14 novembre 2016 — A scuola ma non da sole.

Due storie americane fra il 1960 e il 2016

Il 14 novembre 1960 per la prima volta in Louisiana una bambina afroamericana entrava in una scuola per bianchixus_marshals_with_young_ruby_bridges_on_school_steps-jpgqitokfys6utr_-pagespeed-ic-bew-_ccfau

Una bambina di sei anni, un fiocco nei capelli, la cartella nella mano destra e l’aria seria e un po’ preoccupata di chi inizia un nuovo percorso. Sembrerebbe una normale fotografia del primo giorno di scuola ma ad allargare lo sguardo sull’immagine si nota tutta la tensione di una situazione anomala: una piccola afroamericana scortata dai federali che la proteggono dalla folla inferocita che vorrebbe impedirle di entrare in classe. Il suo nome è Ruby Bridges ed è la prima bambina di colore nel sud degli stati Uniti ad avere l’accesso a una scuola fino a quel momento frequentata soltanto da bianchi.

Siamo a New Orleans, in Lousiana, nel 1960, e da poco è finalmente passata la sentenza della Corte Suprema che stabilisce la desegregazione delle scuole: basta con i ghetti, d’ora in poi le classi saranno miste. Una decisione che incontra una grande resistenza a livello sociale, fra pregiudizi e razzismo da un lato e la paura della repressione dall’altro. Infatti, nel tentativo di dimostrare che non sono all’altezza degli istituti per bianchi, i bambini neri vengono sottoposti a un test attitudinale particolarmente complesso quando ancora frequentano l’asilo: un crudele – e inutile – stratagemma per ritardare la decisione della Corte.

Ruby è una dei sei bambini afroamericani a passare l’esame, l’unica a poter andare alla William Frantz, la scuola elementare per bianchi a pochi isolati da casa sua. Il padre non vorrebbe mandarla, ben conscio di che cosa la aspetta, ma la madre insiste: studierà in una scuola migliore e segnerà anche una svolta importante nel cammino dei diritti per i cittadini afroamericani.

Così, per la determinazione di una donna e il coraggio di una bambina, la storia fa un balzo in avanti. Ma il cammino verso l’uguaglianza è lastricato di ingiustizie e sofferenza, e in questo caso non si tratta solo di un’immagine figurata, visto che la piccola Ruby deve essere protetta da militari armati per evitare gli attacchi della folla che cerca di aggredirla lungo la strada; e una volta arrivata passerà tutta la mattina dal direttore, perché gli altri allievi non sono venuti, tenuti a casa dai genitori in segno di protesta. Il secondo giorno il film è lo stesso: soltanto un bambino bianco entrerà a scuola, accompagnato dal pastore metodista Lloyd Anderson Foreman.

Sarà un anno duro per Ruby: ogni giorno scortata dai federali anche per andare in bagno, costretta a mangiare da sola il cibo che si porta da casa, per evitare che qualcuno tenti di avvelenarla, come è successo il secondo giorno di scuola; unica alunna della sua classe, senza compagni che vogliano sedersi accanto a lei, riuscirà a studiare soltanto grazie all’impegno di una maestra, Barbara Henry, che la prende sotto la sua protezione e decide controcorrente di occuparsi della sua istruzione. Anche la famiglia subisce dei pesanti contraccolpi: il padre perde il lavoro, i nonni, proprietari di una fattoria nel Mississippi, vengono espropriati della terra.

I federali la ricordano oggi come una bambina determinata, che non piangeva né si lamentava mai. Ma il coraggio non è sinonimo di indifferenza, e non evita le ferite: Ruby non riesce a mangiare a scuola e la notte ha gli incubi, si sveglia urlando. Con l’aiuto di uno psicologo e l’affetto dei genitori, la bambina riuscirà ad arrivare alla fine dell’anno, vincendo a poco a poco le resistenze dei suoi compagni e ricompattando la piccola comunità scolastica. La seconda elementare si svolgerà infatti in modo normale, quasi non fosse mai esistita la lotta estenuante dell’anno precedente; il padre trova un altro impiego, i ragazzini si frequentano anche fuori dalle aule scolastiche senza badare al colore della pelle e la vita riprende a scorrere regolarmente. Ruby e la sua mamma hanno vinto.

Da adulta Ruby Bridges è diventata un’attivista dei diritti degli afroamericani e con la sua Ruby Bridges Foundation, che ha sede a New Orleans, continua a battersi contro i pregiudizi con le armi del rispetto, della tolleranza, dell’istruzione e della valorizzazione delle differenze: «il razzismo è una malattia degli adulti e dobbiamo usare i bambini per evitare che si diffonda», è il suo motto. La sua storia è una pietra miliare nella lunga lotta di liberazione degli afroamericani. Il quadro del pittore Norman Rockwell, The Problem All Live With, del 1964, che ritrae la piccola con i federali sulla strada per la scuola, è diventato un’icona del movimento per i diritti civili negli Stati Uniti. Non a caso, dietro suggerimento di Ruby, il presidente Obama lo ha installato come monito alla Casa Bianca, nel corridoio fuori dalla Stanza Ovale. Chissà che fine farà, con il restyling dell’arredamento del neoeletto Trump e di sua moglie Melanie.

13/11/2016 Natasha Nkhama, vittima di insulti razzisti da parte di un sostenitore di Trump, riceve una sorpresa straordinaria dagli studenti del suo campus.
L’Huffington Post    |  Di Ilaria Betti

È stata insultata per il colore della pelle e spinta giù dal marciapiede da un ragazzo che giustificava il suo gesto ripetendo lo slogan di Trump: “Make America great again”. Natasha Nkhama ha raccontato il brutto episodio, avvenuto alla Baylor University in Texas, in un video diventato virale. E grazie proprio a quel filmato più di 300 studenti hanno deciso di farle una sorpresa, accompagnandola, in gruppo, ad una lezione, dimostrandole che l’amore può vincere sulla rabbia.

“Mentre andavo in classe, questo ragazzo mi ha urtata e mi ha spinta giù dal marciapiede. Mi ha detto: ‘Nessun negro è ammesso su questo marciapiede’. Io ero scioccata, non avevo parole”, racconta nel video. Uno studente di passaggio ha detto qualcosa all’aggressore e lui, di tutta risposta, ha ammesso: “Sto solo cercando di rendere l’America grande di nuovo”, ripetendo lo slogan del neoeletto presidente Donald Trump, “Make America great again”. “Quindi – aggiunge la giovane nel filmato – se avete votato per Trump, spero che capirete cosa questo possa significare per una persona con un altro punto di vista”.

Grazie anche al video e al passaparola, la storia di Natasha si è diffusa nel campus. Gli studenti hanno così deciso di fare un gesto dimostrativo per lei e accompagnarla, tutti insieme, alla sua lezione di venerdì mattina. Si sono accordati sui social usando l’hashtag #IWalkWithNatasha (“Io cammino con Natasha”) e, in più di 300, si sono presentati all’uscita dell’istituto, sorprendendola. I professori hanno lasciato che uscissero prima dalle loro classi, consentendo la buona riuscita dell’improvvisata.

Natasha è rimasta senza parole alla vista di tutte quelle persone, accorse lì per lei, per accompagnarla, per ricordarle che la gentilezza è l’arma più potente contro il razzismo e la rabbia. “Vorrei che tutti vedessero questo gesto – ha commentato – e sapessero che Baylor è il campus dell’amore

FONTI:

http://www.riforma.it/it/articolo/2016/11/14/una-storia-americana

http://www.huffingtonpost.it/2016/11/13/natasha-nkhama-vittima-insulti-sorpresa-_n_12942156.html?utm_hp_ref=italy

14 Novembre 2016Permalink

2 thoughts on “14 novembre 2016 — A scuola ma non da sole.

  1. Il racconto è edificante. Meno edificante è quanto racconta il Chicago Tribune, un bianco di mezza età picchiato da un gruppo di giovani neri mentre gli spettatori gridano slogan anti-Trump:
    http://www.chicagotribune.com/news/local/breaking/ct-trump-beating-video-1111-met-2-20161110-story.html
    Gli anglos lo chiamano cherry picking, scegliere le ciliege, e quelli dell’HP sono bravini in materia. Massimo impegno nello stigmatizzare il linguaggio becero del vecchio sporcaccione negli spogliatoi, non una parola sulla carriera di una donna che ha distrutto Libia e Siria, facendo decine o centinaia di migliaia di morti – donne, vecchi e bambini inclusi.
    Dovendo scegliere, prenderei lo sporcaccione, e al diavolo la criminale di guerra. Lei no, prof?

    Ugo

  2. Non era mia intenzione proporre un racconto edificante, né tale -per me- è.
    Volevo solo sottolineare l’importanza sella solidarietà degli studenti del campus per sé giudizio agli insulti razzisti.
    Non ho insultato Trump ma solo riportato un episodio che mi sembrava interessante. H. Clinton è stata giudicata dai suoi concittadini e le ragioni per cui ho pubblicato quei due episodi non implicavano un giudizio su di lei.

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