1 novembre 2023_ Calendario di Novembre

Il 20 novembre 1989 L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò la Convezione internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che l’Italia ha ratificato con legge 176/1991, affermando il diritto assoluto di ogni nato alla registrazione della nascita.

Con aggressiva, devastante indifferenza l’Italia nel 2009 con legge 94 ha escluso dalla dovuta certezza di questo diritto i nati in  Italia se figli di sans papier.
Lo fece, con voto di fiducia, un Parlamento ormai in maggioranza capace di far precedere la più opportunistica e abbietta convenienza al diritto e all’etica.

 

.1 novembre 1911 –   Primo bombardamento aereo italiano in Libia e primo
……………………………………………………….bombardamento aereo della storia

.1 novembre 2009 –  Morte della poetessa Alda Merini

.1 novembre 2016 –  Morte di Tina Anselmi, prima donna ministro nella storia
………………………………..della repubblica                                      [Nota 1]

.2 novembre 1975   -Assassinio di Pier Paolo Pasolini

.3 novembre 1970     Salvador Allende diventa presidente del Cile.

.4 novembre 1966  . Alluvione di Firenze

.4 novembre 1995     Assassinio di Yitzhak Rabin

.5 novembre 2017     Elezioni in Sicilia. Disastro tutta sinistra

.6 novembre 1962     Risoluzione ONU contro l’apartheid in Sudafrica

.7 novembre 1917     Rivoluzione d’Ottobre

.8 novembre 1960    USA: elezione alla presidenza di J.F.Kennedy

.8 novembre 2016   USA: elezione alla presidenza di D. Trump

.9 – 10 novembre 1938   Germania: “notte dei cristalli”            [Nota 2]

.9 novembre 1989   Germania: abbattimento del muro di Berlino

.9 novembre 1993   Distruzione del ponte di Mostar

10 novembre 1483…Nascita di Martin Lutero

11 novembre 1821     Nascita di Dostoevskij

11 novembre 1992    La chiesa anglicana inglese ammette le donne
………………………………….pastore                                           [Nota 3]

11 novembre 2021      Morte di Frederick de Klerk

13 novembre 354…-   Nascita di Agostino di Ippona

13 novembre 2015    Attentati dell’ISIS a Parigi – strage del Bataclan

15 novembre 1988    L’ANP annuncia la nascita dello stato palestinese

16 novembre 1989    Salvador – strage dell’UCA –
……………………………….(Universidad centroamericana Simeón Cañas)

17 Novembre 1938    REGIO DECRETO LEGGE n. 1728
…………………………….Provvedimenti per la difesa della razza italiana
,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,[Nota 4]

18 novembre 1626    Consacrazione della basilica di San Pietro.

19 novembre 1975    Spagna: morte del dittatore Francisco Franco

20 novembre 1945   Inizio del processo di Norimberga

20 novembre 1989   L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva la
…………………………….Convenzione  internazionale dei diritti dell’infanzia e
…………………………….dell’adolescenza                                         [Nota 5]

22 novembre 2004  Ucraina: inizio della ‘rivoluzione arancione’

23 novembre 1971    La Cina sostituisce Taiwan nel Consiglio dell’ONU.

23 novembre  2023:  .Inizio restituzione ostaggi conflitto attacco terroristico
……………………………..Hamas – Israele

25 novembre             ONU: giornata internazionale per l’eliminazione della
…………………………………….violenza contro le donne

25 novembre 1973    Grecia: golpe militare

25 novembre 1992 – Il Parlamento vota la divisione fra Repubblica Ceca e
………………………………Slovacca

25 novembre 2016    Morte di Fidel Castro

26 novembre 1915     Einstein presenta la teoria della relatività generale

26 novembre 1954    Ritorno di Trieste all’Italia

27 novembre 1941     Resa di Gondar: l’Italia lascia l’Africa Orientale.

29 novembre             ONU: giornata internazionale di solidarietà con il
————————————-popolo palestinese

30 novembre 1780  Muore Maria Teresa d’Austria

30 novembre 1786  Il granduca di Toscana abolisce la pena di morte

30 novembre 1943  Morte di Etty Hillesum ad Auschwitz

30 novembre 1999   Seattle: prima mobilitazione del movimento no-global

 

NOTE:

[Nota 1]  Il 29 luglio del 1976 Tina Anselmi viene nominata ministro: è la prima donna in Italia. Occuperà il dicastero del Lavoro e delle previdenza sociale fino all’11 marzo 1978, data in cui passerà al ministero della Sanità, rimanendovi fino al 4 agosto dell’anno successivo e contribuendo a far approvare tre leggi che rivoluzionarono la sanità italiana: la legge 180, per la riforma dell’assistenza psichiatrica, quella che istitutiva il Servizio Sanitario Nazionale e la legge 194 per l’interruzione volontaria della gravidanza.

Firmò il testo della legge 194 da ministra perché questo imponeva la sua carica, nonostante le fortissime pressioni contrarie dalle gerarchie  ecclesiastiche

[Nota 2]   La Notte dei Cristalli | Enciclopedia dell’Olocausto (ushmm.org)

[Nota 3]  Dicembre 2014: consacrazione della prima vescova

[Nota 4]  vedi anche 18 settembre 2018 –
LEGGI RAZZIALI, 1938-2018. (diariealtro.it)

[Nota 5]  muore Frederick de Klerk – Il presidente del Sudafrica che liberò
Nelson Mandela.  Premio Nobel per la pace 1993.insieme e a Mandela

[Nota 6]  Legge 27 maggio 1991, n. 176.  Ratifica ed esecuzione della
Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20
novembre 1989
Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989.

[Nota 7] L’elenco delle giornate internazionali celebrate dalle Nazioni Unite
si raggiunge con http://www.centrounesco.to.it/?action=view&id=337

 

 

1 Novembre 2023Permalink

31 0tt0bre 2023 – Una riflessione di Adriano Sofri

31 OTT 2023  Il Foglio                                                             piccola posta
La vendetta non può essere indiscriminata     Adriano Sofri

Nessuno che guardi la giovane Shani Louk, uccisa da Hamas, e “resti umano”, come si dice, deve vergognarsi di desiderare la vendetta per Israele. Ma quello che sta accadendo a Gaza è un’ingiustizia, una violazione della legge, e prima ancora è un abuso e una perversione della vendetta

Non è vero che il perdono sia la miglior vendetta. Il perdono non ha niente a che fare con la vendetta, salvo che sia un perdono malignamente simulato, per rendere più forte il tormento del nemico. Non è vero nemmeno che la vendetta sia il contrario della giustizia. La vendetta sta fra l’ingiustizia estrema e la giustizia ideale, è insieme un passo verso la giustizia e una sua contraffazione. Si può desiderare e perseguire la vendetta meditatamente, senza vergognarsene. All’indomani del 7 ottobre, chi avrebbe osato raccomandare alla gente di Israele il perdono? (Magari in quella forma così di successo nella nostra scena quotidiana, il microfono caldo puntato contro la madre chiedendole: “E scusi, lei perdona?”). Di più, chi avrebbe osato deprecarne un desiderio di vendetta? La giustizia è una vendetta proporzionata e sottratta all’offeso per essere delegata a un’autorità, divina o terrena – e, dove c’è, a una legge e alle sue procedure – riconosciuta superiore.

Ci sono circostanze in cui la rinuncia alla vendetta appare inaccettabile e derisoria. La giustizia, in uno dei punti essenziali cui è arrivata in una parte del mondo, ripudia la pena di morte. La vendetta no, e anche in quelle parti di mondo ha bisogno della morte, e la chiama guerra. Gli israeliani che hanno esplicitamente rivendicato (è la stessa parola) la volontà di vendetta, non hanno bestemmiato. Ma la vendetta pone un problema decisivo, ancora più della giustizia: che non deve sbagliare bersaglio, nemmeno di poco. La giustizia è bendata, per non essere parziale, la vendetta ha l’occhio bene aperto, per non mancare la mira. La vendetta non può essere indiscriminata. Gaza è un’ingiustizia, una violazione della legge, ma è prima ancora un abuso e una perversione della vendetta.

Nessuno che guardi la giovane Shani Louk e “resti umano”, come si dice, deve vergognarsi di desiderare la vendetta. Israele, in molte drammatiche occasioni, aveva dilazionato la vendetta per salvare vite minacciate: ceduto al ricatto, riservandosi di farlo pagare carissimo a tempo debito. Si possono scambiare mille prigionieri per un ostaggio, diecimila per 229, e fissarsi nella memoria il nome e le facce dei ricattatori, e contare i giorni. Altra cosa, tutt’altra sproporzione, incomparabile, è quella fra 1.400 morti civili israeliani trucidati e migliaia di civili di Gaza uccisi senza colpa. Questa volta Israele è corso all’attacco indiscriminato, e a una vendetta accecata dall’offesa e dall’ira. La giustizia vuole, presume, di essere impersonale in chi la esercita, personale in chi ne è sanzionato. La vendetta, di cui oggi sento di riconoscere il valore, ha solo questo in comune col perdono, che devono ambedue essere freddi, e stare alla larga dal mucchio. (Ho scritto così, benché la vendetta scaldi il cuore ben più che la giustizia). Infine, ancora più della giustizia, la vendetta non può permettersi lo scialo di danni collaterali.

31 Ottobre 2023Permalink

31 ottobre 2023 – C’era una volta re Erode. E’ tornato a farci visita

Ha scritto Furio Honsell
Questa sera, quando forse suonerà alla mia porta qualche gruppetto di bimbi del quartiere, attratti dalla zucca sul muretto della casa, e darò loro qualche dolcetto in risposta alla domanda che mi porranno, penserò con ancora maggior dolore ai bimbi di #Gaza che, nati e cresciuti nell‘#apartheid, alla stessa ora non potranno fare altrettanto perché mortalmente esposti alla barbara rappresaglia dell’esercito israeliano in risposta alle barbarie del 7 ottobre.
Penserò anche a quei bambini invisibili in Italia a cui le norme del nostro Paese non permettono ancora di avere un nome senza che questo comporti dei rischi per i loro genitori, se irregolari.
E mi chiederò cosa ho fatto per ridurre aritmeticamente, come avrebbe detto Camus, l’ingiustizia nel mondo …
Sabato scorso ho partecipato a due presidi a Udine. Uno antifascista, promosso dall’#ANPI, dove sono intervenuto per ribadire come fascismo significhi negare i diritti degli altri e come antifascismo voglia dire all’opposto difendere i diritti degli altri. La scelta tra fascismo e antifascismo è la scelta tra abbruttimento ed emancipazione.
L’altro presidio, promosso da Ospiti in Arrivo, era invece di condanna del genocidio del popolo palestinese in corso a Gaza. Sono intervenuto per ricordare come più di un anno fa avevo organizzato a Trieste la presentazione del Rapporto di #Amnesty International ”Israel’s Apartheid against Palestinians” e di quanto scarsa fosse stata la partecipazione; ho concluso denunciando i “doppi standard” nel mondo occidentale.
I #diritti o sono di tutti oppure non sono.

Ho commentato anch’io

Sono vissuta per parecchi mesi in Cisgiordania (nel 2003 e nel 2005 ), ho visitato più volte Gaza in viaggi organizzati dalla rivista Confronti che mi hanno reso possibile l’ascolto di parti diverse anche in contraddizione fra loro.
Naturalmente avendo io fatto una scelta personale estranea alle diverse espressioni della società civile come schierata nella realtà in cui vivo mi sono resa conto di essere un cane sciolto non degno di ascolto. Quindi capisco l’avvertimento di Nabil Bahar.
So che occorre avere spalle molto larghe e che occorre vivere , con idee chiare, il rifiuto della follia dell’uso dei bambini come ‘bottino di guerra ‘ , usandone l’immagine per dar sapore a dichiarazioni appartenenti a schieramenti contrapposti
Condivido perciò totalmente la considerazione di Furio Honsell sui bambini nati in Italia e resi invisibili, cui una norma di legge dal 2009 crea ostacolo alla registrazione anagrafica.
Qui non siamo in regime militare ma la negazione dell’esistenza e della identità è guerra condotta con mezzi diversi da quelli militari..
Ringrazio perciò Furio Honsell per aver colto il significato pesante di quello che il parlamento italiano tutto e la società civile pure considerano un problema insignificante,
Secondo me ogni crepa nei fondamenti del nostro ordinamento costituzionale come si esprime nei suoi principi non è piccola cosa ma il segnale dell’inizio di un degrado di cui non sappiamo quando accelererà dando luogo a nuovi e imprevisti orrori.
31 Ottobre 2023Permalink

26 ottobre 2023 – Una voce insolita cui voglio dare suono

I giovani ebrei contro il razzismo: “Basta lutti e stragi, uguaglianza e libertà per israeliani e palestinesi”

Abbiamo incontrato attiviste e attivisti del Laboratorio ebraico antirazzista. Criticano le politiche di Israele e si mobilitano per la fine dei bombardamenti a Gaza, combattono l’antisemitismo e l’apartheid. “Per ogni civile morto c’è dietro una famiglia che soffre e che si radicalizza, che sia israeliana o palestinese”.

A cura di Valerio Renzi

Daniel è nato e cresciuto a Roma da una famiglia ebraica, è un antropologo. Bruno ha 28 anni, fa il ricercatore e viene anche lui da Roma, la sua però è una famiglia mista: solo la madre è ebrea. Tali è di Genova, ha 25 anni, e sta ancora studiando. Per definire la sua identità religiosa dice “vengo da una famiglia ebraica, e io stessa sono ebrea”.

Tutti e tre, con altri ragazze e ragazzi, fanno parte di LəA sigla che sta per Laboratorio ebraico antirazzista. Si sono incontrati nel 2020, spinti dall’urgenza di dire qualcosa come ebrei italiani sul piano di annessione della Cisgiordania da parte di Nethanyahu. Urgenza che si ripresenta in modo ancora più impellente e drammatico oggi, con l’escalation in corso a Gaza. Li abbiamo incontrati a Milano. Con loro abbiamo parlato di Palestina e Israele, di antisemitismo e apartheid, ma soprattutto di come fare a spezzare una spirale di violenza e traumi che sembra senza fine.

Confrontandosi hanno scoperto di avere vissuto esperienze simili, in quella che Tali descrive come “una posizione scomoda” perché nelle comunità ebraica c’è “poco spazio per la critica” delle politiche di Israele. Ma dall’altra parte anche la difficoltà di essere ebrei di sinistra, quindi di attraversare ambienti politici trovandosi spesso a disagio “a causa di forme di antisemitismo che consce o inconsce, non sono sufficientemente elaborate”. E sono spesso negate. Da qui la voglia di costruire un punto di vista condiviso, senza rinunciare però a frequentare né la comunità ebraica, né i gruppi della sinistra. “Fanno parte delle nostre vite”.

Oggi di fronte al massacro di civili attuato da Hamas e la punizione collettiva dell’esercito israeliano, è facile perdere la speranza o sentirsi impotenti. Ma la priorità per questi giovani ebrei italiani è “riconoscersi nel dolore dell’altro”, spezzare la catena di lutti, anche se ora sembra impossibile. “Cosa provo? Abbiamo perso amici attivisti da entrambe le parti. – spiega Daniel – Innanzitutto c’è questa profonda sofferenza e il senso di sconfitta, perché non si riesce a capire che per ogni civile morto c’è dietro una famiglia che soffre e che si radicalizza ancora di più. Quindi la pace è più lontana. Aumenterà semplicemente il fanatismo da una parte e si rafforzerà l’estrema destra dall’altra”.

 

Di fronte all’intensificarsi del conflitto e al rischio che si allarghi ad altri fronti, prima di tutto in Cisgiordania, è Bruno a spiegare quali sono le ragioni per cui sono pronti a mobilitarsi: “Per noi la priorità è anzitutto la fine della punizione collettiva a cui è sottoposta la popolazione civile di Gaza e l’immediato rilascio degli ostaggi. Poi è necessaria la fine dell’apartheid e dell’occupazione a cui sono sottoposti i palestinesi”. E quindi fare pressioni sui governi e le istituzioni internazionali per mettere le parti attorno a un tavolo, imporre delle sanzioni, interrompere la fornitura di armi e gli accordi militari.

Ma il conflitto porta con sé non solo la mobilitazione per la fine dei bombardamenti, ma anche la paura che gli ebrei diventino un obiettivo, per la recrudescenza di sentimenti antisemiti. “Da quando è iniziata la guerra abbiamo visto acuirsi la polarizzazione nel discorso pubblico in Italia e in Europa, alimentata soprattutto dalla retorica dello scontro di civiltà. Una situazione accresce la stigmatizzazione delle comunità ebraiche da un lato, ma anche di quelle islamiche dall’altro”, ragiona Tali. Ci sono stati infatti episodi preoccupanti tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, contro entrambe le comunità. Ma attenzione, se l’antisemitismo, come ogni discorso di disumanizzazione dell’avversario, non va sottovalutato, non va neanche strumentalizzato: “Siamo contrari a chi usa l’accusa di antisemitismo per portare avanti campagne politiche di censura  di manifestazioni che supportano la causa palestinese. Nel nostro Paese il governo appoggia in modo indiscriminato Israele, ma il governo è composto da forze politiche con un retaggio fascista e antisemita molto forte”.

Daniel, Bruno e Tali, così come gli altri, spiegano con grande chiarezza, che si può essere ebrei senza partecipare alla vita della comunità ebraica, o si può partecipare alla vita comunitaria senza sostenere il governo d’Israele.

Daniel sostiene che le comunità ebraiche in Italia siano variegate e eterogenee al loro interno, “così come lo è il nostro gruppo e la nostra partecipazione all’interno delle comunità. Le persone delle comunità ebraiche italiane fanno parte della società civile italiana e quindi rispecchiano in piccolo il dibattito pubblico del nostro Paese. Nel nostro Paese c’è stata una virata verso destra e questa cosa si è riflessa anche nelle comunità” e,.

Ebraismo, istituzioni comunitarie e stato di Israele sono tre insiemi distinti, anche se “tra la diaspora e lo Stato di Israele, è innegabile che ci sia un rapporto. Il legame è dovuto anche solo a parentele o amicizie, nonché al valore simbolico che può rappresentare per alcune persone. Quindi a volte diventa complicato criticare le politiche del governo israeliano, anche perché spesso c’è una relazione acritica tra comunità e governo di Israele”. È un disagio che si può vivere tanto nelle istituzioni comunitarie, quanto a livello di socialità, familiare e di amicizia.

“Spesso noi ebrei veniamo interpellati da persone comuni su Israele come se fossimo i responsabili di ciò che avviene lì. Allo stesso tempo, il governo di Israele pretende di parlare a nome di tutti gli ebrei. – spiega Bruno – Noi prendiamo la parola in quanto ebrei, pur non sentendoci responsabili di quello che fa il governo israeliano, ma abbiamo dei legami con Israele. Abbiamo dei legami con gli attivisti in Israele,in Cisgiordania e a Gaza”. E per il futuro? Se, finita l’occupazione, parlare di un solo stato multiconfessionale e multietnico sembra lontanissimo, intanto oggi la priorità è affermare “una condizione di giustizia, eguaglianza e di libertà per israeliani e palestinesi. Serve il riconoscimento dell’altro affinché possa esserci una coesistenza sullo stesso territorio”. Ma ogni giorno di guerra tutto questo si allontana di un altro passo.

 

https://www.youtube.com/watch?v=OJUaiTovTHA

26 Ottobre 2023Permalink

9 ottobre 2023 _ Per vedere l’effetto che fa l’obiezione di coscienza

Mi rifiuto. Io, Nir Avishai Cohen, maggiore in Mill, numero personale 701874, ufficiale AGM della Brigata di fanteria, annuncio a malincuore il rifiuto. Mi rifiuto di continuare a servire nell’IDF, un esercito di un paese non democratico.
È importante per me sottolineare, non sono un volontario, servo in una riserva rispettosa della legge. Sono consapevole delle conseguenze che la mia dichiarazione può avere e sono pronto ad accettare con tutto il cuore, anche sedervi in galera. Un ordine di coscienza mi proibisce di far parte dell’esercito.
Più di chiunque altro oggi penso a mia nonna, Leah RIP, quella sopravvissuta ad Auschwitz ma tutta la sua famiglia è stata uccisa lì.
In questo giorno in cui annuncio il mio rifiuto di servire nell’esercito di un paese non democratico, penso a lei. La sua storia privata, che fa parte della storia nazionale del popolo ebraico, ci ha insegnato l’obbligo di rifiutare.
Non c’è una sola persona nel paese d’Israele che non sarebbe disposta a tornare nella macchina del tempo in Germania del 1933, un attimo dopo che aveva cessato di essere democratica, e urlare nelle mie orecchie tutti i soldati, che non gli è permesso servire l’esercito di un paese non democratico. Questo è un dovere rifiutare. Possiamo solo immaginare cosa sarebbe successo se nel 1933 decine di migliaia di ufficiali e soldati si fossero rifiutati di continuare a servire nell’esercito tedesco.
Così, molto prima che qualcuno pensasse che gli orrori di Auschwitz potessero accadere, i soldati hanno dovuto rifiutare.
Ho prestato servizio nell’IDF per 24 anni. Regolarmente come ufficiale di combattimento nella Golani, e successivamente in servizio di riserva come comandante di compagnia, Stato Maggiore Generale e ora come ufficiale di Divisione AGM. Ho rischiato la vita, ho perso i miei buoni amici. Vengo sempre quando mi chiamavano, per tutta la fede di non avere altro paese, che è mio dovere.
Sono stato chiamato ogni anno per decine di giorni di riserva, solo nell’ultimo anno ho scontato 41 giorni del genere. Giorni in cui ho lasciato la mia casa e tutte le mie occupazioni e ho dato il mio contributo alla difesa del paese.
Non è un segreto che da qualche anno ho avuto una critica acuta alle gesta di FDI nei territori occupati, ci ho anche scritto un libro. Ma nonostante questo ho deciso di continuare a servire. Vero, non nei territori occupati ma in difesa del confine meridionale e legittimo d’Israele. Anche se con molta contemplazione alla luce di quanto sta accadendo nei territori, ho continuato a servire. Di tutte le innumerevoli volte che ho indossato una divisa mi sono ricordato di nonna Lea. Mi sono sempre ricordato che è tornata e ha detto che la nostra famiglia deve contribuire alla sicurezza di questo paese, che l’Olocausto non sarebbe avvenuto in quale paese e i suoi militari sarebbero esistiti. Ho deciso che da una parte continuerò a servire nelle riserve e dall’altra farò del mio meglio come cittadino per influenzare e cambiare le politiche governative. Finché il paese è democratico ci ho trovato senso, anche se sono stato criticato per la mia decisione da entrambe le direzioni, destra e sinistra.
Un dato di fatto è che un regime antidemocratico usa l’esercito, la polizia e le altre forze di sicurezza, per i bisogni personali e i desideri dei governanti, non per i veri bisogni della difesa del paese. È giunto il momento di guardare onestamente alla realtà, Israele non è riuscito ad essere un paese democratico, anche quello all’interno delle aree della linea verde. Le leggi vigenti sono solo l’inizio, molte leggi orribili, antidemocratiche, in procinto di essere promulgate. Molti gruppi di popolazione stanno affrontando un vero pericolo. Arabi, donne, persone LGBT saranno le prime a essere ferite all’interno della linea verde. Nei territori occupati aumenteranno le sofferenze della popolazione palestinese e continuerà a versare sangue palestinese in quantità.
La storia dimostra che un regime antidemocratico può richiedere all’esercito di commettere atrocità, certamente un regime dove i governanti sono Smotrich, Ben Gvir e la loro banda razzista e messia. Non molto tempo fa Bezalel Smutrich, che è anche ministro del Ministero della Difesa, chiamato “Erase Havara”, chiamata che potrebbe sicuramente diventare un ordine. Pertanto l’obbligo di rifiutare oggi può prevenire gli orrori del domani.
La storia insegna che quando gli orrori che l’esercito richiederà di fare saranno accompagnati da propaganda velenosa, sarà troppo tardi, i soldati “semplicemente adempiranno agli ordini”. Quindi non c’è scelta, ora è il momento.
In questo momento difficile penso a mia nonna. Penso quale sarebbe il destino della sua famiglia, se nel 1933 una massa critica di ufficiali e soldati si rifiutasse di servire.
Oggi faccio la mia modesta donazione, tutto sommato una maggiore semplice e poco importante. Una donazione sotto forma di rifiuto pubblico di servire nell’IDF.
Guardo il cielo ora e dico a mia nonna orgogliosa, piena di lacrime di tristezza, che non sono pronta ad essere una di quelle che “seguono solo gli ordini”, che ho imparato questa lezione anche dalla sua storia privata, che è la storia di tutti noi. Da oggi non faccio più parte dell’esercito del paese d’Israele, un paese non democratico.
Nella foto: io, quando ero giovane ufficiale a Golani e nonna Lea RIP.
NB: la foto è pubblicata nella mia pagina fb

19 Ottobre 2023Permalink

17 ottobre 2023 _ Armare lo sguardo_ B’Tselem

16 OTTOBRE 2023ANTICHI SAMUEL, LESSICO DELLA CONTEMPORANEITÀ  di SAMUEL ANTICHI

Raccontare il conflitto israelo-palestinese, il caso di B’Tselem.

Con l’attacco da parte di Hamas contro Israele il 7 ottobre scorso, l’Occidente rivolge nuovamente l’attenzione a un conflitto che imperversa in realtà da settantacinque anni e il cui acuirsi era già riconducibile alla ri-elezione di Benjamin Netanyahu nel novembre 2022. L’occupazione israeliana, oltre a livello territoriale, si è contraddistinta per un processo di armamento dello sguardo che prevede l’appropriazione del campo di percezione e della rappresentabilità, limitando lo spettro visivo con schermi difensivi, alzando muri e torri di controllo. Inoltre, come sottolinea l’architetto Eyal Weizman, gli insediamenti israeliani sono costruiti molto spesso su zone collinari in modo da poter adottare una separazione verticale, dall’alto verso il basso, tra loro e i villaggi palestinesi a valle, impiegando una one-way hierarchy of vision.

Analogamente, le strade sono direzionate e le finestre delle abitazioni orientate verso i villaggi palestinesi. Questo permette anche ai coloni israeliani di indirizzare lo sguardo costantemente verso il nemico in una forma di controllo e sorveglianza. Il processo di armamento dello sguardo viene incrementato a partire dal 2011 quando l’esercito di difesa israeliano (IDF) inizia a fornire videocamere ai soldati che operano nei territori occupati attraverso un’iniziativa denominata Documenting Warrior Project. In aggiunta, l’anno successivo, viene formata un’unità speciale di “Camera-combattenti” (Lochamim-Tzalmim) addestrati in campo militare e cinematografico. A partire dall’operazione “Margine di protezione”, campagna militare delle forze armate israeliane nella striscia di Gaza, nell’estate del 2014, i video-operatori seguono costantemente l’esercito di difesa producendo quelle che potremmo definire, parafrasando il pensiero di Judith Butler, compliant images, immagini che aderiscono alla prospettiva visuale dello stato colonizzatore, dove «lo sguardo rimane limitato ai parametri stabiliti di una determinata azione» (Butler 2005, p. 822).

Più recentemente, l’IDF ha incoraggiato i militari ad utilizzare anche i propri smartphone per raccogliere materiale video da pubblicare, andando ad arricchire ulteriormente i canali ufficiali dell’esercito. Oltre ai soldati muniti di videocamera e operatori embedded, troviamo anche un corpo speciale composto da sole donne denominato Tazpitaniot (osservatrici) che controllano da remoto i filmati di più di 1700 camere di sicurezza posizionate in punti strategici a Gaza e in Cisgiordania. Le strutture di video sorveglianza si estendono con l’utilizzo di droni e della fotografia aerea per la mappatura e controllo del territorio.

Dall’altra parte invece, per controbilanciare il regime scopico egemonico imposto dall’occupazione israeliana, l’organizzazione non governativa B’Tselem, – Centro di Informazione per i diritti umanitari nei territori occupati, ad esempio, ha lanciato nel 2007 Camera Distribution Project, tre anni prima delle Primavere Arabe, che hanno reso evidente il ruolo dei digital e social media nel trasmettere e restituire i conflitti politici così come denunciare la violazione dei diritti umanitari. Il progetto, che inizialmente si chiamava Shooting Back, ha l’intento di “armare” i cittadini palestinesi fornendo loro una handycam in modo da poter contrattaccare, filmando, le violenze subite e perpetrate dall’esercito israeliano. Camera Project, esponendo le ingiustizie, le violenze e gli abusi subiti dai cittadini palestinesi nel regime di occupazione, mettendo in discussione la legittimità dei comportamenti dei coloni israeliani a livello internazionale, decostruisce lo stesso apparato di potere che queste azioni regolarizza.

Ridotti a corpi da osservare, controllare e ispezionare, soggetti ad un regime scopico di occupazione, la pratica documentaria come forma di attivismo rende visibile l’invisibilità a cui è confinata la popolazione palestinese. Le videocamere nelle mani dei volontari tentano di rovesciare la dominazione visuale imposta dai colonizzatori rivendicando il proprio right to look, «un’autonomia basata su uno dei suoi principi primi: il diritto all’esistenza» (Mirzoeff 2011, p. 477). Questo aspetto richiama inoltre il carattere di precarietà delle vite perse in guerra espresso da Judith Butler che sottolinea come, all’interno delle dinamiche di potere, dominio e prevaricazione esercitate da un regime oppressivo, alcune vite non vengano considerate da compiangere, in quanto «non si possono percepire vite specifiche come ferite o perse se prima non sono percepite come viventi» (Butler 2009, p. 50). Dal momento della sua fondazione, B’Tselem ha svolto un lavoro di documentazione e di ricerca pubblicando statistiche, informazioni così come testimonianze e filmati sulle violazioni dei diritti umani perpetrate da Israele nei confronti della popolazione palestinese. L’archivio video di B’Tselem contiene più di 5000 ore di materiale video, di cui una buona parte è accessibile online.

L’amateurized media universe che ha preso vita a partire dai filmati realizzati dai volontari di B’Tselem per certi versi si discosta da quello di altre forme di video-attivismo, per esempio la narrazione della guerra civile siriana, caratterizzato come sottolinea Papadopoulos da ipermobilità, opacità, non narratività e raw audio. L’intenzione più che fornire allo spettatore un’esperienza soggettiva e incarnata, immergerlo all’interno della natura del conflitto, è quella di carattere sia testimoniale che informativo. Piuttosto che focalizzare l’attenzione esclusivamente sulla rappresentazione grafica della violenza perpetrata dall’esercito israeliano attraverso immagini sensazionalistiche, l’obiettivo è quello di mostrare le pratiche di controllo dei coloni esponendo azioni ormai iscrivibili alla routine quotidiana. Molti dei video realizzati dai volontari cercano di mostrare il meccanismo strutturale dell’occupazione che consiste prima di tutto nell’invasione e nell’appropriazione dello spazio privato, perquisizioni nelle case durante la notte, abbattimento di abitazioni, espropriazione di terreni, blocco dell’accesso alle cisterne dell’acqua, azioni legali e permesse che diventano parte di un vero e proprio piano regolatore.

I volontari di B’Tselem nello specifico, una volta che iniziano a collaborare al progetto, prendono parte ad una serie di workshop in cui i field researchers e i membri dell’organizzazione insegnano loro alcune tecniche di ripresa da utilizzare in determinati contesti. Oltre a istruzioni di base, come mi è stato detto nelle interviste che ho condotto nel mio periodo di ricerca a Gerusalemme presso l’organizzazione, un punto su cui ci si sofferma nel workshop è l’importanza di tenere la videocamera stabile, perché troppi movimenti rischiano di rendere il tutto troppo confuso e di infastidire e confondere lo spettatore.

Per stabilizzare l’inquadratura, viene insegnata ai volontari la cosiddetta posizione del T Rex in cui i gomiti sono attaccati e la videocamera posizionata all’altezza del petto. Per evitare di doversi accostare troppo all’azione e mettere magari a rischio la propria vita, uno strumento per avvicinare lo sguardo della camera impiegato spesso nei video di B’Tselem, che non viene invece pressoché mai usato nei filmati amatoriali della guerra civile siriana, è lo zoom. Il consiglio rimane comunque quello di fare uno zoom ad allargare il campo e quindi inserire il contesto piuttosto che uno zoom in dove l’inquadratura rischia di diventare meno stabile. Con l’intento di raccogliere materiale per mostrare il meccanismo strutturale e sistemico dell’occupazione e della violazione dei diritti umanitari, B’Tselem pone l’attenzione su quella che Žižek ha definito objective violence, una violenza molto spesso invisibile perché insita all’interno di determinate dinamiche di potere coloniale.

Contrariamente, la violenza soggettiva mostra «una perturbazione dello stato normale e pacifico delle cose», per questo motivo è visibile ed esercitata da un soggetto chiaramente identificabile (una persona armata) contro una vittima chiaramente identificabile (persona ferita dal colpo dell’arma) (Žižek 2008, p. 2). Se da una parte, la violenza soggettiva richiama particolare attenzione perché squarcia il velo di normalità, un “non-violent zero level”, la violenza oggettiva mostra «la violenza inerente a questo normale stato delle cose», le dinamiche di violenza e soprusi che reggono sistematicamente i meccanismi di un regime oppressivo (ibidem).

Piuttosto che collezionare esclusivamente immagini di violenza grafica che potrebbero avere un apporto prevalentemente sensazionalistico, andando a costituire singoli frammenti di violenza soggettiva, B’Tselem nel suo raccogliere materiale in un archivio digitale dove vengono mostrati i meccanismi che regolano le dinamiche di occupazione, e come queste perdurino nel tempo, cerca di rendere visibile la violenza oggettiva, provando a raggiungere un impatto maggiore. Usando la macchina da presa come arma di comunicazione di massa, tentano di rovesciare la dominazione visuale imposta dai colonizzatori mettendo in mostra le dinamiche di potere che regolarizzano la violazione perpetua dei diritti umanitari nei territori occupati.

Riferimenti bibliografici

  1. Berdugo, The Weaponized Camera in the Middle East Videography, Aesthetics, and Politics in Israel and Palestine, Bloomsbury, London, 2021.
  2. Butler, Photography, War, Outrage, in “PMLA”, v. 120, n. 3, 2005.

Id., Frames of War: When Is Life Grievable?, Verso, London, 2009.

  1. Mirzoeff, The Right to Look, in “Critical Inquiry”, v. 37, n. 3, 2011.
  2. Papadopoulos, Citizen camera-witnessing: Embodied political dissent in the age of mediated mass self-communication, in “New media & society”, v. 16, v. 5, 2013.
  3. Weizman, Hollow Land: Israel’s Architecture of Occupation, Verso, London, 2007.
  4. Žižek, Violence: Six sideways reflections, Picador, New York, 2008.

NOTA

B’Tselem (ebraico: בצלם, “a immagine di”, come in Genesi 1:27) è una organizzazione israeliana non governativa (ONG). Il B’Tselem si riferisce a sé stesso come “Il Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei territori occupati”. Il gruppo è stato fondato il 3 febbraio 1989 da un gruppo di personalità pubbliche israeliane, tra cui avvocati, accademici, giornalisti e membri della Knesset. Il suo direttore esecutivo è Jessica Montel.

Gli obbiettivi dichiarati di B’Tselem sono “documentare ed educare il pubblico ed i politici israeliani sulle violazioni dei diritti umani compiuti dallo stato di Israele nei territori occupati, impegnarsi nella lotta contro il fenomeno della negazione tra i cittadini israeliani e contribuire a creare una cultura dei diritti umani in Israele”.

Nel dicembre 1989 l’organizzazione ha ricevuto il Carter-Menil Human Rights Prize. B’Tselem è finanziata dal ministero degli esteri del Regno Unito e della Norvegia, come pure le fondazioni con sede in Europa e Nord America.

 

17 Ottobre 2023Permalink

15 ottobre 2023 – Spinoza e molto altro

Vito Mancuso: Ecco che cosa significa nascere in una “Striscia”

Il numero uno di Hamas (che al momento risiede in Qatar da dove ha diffuso un video che lo ritrae mentre prega il suo Dio ringraziandolo per l’avvenuto massacro di israeliani da parte dei suoi) si chiama Ismail Haniyeh ed è nato nel 1962, il mio stesso anno di nascita.

Il numero due di Hamas (che al momento è nella Striscia di Gaza e che per gli israeliani è un uomo già morto) si chiama Yahya Sinwar ed è nato anch’egli nel 1962. Avrei potuto essere loro compagno di classe, seduto nello stesso banco, giocare insieme al pallone. Solo sulla carta, ovviamente, perché in realtà, mentre io sono nato in un operoso paese della Brianza parte di uno Stato nazionale relativamente prospero, essi sono nati entrambi in un campo profughi della Striscia di Gaza privi di uno stato che rappresenti la loro nazione (non a caso ho dovuto scrivere “Striscia”, non Stato). Cosa significa nascere in una Striscia? Cosa significa nascere e crescere in un campo profughi di persone cacciate dalle loro case ed espulse dalla loro terra, e senza nessuna credibile prospettiva di poter superare quella condizione avendo finalmente uno Stato nazionale e riavendo una casa? Significa crescere a pane e odio. A volte può persino mancare il pane, l’odio però mai; anzi, di sicuro esso viene accresciuto dalla mancanza del pane.

Sarà per il medesimo anno di nascita, ma io non posso fare a meno di chiedermi che cosa avrebbe rappresentato per me crescere in quelle condizioni. Che cosa sarei diventato io, venuto al mondo nello stesso anno del numero 1 e del numero 2 di Hamas, se fossi nato lì, da genitori cacciati dalle loro case e dalla loro terra, e vedendo che le speranze di ristabilire un minimo di decenza delle mie condizioni vitali invece di crescere diminuiscono giorno per giorno fino a risultare inesistenti?

Non pensi il lettore che questo mio discorso sia teso a giustificare o anche solo a giudicare con minore severità il massacro del 7 ottobre perpetrato dai militanti, o meglio terroristi, di Hamas. No, nessuna giustificazione di nessun tipo. Sono convinto però che non si debba deporre l’intelligenza che ricerca le cause perché solo così si va alla vera radice dei problemi. Ha scritto uno dei più grandi pensatori ebrei di tutti i tempi, Baruch Spinoza, che citerò molto in questo articolo: «Mi sono impegnato a fondo non a deridere, né a compiangere, né tanto meno a detestare le azioni degli uomini, ma a comprenderle» (Trattato politico, I, 4). Comprendere: di questo si tratta, e quindi la domanda è: il massacro di Hamas è riconducibile alle condizioni in cui i palestinesi versano dal 1948 a oggi, diventate via via sempre più intollerabili? “Il più grande carcere a cielo aperto”, come è stata giustamente definita la Striscia di Gaza, e il continuo furto di terreno da parte dei coloni israeliani nella Cisgiordania, possono rappresentare la spiegazione sufficiente dell’odio assassino di Hamas? A tale questione io rispondo di no.

Non dico che la situazione sociale e politica del popolo palestinese non sia in gioco nella genesi di quell’odio; dico che essa non basta a spiegare la ripetuta decapitazione di bambini ebrei, assunta quale simbolo più tragico dell’enorme massacro. Se le inique condizioni di Gaza fossero la ragione sufficiente, dovremmo logicamente concludere che gli oltre due milioni di palestinesi della Striscia sarebbero disposti a compiere il medesimo gesto: tutti pronti a sgozzare bambine e bambini indifesi. Naturalmente io non posso sapere con sicurezza che non sia davvero così, ma la mia ragione si rifiuta di procedere con queste generalizzazioni grossolane perché il suo compito è strutturalmente un altro: la distinzione. Distinguere è il lavoro per eccellenza del ragionamento debitamente condotto, e come dall’aggressività e dal disprezzo della proprietà altrui da parte dei coloni israeliani non è lecito inferire che tutti gli israeliani siano pronti a calpestare il diritto internazionale, così allo stesso modo dal massacro di Hamas non è lecito inferire che tutti gli abitanti della Striscia di Gaza siano pronti a compiere i crimini inqualificabili di qualche giorno fa.

Ma se non bastano le condizioni sociopolitiche a comprendere il massacro di Hamas, quali altri fattori occorre convocare? La risposta non è difficile: l’odio. Non l’odio come vampata di ira più incandescente del solito che in qualche momento può incendiare l’animo, no; ben più radicalmente, l’odio quale persistente e sistematica ideologia che, a freddo e totalmente in possesso delle sue facoltà, non pensa ad altro che al nemico e alla sua eliminazione. L’odio quale carburante della vita di un essere umano. Perché questo è il punto: che si può fare dell’odio la propria fonte di energia, la propria sorgente vitale, la ragione del proprio esistere. L’odio può conferire una sorta di macabra vitalità e lucidità alla mente.

Ha affermato Sami Modiano, sopravvissuto ad Auschwitz: «Non è vero che l’odio è cieco, ha la vista molto acuta, quella di un cecchino, e se si addormenta il suo sonno non è mai eterno, ritorna». E che l’odio abbia la vista molto acuta lo dimostra l’accuratezza con cui Hamas ha preparato e condotto il massacro.

Torniamo ai suoi capi. Si può nascere nello stesso anno, nella stessa città o nello stesso campo profughi, persino nella stessa famiglia, e avere vite diverse, addirittura opposte. Per fortuna o sfortuna che sia, noi siamo esseri indeterminati. Per fortuna o sfortuna che sia, la libertà esiste davvero. Ha scritto un altro sopravvissuto ad Auschwitz, lo psicologo ebreo viennese Victor Frankl, riflettendo sulle condizioni nel campo di sterminio: «Tutto ciò che accade all’anima dell’uomo è il frutto di una decisione interna. In linea di principio ogni uomo, anche se condizionato da gravissime circostanze esterne, può in qualche modo decidere cosa sarà di sé». Si può leggere il Corano e trarne insegnamenti di odio e di violenza; lo si può leggere e trarne insegnamenti di amore e di pace. Lo stesso vale per la Bibbia, dove pure vi sono passi di odio infuocato e altri di amore luminoso. Perché alcuni leggono il loro libro sacro nel primo modo e altri nel secondo? Lo stesso vale per ogni altra lettura, a cominciare da quella più importante di tutte, la nostra vita: perché alcuni la interpretano come odio e altri, a parità di condizioni, come volontà di pace?

Dopo aver osservato con il più rigoroso distacco le azioni umane nella loro genesi e nel loro sviluppo, Spinoza giunge alla conclusione che «l’odio non può mai essere buono» (Etica IV, 45). Sono del tutto d’accordo con lui. Mai vuol dire “mai”, anche quando si tratta di rispondere all’odio ricevuto. Soprattutto quando ad agire è lo Stato, come Spinoza specifica: «Tutto ciò che appetiamo perché siamo affetti dall’odio è turpe e ingiusto nello Stato». La caratteristica peculiare di un vero politico è la capacità di affrontare il nemico con determinazione ma senza odio, perché, come ha scritto sempre Spinoza, «ognuno che è guidato dalla ragione desidera anche per gli altri il bene che appetisce per sé» (Etica, IV, 73). Desideri la terra? Dai la terra anche al tuo nemico. Desideri l’acqua? Dai l’acqua al tuo nemico. E così per ogni altro bene vitale. Dietro queste parole del più grande filosofo ebreo, io rivedo il nobile volto di Yitzhak Rabin.

 

Vito Mancuso, La Stampa 15 ottobre 2023

https://www.alzogliocchiversoilcielo.com/2023/10/vito-mancuso-ecco-che-cosa-significa.html

 

15 Ottobre 2023Permalink

15 ottobre 2023 – La conoscenza fa paura, ovunque

14 OTTOBRE 2023              Sospeso il premio per la palestinese  Adania Shibli alla Fiera del Libro di Francoforte.
                                             Scrittori e case editrici arabe lasciano l’evento di Shady Hamadi |

La Fiera del Libro di Francoforte annuncia la cancellazione della cerimonia di premiazione di Adenia Shibli, autrice palestinese del libro “Un dettaglio minore”. La motivazione, diffusa in una nota da Litprom, agenzia letteraria che organizza il premio, è “la guerra in Israele”. In compenso, “spazio addizionale sarà concesso alle voci israeliane”, ha fatto sapere, quasi in contemporanea, Juergen Boos, direttore della fiera tedesca.

Il libro della Shibli si trascina dietro polemiche fin da questa estate, cioè da quando Ulrich Noller, giornalista e membro della giuria del premio, si era dimesso contro la decisione di premiare la scrittrice palestinese. A riaccendere la discussione c’è stato poi un articolo di giornale, uscito questa settimana, in cui il libro, che racconta la vera storia di una beduina stuprata e uccisa dai soldati israeliani nel 1949, è stato accusato di “descrivere Israele come una macchina assassina”. Il volume, tradotto e pubblicato in tedesco nel 2022, si è aggiudicato il prestigioso premio LiBeraturpreis, dato ad autori provenienti dall’Asia, Africa e Mondo arabo. Annualmente, il riconoscimento viene consegnato durante una cerimonia solenne alla Fiera del Libro di Francoforte che è uno dei più grandi e autorevoli ritrovi dell’editoria mondiale.

Le dichiarazioni di Boos e la cancellazione della cerimonia di premiazione della Shibli hanno sollevato la protesta delle case editrici arabe e di molti autori. Dall’Autorità del libro di Sharja, fino all’Associazione degli editori arabi degli Emirati, passando per molte case editrici indipendenti arabe e scrittori, è arrivato l’annuncio del ritiro della loro partecipazione dall’evento a Francoforte. “Sosteniamo il ruolo della cultura e dei libri – scrive in un comunicato l’associazione degli editori arabi degli Emirati –, per incoraggiare il dialogo e la comprensione fra le persone”. E concludono: “Crediamo che questo ruolo sia importante ora più che mai”.

Said Khatibi, celebre scrittore algerino, ha anche lui annunciato la cancellazione della sua partecipazione perché, scrive su Facebook, “speravamo che la letteratura giocasse un ruolo importante per costruire un dialogo fra le parti”. Ma, continua Khatibi che aveva in programma due incontri, “la fiera ha preso una posizione politica di una sola parte contro l’altra”, i palestinesi. Nei giorni passati, il direttore Boos aveva dichiarato che “la fiera condannava fermamente il barbaro terrore di Hamas” e che “il loro pensiero era per le vittime, i loro parenti e le persone che stanno soffrendo per questa guerra”, non menzionando le vittime a palestinesi. A tentare di spegnere le polemiche è la Litprom che, dopo il polverone, ha comunicato di voler riorganizzare la cerimonia. Ma soltanto dopo la fine della fiera.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/10/14/sospeso-il-premio-per-la-palestinese-adania-shibli-alla-fiera-del-libro-di-francoforte-scrittori-e-case-editrici-arabe-lasciano-levento/7323358/

 

Un precedente italiano documentato il 4 marzo 2022
https://diariealtro.it/?p=7858

15 Ottobre 2023Permalink

15 ottobre 2023 _ Allarme in Europa_ Antisemitismo

Pagine Ebraiche 24 / L’Unione informa 15 ottobre 2023 – 30 Tishrì 5784

Allarme in Europa. Dopo il massacro l’odio

Germania, Francia e Gran Bretagna sono tra i paesi dove le aggressioni antisemite sono molto aumentate dopo il 7 ottobre data del massacro di oltre 1.300 civili israeliani per mano dei terroristi di Hamas. Violenze fisiche, insulti e minacce ad adulti e bambini, sinagoghe sfregiate con scritte anti-israeliane, manifestazioni inneggianti le azioni terroristiche solo alcuni degli atti registrati. Ci sarà “tolleranza zero contro l’antisemitismo”, ha promesso il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Sostenuto anche dai governi francese e britannico, Scholz ha vietato tutte le attività inneggianti i crimini di Hamas in Israele, compreso l’uso dei loro simboli, in Germania. “Chiunque lo farà sarà perseguito”, ha dichiarato. Negli ultimi giorni in Francia 24 persone sono state arrestate in seguito a una serie di incidenti antisemiti: il ministero dell’Interno ha vietato le manifestazioni pro-palestinesi nel paese, ritenendole una minaccia all’ordine pubblico. Dal 7 ottobre in Regno Unito sono più che quadruplicati gli episodi di antisemitismo rispetto all’anno precedente. A registrarlo, un report del Community Security Trust, ente che si occupa di sicurezza delle comunità ebraiche. Il governo di Londra, sulla base di questa indagine, si è impegnato a stanziare nuovi fondi per proteggere scuole e sinagoghe.

In Italia la minaccia antisemita è soprattutto circoscritta alla rete e non c’è stata una crescita del fenomeno, spiegano i ricercatori del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Cdec) di Milano. La situazione continua ad essere però monitorata attentamente e il governo ha garantito massima tutela alle istituzioni ebraiche. Venerdì Hamas ha istigato i musulmani a manifestare a favore dei palestinesi nel giorno di preghiera: sulla base di questo incitamento, le tre scuole ebraiche di Amsterdam hanno deciso di rimanere chiuse. Anche nel nord di Londra alcune scuole ebraiche non hanno aperto i cancelli venerdì. Sabato alcune centinaia di manifestanti ha invaso Trafalgar Square sventolando vessilli anti-israeliani. In Spagna, la comunità ebraica di Barcellona ha cancellato settimane di eventi a causa delle preoccupazioni per la sicurezza.

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15 Ottobre 2023Permalink

11 ottobre 2023 – Una voce grande: Gideon Levy

Gideon Levy, firma prestigiosa di Haaretz, a suo tempo arrivato in Israele facendo l’aliyah:
Gideon Levy: “Israele punisce i palestinesi dal 1948, senza fermarsi un attimo”
Dietro tutto quello che è successo, l’arroganza israeliana. Pensavamo che ci fosse permesso fare qualsiasi cosa, che non avremmo mai pagato un prezzo o saremmo stati puniti per questo.
Continuiamo senza confusione. Arrestiamo, uccidiamo, maltrattiamo, derubiamo, proteggiamo i coloni massacrati, visitiamo la Tomba di Giuseppe, la Tomba di Otniel e l’Altare di Yeshua, tutto nei territori palestinesi, e ovviamente visitiamo il Monte del Tempio – più di 5.000 ebrei sul trono.
Spariamo a persone innocenti, caviamo loro gli occhi e spacchiamo loro la faccia, li deportiamo, confischiamo le loro terre, li saccheggiamo, li rapiamo dai loro letti, effettuiamo la pulizia etnica, continuiamo anche l’irragionevole blocco di Gaza, e tutto andrà bene.
Costruiamo un’enorme barriera attorno alla Striscia, la sua struttura sotterranea costa tre miliardi di shekel e siamo al sicuro. Ci affidiamo ai geni dell’Unità 8200 e agli agenti dello Shin Bet che sanno tutto e ci avviseranno al momento opportuno.
Stiamo spostando metà dell’esercito dall’enclave di Gaza all’enclave di Huwara solo per garantire le celebrazioni del trono dei coloni, e tutto andrà bene, sia a Huwara che a Erez.
Poi si scopre che un primitivo, antico bulldozer può sfondare anche gli ostacoli più complessi e costosi del mondo con relativa facilità, quando c’è un grande incentivo a farlo.
Guarda, questo ostacolo arrogante può essere superato da biciclette e motociclette, nonostante tutti i miliardi spesi per questo, e nonostante tutti i famosi esperti e imprenditori che hanno guadagnato un sacco di soldi.
Pensavamo di poter continuare il controllo dittatoriale di Gaza, gettando qua e là briciole di favore sotto forma di qualche migliaio di permessi di lavoro in Israele – questa è una goccia nell’oceano, anch’essa sempre condizionata ad un comportamento corretto – e in al ritorno, mantenetelo come la loro prigione.
Facciamo la pace con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti – e i nostri cuori dimenticano i palestinesi, così che possano essere spazzati via, come molti israeliani avrebbero voluto.
Continuiamo a detenere migliaia di prigionieri palestinesi, compresi quelli detenuti senza processo, la maggior parte dei quali prigionieri politici, e non accettiamo di discutere il loro rilascio anche dopo decenni di prigione.
Diciamo loro che solo con la forza i loro prigionieri possono ottenere la libertà.
Pensavamo che avremmo continuato con arroganza a respingere ogni tentativo di soluzione politica, semplicemente perché non ci conveniva impegnarci in essa, e sicuramente tutto sarebbe continuato così per sempre.
E ancora una volta si è rivelato non essere così. Diverse centinaia di militanti palestinesi hanno sfondato la recinzione e hanno invaso Israele in un modo che nessun israeliano avrebbe potuto immaginare.
Alcune centinaia di combattenti palestinesi hanno dimostrato che è impossibile imprigionare due milioni di persone per sempre, senza pagare un prezzo elevato. Proprio come ieri il vecchio bulldozer palestinese fumante ha demolito il muro, il più avanzato di tutti i muri e le recinzioni, ha anche strappato di dosso il mantello dell’arroganza e dell’indifferenza israeliana.
Ha demolito anche l’idea che sia sufficiente attaccare Gaza di tanto in tanto con droni suicidi e vendere questi droni a mezzo mondo per mantenere la sicurezza.
Ieri Israele ha visto immagini che non aveva mai visto in vita sua: veicoli militari palestinesi che pattugliavano le sue città e ciclisti provenienti da Gaza che entravano dai suoi cancelli.
Queste immagini dovrebbero strappare il velo dell’arroganza. I palestinesi di Gaza hanno deciso che sono disposti a pagare qualsiasi cosa per un assaggio di libertà. C’è qualche speranza per questo? NO. Israele imparerà la lezione? NO.
Ieri già parlavano di spazzare via interi quartieri di Gaza, di occupare la Striscia di Gaza e di punire Gaza “come non è mai stata punita prima”. Ma Israele punisce Gaza dal 1948, senza fermarsi un attimo.
75 anni di abusi e il peggio l’attende adesso. Le minacce di “appiattire Gaza” dimostrano solo una cosa: che non abbiamo imparato nulla. L’arroganza è destinata a durare, anche se Israele ha ancora una volta pagato un prezzo elevato.
Benjamin Netanyahu ha una responsabilità molto pesante per quanto accaduto e deve pagarne il prezzo, ma la questione non è iniziata con lui e non finirà dopo la sua partenza.
Ora dobbiamo piangere amaramente per le vittime israeliane. Ma dobbiamo piangere anche per Gaza. Gaza, la cui popolazione è composta principalmente da rifugiati creati da Israele; Gaza, che non ha conosciuto un solo giorno di pace.
11 Ottobre 2023Permalink