15 dicembre 2014 – Garanti, competenti e il rispetto di giovani studenti – 1

 Il 10 dicembre – per l’attenzione dovuta e condivisibile alla giornata in cui nel 1948 venne firmata la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo – i garanti della regione Friuli Venezia Giulia sono stati protagonisti di un incontro indetto dal presidente del consiglio regionale dal tema “Diritti umani e organismi di garanzia”.

Chi sono i garanti

Si tratta di tre persone esperte cui la regione affida con legge compiti precisi Trascrivo l’art. 1 della legge regionale  9/2014 “Istituzione del Garante regionale dei diritti della persona”: «La Regione autonoma Friuli Venezia Giulia considerando impegno prioritario la tutela dei diritti delle persone soprattutto di quelle che non sono in grado di difenderli in modo diretto e autonomo, concorre a garantirne il rispetto in particolare di quelli dei bambini e degli adolescenti e di coloro che sono privati della libertà personale o a rischio di discriminazione, in adempimento a quanto previsto dalla normativa internazionale, europea e statale»

E all’art. 8 così ne precisa alcuni compiti su cui intendo soffermarmi

«a) verifica e promuove il rispetto dei diritti dei bambini e degli adolescenti alla vita, alla salute, all’istruzione e alla famiglia, all’educazione, all’ascolto e partecipazione, alla pace e più in generale ai diritti sanciti dalla Convenzione di New York del 1989;

b)sollecita l’adozione di provvedimenti normativi a tutela dei diritti dei minori presenti sul territorio regionale, con particolare attenzione per bambini e adolescenti maggiormente svantaggiati e vulnerabili, quali i minori provenienti da Paesi terzi non accompagnati e richiedenti asilo, i minori vittime di tratta o figli di vittime di tratta, i soggetti con disabilità, i minori collocati al di fuori della famiglia di origine o situati negli istituti penali e verifica la corretta attuazione delle norme regionali attinenti»

Naturalmente i compiti dei garanti non sono solo questi. Chi volesse conoscere gli altri può farlo anche da qui

Il 10 dicembre,

nell’auditorium della regione, sono stati convocati i garanti (purtroppo uno, il garante per le persone private della libertà personale, era malato) insieme a due competenti evidentemente di fiducia di chi aveva indetto la riunione. Il pubblico era costituito soprattutto da studenti. Ottime le due relazioni (il cui testo spero verrà pubblicato), di cui prendo in considerazione la prima intitolata “Alla radice dei diritti umani: spunti in prospettiva filosofica e bioetica”. Mi affido ai miei appunti e trascrivo un passaggio e mi permetto le virgolette perché sono in grado di assicurarne l’esattezza: «I diritti umani sono un’invenzione giuridica che serve a proteggere qualche cosa di importante che non è giuridico. […] L’origine dell’etica interpersonale è il riconoscimento che ciascun essere umano ha un valore che lo stato non pone, ma riconosce e si impegna a tutelare». Sembra persino ovvio dire che il primo valore è l’esistenza riconosciuta in un contesto di relazioni che ne preveda l’accoglienza dal momento della nascita, quando il nuovo nato si pone come corpo (traggo la terminologia legata alla constatazione della corporeità dalle affermazioni del relatore), corpo libero, corpo in relazione e vulnerabile. Si suppone quindi che si possa considerare superato l’antico culto romano della dea Levana, quando il padre decideva se sollevare o no il figlio che la levatrice gli metteva davanti, con un gesto che ne implicava il riconoscimento o il rifiuto. Sappiamo che non è così: dal 2009 in Italia per una certa categoria ben definita di neonati lo stato si sostituisce all’antico padre-padrone e ne ostacola il riconoscimento che li renderebbe Centri di Identificazione ed Espulsione di carne. Per l’ennesima volta trascrivo una citazione dal rapporto del gruppo Convention on the Rights of the Child: «… Il timore […] di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto, con la conseguente mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato, in violazione del diritto all’identità […], nonché […] contro gli allontanamenti arbitrari dei figli dai propri genitori. Pur non esistendo dati certi sull’entità del fenomeno, le ultime stime evidenziano la presenza di 544 mila migranti privi di permesso di soggiorno. Questo può far supporre che vi sia un numero significativo di gestanti in situazione irregolare»..
Ho scelto il passo di riferimento alla madre tanto per dire che lo stato italiano, nuovo Levana, gode se non di ampi consensi almeno di rassicurante indifferenza, ivi compresa quella dei movimenti di donne che non riescono a pensarsi in un contesto universale neppure in quanto partorienti e quindi si disinteressano della discriminazione fondamentalmente razzista.

Illusa da giovane, scema da vecchia

Questa sono io. Infatti, forte delle belle espressioni dell’esperto cui era stata affidata la prima relazione, sono malauguratamente intervenuta per chiedere a lor signori se si ritengano soddisfatti del fatto che il riconoscimento del bambino alla nascita, che anche l’ONU (CRC) afferma essere universale, in Italia sia invece limitato da un’eccezione a norma di legge e un principio di universalità sia affidato ad una circolare.
A questo punto sono piombata in una condizione di avvilimento che non riesco a superare, soprattutto perché il relatore parlava di fronte a giovani di cui non conoscevo le capacità di difesa. Infatti mi ha spiegato che « …sempre nella storia dobbiamo sapere che c’è un gap tra l’ideale che noi ci poniamo e il reale e il compito nobile della politica, della polis è di colmare questo gap. Si pone il problema delle strategie. Allora le strategie richiedono di trovare modi di crescita culturale perché noi dobbiamo far sì che i principi e i diritti siano sentiti come significativi per tutta la popolazione. Faccio un esempio. Noi dobbiamo lottare perché indipendentemente da chi è tuo padre o da quelli che sono i […] di tuo padre  un bambino appena nato andrebbe riconosciuto. […] Allora se io sento che una fetta della popolazione è spaventata dall’immigrato io devo lottare per riconoscere il diritto di riconoscere il diritto dei suoi figli e creare le condizioni per cui si abbassi una tensione sociale che non ci consente di essere puri, trasparenti e ere il problema per quello che è».
La dott. Mellita Bares, presidente del piccolo comitato di garanti, nel far riferimento al mio intervento ha invece usato (e le sia reso onore) la parola ‘delitto’ in relazione al mancato riconoscimento anagrafico.
A questo punto, se ci sono strategie da identificare nel sistema di welfare che obbligano a considerare priorità in relazione alle risorse, come assicuriamo il valore del ‘corpo vulnerabile’ in una relazione che precede la legge (non l’ho detto io, l’ho ascoltato), nel riconoscimento dovuto ma molto discusso?

Immanuel Kant perdonaci

Su questo tornerò perché non è mancata la citazione dotta ed esatta della seconda formula del kantiano imperativo categorico ma, secondo un uso irritante e diffuso, non è stata contestualizzata, bensì proposta come un bell’aforisma piombato da chissà quale cielo remoto dove si ignorano le strategie. E meno male che nessuno si è ricordato di quel pazzerellone di Cesare Beccaria che 250 anni fa pubblicava “Dei delitti e delle pene” in cui si pronunciava contro la tortura e la pena di morte del tutto immemore (cito sempre dalla risposta che mi è stata data) delle “paure reali e irrazionali che le persone hanno rispetto alla loro sicurezza” che a quel tempo non dovevano mancare se non mancano neppure oggi. Mi dispiace per gli studenti: Kant non meritava di essere trattato, almeno davanti a loro,  con un’approssimazione che alla mia vecchia mente maligna fa venire in mente l’inesausta casalinga di Voghera, simbolo del buon senso comune.. Ma di questo scriverò ancora perché non è una modalità che io possa digerire in silenzio.
(1 continua).

15 Dicembre 2014Permalink