7 febbraio – Mutilazioni Genitali Femminili

Ieri era la giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili.
Non ho fatto in  tempo a trascrivere questo mio articolo comparso sul numero di gennaio di Ho un sogno.   Provvedo oggi.

CONTRO LE DONNE. LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI NEL NOSTRO PAESE

Avevamo concluso il pezzo dello scorso numero su Le donne migranti e il diritto alla salute – un’intervista a Claudia Gandolfi, medico e operatrice del GrIS del FVG (Gruppo Immigrazione e Salute della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni) – con un  richiamo alle mutilazioni genitali femminili, un problema terribile per chi le subisce e una questione che è doveroso affrontare. Le donne mutilate sono ormai presenti sul nostro territorio e non basta riconoscere la mutilazione come reato per impedire nuovi casi. Ancora una volta ci viene in aiuto Claudia Gandolfi, mettendoci a disposizione una sua ricerca sul tema.

Violazione dell’integrità fisica, psichica e morale delle donne, le mutilazioni genitali sono interventi distruttivi e intesi al controllo della sessualità delle giovani, che possono avere entità differenti:  dall’asportazione del prepuzio del clitoride o del clitoride stesso con rimozione parziale o totale delle piccole labbra, all’infibulazione o circoncisione faraonica, cioè l’asportazione di parte o della totalità dei genitali esterni e sutura o restringimento del canale vaginale.

Naturalmente le conseguenze sulla salute delle donne sono molto gravi e si manifestano sia nei rapporti sessuali e nel parto, sia con l’insorgenza di vere e proprie patologie. Occorre considerare non solo le possibili emorragie legate all’intervento o lo shock, ma anche le infezioni che ne conseguono: setticemia o tetano, infiammazioni pelviche o del tratto urinario, epatiti, HIV, ostruzione del flusso mestruale e delle urine, fistole urinarie e fecali. È necessario tener presente, ancora, che la mutilazione non solo viene praticata senza anestesia ma in condizioni igieniche precarie e con strumenti rudimentali (coltelli, forbici, rasoi o pezzi di vetro e in alcuni contesti anche pietre affilate). A eseguire l’intervento sono in genere donne anziane autorevoli nella comunità ed “esperte” nella pratica, ma anche ostetriche tradizionali o barbieri del villaggio.

In generale le mutilazioni genitali femminili vengono collocate tra le tradizioni che segnano il passaggio dall’infanzia all’età adulta, un rito attraverso il quale si diventa “donna”. Appartengono a culture tribali antiche e profonde e non vi sono evidenze scientifiche di una correlazione tra religione e diffusione della pratica: sono diffuse sia fra i cristiani (protestanti, cattolici e copti), che fra i musulmani, gli ebrei, gli animisti e gli atei in Africa, Medio Oriente, Asia. L’Organizzazione mondiale della sanità stima che nel mondo siano 100-140 milioni le donne mutilate e che le bambine sottoposte a tali pratiche raggiungano, ogni anno, circa i 2 milioni.

Le bambine, appunto. Un periodo cruciale per il rischio che si intervenga su di loro – anche se residenti in Europa – è il periodo delle vacanze estive quando, affidate alle nonne, rischiano di essere mutilate a garanzia di un loro apprezzamento e di una “sicura” vita matrimoniale. Sebbene molti stati si oppongano alla mutilazione (che pur viene praticata) con leggi che la condannano e campagne di informazione affidate a esponenti delle comunità di villaggio (soggetti importantissimi per l’autorevolezza loro riconosciuta), il rischio resta. E non è indifferente nemmeno per le bambine e le adolescenti  che vivono in Europa e in Italia.

È fondamentale quindi che anche da noi i medici (in particolare i ginecologi, per le attività di cura, e i pediatri, per la dovuta prevenzione) conoscano il problema e se ne facciano carico nell’ambito delle rispettive competenze.  In Italia è stata approvata la  legge n. 7 del 9 gennaio 2006 “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile”, che prevede una pena dai quattro ai dodici anni di reclusione per chiunque pratichi mutilazioni genitali su una bambina o una donna, sia che l’operazione avvenga in Italia, sia che venga praticata nel paese d’origine e poi rilevata al rientro nel nostro paese. E la pena è estesa non solo a chi esegue l’operazione ma anche a genitori o parenti che l’abbiano richiesta.

Sarebbe opportuno garantire una giusta informazione anche nelle scuole frequentate dalle piccole a rischio, in modo da raggiungere il più possibile i genitori, suscitando la loro attenzione di fronte alle conseguenze penali che ne possono derivare, ma soprattutto per indurli al superamento del pregiudizio.
In Friuli il GrIS svolge un importante lavoro d’informazione e prevenzione delle mutilazioni genitali femminili e si segnala anche il contributo delle mediatrici  di comunità, che possono istituire un rapporto privilegiato con le donne mutilate e fornire testimonianze utili per la crescita della consapevolezza intorno al problema in tutti gli ambienti interessati

7 Febbraio 2014Permalink