31 gennaio 2011 – Un cardinale, qualche signora e un Presidente

 Da un direttore generale tremolante a un cardinale insinuante.

Nell’ultimo scritto ho fatto riferimento a un direttore generale tremolante (Masi, RAI) ora non voglio trascurare uno che si presenta mite ma … non lo è e oltre che autorevole per dichiarato ruolo è nocivo per quanto comunica a soggetti ahimè passivi: si tratta del card. Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana.

Al di là  dello stile, che trovo vecchio e untuosetto, trascrivo due passi della sua prolusione alla Conferenza dei vescovi italiani (24 gennaio) che mi hanno indignato, non per ciò che dicono (Sua Eminenza sa usare le argomentazioni che vuole usare con abilità e consumata esperienza e conosce bene il significato delle parole) ma per ciò che non dicono.

Al numero 6 della sua prolusione il cardinale propone un termine che ho trovato geniale ‘alfabetizzazione etica’ ma che, a mio parere, tradisce poco sotto dichiarando: “Anche la crescente allergia che si registra nei confronti dell’evasione fiscale è un segnale positivo, che va assecondato”.
Eminenza concordo, ma come la mettiamo con la soppressione dell’ICI non solo per i locali di culto, ma anche per tutta la catena di vari mercati che alla chiesa cattolica, direttamente o indirettamente, si riferiscono (uno fra tutti l’offerta alberghiera)?
Il Vaticano non soffre di allergie?

E poco sotto al n. 7 “Va da sé che una ricognizione lucida della condizione nazionale deve portare il Paese a darsi una politica familiare preveggente, che mantenga la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, e aperta alla vita, quale base per rilanciare il Paese, e rilanciarlo sul proprio caratteristico equilibrio esistenziale, dunque senza ossessivi cedimenti alla struttura del «soggetto singolare»”
Il breve passo che riporto non copre i numerosi  -e ben inseriti nel cardinalizio contesto – riferimenti alla famiglia (comunque chi volesse leggere l’intera prolusione può farlo da qui)

Correttezza a questo punto avrebbe voluto che il cardinale per evitare di cadere nella “cultura della seduzione” (di cui al n.6) avesse ben definito l’ambito del suo uditorio, dato che non può essere altro che il mondo cattolico (che, per fortuna- è tutt’altro che monolitico). Poteva farlo proprio giovandosi del costume che appartiene a quella ‘alfabetizzazione etica’ precedentemente denominata poiché non ignora che nella società italiana molti cercano di ragionare responsabilmente su forme diverse di legami fra persone di diverso e dello stesso sesso.

Cardinalizie seduzioni contro il pluralismo culturale.

Sono ben consapevole che il presidente della Conferenza Episcopale Italiana  non farebbe alcun danno alla convivenza plurale se i cittadini italiani fossero abituati alla personale riflessione e educati al rispetto di sé: così non è.

Quindi nelle parrocchie (veicoli ancora potenti di diffusione culturale di base) quanto detto a livello gerarchico viene assunto come verità di fede e accantonato nell’universo di quelle cose che si dovrebbero fare (e che, per umana debolezza, non si fanno). Così a seguito della fiducia nel modello tradizionale di concordatario matrimonio cattolico (eppure è sempre più praticata la formula del matrimonio civile!) rotolano tutte le tradizioni in qualche modo passivamente assimilate: ivi compresi i diritti dei minori.
Credo che questo sia un punto focale.

Da servili tremolii e tradizioni non verificate ai diritti dei soggetti senza contrattualità

E cammina, cammina … sono arrivata dove volevo.

Mi limito a una considerazione di fatto: l’ambito cattolico non esaurisce quello cristiano.
Sulle coppie omossessuali c’è stata un’ampia discussione al sinodo valdese, provocata da una lettera del deputato Malan (PdL) evidentemente ballonzolante fra il suo partito – e le conseguenti opportunità politiche-  e la sua chiesa.
Al di là dell’intervento del Malan (fortunatamente all’interno della sua chiesa inefficace) resta però il grave problema dell’omaggio di comodo alla gerarchia cattolica di molti cosiddetti laici, oltre che opportunisti servili (almeno per questo aspetto) dottrinalmente ignoranti con pretese di trasmissione di verità.

Esaurita la considerazione di fatto una domanda:
– come fanno questi famiglia tradizionale dipendenti ad educare i bambini se non danno loro, con tutta la necessaria discrezione che il processo di crescita richiede, l’indicazione del rispetto di sé come soggetti di diritto?
Non so immaginare altro modo per educarli anche ai doveri (non si danno doveri senza diritti e viceversa) a meno che i sedicenti educatori famiglia-dipendenti non indulgano alla coppia sostitutiva (e molto praticata) di capriccio-obbedienza passiva.

Questa lacuna spiega, secondo me, la ragione fondamentale (ma non l’unica) per cui nulla ha detto la gerarchia cattolica sul problema della connessione imposta per legge da due anni fra permesso di soggiorno e registrazione degli atti di stato civile, in particolare la registrazione anagrafica.
Le parrocchie e il giro connesso assentono …ma non sono le sole

Donne, cardinali e vacui consensi

A quanto ho letto sui giornali (non mi sono sentita di partecipare) sabato donne di compositi movimenti si sono trovate in piazza per dire che il governo Berlusconi le fa arrabbiare e che non tutte le donne sono escort.
Attentissime a parlare di sé sono non elegantemente sfuggite ai diritti dei soggetti a debole contrattualità.
Eppure il principio dello sfruttamento delle persone è sempre quello e sempre quello è il modo di agire più orientato a una momentanea ricerca di consenso che alla considerazione razionale di un problema e delle possibili ipotesi per affrontarlo.
Non mi va trovarmi a traballare fra improbabili buoni sentimenti, cupo buon senso e incazzature senza obiettivi.

Non voglio ora  riprendere il problema che da due anni affronto nel blog cui potrebbero affiancarsi tanti altri, specifici se qualcuno volesse studiarli e darne comunicazione.. .

Una lettera al Presidente della Repubblica che ha meritato risposta

Egregio Presidente

il Suo gesto –così limpido nella sua determinazione e importante per il significato che riveste- di ricevere in Quirinale una delegazione di studenti, mi ha incoraggiato nella decisione di scriverLe per chiederLe di dar voce a persone cui voce è negata e che non hanno modo di chiederle udienza.

Si tratta dei neonati, figli di immigrati privi di permesso di soggiorno, cui è rifiutata la registrazione anagrafica, il che li condanna alla perdita di diritti anche essenziali e a un futuro da apolidi.

Il meccanismo che crea tale situazione attraversa subdolamente leggi e burocrazie.

Mi spiego: tale esclusione è prevista dalla legge ‘Disposizioni in materia di sicurezza pubblica’ (94/2009 – lettera g) del comma 22 dell’art. 1).

Non c’é una espressione esplicitamente e chiaramente discriminatoria, ma semplicemente una modifica della norma precedente che diceva essere esclusi dalla presentazione del permesso di soggiorno vari provvedimenti, fra cui gli atti di stato civile (comma 2 – art. 6 – legge 40/1998). Nella legge 94/2009, mentre permangono altre esclusioni, é scomparsa quella relativa agli atti di stato civile e di conseguenza la registrazione di tali atti è subordinata alla presentazione del permesso di soggiorno.

I problemi sono parecchi, relativi a situazioni diverse: mi limito al problema nascita.

Pochi giorni dopo l’approvazione della legge 94 il Ministero dell’interno emanò una circolare (n. 19 del 7 Agosto 2009, prot. 0008899) che affermava essere possibile – relativamente alla registrazione anagrafica – ciò che la legge negava.

Ciò nonostante il problema resta aperto.

Infatti alla diffusa impreparazione degli uffici di molti enti locali si aggiunge la paura dei genitori che, scoprendosi irregolari per la mancanza del permesso di soggiorno, non osano avvicinare le sedi comunali, con un gesto che – anziché permettere loro di esprimere la gioia e l’orgoglio di aver generato un figlio – li condannerebbe all’espulsione.

Permetta, signor presidente, a una cittadina che è nata nell’anno in cui furono promulgate le prime leggi razziali italiane, di dichiararsi inorridita di fronte alla questione che le è stata posta da giornalisti cui si era rivolta “Conosce un caso da poter segnalare? L’informazione in  merito alla legge non è una notizia”.

Mi chiedo e Le chiedo: “Se la presenza in legge di un principio che discrimina le persone per uno status burocraticamente accertato è – e io ritengo che sia- un principio razzista, perché tale affermazione non è da considerarsi ‘notizia’?”.

Mi creda signor Presidente, nella convinzione che la difesa dei principi fondanti la nostra Costituzione appartenga ad ognuna e ognuno di noi (e questo ho insegnato ai miei figli e ai miei studenti di un tempo), ho fatto quando potevo e sapevo per segnalare, rendere pubblica la segnalazione, chiedere ai responsabili un gesto consapevole che apra alla modifica della norma.

Ora mi rivolgo a Lei: quei piccoli minacciati dalla negazione di un riconoscimento fondante la vita di relazione, non possono costituirsi in delegazione, né lo osano i loro genitori, ma Lei può essere la loro voce, tutelandoli come la Costituzione, numerose leggi (cito soltanto la legge n. 176/1991, ratifica della Convenzione di New York del 20 novembre 1989), prevedono e garantendo insieme la dignità di tutti noi che un principio razzista, che pretende di essere legale, umilia.

Nella certezza che Lei troverà il modo per essere voce di chi non ne ha e non può averne e insieme di confortarci nel disagio che nasce dalla consapevolezza di non riuscire ad opporci al razzismo strisciante, Le auguro buon anno.
Augusta De Piero

Segreteria generale della Presidenza della Repubblica
Ufficio per gli Affari Giuridici e le Relazioni Costituzionali                       Roma 12 gennaio 2011

           Gentile signora De Piero,
In relazione alla Sua lettera, indirizzata al Capo dello Stato, la informo che questo Ufficio ha sottoposto quanto da Lei rappresentato all’attenzione del Ministero dell’interno, per l’esame di competenza.
p. il Direttore dell’Ufficio
dr. Gino Onorato

31 Gennaio 2011Permalink