi esegue l’operazione ma anche a genitori o parenti che l’abbiano richiesta.

Sarebbe opportuno garantire una giusta informazione anche nelle scuole frequentate dalle piccole a rischio, in modo da raggiungere il più possibile i genitori, suscitando la loro attenzione di fronte alle conseguenze penali che ne possono derivare, ma soprattutto per indurli al superamento del pregiudizio.
In Friuli il GrIS svolge un importante lavoro d’informazione e prevenzione delle mutilazioni genitali femminili e si segnala anche il contributo delle mediatrici  di comunità, che possono istituire un rapporto privilegiato con le donne mutilate e fornire testimonianze utili per la crescita della consapevolezza intorno al problema in tutti gli ambienti interessati

7 Febbraio 2014Permalink

16 gennaio 2014 – Ricevo da Giancarla Codrignani

Pubblico volentieri questo scritto di Giancarla Codrignani, che altre volte ho citato, che ritengo possa aprire la strada un dialogo informato e razionale.
Non conoscevo Marea – termine che ho ritrovato nella data dell’articolo – e ne ho recuperato il link.
http://www.women.it/cms/

ABORTION IS (NOT) A RIGHT                             Marea, n.1 – gennaio 2014

Giancarla Codrignani

Sarebbe una gran bella cosa se riuscissimo a realizzare un coordinamento europeo di donne per i diritti di genere.

Ci aveva provato in Francia Choisir, che un paio di anni fa aveva promosso una campagna per l’estensione a tutta l’Unione delle migliori leggi dei diversi paesi su determinati temi. Anche Snoq aveva portato avanti l’idea di leggi comuni “di genere”, prontamente contestata – come già in Francia Choisir – perché le donne non sono “una specie protetta”. Peccato che la realtà sorpassi sempre l’immaginazione.

Almeno da quando perfino in Italia lo scandalo della clandestinità degli aborti ha prodotto una legge “per la maternità libera e responsabile” convalidata da due terzi del paese chiamato a referendum abrogativo, le donne europee si sentivano abbastanza al sicuro. Ovvero, noi italiane ci tenevamo la questione dell’obiezione di coscienza e anche alle altre non mancavano problemi che abbiamo sempre sbagliato a ritenere “piccoli”; ma a tutte bastava l’accesso legale all’aborto. Anzi,  ormai molte – come me – si erano messe a pensare a nuove questioni antropologiche: se la RU486, la pillola del giorno dopo e quella abortiva privatizzeranno la decisione abortiva, di fatto, si autorizzerà la disponibilità del nostro corpo a rapporti irresponsabili e senza consenso?

Invece la doccia fredda sia del governo Rajoy in Spagna di cancellare, in nome della difesa della vita, le norme Zapatero del 1985, sia del voto europeo che ha bocciato (anche per l’astensione di alcuni europarlamentari PD, mentre francesi e tedeschi hanno accusato un fuorviante errore di traduzione per giustificarsi) la relazione della portoghese Edite Estela sul diritti riproduttivi, tra cui “l’aborto sicuro e legale”,  da estendere all’intera UE.

Se diamo uno sguardo in giro, facciamo bene a non sentirci sicure e a prevenire altri guai. Infatti il panorama non è entusiasmante, a riprova del fatto che, sul piano dei diritti, la prima linea difensiva la facciamo noi. Prescindiamo dagli Usa, dove le donne non si sono mai riprese dal colpo mortale di non essere riuscite (mancò il voto di due stati) ad emendare in forma paritaria la Costituzione; tuttavia è assai grave che negli ultimi tre anni più della metà degli stati abbia modificato le disposizioni sull’interruzione di gravidanza e tra poco la stessa Corte Suprema si dovrà pronunciare in materia. Guardando all’Europa, sembrerebbe  che la Francia sia al sicuro con la legge Veil del 1975. Non è così : il 2 febbraio ci sarà “la Manif”, a Versailles contro la “morte prenatale dei bambini”, contro la cultura di genere, contro l’omosessualità e per la tutela della famiglia. La reazione ha usato furbescamente il termine Choisir, antica sigla femminista di Gisèle Halimi, per il proprio “choisir la vie”. Dice in un’intervista Cécile Edel del gruppo promotore: “affinché le donne possano veramente essere libere, è urgente riconoscere il dolore delle donne che hanno abortito, denunciare la sordida realtà dell’aborto, accompagnare le donne e informarle sulle alternative possibili”. Abbiamo già sentito queste parole e le risentiremo: Il Movimento per la vita si è mosso ovunque e ha ha raccolto due milioni di firme per portare all’attenzione del Parlamento europeo lo statuto dell’embrione come persona, “uno di noi”.

In Germania l’aborto è illegale perché vietato dalla Costituzione (ovviamente, dopo le leggi hitleriane sulla selezione), anche se la Corte costituzionale ha riconosciuto la non punibilità per quasi tutto: il pericolo di vita della donna, lo stupro, le malformazioni fetali e le condizioni economiche. Lo stesso in Austria, solo che il 9 febbraio gli austriaci sono chiamati ad una votazione popolare dalla campagna “il finanziamento dell’aborto è una questione privata”. Con la stessa motivazione che intacca la solidarietà sociale delle norme, anche in Svizzera si andrà ad un referendum (ahimè collegato ad altri due sull’immigrazione). In Belgio la questione si è complicata lo scorso anno perché la solita manifestazione “anti” era esasperata dalla proposta di estendere l’eutanasia ai bambini. In Inghilterra, dove si recano le donne di tutti i paesi che hanno leggi di divieto, si è verificato un paio di casi di medici che hanno accettato accordi con donne per aborti selettivi: di femmine…. Soddisfatti sembrano solo i portoghesi che sperano nell’emigrazione delle spagnole se Rajoy procederà ad annullare le leggi socialiste.

Si evidenzia, dunque, la potenziale efficacia di una solidarietà transnazionale anche se è ancora da inventare. Perfino in Polonia le femministe hanno diffuso un cartello My Choice con l’indicazione  dei voli scontati – 70 euro – per la Gran Bretagna.

Speriamo di farcela. Noi vecchia guardia ci siamo, credo, tutte. Dice bene – e colorito – Diana Lopez Varela che l’ha scritto al presidente Rajoy: mi cogno es mìo y yo decido lo que entra y lo que sale de el. La vecchia autodeterminazione.

In Italia dobbiamo tenere presenti due dati di realtà da cui partire: l’obiezione di coscienza e i dubbi sul numero degli aborti dati dal ministero della sanità. Sul primo punto ci si è battuti per il riconoscimento dell’odc. al servizio militare obbligatorio perché riguardava la disobbedienza ad un principio costituzionale. Le leggi, invece, sono solo riformabili, non obiettabili – provatevi a non pagare le tasse – e un medico non è obbligato ad esercitare nelle strutture pubbliche. Il negoziato per ottenere la legge 194 del 1978 è stato troppo oneroso e oggi ne sta boicottando  l’applicazione. Anche perché questa carenza contraddice le dichiarazioni circa la presunta diminuzione degli aborti in Italia. Proprio mentre sono in aumento in tutta Europa a causa soprattutto delle minori, non si vede come mai l’Italia registri riduzioni della pratica ormai adottata prevalentemente dalle immigrate. Proviamo a pensare che cosa farebbe la più restia ad accettare l’interruzione volontaria della propria gravidanza, diciamo la cattolica più osservante, se restasse incinta la sua bambina di quindici anni. Andrebbe al consultorio? ad un ospedale pubblico? Davvero sono finiti i ferri da calza e il prezzemolo, ma nessuno è privo di 500, 1000 euro per ricorrere all’ambulatorio privato. Abbiamo dunque un impegno preciso: sono prossime le elezioni europee e forse tocca a noi aiutare a salvare la democrazia dei diritti.

 

 

16 Gennaio 2014Permalink

29 dicembre 2013 – NEMMENO A NATALE di Giancarla Codrignani

Una interessante riflessione di Giancarla Codrignani

Davvero alle donne non è consentito di fruire dei comuni diritti nemmeno per Natale. si sono dovute inquietare (e addolorare) mentre preparavano i regali per i bimbi e pensavano a come rimediare il bilancio di fine anno. Il governo Rajoy, a cui supponiamo che dell’aborto non importi assolutamente nulla, per consolidare ulteriormente il consenso della destra cattolica in Spagna, ha approvato proprio in questi giorni una legge che limita l’aborto al pericolo di morte per la donna e ai casi di stupro (ovviamente non da parte del marito). Papa Francesco, che tempo fa ha espresso la carità del cristiano nel rifiutarsi di giudicare il dolore di una donna che ha abortito, non ha espresso nessun giudizio sulla decisione spagnola, ma, da uomo di chiesa che crede nel diritto “naturale”, non potrà certo sostenere l’aborto come diritto.

Comunque, non inquieta solo la Spagna. Nel Parlamento europeo è stato bocciato per una manciata di voti il riconoscimento in tutti i paesi dell’Unione del diritto di aborto. C’è da temere che qualcosa contro le donne si possa mettere in moto da parte del mondo cattolico reazionario che non ama Papa Francesco e che ha portato in Europa la richiesta di riconoscimento dello “status di persona” per l’embrione. Il Movimento per la vita ha raccolto quasi due milioni di firme e il 2 febbraio celebrerà la giornata dedicata alla “vita nascente”, che sarebbe appunto quell’embrione chiamato “uno di noi” che così frequentemente scivola giù in bagno senza che neppure la donna, che pensa a un ritardo del ciclo, se ne accorga.

Per chi fosse cattolica, basterebbe pensare al riguardo che Dio usò, secondo la tradizione, nei confronti di Maria, a cui inviò un messaggero per chiederle se consentiva al progetto e alla successiva reazione del patriarcato – antico e moderno – di giudicare impuro il sangue mestruale  e di tenere la donna fuori dal tempio per quaranta giorni dopo il parto. Sempre difficile accettare che la donna abbia “propri” diritti di libertà…

Penso tuttavia che noi donne dovremmo discuterne. Abortire è un diritto? Se nessuno va volentieri dal chirurgo, ormai la società è convinta che sia diminuito il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza, mentre è vero solamente che sono finiti i ferri da calza e il prezzemolo. Si sospetta che sia grande e silenzioso il ricorso al privato (chi porterebbe una bambina di quindici anni in consultorio?), dal momento che 500/1.000 euro costituiscono una cifra non impossibile. Inoltre, anche se non ancora da noi, in tutto il mondo aumenta la vendita dei farmaci on-line anche per le pillole abortive: semplice “libertà”, autodeterminazione?. Infatti è già violenza restare incinte senza averlo voluto, violenza quanto meno dell’ignoranza (non si fa educazione di genere nelle scuole). Ma è anche violenza sociale, se la persona, maschio o femmina, ignora il senso della propria sessualità, se la coppia non parla di sé e del suo futuro, se la pratica contraccettiva resta limitata, ma soprattutto se l’uomo non attende il consenso e non rispetta il volere della partner. Ancor oggi il maggior numero di ricorso alla 194 è delle coniugate. In Italia sappiamo che la contraccezione è limitata e anche la pillola del giorno dopo, che non è abortiva, è contestata da medici e farmacisti. Soprattutto, la legge italiana prevede l’obiezione di coscienza per i medici (assolutamente no per i farmacisti che vi si appellano); che è uno strano principio, inventato contro le donne. Infatti chi obiettava al servizio militare obbligatorio – la sola obiezione prevista dal codice – obiettava contro un principio costituzionale. Secondo una corretta giurisprudenza, le leggi si riformano, non si obiettano. Ne deriverebbe che chi fa il medico, vigente la 194, non dovrebbe essere obbligato a lavorare nel servizio pubblico; non è andata così e così resta. Tuttavia le ideologie continuano la loro violenza: è del 21 novembre 2013 in Usa la decisione della Corte della Pennsylvania di disapplicare le multe erogate alle organizzazioni cattoliche che – per convincimenti religiosi – non intendono applicare la legge federale del sistema sanitario che chiede ai datori di lavoro la copertura assicurativa comprensiva di contraccezione e aborto.

Sarebbe dunque il caso di riprendere a ragionare per chiederci se riteniamo di avere “diritto” di abortire perché la gravidanza è un incidente o un destino, o se intendiamo provvedere per non “dovere” continuare ad abortire dal momento che qualunque rapporto sessuale si deve fondare sul consenso e sul rispetto. Il dato di realtà della pillola abortiva è l’ultima chance per ragionare del problema, prima di seppellirlo nei casi di sanità o di moralità privata.

Nel mondo esistono anche le mutilazioni genitali femminili: la ministra Bonino ha da poco chiuso una conferenza a Roma esercitando sull’argomento la responsabilità dell’Italia. In genere non ne parliamo molto. Nemmeno gli uomini, a cui dovrebbe apparire una loro follia. Eppure è un altro problema di violenza sul corpo femminile. Nel 2014 dovremmo pensare anche a donne che stanno peggio di noi in ragione della comune dignità.

E una citazione-regalo sempre di Giancarla

DICEVA EMILY DICKINSON

La speranza è quella cosa piumata
che si viene a posare sull’anima.
Canta melodie senza parole
e non smette mai.

29 Dicembre 2013Permalink

24 ottobre 2013 – Registrazione anagrafica per i figli di immigrati

Premessa a mia futura memoria

Riporto per esteso la mozione n. 21 presentata ieri alla presidenza del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia.

Mi sembra importante rilevare che le firme dei presentatori appartengono a consiglieri di tre diversi gruppi che si sono fatti carico di due elementi per me ineludibili: una corretta documentazione che non si umilia, come spesso accade, agli slogan a volte impropriamente declamati e lo sforzo di ritrovare in una materia per sé appartenente allo stato e, nella sua attuazione, ai comuni, un ruolo proprio e corretto della Regione.
Vorrei scrivere molto di più perché per me seguire nel corso degli ultimi anni questa vicenda è stata un’esperienza per lo più dolorosa, spesso frustrante ma importante anche per valutare chi ci rappresenta e governa. E non voglio dimenticare.

XI LEGISLATURA  Mozione n. 21

Registrazione anagrafica per i figli di immigrati”

Pustetto, Cremaschi, Edera, Da Giau, Paviotti, Gregoris, Zecchinon

Il Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia,

PREMESSO che:

− il 6 giugno 2013 il Gruppo Convention on the Rights of the Child (CRC) ha redatto il Sesto Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia (2012-2013) alla presenza del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Enrico Giovannini, del Vice Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Maria Cecilia Guerra, e dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, Vincenzo Spadafora;

− in quell’occasione il CRC ha rilanciato la raccomandazione del Comitato ONU sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza perché il Governo italiano si impegni a superare le “restrizioni legali e pratiche rispetto al diritto dei minori di origine straniera di essere registrati alla nascita”;

− in particolare il Comitato esprime preoccupazione di come la Legge 15 luglio 2009, n. 94 sulla pubblica sicurezza renda obbligatorio per i cittadini stranieri mostrare il permesso di soggiorno per gli atti inerenti il registro civile; il conseguente obbligo di denuncia per i pubblici ufficiali rappresenta un deterrente per quei genitori che, trovandosi in situazione irregolare, non si presentano agli uffici anagrafici per la registrazione del figlio per paura di essere identificati ed eventualmente espulsi (art. 1, comma 22, lettera g), stessa legge);

− sebbene non vi siano dati certi sull’entità del fenomeno le stime più recenti sulla presenza di immigrati in situazione irregolare fanno supporre che vi possa essere un numero significativo di gestanti in situazione irregolare che potrebbero, per paura di essere identificate, non accedere alle cure ospedaliere ed alla registrazione anagrafica del figlio;

− se è vero che la circolare n 19 del 7 agosto 2009 del Dipartimento per gli affari interni e territoriali, nell’ intento di sciogliere possibili dubbi interpretativi della l. 94/2009, al punto 3 recita: “Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto”, resta il fatto che la legge in questione è tuttora in vigore e in ogni caso è sempre sovraordinata rispetto ad una circolare;

POSTO che la “Convenzione dei diritti del fanciullo– ratificata con legge 27 maggio 1971, n. 176 –stabilisce che: “il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da essi”;

VISTO che il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, all’art 35 norma l’Assistenza sanitaria per gli stranieri non iscritti al Servizio sanitario nazionale (legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 33) anche se non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno;

CONSIDERATO che al comma 3, lettere a), b), c), d), e) dello stesso articolo viene puntualizzato come lo Stato assicura la tutela sociale della gravidanza e della maternità, la tutela della salute del minore, le vaccinazioni, gli interventi di profilassi internazionale e la diagnosi e la cura delle malattie infettive;

VISTO che la Regione FVG con deliberazione della Giunta regionale n. 1147 del 28 giugno 2013 ha recepito l’accordo n. 255/CSR sui migranti, approvato il 20 dicembre 2012 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, in cui si dispone che l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme del soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità;

PRESO ATTO che non tutte le nostre strutture hanno recepito in toto quanto sopraindicato stante che richiedono un documento valido di soggiorno per la registrazione del minore alla nascita

Tutto ciò premesso;

impegna la Giunta regionale

− a garantire l’obbligo di registrazione alla nascita di tutti i bambini che nascono e vivono in Regione intervenendo presso gli uffici dell’anagrafe di tutti i Comuni della Regione e presso i Presidi Ospedalieri che hanno la delega dei Comuni per la registrazione anagrafica dei nuovi nati affinché si applichi la Circolare del 7 agosto 2009;

− a coinvolgere i parlamentari eletti in regione al fine di sostenere la proposta di legge 740 “Modifica dell’art 6 del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 in materia di obbligo di esibizione dei documenti di soggiorno” presentata il 13 aprile 2013 a prima firma Rosato;

− ad intraprendere una diffusa campagna di sensibilizzazione sul diritto di tutti i bambini di essere registrati alla nascita, indipendentemente dalla validità o meno del permesso di soggiorno dei genitori.

Presentata alla Presidenza il 23/10/2013

24 Ottobre 2013Permalink

4 settembre 2013 – Naturalmente tacciono

Io non sono una lobby

Il 26 luglio avevo segnalato in questo blog lo sconcerto provocatomi da un documento con una affermazione sorprendente distribuito dall’Ospedale di Udine. (Si veda Perplessità e preoccupazioni )

Ho consegnato una segnalazione in merito all’Ufficio relazioni con il pubblico dell’ospedale stesso e ne ho scritto all’assessore comunale di competenza. A distanza di più di sei settimana risposta zero.
Certamente ci sono le ferie, ma i responsabili dei servizi dispongono di sostituti … comunque io conto solo uno che sembra equivalere a nulla.

Ecco la segnalazione consegnata all’Ospedale di Udine

Non parlo né di me né di singoli casi a me noti ma espongo quanto potrebbe essere accaduto o accadere a tutti i neonati, figli di migranti privi di permesso di soggiorno, cui sia stato richiesto il permesso stesso per presentare la denuncia di nascita del figlio/a, per assicurargli l’atto di nascita. Se tale certificato dovesse mancare il bambino non risulterebbe esistere quale persona destinataria delle regole dell’ordinamento giuridico. Nel comune di nascita non ne verrebbero infatti registrati né il nome, né la data e ora di nascita, né il nome dei genitori, né la cittadinanza (che, allo stato attuale, è quella dei genitori dato che viene attribuita secondo jus sanguinis).

Purtroppo se un migrante si trova in situazione di irregolarità non può corrispondere alla richiesta del documento di cui non dispone (ché se lo avesse non sarebbe irregolare) nemmeno se ciò comporti per il figlio il danno irrimediabile della mancata registrazione e la mancata iscrizione nei registri dello stato civile andrebbe a ledere un diritto assoluto del figlio che nulla ha a che fare con la situazione di irregolarità di chi che lo ha generato.

Nello scritto che segue cercherò di chiarire perché la richiesta stessa del permesso di soggiorno possa – anche se non ne consegue esplicito rigetto della domanda presentata–trasformare la richiesta della registrazione anagrafica in un rischio e quindi disincentivarne la presentazione.

Riferendomi a  quanto ho affermato constato che nel  dépliant intitolato : Guida rapida all’ospedale dove si citano esplicitamente l’Azienda Ospedaliera Universitaria Santa Maria della Misericordia di Udine, la sede di Cividale del Friuli e di Gemona del Friuli alla voce ‘denuncia di nascita’ si precisa la richiesta del permesso di soggiorno, scrivendo:  “COSA SERVE: documento di identità valido di entrambi i genitori, se stranieri non residenti passaporto o permesso di soggiorno valido” .

Preciso che tale dépliant è stato consegnato in un reparto dell’Ospedale di Udine al signor Luca Peresson in giornata immediatamente precedente il 25 luglio quando me lo ha messo a disposizione.

Il proposito osservo che:

secondo quanto recita l’art. 7 della Legge 27 maggio 1991, n. 176 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989) “Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi”.

Tanto dovrebbe bastare a dissuadere dalla richiesta di un documento che, per il fatto di non esistere, diventa un ostacolo al soddisfacimento di un diritto fondamentale.

Fino al 2009 la legge italiana non prevedeva la richiesta del permesso di soggiorno o documento equipollente per lo straniero che registrasse la nascita di un figlio.

In quell’anno intervenne la legge 94 (cd pacchetto sicurezza) che modificò il Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” e  successive modifiche che al comma 2 dell’art. 6 impose la presentazione del documento un migrante ’irregolare’ non possiede per definizione..

Pochi giorni dopo l’approvazione della legge venne emanata una circolare definita interpretativa che consente ciò che la legge nega (Circolare del Ministero dell’interno n. 19 del 7 Agosto 2009) la cui applicazione, sebbene si tratti di strumento il cui valore è inferiore a quello di una legge, assicura la regolare registrazione anagrafica. Vi si legge infatti. “Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto”.

Non sia indifferente ricordare che il migrante in situazione di irregolarità non potendo assicurare al figlio il normale certificato di nascita gli causa danni irrimediabili (la impossibilità della tutela genitoriale, la difficoltà nell’accesso alle cure sanitarie, l’impossibilità di iscrizione al nido, alla scuola dell’infanzia, alla scuola successiva a quella dell’obbligo e a tutti gli atti di stato civile che accompagnano il corso dell’esistenza in cui il certificato di nascita è richiesto) e nello stesso tempo espone se stesso al rischio di essere espulso quale ‘clandestino’ in costanza del permanere del reato di clandestinità introdotto dalla legge cd. Bossi Fini.

Il Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Gruppo CRC che ha il compito di preparare il Rapporto sull’attuazione della Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza che viene trasmesso al Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza), oltre a far presente che la mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato avviene in violazione del diritto all’identità nonché dell’art. 9 della Convenzione di New York contro gli allontanamenti arbitrari dei figli dai propri genitori, ricorda che ciò comporta un rischio anche per le partorienti. Infatti “il timore di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto ”sottraendosi a cure necessarie e cui hanno diritto.

Segnalo anche la relazione della proposta di legge 740 (allegata) che, prevedendo la modifica della norma in vigore, spiega nell’ampia relazione in premessa la situazione che ho sommariamente riportato nella mia segnalazione.

Non ho titolo alcuno per richiedere o proporre alcunché.

Solo la consuetudine all’esercizio dei miei doveri di cittadina nei confronti di soggetti privi di difesa – e spesso del tutto ignorati anche da chi dovrebbe assicurarne tutela – mi ha indotto a segnalare la situazione che ho descritto.

Non posso che augurarmi che i dépliant con il testo che ho trascritto vengano immediatamente corretti nella speranza che neppure un neonato abbia subito il danno della mancata registrazione o della sottrazione alla potestà genitoriale se già privo di certificato che tale genitorialità formalmente dichiari.

Una interrogazione parlamentare.

Nel frattempo sono venuta a conoscenza di una interrogazione parlamentare che puntualizza un altro aspetto –che a quello che ho più volte segnalato si connette – e che, per documentazione utile almeno a me, ricopio.

Rossomando – Al Ministro dell’Interno – per sapere – premesso che:

–             l’art. 7 comma 1 della Convenzione delle N.U. sui Diritti del Fanciullo,  ratificata dall’Italia con la legge 27.5.1991 n. 176, stabilisce testualmente: “Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della nascita, e da allora ha diritto a un nome, ad acquistare una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da loro”;

–             La Convenzione sui diritti del  Fanciullo introduce un vero e proprio diritto del fanciullo all’immediata “registrazione”, che nel nostro ordinamento consiste nella formazione dell’atto di nascita da parte dell’ufficiale di stato civile sulla base della dichiarazione di nascita effettuata da chi ha il dovere di farla;

–             Il vecchio Ordinamento dello stato civile (r.d. 9/7/1939 n. 1238) prevedeva, all’art. 67, che la dichiarazione di nascita fosse fatta nei dieci giorni successivi al parto dal padre o dalla madre, o dall’ostetrica o da qualsiasi persona che avesse assistito al parto (art. 70 e71), con un ampio intervallo temporale attribuibile alle difficoltà di collegamento esistenti all’epoca;

–             il vigente Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’Ordinamento dello Stato civile, emanato con D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396, in attuazione della legge 15 maggio 1997 n. 127, ha previsto, all’articolo 30, un nuovo termine di tre giorni per le dichiarazioni fatte presso la direzione sanitaria dell’ospedale o della casa di cura  in cui è avvenuta la nascita, ma ha conservato il vecchio termine di dieci giorni fissato nella previgente normativa nel caso di registrazione della nascita presso il comune nel cui territorio è avvenuto il parto e nel caso in cui i genitori vogliano registrare il neonato nel comune di residenza (articolo 30, comma 7); 

–             il mantenimento del termine dei dieci giorni, oltre ad essere in contrasto con quanto previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, potrebbe portare all’eventualità che le dimissioni della puerpera avvengano prima che la dichiarazione di nascita con contestuale riconoscimento sia stata effettuata, esponendo quindi il neonato al pericolo di divenire vittima della tratta di minori o di finire nel circuito delle adozioni illegali, anche attraverso falsi riconoscimenti di paternità-:

quali iniziative intenda assumere affinché i termini per la registrazione e il riconoscimento dei neonati vengano aggiornati ed uniformati a quanto indicato dall’art. 7 comma 1 della Convenzione delle N.U. sui Diritti del Fanciullo, ratificata dall’Italia con la legge 27.5.1991 n. 176, affinché i neonati non vengano dimessi prima che sia stata effettuata la dichiarazione di nascita, sia stato dato loro un nome e, se del caso, nominato un tutore provvisorio che ne risponda.

Roma, lunedì 5 agosto 2013

On. Anna Rossomando

4 Settembre 2013Permalink

15 agosto 2013 – CIE e ferragosto 3

CIE di Gradisca: Una parlamentare …

Il 13 e 14 agosto ho riportato nel mio blog (e come potevo trasferito su facebook)  i comunicati e le frettolose note dell’on. Serena Pellegrino che anche oggi ha pubblicato una notizia nel sito che si è costruita e a cui rimando per il futuro (www.serenapellegrino.it). Comunico comunque che domani alle 11.45 terrà una conferenza stampa a Gradisca nel piazzale antistante il CIE.
Non sono l’addetta stampa di Serena e l’ho fatto perché era l’unico modo di proporre una voce dall’interno che è stata indubbiamente enfatizzata dall’emergenza della situazione ma di cui nessuno ha potuto soffocare la visibilità.
Però Serena si è messa in gioco e di ciò le va dato onore anche per aver sollevato la voce del senatore Manconi, Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani.
Non era mai successo e speriamo abbia un seguito.
Il CIE è là – se non vado errata – dal 2006, impenetrabile all’esterno ma non a chi (parlamentari e consiglieri regionali) ha un ruolo per potervi entrare, ruolo che da allora non è stato esercitato o almeno non lo è stato con efficacia.

CIE di Gradisca: …e sette consiglieri regionali

Il 31 luglio i consiglieri regionali Cremaschi, Codega, Dal Zovo, Gratton, Moretti, Pustetto, Travanut hanno presentato, a seguito della visita di alcuni di loro al CIE, l’interpellanza n. 10 di cui riassumo, collegandola per una lettura completa,  i  termini essenziali:
–        eterogeneità delle presenze dal punto di vista della classificazione amministrativa;
–        situazioni di fragilità e vulnerabilità psichica che necessitano di interventi socio sanitari non attuabili dentro un sistema di contenzione;
–         e, cito, “anche le forze dell’Ordine ritengono scarsamente tutelante la situazione sia per le persone trattenute, sia per gli operatori deputati a mantenere le norme di legge, tanto che lo stesso Sindacato di Polizia è intervenuto con numerosi comunicati”.

In definitiva  i consiglieri firmatari, prima di porre le ovvie domande alla giunta,  constatano come : “si ponga un problema umanitario, un problema di diritto ed un problema di efficacia”.
Nulla è accaduto nel consiglio regionale prima dell’intervento dell’on. Pellegrino cui ha fatto seguito (13 agosto) un comunicato stampa di Gianni Torrenti, Assessore all’istruzione, università, ricerca, famiglia, associazionismo, cooperazione, cultura, sport, relazioni internazionali e comunitarie, che qui collego per una eventuale lettura.

Non ho trovato invece comunicati personali della Presidente della Regione salvo qualche brandello di interviste, spero correttamente riportato, in cui chiede la chiusura del CIE.
Mi sembra poco e generico.  Continuerò a cercar di capire soprattutto se la Presidente della Regione, al di là degli auspici, si rende conto che – anche se il CIE venisse chiuso- questi migranti ora e per un futuro non so quanto lungo sono qui e che ci si deve far carico nell’esercizio delle proprie funzioni, partiti di riferimento consentendo o meno, anche dell’ora e del ‘qui’.

Le appartenenze dei consiglieri interpellanti
Volutamente non le collego ai singoli nomi: ci sono 4 Pd, 2 SEL, 1 M5S. Quello che mi interessa è l’eterogeneità delle appartenenze che segnano il rispetto dell’art. 67  della Costituzione (che vale anche per i Consiglieri regionali) “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Poco dopo la formazione del governo Letta c’era stata una stupida polemica in merito (ma poiché le cose stupide hanno successo me ne ero molto –e ancora lo sono –preoccupata).

Ha vinto Erode?

Ora spero che chi se ne ricorda sappia, nell’ambito delle proprie funzioni e con trasparenza, stimolare interventi efficaci non dimenticando la legge che nega ai neonati –figli di immigrati irregolari – il certificato di nascita.
Come ricorda la proposta di legge regionale n. 740, che potrebbe rimuovere questa infamia, è una riforma che non costa nulla (ma cui non sembrano attenti nemmeno i proponenti).
In questo periodo mi interesso di certi antichi miti e mi viene in mente un precedente: il re Erode decise di far ammazzare tutti i bambini di Betlemme per essere certo di liberarsi di uno che gli sfuggì. Nel 2009 il ministro Maroni volle minacciare alcuni bambini per spaventare i migranti e ottenere il consenso di chi si crogiola in una cultura xenofobo razzista. Gli è riuscito?

16 agosto – mattino presto
Trascrivo la segnalazione di un articolo che ho ricevuto e, pur trovandolo molto pertinente, ora non ho tempo di commentare. Ma se qualcuno legge…
http://www.famigliacristiana.it/articolo/bari-al-cara-si-violano-i-diritti-umani.aspx

Un po’ più tardi
http://www.cronachediordinariorazzismo.org/2013/08/in-coma-luomo-caduto-dal-cie-di-gradisca-chiudere-subito-i-cie/

E ancora, dopo una telefonata di Serena

Scritto su fb
Cara Serena, l’adesione dei movimenti è importante ma, ti prego, non dimenticare di essere una parlamentare. Agisci anche sulle regole. Troppi pensano che l’urlo basti.
Ho letto che è stata ritirata la circolare che negava l’uso del cellulare.
 E’ una misura importante e il non piccolo successo va a tuo merito.
Mi hai detto che avevi concordato con il prefetto anche la possibilità dell’uso della mensa per i pasti (i detenuti mangiano in cella) e l’uso di un campetto di calcio.
Forse ai fautori del tutto o nulla sembrerà poco ma ogni misura per umanizzare è un passo,  purché sia un passo e non l’ultima sosta davanti a una porta chiusa. Hai aperto uno spiraglio. Continua, se potessi mettere il piede nella fessura per non far chiudere quella porta lo farei.
Speriamo e attendiamo con trepidazione lo scioglimento della prognosi per il cittadino del Marocco in coma farmacologico.

 

15 Agosto 2013Permalink

10 luglio 2013 – Teneri nonnini, difensori del suolo patrio!

 Il cinque luglio avevo scritto ‘oggi in Lombardia. Domani chissà!’ pubblicando il testo della mozione presentata dal consigliere  Ambrosoli al consiglio regionale lombardo con cui si chiedeva il riconoscimento “dell’assistenza sanitaria di base anche per i minori non regolari”, in sostanza il pediatra di base per i figli degli immigrati privi di permesso di soggiorno.
La mozione era stata bocciata.
Oggi leggo un articolo de La Stampa che gira su facebook  (lo si può leggere anche da qui) e apprendo che alla bocciatura di quella mozione ha contribuito anche il partito pensionati.
Verifico e scopro che è presente nel consiglio regionale nella persona di un’attiva nonnina!.
La notizia indecente diventa sconvolgente.
Rendo omaggio alla forza d’animo della signora che ha identificato il nemico e lo combatte.
E’ un nemico che in buona parte gattona non cammina ma lei sa bene che se non viene debellato camminerà e si comporta di conseguenza.
Aggiunga signora un bel re Erode alla vostra bandiera e la sventoli sui campi di Alberto da Giussano!

10 Luglio 2013Permalink

5 luglio 2013 – Oggi in Lombardia, Domani chissà

O il parlamento si decide a modificare la norma che nega la registrazione anagrafica dei neonati figli di sans papier o dovremo aspettarci altre umiliazioni della dignità di tutti noi.
La proposta di modifica c’è: il testo si trova anche nel mio pezzo del 17 giugno.
Riporto un articolo da Il sole 24 ore

Una vicenda lombarda. Solo lombarda?

La Lombardia nega il diritto al pediatra di base per i bambini figli di immigrati irregolari. Al Consiglio regionale del 2 luglio è stata bocciata da Centrodestra la mozione presentata dal Patto Civico (primo firmatario Umberto Ambrosoli) e sottoscritta dagli altri esponenti del Patto Civico e da alcuni consiglieri del Partito Democratico, con la quale si chiedeva il
riconoscimento “dell’assistenza sanitaria di base anche per i minori
non regolari” con “l’attribuzione del pediatra di libera scelta e l’erogazione di determinate prestazioni sanitarie per i figli di immigrati extracomunitari senza permesso di soggiorno”. L’Aula si è divisa a metà: il Centrodestra ha negato che la Lombardia non assiste i bambini non regolari e ha accusato i gruppi di opposizione di “sfruttare” la questione per portare avanti invece la “battaglia ideologica che punta alla cancellazione della legge Bossi-Fini che regola i flussi immigratori”. “I bambini degli irregolari possono già contare su un’ampia offerta di prestazioni offerte dal nostro sistema sanitario – ha spiegato in aula l’assessore alla Sanità, Mario Mantovani. “A parte le urgenze, riconosciute da tutti i pronto soccorso, ci sono poi le cure essenziali e gli interventi di medicina preventiva, tutti servizi a carico della nostra sanita’”.
Ambrosoli nel suo intervento ha sottolineato che questo servizio è già attivo nelle Regioni Friuli Venezia Giulia, Umbria, Toscana e nella Provincia autonoma di Trento, e che la lacuna che interessa la Lombardia deve essere colmata “perche’ lasciare senza cure continuative un bambino non è un’eccellenza ma una barbarie”.
“Vogliamo solo la parità di accesso al sistema sanitario”, ha sottolineato in aula Ambrosoli. Il Consigliere del Pd Fabio Pizzul ha annunciato che chiederà in commissione Sanità l’audizione di Caritas e Naga che si occupano dei bambini non regolari per testimoniare “che così come vengono erogate, le cure non garantiscono rispetto per i minori ed efficacia”.

Associazione studi giuridici per l’immigrazione (Asgi) e Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm) promettono battaglia. “Il voto contrario alla mozione – sottolinea l’Asgi – i diritti fondamentali dei soggetti già vulnerabili, viola il rispetto di obblighi nazionali e internazionali, contrasta con le scelte operate dalla conferenza Stato Regioni”. Secondo l’Asgi si priva del diritto alla cura chi è più vulnerabile e non si tutela la salute pubblica. “La scelta operata ieri dal Consiglio Regionale lombardo – continua l’associazione – ignora infatti che, come confermato da pronunce proprio del Tribunale di Milano, il minore non può mai essere considerato “irregolare” essendo comunque non espellibile ai sensi dell’art. 19 della legge italiana sull’immigrazione. Inoltre sia l’art. 35 dello stessa legge e la Convenzione ONU per i diritti del fanciullo all’art. 24 garantiscono il diritto di ogni minore di “beneficiare dei servizi medici” senza alcuna discriminazione, indipendentemente dalla loro nazionalità, regolarità del soggiorno o apolidia”.
Infine l‘Accordo che la Conferenza Stato-Regioni ha recentemente elaborato proprio allo scopo di rendere uniforme ed efficace l’accesso dei migranti ai servizi sanitari su tutto il territorio italiano prevede il riconoscimento del pediatra di libera scelta anche per i minori senza regolare permesso di soggiorno. “La scelta della Regione Lombardia – conclude l’Asgi – è dunque in contrasto con tali norme; ma è anche una scelta miope e inefficiente perché meno difficoltà nell’erogazione delle prestazioni e una precoce diagnosi delle malattie grazie alla maggiore prevenzione si traduce in costi inferiori per la Pubblica Amministrazione e permette una migliore salvaguardia della salute collettiva”.
Asgi e Simm si attiveranno per promuovere in tutte le sedi opportune, ivi compresa quella giudiziaria, tutte la azioni possibili affinché siano rispettate le norme nazionali e internazionali e sia tutelato il diritto alla salute di tutti, senza esclusioni.

Il testo della mozione

IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA LOMBARDIA

PREMESSO CHE
secondo i dati fomiti dall’ORIM (Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità) il numero dei cittadini stranieri extracomunitari che risiedono in Lombardia è aumentato sensibilmente negli ultimi anni;
che i figli di stranieri senza permesso di soggiorno possono accedere alle strutture sanitarie solo per prestazioni urgenti ed essenziali, come le vaccinazioni o per patologie che, se non curate, provocano danni permanenti;
che i figli di cittadini stranieri senza permesso di soggiorno hanno diritto
all’assistenza del pediatra di famiglia solo fino ai 6 mesi di vita, il che significa che manca la continuità delle cure e la prevenzione, determinando evidenti rischi anche per la salute pubblica;
CONSTATATO CHE
il DPR n. 394/99, ha delegato alle regioni italiane l’organizzazione dei servizi sanitari, ovvero la definizione dei destinatari e dei luoghi dove fornire l’assistenza sanitaria:
“le regioni individuano le modalità più opportune per garantire le cure essenziali e continuative, che possono essere erogate nell’ambito delle strutture della medicina del territorio o nei presidi sanitari accreditati, strutture in forma poliambulatoriale od ospedaliera, eventualmente in collaborazione con organismi di volontariato aventi esperienza specifica;
CONSTATATO INOLTRE CHE
le regioni come Friuli Venezia Giulia, Umbria, Toscana, e P.A. di Trento prevedono l’accesso dei minori irregolari anche all’assistenza pediatrica fornita dai PLS;
CONSIDERATO CHE
i figli degli stranieri senza permesso di soggiorno non hanno diritto al pediatra di famiglia cioè alla continuità delle cure e che questo determina una limitazione del diritto alla salute del minore che si trova chiaramente in contrasto con la Convenzione sui diritti del fanciullo, che stabilisce che tutti i minori, senza discriminazioni, devono avere accesso ali’ assistenza sanitaria;
CONSIDERATO INOLTRE CHE
– il Parlamento Europeo ha invitato gli Stati membri, con la Risoluzione A7-0032/2011 dell’S febbraio 2011, “ad assicurare che i gruppi più vulnerabili, compresi i migranti sprovvisti di documenti, abbiano diritto e possano di fatto beneficiare della parità di accesso al sistema sanitario” e “a garantire che tutte le donne in gravidanza e i bambini, indipendentemente dal loro status, abbiano diritto alla protezione sociale quale definita nella loro legislazione nazionale, e di fatto la ricevano”;
– che molti medici in diverse strutture, ottemperando al giuramento di Ippocrate, prestano comunque l’assistenza in una condizione di indeterminatezza che rischia di risultare in contrasto con le normative;
VISTO CHE
gli artt. 2 comma 2 e il 24 della Convenzione di New Y ork disciplinano la tutela del
diritto alla salute di tutti i minori non solo di quelli che hanno la cittadinanza;
l’art. 32 comma 2 della Costituzione recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”;
INVITA IL PRESIDENTE E LA GIUNTA REGIONALE:
a riconoscere l’assistenza sanitaria di base anche per i minori non regolari tramite l’attribuzione del Pediatra di libera scelta e l’erogazione di determinate prestazioni sanitarie per i figli di immigrati extracomunitari senza permesso di soggiorno.

Umberto Ambrosoli; Lucia Castellano; Fabio Pizzul; Laura Barzaghi; Roberto Bruni; Carlo Borghetti; Michele Busi;
Marco Carra; Paolo Micheli; Gianantonio Girelli; Sara Valmaggi

5 Luglio 2013Permalink