4 settembre 2013 – Naturalmente tacciono

Io non sono una lobby

Il 26 luglio avevo segnalato in questo blog lo sconcerto provocatomi da un documento con una affermazione sorprendente distribuito dall’Ospedale di Udine. (Si veda Perplessità e preoccupazioni )

Ho consegnato una segnalazione in merito all’Ufficio relazioni con il pubblico dell’ospedale stesso e ne ho scritto all’assessore comunale di competenza. A distanza di più di sei settimana risposta zero.
Certamente ci sono le ferie, ma i responsabili dei servizi dispongono di sostituti … comunque io conto solo uno che sembra equivalere a nulla.

Ecco la segnalazione consegnata all’Ospedale di Udine

Non parlo né di me né di singoli casi a me noti ma espongo quanto potrebbe essere accaduto o accadere a tutti i neonati, figli di migranti privi di permesso di soggiorno, cui sia stato richiesto il permesso stesso per presentare la denuncia di nascita del figlio/a, per assicurargli l’atto di nascita. Se tale certificato dovesse mancare il bambino non risulterebbe esistere quale persona destinataria delle regole dell’ordinamento giuridico. Nel comune di nascita non ne verrebbero infatti registrati né il nome, né la data e ora di nascita, né il nome dei genitori, né la cittadinanza (che, allo stato attuale, è quella dei genitori dato che viene attribuita secondo jus sanguinis).

Purtroppo se un migrante si trova in situazione di irregolarità non può corrispondere alla richiesta del documento di cui non dispone (ché se lo avesse non sarebbe irregolare) nemmeno se ciò comporti per il figlio il danno irrimediabile della mancata registrazione e la mancata iscrizione nei registri dello stato civile andrebbe a ledere un diritto assoluto del figlio che nulla ha a che fare con la situazione di irregolarità di chi che lo ha generato.

Nello scritto che segue cercherò di chiarire perché la richiesta stessa del permesso di soggiorno possa – anche se non ne consegue esplicito rigetto della domanda presentata–trasformare la richiesta della registrazione anagrafica in un rischio e quindi disincentivarne la presentazione.

Riferendomi a  quanto ho affermato constato che nel  dépliant intitolato : Guida rapida all’ospedale dove si citano esplicitamente l’Azienda Ospedaliera Universitaria Santa Maria della Misericordia di Udine, la sede di Cividale del Friuli e di Gemona del Friuli alla voce ‘denuncia di nascita’ si precisa la richiesta del permesso di soggiorno, scrivendo:  “COSA SERVE: documento di identità valido di entrambi i genitori, se stranieri non residenti passaporto o permesso di soggiorno valido” .

Preciso che tale dépliant è stato consegnato in un reparto dell’Ospedale di Udine al signor Luca Peresson in giornata immediatamente precedente il 25 luglio quando me lo ha messo a disposizione.

Il proposito osservo che:

secondo quanto recita l’art. 7 della Legge 27 maggio 1991, n. 176 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989) “Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi”.

Tanto dovrebbe bastare a dissuadere dalla richiesta di un documento che, per il fatto di non esistere, diventa un ostacolo al soddisfacimento di un diritto fondamentale.

Fino al 2009 la legge italiana non prevedeva la richiesta del permesso di soggiorno o documento equipollente per lo straniero che registrasse la nascita di un figlio.

In quell’anno intervenne la legge 94 (cd pacchetto sicurezza) che modificò il Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” e  successive modifiche che al comma 2 dell’art. 6 impose la presentazione del documento un migrante ’irregolare’ non possiede per definizione..

Pochi giorni dopo l’approvazione della legge venne emanata una circolare definita interpretativa che consente ciò che la legge nega (Circolare del Ministero dell’interno n. 19 del 7 Agosto 2009) la cui applicazione, sebbene si tratti di strumento il cui valore è inferiore a quello di una legge, assicura la regolare registrazione anagrafica. Vi si legge infatti. “Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto”.

Non sia indifferente ricordare che il migrante in situazione di irregolarità non potendo assicurare al figlio il normale certificato di nascita gli causa danni irrimediabili (la impossibilità della tutela genitoriale, la difficoltà nell’accesso alle cure sanitarie, l’impossibilità di iscrizione al nido, alla scuola dell’infanzia, alla scuola successiva a quella dell’obbligo e a tutti gli atti di stato civile che accompagnano il corso dell’esistenza in cui il certificato di nascita è richiesto) e nello stesso tempo espone se stesso al rischio di essere espulso quale ‘clandestino’ in costanza del permanere del reato di clandestinità introdotto dalla legge cd. Bossi Fini.

Il Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Gruppo CRC che ha il compito di preparare il Rapporto sull’attuazione della Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza che viene trasmesso al Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza), oltre a far presente che la mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato avviene in violazione del diritto all’identità nonché dell’art. 9 della Convenzione di New York contro gli allontanamenti arbitrari dei figli dai propri genitori, ricorda che ciò comporta un rischio anche per le partorienti. Infatti “il timore di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto ”sottraendosi a cure necessarie e cui hanno diritto.

Segnalo anche la relazione della proposta di legge 740 (allegata) che, prevedendo la modifica della norma in vigore, spiega nell’ampia relazione in premessa la situazione che ho sommariamente riportato nella mia segnalazione.

Non ho titolo alcuno per richiedere o proporre alcunché.

Solo la consuetudine all’esercizio dei miei doveri di cittadina nei confronti di soggetti privi di difesa – e spesso del tutto ignorati anche da chi dovrebbe assicurarne tutela – mi ha indotto a segnalare la situazione che ho descritto.

Non posso che augurarmi che i dépliant con il testo che ho trascritto vengano immediatamente corretti nella speranza che neppure un neonato abbia subito il danno della mancata registrazione o della sottrazione alla potestà genitoriale se già privo di certificato che tale genitorialità formalmente dichiari.

Una interrogazione parlamentare.

Nel frattempo sono venuta a conoscenza di una interrogazione parlamentare che puntualizza un altro aspetto –che a quello che ho più volte segnalato si connette – e che, per documentazione utile almeno a me, ricopio.

Rossomando – Al Ministro dell’Interno – per sapere – premesso che:

–             l’art. 7 comma 1 della Convenzione delle N.U. sui Diritti del Fanciullo,  ratificata dall’Italia con la legge 27.5.1991 n. 176, stabilisce testualmente: “Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della nascita, e da allora ha diritto a un nome, ad acquistare una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da loro”;

–             La Convenzione sui diritti del  Fanciullo introduce un vero e proprio diritto del fanciullo all’immediata “registrazione”, che nel nostro ordinamento consiste nella formazione dell’atto di nascita da parte dell’ufficiale di stato civile sulla base della dichiarazione di nascita effettuata da chi ha il dovere di farla;

–             Il vecchio Ordinamento dello stato civile (r.d. 9/7/1939 n. 1238) prevedeva, all’art. 67, che la dichiarazione di nascita fosse fatta nei dieci giorni successivi al parto dal padre o dalla madre, o dall’ostetrica o da qualsiasi persona che avesse assistito al parto (art. 70 e71), con un ampio intervallo temporale attribuibile alle difficoltà di collegamento esistenti all’epoca;

–             il vigente Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’Ordinamento dello Stato civile, emanato con D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396, in attuazione della legge 15 maggio 1997 n. 127, ha previsto, all’articolo 30, un nuovo termine di tre giorni per le dichiarazioni fatte presso la direzione sanitaria dell’ospedale o della casa di cura  in cui è avvenuta la nascita, ma ha conservato il vecchio termine di dieci giorni fissato nella previgente normativa nel caso di registrazione della nascita presso il comune nel cui territorio è avvenuto il parto e nel caso in cui i genitori vogliano registrare il neonato nel comune di residenza (articolo 30, comma 7); 

–             il mantenimento del termine dei dieci giorni, oltre ad essere in contrasto con quanto previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, potrebbe portare all’eventualità che le dimissioni della puerpera avvengano prima che la dichiarazione di nascita con contestuale riconoscimento sia stata effettuata, esponendo quindi il neonato al pericolo di divenire vittima della tratta di minori o di finire nel circuito delle adozioni illegali, anche attraverso falsi riconoscimenti di paternità-:

quali iniziative intenda assumere affinché i termini per la registrazione e il riconoscimento dei neonati vengano aggiornati ed uniformati a quanto indicato dall’art. 7 comma 1 della Convenzione delle N.U. sui Diritti del Fanciullo, ratificata dall’Italia con la legge 27.5.1991 n. 176, affinché i neonati non vengano dimessi prima che sia stata effettuata la dichiarazione di nascita, sia stato dato loro un nome e, se del caso, nominato un tutore provvisorio che ne risponda.

Roma, lunedì 5 agosto 2013

On. Anna Rossomando

4 Settembre 2013Permalink