08 luglio 2010 – I tempi non si scelgono – 2

8 luglio 2010 –

I tempi non si scelgono
In essi si vive e si muore – 2

Ho ricopiato il titolo dalla citazione di una poesia di Aleksander Kušner, proiettata alla mostra Russie! A Ca’ Foscari – Venezia.

I comuni, primo luogo istituzionale del vivere insieme, ma
….. ormai si sono poste le basi per riportarli a un ruolo neopodestarile non contestato.
La solidarietà si trasforma in pietà capace di assistenza ma la pietà dei ‘buoni’ non riscatta la sciatteria di chi vuole ignorare l’etica della solidarietà ‘politica, economica e sociale’ (Costituzione della Repubblica – art.2)
Anni fa avevo sperato in una svolta promossa e voluta dalle associazioni che si formano nella società civile. Ora non più…
Così concludevo la mia puntata precedente.
Ero arrivata al nodo che mi assilla da anni, l’involuzione del mondo associativo, quale luogo di pensiero discusso e condiviso e insieme momento di forza nella società civile.
L’associazione, più o meno formalizzata, è spazio offerto a chiunque e può farsi anche luogo per giudicare i livelli istituzionali che dovrebbero rappresentarci.
Non mi sembra funzioni così.

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, (Costituzione. Art. 2)

Di conseguenza “i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi” (Costituzione Art. 17). Forse sarò irrispettosa ma non posso impedirmi di dire che i padri costituenti erano ingenui. Le armi cui pensavano erano quelle, deposte a guerra finita, ma non immaginavano che arma potesse diventare la parola, che stavano adoperando con attenzione e rispetto nello sforzo condiviso di creare le basi del contratto sociale per l’Italia che stava nascendo.
E proprio qui il degrado della funzione associativa ha un ruolo che provo a raccontare a modo mio, dal mio punto di vista che diventa indiscusso non per mia volontà di egemonia ma perché non riesco più a trovare i luoghi per discuterlo.
Recentemente, e questo mi ha molto turbato, questa mia ricerca è stata definita ‘nostalgia’.

Qui e ora – ascesa e degrado delle associazioni

Era il 1991 e, quando scoppiò la crisi balcanica, il Friuli Venezia Giulia si trovò in una posizione protagonista. Nella prima fase della guerra i profughi fuggivano verso le frontiere del nord est italiano. Ponevano almeno due ordini di problemi: l’emergenza assistenziale e il riconoscimento del loro status.
Non fuggivano a seguito di persecuzioni dirette e personali per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a determinati gruppi sociali o di opinioni politiche ma solo –e, almeno nella fase iniziale, erano per lo più donne e bambini –
perché la loro vita era minacciata dalla guerra e dai suoi effetti collaterali.
L’anno successivo la legge 390 (‘recante interventi straordinari di carattere umanitario a favore degli sfollati delle Repubbliche sorte nei territori della ex Jugoslavia’) costruì le basi perché fosse possibile sostenerli nel nuovo percorso di vita.
Varie associazioni che si erano immediatamente mosse per offrire loro un sostegno si impegnarono anche per garantirli sul piano giuridico in un confronto che si volle caratterizzato da competenza e che fu stretto –e a volte anche aspro- con i livelli istituzionali.
Il permanere della crisi balcanica, l’intensificarsi del fenomeno migratorio tolsero a quell’intervento ogni carattere di occasionalità. La legge chiamata Martelli (n.30/1990) aveva consentito più ampio spazio all’accoglienza, sciogliendo la ‘riserva geografica’ che la voleva limitata coloro che provenivano da paesi d’Europa (leggi URSS e paesi satelliti).
I poteri locali riconobbero il ruolo delle associazioni e offrirono loro sostegno perché continuassero in un’attività di ormai indispensabile supplenza.

E la supplenza si fece scambio
Lentamente, con il farsi più significativo e visibile il ruolo delle migrazioni, la cultura della Lega Nord segnò l’area del suo maggior successo e poco a poco, senza che vi fossero difese al senso minacciato della decenza etica e politica, il razzismo divenne senso comune. Così regioni e enti locali, nella confusa girandola normativa di leggi statali, identificarono nell’accoglienza dei migranti un ruolo politico della ‘sinistra’ e le associazioni che di accoglienza si occupavano –e che lo facevano anche, ma non sempre, in forma dignitosa e positiva- divennero i referenti privilegiati per un sostegno che spesso si trasformava in occasione di possibile voto di scambio (o almeno per suscitare i sospetti delle persone consapevolmente maligne come me).
Anche per questa connotazione gli impegni a rimuovere le conseguenze perverse del razzismo dilagante tennero conto soprattutto di quei soggetti che potevano essere incisivi nei confronti dell’opinione pubblica, mentre altri vennero ignorati.
L’informazione sui diritti sanciti spesso si sciolse nella propaganda per questa o quella realtà associativa e per l’obiettivo specifico che questa o quella perseguivano..
Chi non poteva. per sua condizione, rendersi visibile fu ignorato.
Ne so personalmente qualche cosa per il mio peregrinare cercando di suscitare inutilmente o quasi interesse per la questione della registrazione anagrafica dei figli dei sans papier che qui ricordo solo riportando l’immagine che per tanto tempo ho lasciato nella homepage di questo mio sito e ricollegandomi per l’ennesima volta alla magistrale sintesi della questione curata da Enrica Brunetti.

Cappuccetto rosso non deve allontanarsi da casa per conoscere la violenza.
Dove nasce non la vogliono riconoscere e, rendendola invisibile, la abbandonano ad ogni minaccia.
L’immagine é stata gentilmente concessa dall’autrice Sarolta Szulyovszky.

 

 

 

Particolarmente sconvolgente l’indifferenza al problema della chiesa cattolica e delle aggregazioni (parrocchie e simili) che a questa fanno riferimento, in ipocrita contraddizione con i ‘valori’ della famiglia che ormai mi sembrano più schiamazzi che autorevoli comunicazioni.
Ma di ciò dirò più avanti.
(continua)

8 Luglio 2010Permalink