11 luglio 2017 – Una memoria da condividere: i Luzzatto

10/07/2017 “Temo più di tutto l’oblio, il fascismo non è cosa d’altri tempi”. Intervista ad Amos Luzzatto
di Umberto De Giovannangeli

Dal lido di Chioggia allo scontro sull’apologia di fascismo: “Incitare all’odio non c’entra con la libertà di Il tempo non ha scalfito la sua lucidità intellettuale e la convinzione profonda, maturata su un vissuto doloroso, che ha accompagnato il suo impegno di una vita: “Senza memoria non c’è futuro”, afferma in un’intervista esclusiva all’HuffPost una delle figure più autorevoli dell’ebraismo italiano ed europeo: il professor Amos Luzzatto, per anni presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei). “Senza memoria, soprattutto, non c’è un futuro caratterizzato da quei principi di rispetto e di inclusione che devono restare a fondamento di una società democratica. E allora, guai a minimizzare vicende come quella di Chioggia, liquidandole come un fatto squallidamente folcloristico. Di fronte a scempiaggini del genere, ogni coscienza democratica dovrebbe esercitare il diritto-dovere all’indignazione. Il fascismo, e io lo so bene avendo vissuto quei terribili anni, si è alimentato di stereotipi e di pregiudizi verso il ‘diverso’, considerato come un essere inferiore, anormale. Si è iniziato così e poi sono arrivate le leggi razziali”.   

Professor Luzzatto, molto si discute sul caso-Chioggia, la spiaggia trasformata in un sito neofascista, mentre si susseguono i blitz anti-immigrati di CasaPound, e in Parlamento si apre lo scontro sulla proposta di legge Fiano contro l’apologia del fascismo. Qual è in merito la sua opinione?

Il periodico risveglio di nostalgie razziste e inneggianti al “regime” è fonte di seria preoccupazione. Non si tratta di una semplice libertà di manifestazione ideologica; si tratta in realtà del tentativo di reintrodurre nel vocabolario italiano quanto speravamo scomparso di razzismo e nostalgia del nazifascismo. Questo richiamo periodico al vocabolario della violenza e della discriminazione invita a rinnovare tentativi di trasformare la vita civile faticosamente ricostruita in una arena di violenza che già in un recente passato aveva condotto l’Europa a persecuzioni contro minoranze indifese. Si comincia con la riabilitazione di un vocabolario di odio e di disprezzo, si continua con misure che, parlando di richiami a “ordine” e “pulizia” invitano a profonde divisioni sociali, a ostracismi e a violenze.
C’è chi sostiene, pur condannando episodi come quello di Chioggia, che comunque va difesa la libertà di espressione.
Giusto, ma quello che non può essere concepita come “libertà di espressione” è l’incitamento all’odio razziale, è propagandare l’ideologia fascista e nazista, a innescare, a parole certo – ma le parole anticipano spesso atti brutali – la caccia al diverso, dipinto e vissuto come una minaccia, come qualcuno che porta solo disordine, che delinque… Tutto ciò è inaccettabile. Per chi come me ha conosciuto la brutalità del ventennio fascista, non c’è niente di più sacro della libertà di espressione: quella libertà che i regimi tirannici, oggi come ieri, fanno di tutto per conculcare. Sa cosa temo di più.

Cosa, professore?
L’oblio. L’idea secondo cui il fascismo è qualcosa di morto, che non vale la pena rinvangare, perché “bisogna guardare al futuro”. Ma è proprio perché si deve guardare al futuro occorre coltivare la memoria storica. Non è una questione di rispetto verso i milioni di esseri umani che hanno perso la vita nei lager nazifascisti. No, questa memoria va coltivata per consegnarla alle giovani generazioni, per far comprendere loro che l’odio razziale è sempre dietro l’angolo, e che fascismo e antifascismo non possono essere messi sullo stesso piano.

Il grande scrittore Predrag Matvejevic, recentemente scomparso, ricordò più volte che assieme a milioni di ebrei, nei lager nazisti furono massacrati tantissimi Rom, oltre che omosessuali, comunisti…

Questa è una verità storica. Un’amara, tragica verità. Noi stessi, noi ebrei, abbiamo subito sulla nostra pelle ripetutamente – fino alla più terribile persecuzione che è stata quella della Shoah – le conseguenze dell’essere prima di tutto indicati come stranieri irriducibili, poi progressivamente stranieri parassiti, quindi stranieri complottanti, infine assassini di bambini cristiani e in conclusione gruppi umani da espellere, da perseguitare, da sterminare. Noi ebrei sappiamo bene cosa significhi essere vittime di pregiudizi che si trasformano in odio e in violenza “purificatrice”. Sappiamo cosa significhi essere additati come il “Male” da estirpare. E da ebreo, oltre che da cittadino democratico, mi sento a fianco di tutte quelle comunità che non possono, non devono essere vittima di nuovi pogrom e additati come il “nemico” da combattere per il coloro della pelle o perché professano altre fedi religiose.

L’ideologia fascista avversava ogni portatore di diversità. Di questi tempi, si parla di “invasione” di migranti e in Europa si continuano a innalzare muri e a blindare le frontiere.

Sicurezza e legalità non dovrebbero essere contrapposte a inclusione e accoglienza. So bene che occorre governare i flussi migratori e avere una politica di condivisione a livello europeo. Nessuno può essere lasciato da solo a far fronte a un fenomeno di queste dimensioni. Ma quando il disvalore dominante rischia di divenire quello della paura, della diffidenza nei confronti del disperato che si immagina pronto a qualunque atto efferato, è difficile riportare il discorso verso i valori della solidarietà che vanno tradotti e regolati dalla politica ma mai, mai, abiurati.

Si discute del reato di apologia del fascismo e della necessità di agire sul piano giudiziario. Ma basta questo per arginare il risorgente antisemitismo e la xenofobia che innervano l’ideologia fascista?

No, non basta. Quello di cui ho sempre avvertito il bisogno, è lavorare nelle scuole, è investire nell’educazione. I giovani oggi sono i più vulnerabili perché, per loro fortuna, non hanno vissuto quegli anni terribili, e dunque tendono a dar credito a chi dice loro “quella è roba di altri tempi”. Quei tempi, purtroppo, possono ritornare, sotto spoglie diverse ma con la stessa carica di odio e di discriminazione. La demonizzazione del ‘diverso’ nasce spesso dall’ignoranza. La conoscenza è il miglior antidoto contro il ‘virus’ dell’intolleranza. E’ la ‘medicina’ che può salvare la democrazia”.

Gadi Luzzatto Voghera  Direttore del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Cdec) di Milano
Un paese che non ha ancora realizzato un museo nazionale dell’Italia fascista, dimostrando di saper riflettere in pubblico sul ventennio e sulle sue dinamiche, non sarà in grado di produrre una legge condivisa (che sembra ovvia ma non lo è) che condanni l’apologia di fascismo. Un passato che non passa, perché nel profondo della società italiana restano ben vive delle strutture ideologiche e relazionali (opportunismo, conformismo, tradizionalismo premoderno, autoritarismo, antisemitismo) che del fascismo hanno costituito l’asse portante. Non fu una parentesi (con buona pace di don Benedetto) e ce ne accorgiamo con 70 anni di ritardo.

 

Fonte dell’intervista:
http://www.huffingtonpost.it/2017/07/10/temo-piu-di-tutto-loblio-il-fascismo-non-e-cosa-daltri-tempi_a_23023517/

 

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