10 maggio 2015 – Clandestino nell’utero-valigia

Dal blog di Daniele Barbieri, un pezzo di Daniela Piaricongiungimento familiare1

Noi donne sappiamo cosa significa “trasportare” un bambino.

Ce lo portiamo appresso per nove mesi, quando tutto va bene. Lo culliamo nel liquido amniotico, gli parliamo senza proferir parola. Lo accarezziamo attraverso il ventre. Lo partoriamo nel dolore per godere subito dopo della gioia della sua pelle, del vagito, del pugno che stringe il dito e delle labbra che si attaccano al seno.

Sappiamo che ogni distacco è fonte di dolore, ansia e preoccupazione.

Ma, nel nostro mondo fatto di tutele e certezze, il tempo del distacco possiamo gestirlo, sappiamo che nessuno potrà frapporsi, senza fare i conti con la legge, a volte un poco miope, al ricongiungimento di una madre con il proprio figlio. Questo “naturalmente” se sei una madre dell’opulento Occidente industrializzato, membro dunque della “civilissima” Europa, quella trincerata dietro il filo spinato di una linea Maginot tesa a escludere gli ultimi, i fratelli e i figli più bisognosi: quelli che eravamo noi… non molto tempo fa.

Perché se sei nato dalla parte sbagliata del mondo – quello che fa partorire infinite volte nel dolore, nella fame, nella guerra – il distacco si fa odissea. E il mare non è liquido amniotico ma nemico, una scommessa che sai di poter perdere ma che devi fare se vuoi far sopravvivere i tuoi figli. «Fatti non fummo a viver come bruti, ma seguir virtute e conoscenza» ma quella conoscenza pare perduta nel nostro comodo experire il mondo.

Quando non è il mare, il limbo da attraversare per trovare una parvenza di futuro si fa aria. Cercare di ritrovare una madre attraverso l’aria è un poco più arduo. Il cordone ombelicale si avviluppa e si annoda, persino in un trolley: solo che il neonato è già cresciuto, ha 8 anni ormai, eppure non ha dimenticato la postura fetale. La tiene per ore. Infinite. Il grembo di plastica non lo culla; non è l’ ecografia che lo indaga per tutelarlo, è uno scanner che lo rivela per denunciarlo: clandestino. Bimbo clandestino alla ricerca del suo destino che ha nome di madre. Bizzarro bagaglio in mano a una fanciulla, nipote di Nessuno, 19 anni a sfidare il filo spinato che separa madri e figli.

Sento di non poter contenere questa infamia. Mi arrogo il diritto di donna di appellarmi a tutti i tribunali del mondo perché facciano propria la postura fetale di un figlio che sfida la sorte e sceglie di rattrappirsi in un utero di plastica per ritrovare sua madre.

Ne avevo scritto ieri e mi ripeto

L’articolo che ho trascritto è molto bello. Sono certa che emozionerà molte donne, molte persone.  Ha emozionato anche me, lo confesso, anche se sono allergica alle emozioni che ci giustificano quando ci rifiutiamo di uscire da noi stessi e agire su un piano di tutela di altrui diritti. Chiedo però a tutte le donne italiane che si sono sentite coinvolte da questo scritto di simpatizzare anche con le madri che – a causa della lettera g del comma 22 dell’art. 1 del pacchetto sicurezza (legge 94/2009) – hanno paura a registrare la nascita del proprio figlio. Ne ho scritto tante volte, riporto il link all’ultima relazione organica (2 maggio) che ho trascritto, cui faccio seguire doverosamente il link dal blog di Barbieri.
Il  bambino salvato (forse: sarà ricongiunto a sua madre?) da una valigia mi fa pensare a Mosè salvato dalla distruzione voluta dal faraone in un cestino di giunchi improprio quanto una valigia

https://diariealtro.it/?p=3746

http://www.labottegadelbarbieri.org/clandestino-nellutero-valigia/

10 Maggio 2015Permalink