24 luglio 2024_ Ricopio un articolo che leggo oltre l’attualità

Copio manualmente da La Stampa di oggi  (pag. 2)  l’articolo che segue  e annoto che Andrea Malaguti è il direttore de la Stampa.
Segnalo che le pagine 2 e 3 del quotidiano sono integralmente dedicate al caso e ai risvolti politici che lo riguardano sotto la voce  “La Torino nera” .
A pag. 3 un articolo di  Francesco Rigatelli,  che ha scelto  la forma di intervista allo storico Giordano Bruno Guerri,  si allarga ad alcune considerazioni dell’intervistato  su un eletto italiano al Parlamento Europeo e al ministro – voce de la Lega –  che affianca il sullodato.

Andrea Malaguti. Se questa è la seconda carica dello Stato

Confesso che Ignazio La Russa mi mette a disagio. Un limite mio. È un maschio del Novecento che non riesce a uscire dalla grottesca armatura di pece in cui è rimasto imprigionato da bambino. Gli piace fare il bullo. Ha cristallizzato il senso di sé ai milanesi anni Settanta di piazza San Babila. Se non fosse il presidente del Senato derubricherei la cosa a “problema  personale”.

Invece La Russa è la seconda carica dello Stato. Regala la sua solidarietà  pelosa al nostro Andrea Joly per le botte ricevute fingendo sdegno,  liquida La Stampa col solito sarcasmo da capocomico e aggiunge: «Non credo che passasse di lì per caso , trovo   che  sarebbe stato meglio che avesse dichiarato di essere un giornalista».
Mi sfugge, presidente: per farsi menare di più o di meno?
C’erano cento fascisti in mezzo alla strada a mezzanotte che cantavano a squarciagola canzoncine mussoliniane riempiendo l’aria di fumogeni. Cercavano privacy?
Al numero due dello Stato non la si fa, lui lo ha capito che Joly voleva fare il furbetto e che i picchiatori di Casa Pound gli hanno dato una memorabile lezione. Che pena. Come avrebbe detto il mio professore di filosofia del liceo: siamo al di sotto del limite morale inferiore.

Se questa è la seconda carica dello Stato – La Stampa

 

24 Luglio 2024Permalink

23 luglio 2024_ Nati in Italia senza nome per legge incentrano due parlamentari europei

Gentili onorevoli,
scrivo ad entrambi congiuntamente perchè il problema che vi pongo è il medesimo quindi medesima la richiesta  se  compatibile con la vostra funzione di Parlamentari Europei e se questa funzione comprende anche una attenzione  ai diritti umani fondamentali , quali compaiono nelle convenzioni dell’ONU che, in quanto stato italiano , la Costituzione ci impegna a rispettare (art. 10)

Quello che vi segnalo è un  significativo caso  di disprezzo  ‘legale’ del principio del superiore interesse del minore presente nella normativa  internazionale e italiana.
Schematizzo quello che so e ho capito, disponibile a scriverne di più se lo riterrete utile.

–        1991 legge 176: L’Italia ratifica la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (parola che oggi si preferisce opportunamente declinare come  infanzia e adolescenza;

–        1998 legge 40  (cd Turco Napolitano) “Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”.
E’ legge che si applica (se non è stata del tutto cancellata)  “ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea e agli apolidi” e, mentre stabilisce  che “ i documenti inerenti al soggiorno di cui all’articolo 5, comma 8, devono essere esibiti agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati”,  indica anche le eccezioni in cui ciò non debba avvenire e precisamente:
“ per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo e per quelli inerenti agli atti di stato civile o all’accesso a pubblici servizi” ;

–        2009 legge 94, approvata con voto di fiducia nel tempo storico del quarto governo Berlusconi.
Si  tratta di un  coacervo di norme disparate che sposta significativamente il titolo del 1998 “l’immigrazione e norme sulla  condizione dello straniero”  alle  “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, minacciata evidentemente da chi nasce in Italia se figlio di sans papier.
L’operazione  fa capo all’art 1 comma 22 lettera G della legge 94 , dove  – con un’abile mossa di discriminazione indiretta – gli innominati nati da sans papier  vengono  trattati alla stregua di “licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati”.
I genitori che  chiedano di  registrarne la nascita devono quindi esibire il permesso di soggiorno  (e comunque un documento inerente la regolarità del loro soggiorno.

–        Non dimentichiamo che si tratta di  persone che non conoscono la nostra lingua né la complicazione delle nostre leggi e forse  vivono da lavoratori in nero in stato di schiavitù. La cronaca ce ne ha dato  un’immagine nel martirio di Satnam Singh e di sua moglie Sony per lasciarci  intravedere nel livello di abiezione  imposta , quello che può essere il livello e il risultato della paura: i genitori possono rinunciare a registrare l’atto di nascita di un figlio , facendosi esecutori   della subdola  condanna di stampo razzista che il legislatore italiano  fa pendere su loro dal 2009,  come un nuova spada di Damocle.

Contando su di voi, sull’on. Bonaccini di cui sono stata elettrice  e facendo mia una espressione della on. Picierno  “Parlamento luogo di speranza e ascolto”, voglio essere certa che il Parlamento Europeo saprà  trovare  una parola di  speranza anche per i piccoli reietti per legge di cui vi ho scritto . Per un superamento di questa norma nel Parlamento italiano  non c’è  su  questo punto indizio che possa far  ben sperare.
Cordialmente

Augusta De Piero
Italia -Udine  Via Caccia 33
tel 0432 204274
cell 3383215327
depieroaugusta@gmail.com

23 Luglio 2024Permalink

12 luglio 2024_ Mentre si chiacchiera della denominazione a tempo di record di un aeroporto il mio blog ripropone un nome occultato ma indimenticabile

Comincio con il link di  una vecchia pagina del mio blok

15 marzo 2023 – Omicidio Attanasio, l’appello della moglie: “No alla pena di morte per gli imputati” (diariealtro.it)

Due  giorni  fa  si discuteva del nome da dare a Malpensa.
Naturalmente ha  vinto quello che riesce ad andare oltre il senso del ridicolo

Qualcuno aveva fatto i nomi dell’ambasciatore Atanasio e della scienziata Margherita Hack.
Meglio che la scelta sia finita male e precipitosamente .
Discutere di due persone straordinarie in contrapposizione  a colui cui poi l’aeroporto è stato dedicato sarebbe stato a deprimente e irritante  assieme.
Considerato che l’ambasciatore Atanasio è memo noto di Margherita Hack ho deciso di arricchire la mia memoria con un articolo nel mio blog dove la memoria è affidata alla moglie
Zakia Seddiki.

 

Luca Attanasio, tre anni dalla morte. La moglie: “Il mio impegno è dare corpo alle parole'”

Tajani ha deposto una corona di fiori alla Farnesina. Il giovane ambasciatore italiano è stato ucciso 3 anni fa insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e al loro autista Mustapha Milambo in un agguato nella Repubblica Democratica del Congo

 28/02/2024

A tre anni dalla morte dell’Ambasciatore il suo ricordo rimane sempre più vivo. Il vice premier e ministro degli Esteri Antonio Tajani ha deposto una corona di fiori in memoria dell’ambasciatore Luca Attanasio e osservato un minuto di silenzio. La commemorazione si è svolta presso il ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Un momento importante anche per sottolineare il valore della memoria come forza propulsiva  del lavoro dei diplomatici.

Luca Attanasio è stato ucciso il 22 febbraio di tre anni fa insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e al loro autista Mustapha Milambo in un agguato nella provincia di Goma, nella Repubblica Democratica del Congo.

La toccante cerimonia si è svolta alla presenza della vedova Zakia Seddiki Attanasio, presso la Scalea Attanasio, dove c’è la targa che il ministero ha dedicato al diplomatico. Tra i presenti anche il padre dell’ambasciatore.
Cure a distanza in Marocco nel nome di Luca Attanasio

In occasione dell’anniversario è stato anche presentato il progetto ‘Mama Sofia accorcia le distanze nella  cura’. L’iniziativa pilota, di cui è presidente  Zakia Seddiki, è stata avviata in Marocco e è stata  realizzata in collaborazione con Dedalus e Ospedale Gaslini.

“Mama Sofia accorcia le distanze nella cura” ha l’obiettivo di ridurre le distanze per curare persone fragili e distanti dalle grandi città. Tre gli scopi principali: permettere a chi vive lontano in zone rurali e desertiche di avere un monitoraggio di dati clinici da fornire ai centri sanitari del paese; uno scopo formativo per il personale che con la telemedicina può interagire con centri di eccellenza medica italiana e uno scopo di prevenzione delle malattie utilizzando strumenti digitali.

“Il mio impegno è di ‘dare corpo alle parole’, in casa con le mie bimbe e fuori casa con la Fondazione Mama Sofia”: Così, a tre anni dalla morte di suo marito, l’ambasciatore Luca Attanasio, la moglie, la signora Zakia Seddiki Attanasio, ha spiegato come mantenga viva, concreta e fruttuosa la presenza del diplomatico nella vita quotidiana.

Poi la moglie, durante l’evento che ha ricordato la figura straordinaria del marito, “un uomo di buona volontà, un diplomatico straordinario, un padre generoso, un compagno indimenticabile”. “È stata per me fonte di conforto e di speranza vedere il ministero degli Esteri e la rete diplomatica nel mondo fermarsi lo scorso 22 febbraio per ricordare la loro persona e il loro sacrificio. E lo è sicuramente questo momento di commemorazione odierna, a tre anni dalla loro tragica scomparsa. Quel giorno ho perso mio marito, il padre di tre bellissime bambine. L’Italia ha perso due figli, due servitori dello Stato. Con Luca abbiamo perso anche Vittorio Iacovacci che, come dice il generale Francesco Luigi Gargaro, ‘è un esempio di fedeltà, coerenza, determinazione e coraggio ed è portatore di valori straordinari”.

“Luca diceva sempre: “ho una grande responsabilità, grande come il mio Paese. Non è una missione facile, ma è importante per tanti nostri concittadini e per la nostra bandiera”.

Luca Attanasio, tre anni dalla morte. La moglie: “Il mio impegno è dare corpo alle parole'” (rainews.it)

 

 

13 Luglio 2024Permalink

7 luglio 2024 _ Pro memoria storica_ Discorso Papa a Trieste

Non è stato facilissimo trovare il discorso del Papa  di apertura all’ultima giornata della settimana sociale dei cattolici che ha avuto luogo a Trieste.
Il testo è decisamente lungo . comunque questo blog è la mia memoria storica  che ha le sue esigenze.

Domenica, 07.07.2024 Pubblicazione: Immediata Sommario: N. 0556 ♢ Visita Pastorale del Santo Padre Francesco a Trieste in occasione della 50ª Settimana Sociale dei Cattolici in Italia – Incontro con i Congressisti Questa mattina, lasciata Casa Santa Marta, il Santo Padre Francesco si è trasferito all’eliporto del Vaticano da dove, alle ore 6.30, è partito per recarsi in Visita Pastorale a Trieste in occasione della 50ª Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, in corso dal 3 al 7 luglio sul tema “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”. Al Suo arrivo, alle ore 7.54, dopo l’atterraggio al Centro Congressi “Generali Convention Center”, il Papa è stato accolto dall’Em.mo Card. Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo Metropolita di Bologna, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, da S.E. Mons. Luigi Renna, Arcivescovo di Catania, Presidente del Comitato Organizzatore delle Settimane Sociali, da S.E. Mons. Enrico Trevisi, Vescovo di Trieste, dall’On. Massimiliano Fedriga, Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, da S.E. il Signor Pietro Signoriello, Prefetto di Trieste, dal Signor Roberto Dipiazza, Sindaco di Trieste, e dal Dottor Philippe Donnet, Amministratore Delegato di “Generali”. Quindi il Papa si è trasferito all’interno del Centro Congressi, dove ha incontrato i circa 1.200 Congressisti a conclusione dei lavori della 50ª Settimana Sociale dei Cattolici in Italia. Dopo l’indirizzo di saluto dell’Em.mo Card. Matteo Maria Zuppi e l’introduzione di S.E. Mons. Luigi Renna, il Santo Padre ha pronunciato il Suo discorso. Al termine del discorso, mentre i partecipanti alla Settimana Sociale dei Cattolici in Italia si sono trasferiti a Piazza Unità d’Italia per la celebrazione della Santa Messa, Papa Francesco ha incontrato brevemente alcuni Rappresentanti Ecumenici, il Mondo Accademico e un gruppo di Migranti e Disabili. Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti nel corso dell’Incontro: Discorso del Santo Padre Illustri Autorità, cari fratelli Vescovi, Signori Cardinali, fratelli e sorelle, buongiorno

 

BOLLETTINO N. 0556 – 07.07.2024 2 Ringrazio il Cardinale Zuppi e Monsignor Baturi per avermi invitato a condividere con voi questa sessione conclusiva. Saluto Monsignor Renna e il Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali. A nome di tutti esprimo gratitudine a Monsignor Trevisi per l’accoglienza della Diocesi di Trieste. La prima volta che ho sentito parlare di Trieste è stato da mio nonno che aveva fatto il ‛14 sul Piave. Lui ci insegnava tante canzoni e una era su Trieste: “Il general Cadorna scrisse alla regina: ‘Se vuol guardare Trieste, che la guardi in cartolina’”. E questa è la prima volta che ho sentito nominare la città. Questa è stata la 50.ma Settimana Sociale. La storia delle “Settimane” si intreccia con la storia dell’Italia, e questo dice già molto: dice di una Chiesa sensibile alle trasformazioni della società e protesa a contribuire al bene comune. Forti di questa esperienza, avete voluto approfondire un tema di grande attualità: “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”. Il Beato Giuseppe Toniolo, che ha dato avvio a questa iniziativa nel 1907, affermava che la democrazia si può definire «quell’ordinamento civile nel quale tutte le forze sociali, giuridiche ed economiche, nella pienezza del loro sviluppo gerarchico, cooperano propriamente al bene comune, rifluendo nell’ultimo risultato a prevalente vantaggio delle classi inferiori»[1]. Così diceva Toniolo. Alla luce di questa definizione, è evidente che nel mondo di oggi la democrazia, diciamo la verità, non gode di buona salute. Questo ci interessa e ci preoccupa, perché è in gioco il bene dell’uomo, e niente di ciò che è umano può esserci estraneo[2]. In Italia è maturato l’ordinamento democratico dopo la seconda guerra mondiale, grazie anche al contributo determinante dei cattolici. Si può essere fieri di questa storia, sulla quale ha inciso pure l’esperienza delle Settimane Sociali; e, senza mitizzare il passato, bisogna trarne insegnamento per assumere la responsabilità di costruire qualcosa di buono nel nostro tempo. Questo atteggiamento si ritrova nella Nota pastorale con cui nel 1988 l’Episcopato italiano ha ripristinato le Settimane Sociali. Cito le finalità: «Dare senso all’impegno di tutti per la trasformazione della società; dare attenzione alla gente che resta fuori o ai margini dei processi e dei meccanismi economici vincenti; dare spazio alla solidarietà sociale in tutte le sue forme; dare sostegno al ritorno di un’etica sollecita del bene comune […]; dare significato allo sviluppo del Paese, inteso […] come globale miglioramento della qualità della vita, della convivenza collettiva, della partecipazione democratica, dell’autentica libertà»[3]. Fine citazione.
Questa visione, radicata nella Dottrina Sociale della Chiesa, abbraccia alcune dimensioni dell’impegno cristiano e una lettura evangelica dei fenomeni sociali che non valgono soltanto per il contesto italiano, ma rappresentano un monito per l’intera società umana e per il cammino di tutti i popoli. Infatti, così come la crisi della democrazia è trasversale a diverse realtà e Nazioni, allo stesso modo l’atteggiamento della responsabilità nei confronti delle trasformazioni sociali è una chiamata rivolta a tutti i cristiani, ovunque essi si trovino a vivere e ad operare, in ogni parte del mondo. C’è un’immagine che riassume tutto ciò e che voi avete scelto come simbolo di questo appuntamento: il cuore. A partire da questa immagine, vi propongo due riflessioni per alimentare il percorso futuro. Nella prima possiamo immaginare la crisi della democrazia come un cuore ferito. Ciò che limita la partecipazione è sotto i nostri occhi. Se la costruzione e l’intelligenza mostrano un cuore “infartuato”, devono preoccupare anche le diverse forme di esclusione sociale. Ogni volta che qualcuno è emarginato, tutto il corpo sociale soffre. La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani, i vecchi. Questo è la cultura dello scarto. Il potere diventa autoreferenziale – è una malattia brutta questa –, incapace di ascolto e di servizio alle persone. Aldo Moro ricordava che «uno Stato non è veramente democratico se non è al servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali essa integra la propria personalità»[4]. La parola stessa “democrazia” non coincide semplicemente con il voto del popolo; nel frattempo a me preoccupa il numero ridotto della gente che è andata a votare. Cosa significa quello? Non è il voto del popolo solamente, ma esige che si creino le condizioni perché tutti si possano esprimere e possano

BOLLETTINO N. 0556 – 07.07.2024 3 partecipare. E la partecipazione non si improvvisa: si impara da ragazzi, da giovani, e va “allenata”, anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche. In questa prospettiva, come ho avuto modo di ricordare anni fa visitando il Parlamento Europeo e il Consiglio d’Europa, è importante far emergere «l’apporto che il cristianesimo può fornire oggi allo sviluppo culturale e sociale europeo nell’ambito di una corretta relazione fra religione e società»[5], promuovendo un dialogo fecondo con la comunità civile e con le istituzioni politiche perché, illuminandoci a vicenda e liberandoci dalle scorie dell’ideologia, possiamo avviare una riflessione comune in special modo sui temi legati alla vita umana e alla dignità della persona. Le ideologie sono seduttrici. Qualcuno le comparava a quello che a Hamelin suonava il flauto; seducono, ma ti portano a negarti. A tale scopo rimangono fecondi i principi di solidarietà e sussidiarietà. Infatti un popolo si tiene insieme per i legami che lo costituiscono, e i legami si rafforzano quando ciascuno è valorizzato. Ogni persona ha un valore; ogni persona è importante. La democrazia richiede sempre il passaggio dal parteggiare al partecipare, dal “fare il tifo” al dialogare. «Finché il nostro sistema economico-sociale produrrà ancora una vittima e ci sarà una sola persona scartata, non ci potrà essere la festa della fraternità universale. Una società umana e fraterna è in grado di adoperarsi per assicurare in modo efficiente e stabile che tutti siano accompagnati nel percorso della loro vita, non solo per provvedere ai bisogni primari, ma perché possano dare il meglio di sé, anche se il loro rendimento non sarà il migliore, anche se andranno lentamente, anche se la loro efficienza sarà poco rilevante» [6].Tutti devono sentirsi parte di un progetto di comunità; nessuno deve sentirsi inutile. Certe forme di assistenzialismo che non riconoscono la dignità delle persone … Mi fermo alla parola assistenzialismo. L’assistenzialismo, soltanto così, è nemico della democrazia, è nemico dell’amore al prossimo. E certe forme di assistenzialismo che non riconoscono la dignità delle persone sono ipocrisia sociale. Non dimentichiamo questo. E cosa c’è dietro questo prendere distanze dalla realtà sociale? C’è l’indifferenza, e l’indifferenza è un cancro della democrazia, un non partecipare. La seconda riflessione è un incoraggiamento a partecipare, affinché la democrazia assomigli a un cuore risanato. È questo: a me piace pensare che nella vita sociale è necessario tanto risanare i cuori, risanare i cuori. Un cuore risanato. E per questo occorre esercitare la creatività. Se ci guardiamo attorno, vediamo tanti segni dell’azione dello Spirito Santo nella vita delle famiglie e delle comunità. Persino nei campi dell’economia, della ideologia, della politica, della società. Pensiamo a chi ha fatto spazio all’interno di un’attività economica a persone con disabilità; ai lavoratori che hanno rinunciato a un loro diritto per impedire il licenziamento di altri; alle comunità energetiche rinnovabili che promuovono l’ecologia integrale, facendosi carico anche delle famiglie in povertà energetica; agli amministratori che favoriscono la natalità, il lavoro, la scuola, i servizi educativi, le case accessibili, la mobilità per tutti, l’integrazione dei migranti. Tutte queste cose non entrano in una politica senza partecipazione. Il cuore della politica è fare partecipe. E queste sono le cose che fa la partecipazione, un prendersi cura del tutto; non solo la beneficenza, prendersi cura di questo …, no: del tutto! La fraternità fa fiorire i rapporti sociali; e d’altra parte il prendersi cura gli uni degli altri richiede il coraggio di pensarsi come popolo. Ci vuole coraggio per pensarsi come popolo e non come io o il mio clan, la mia famiglia, i miei amici. Purtroppo questa categoria – “popolo” – spesso è male interpretata e, «potrebbe portare a eliminare la parola stessa “democrazia” (“governo del popolo”). Ciò nonostante, per affermare che la società è di più della mera somma degli individui, è necessario il termine “popolo”»[7], che non è populismo. No, è un’altra cosa: il popolo. In effetti, «è molto difficile progettare qualcosa di grande a lungo termine se non si ottiene che diventi un sogno collettivo» [8]. Una democrazia dal cuore risanato continua a coltivare sogni per il futuro, mette in gioco, chiama al coinvolgimento personale e comunitario. Sognare il futuro. Non avere paura. Non lasciamoci ingannare dalle soluzioni facili. Appassioniamoci invece al bene comune. Ci spetta il compito di non manipolare la parola democrazia né di deformarla con titoli vuoti di contenuto, capaci di giustificare qualsiasi azione. La democrazia non è una scatola vuota, ma è legata ai valori della persona, della fraternità e anche dell’ecologia integrale.

BOLLETTINO N. 0556 – 07.07.2024 4 Come cattolici, in questo orizzonte, non possiamo accontentarci di una fede marginale, o privata. Ciò significa non tanto di essere ascoltati, ma soprattutto avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico. Abbiamo qualcosa da dire, ma non per difendere privilegi. No. Dobbiamo essere voce, voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce. Tanti, tanti non hanno voce. Tanti. Questo è l’amore politico[9], che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause. Questo è l’amore politico. È una forma di carità che permette alla politica di essere all’altezza delle sue responsabilità e di uscire dalle polarizzazioni, queste polarizzazioni che immiseriscono e non aiutano a capire e affrontare le sfide. A questa carità politica è chiamata tutta la comunità cristiana, nella distinzione dei ministeri e dei carismi. Formiamoci a questo amore, per metterlo in circolo in un mondo che è a corto di passione civile. Dobbiamo riprendere la passione civile, questo, dei grandi politici che noi abbiamo conosciuto. Impariamo sempre più e meglio a camminare insieme come popolo di Dio, per essere lievito di partecipazione in mezzo al popolo di cui facciamo parte. E questa è una cosa importante nel nostro agire politico, anche dei pastori nostri: conoscere il popolo, avvicinarsi al popolo. Un politico può essere come un pastore che va davanti al popolo, in mezzo al popolo e dietro al popolo. Davanti al popolo per segnalare un po’ il cammino; in mezzo al popolo, per avere il fiuto del popolo; dietro al popolo per aiutare i ritardatari. Un politico che non abbia il fiuto del popolo, è un teorico. Gli manca il principale. Giorgio La Pira aveva pensato al protagonismo delle città, che non hanno il potere di fare le guerre ma che ad esse pagano il prezzo più alto. Così immaginava un sistema di “ponti” tra le città del mondo per creare occasioni di unità e di dialogo. Sull’esempio di La Pira, non manchi al laicato cattolico italiano questa capacità “organizzare la speranza”. Questo è un compito vostro, di organizzare. Organizzare anche la pace e i progetti di buona politica che possono nascere dal basso. Perché non rilanciare, sostenere e moltiplicare gli sforzi per una formazione sociale e politica che parta dai giovani? Perché non condividere la ricchezza dell’insegnamento sociale della Chiesa? Possiamo prevedere luoghi di confronto e di dialogo e favorire sinergie per il bene comune. Se il processo sinodale ci ha allenati al discernimento comunitario, l’orizzonte del Giubileo ci veda attivi, pellegrini di speranza, per l’Italia di domani. Da discepoli del Risorto, non smettiamo mai di alimentare la fiducia, certi che il tempo è superiore allo spazio. Non dimentichiamo questo. Tante volte pensiamo che il lavoro politico è prendere spazi: no! È scommettere sul tempo, avviare processi, non prendere luoghi. Il tempo è superiore allo spazio e non dimentichiamo che avviare processi è più saggio di occupare spazi. Io mi raccomando che voi, nella vostra vita sociale, abbiate il coraggio di avviare processi, sempre. È la creatività e anche è la legge della vita. Una donna, quando fa nascere un figlio, incomincia a avviare un processo e lo accompagna. Anche noi nella politica dobbiamo fare lo stesso. Questo è il ruolo della Chiesa: coinvolgere nella speranza, perché senza di essa si amministra il presente ma non si costruisce il futuro. Senza speranza, saremmo amministratori, equilibristi del presente e non profeti e costruttori del futuro. Fratelli e sorelle, vi ringrazio per il vostro impegno. Vi benedico e vi auguro di essere artigiani di democrazia e testimoni contagiosi di partecipazione. E per favore vi chiedo di pregare per me, perché questo lavoro non è facile. Grazie. Adesso, preghiamo insieme e vi darò la benedizione. [Recita del Padre Nostro] _

[1] G. Toniolo, Democrazia cristiana. Concetti e indirizzi, I, Città del Vaticano 1949, 29.

[2] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 1.

[3] Conferenza Episcopale Italiana, Ripristino e rinnovamento delle Settimane Sociali dei cattolici italiani, 20 novembre 1988, n. 4.

[4] A. Moro, Il fine è l’uomo, Edizioni di Comunità, Roma 2018, 25.

[5] Discorso al Consiglio d’Europa, Strasburgo, 25 novembre 2014 BOLLETTINO N. 0556 – 07.07.2024 5

[6] Lett. enc. Fratelli tutti, 110. [7] Ivi, 157. [8] Ibid. [9] Ivi, 180-182. [01149-IT.02] [Testo originale: Ital

7 Luglio 2024Permalink

5 luglio 2024_ lettera aperta al Presidente Mattarella

Oggetto: Lettera aperta al Presidente Mattarella

Egregio Presidente,

Permetta a una vecchia  cittadina  di esprimere il suo grazie per il discorso  da Lei tenuto in apertura della Settimana sociale dei cattolici italiani,  un evento dal titolo suggestivo  “Al  cuore della democrazia” che nelle sue parola ha il suono di una vitale, universale  utopia.
Voglio che questo mio atto  abbia un carattere pubblico , forse sfacciato, se mai qualche quotidiano pubblicherà la lettera aperta che cercherò di diffondere stimolata da quell’espressione che Lei ha usato senza preconcette riserve  « misurarsi con la storia » e  che  così ha descritto: «La democrazia, … , si invera ogni giorno nella vita delle persone e nel mutuo rispetto delle relazioni sociali, in condizioni storiche mutevoli, senza che questo possa indurre ad atteggiamenti remissivi circa la sua qualità».
Non posso ignorare , perché è esperienza di vita, che la quotidianità delle esperienze di ognuno può essere testimonianza non di frange marginali del vivere, ma di quel cuore della democrazia che rende la nostra vita in ogni momento  non solo,  se possibile,  soddisfacente  ma degna.
A tale proposito voglio ora ricordare che nel 1998 la cd legge Turco Napolitano,  prendendo atto della necessità di dare riconosciuta e non occasionale certezza alla presenza degli immigrati non comunitari,  aveva proposto  il permesso di soggiorno  come documento da esibirsi ove fosse necessario testimoniare la legittimità riconosciuta della loro presenza.
Ma aveva anche  sapientemente identificato le occasioni in cui questo documento non dovesse essere esibito e, fra queste, la registrazione degli atti di nascita, al fine di assicurare senza riserve il diritto universale di ogni nato a un’esistenza giuridicamente riconosciuta-
Purtroppo nel 2009 tutto cambiò: bastò un piccolo articolo , uno fra i tanti, in una legge  che  tratta di tutto e di più che , imponendo la presentazione del permesso di soggiorno anche per la registrazione degli atti di nascita , creò le condizioni perchè la paura di esibirsi irregolare  potesse indurre un genitore non comunitario a sottrarsi al diritto dovere di registrare la nascita di un proprio figlio in Italia.
Per chiarezza ricordo il riferimento: “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” legge 94/2009  art. 1 comma 22 lettera G.
Credo che testimonianze atroci delle modalità di vita dei migranti non comunitari nei ghetti del lavoro nero  consenta di non sprecare parole per testimoniare la prevedibilità di tale paura.
Una  Sua parola , presidente Mattarella, potrebbe finalmente suggerire  al Parlamento la necessità di tornare al dettato della legge Turco Napolitano.
Come Lei ha detto:  « Al cuore della democrazia vi sono le persone, le relazioni e le comunità a cui esse danno vita, le espressioni civili, sociali, economiche che sono frutto della loro libertà, delle loro aspirazioni, della loro umanità: questo è il cardine della nostra Costituzione ».
Rinnovando i ringraziamenti porgo distinti saluti

Augusta De Piero
Udine

Lettera inviata a Messaggero Veneto

5 Luglio 2024Permalink

4 luglio 2024 _ Dal sito del Quirinale – Discorso del Presidente del 3 luglio

Intervento del Presidente della Repubblica alla cerimonia di apertura della 50^ edizione della Settimana Sociale dei Cattolici in Italia (quirinale.it)

Intervento del Presidente della Repubblica alla cerimonia di apertura della 50^ edizione della Settimana Sociale dei Cattolici in Italia

Trieste, 03/07/2024 (II mandato)

Rivolgo un saluto di grande cordialità al Presidente della Conferenza Episcopale, ai Vescovi presenti, al Nunzio Apostolico; alle autorità di questa splendida parte dell’Italia, il Presidente della Regione, il Sindaco, gli altri Sindaci presenti; a tutti voi, ringraziandovi per l’invito e, soprattutto, per quello che fanno le Settimane Sociali.

Democrazia.

Parola di uso comune, anche nella sua declinazione come aggettivo.
È ampiamente diffusa. Suggerisce un valore.
Le dittature del Novecento l’hanno identificata come un nemico da battere.
Gli uomini liberi ne hanno fatto una bandiera.
Insieme una conquista e una speranza che, a volte, si cerca, in modo spregiudicato, di mortificare ponendone il nome a sostegno di tesi di parte.
Non vi è dibattito in cui non venga invocata a conforto della posizione propria.
Un tessuto che gli avversari della democrazia pretenderebbero logoro.
L’interpretazione che si dà di questo ordito essenziale della nostra vita appare talora strumentale, non assunto in misura sufficiente come base di rispetto reciproco.
Si è persino giunti ad affermare che siano opponibili tra loro valori come libertà e democrazia, con quest’ultima artatamente utilizzabile come limitazione della prima.
Non è fuor di luogo, allora, chiedersi se vi sia, e quale, un’anima della democrazia.
O questa si traduce soltanto in un metodo?
Cosa la ispira?
Cosa ne fa l’ossatura che sorregge il corpo delle nostre Istituzioni e la vita civile della nostra comunità?
È un interrogativo che ha accompagnato e accompagna il progresso dell’Italia, dell’Europa.
Alexis de Tocqueville affermava che una democrazia senz’anima è destinata a implodere, non per gli aspetti formali, naturalmente, bensì per i contenuti valoriali venuti meno.

Intervenendo a Torino, alla prima edizione della Biennale della democrazia, nel 2009, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, rivolgeva lo sguardo alla costruzione della nostra democrazia repubblicana, con la acquisizione dei principi che hanno inserito il nostro Paese, da allora, nel solco del pensiero liberal-democratico occidentale.
Dopo la “costrizione” ossessiva del regime fascista soffiava “l’alito della libertà”, con la Costituzione a intelaiatura e garanzia dei diritti dei cittadini.
L’alito della libertà, anzitutto, come rifiuto di ogni obbligo di conformismo sociale o politico, come diritto all’opposizione.
La democrazia, in altri termini, non si esaurisce nelle sue norme di funzionamento, ferma restando, naturalmente, l’imprescindibilità della definizione e del rispetto delle “regole del gioco”.
Perché – come ricordava Norberto Bobbio – le condizioni minime della democrazia sono esigenti: generalità ed eguaglianza del diritto di voto, la sua libertà, proposte alternative, ruolo insopprimibile delle assemblee elettive e, infine, non da ultimo, limiti alle decisioni della maggioranza, nel senso che non possano violare i diritti delle minoranze e impedire che queste possano, a loro volta, divenire maggioranza.
È la pratica della democrazia che la rende viva, concreta, trasparente, capace di coinvolgere.
Quali le ragioni del riferimento all’alito della libertà parlando di democrazia? Non è democrazia senza la tutela dei diritti fondamentali di libertà, che rappresentano quel che dà senso allo Stato di diritto e alla democrazia stessa.
Il tema impegnativo che avete posto al centro della riflessione di questa Settimana sociale interpella quindi, con forza, tutti.
La democrazia, infatti, si invera ogni giorno nella vita delle persone e nel mutuo rispetto delle relazioni sociali, in condizioni storiche mutevoli, senza che questo possa indurre ad atteggiamenti remissivi circa la sua qualità.
Si può pensare di contentarsi che una democrazia sia imperfetta?
Di contentarsi di una democrazia a “bassa intensità”?
Si può pensare di arrendersi, “pragmaticamente”, al crescere di un assenteismo dei cittadini dai temi della “cosa pubblica”?
Può esistere una democrazia senza il consistente esercizio del ruolo degli elettori? Per porre mente alla defezione, diserzione, rinuncia intervenuta da parte dei cittadini in recenti tornate elettorali.
Occorre attenzione per evitare di commettere l’errore di confondere il parteggiare con il partecipare.
Occorre, piuttosto, adoperarsi concretamente affinché ogni cittadino si trovi nelle condizioni di potere, appieno, prender parte alla vita della Repubblica.

I diritti si inverano attraverso l’esercizio democratico.
Se questo si attenua, si riduce la garanzia della loro effettiva vigenza.

Democrazie imperfette vulnerano le libertà: ove si manifesta una partecipazione elettorale modesta. Oppure ove il principio “un uomo-un voto” venga distorto attraverso marchingegni che alterino la rappresentatività e la volontà degli elettori.
Ancor più le libertà risulterebbero vulnerate ipotizzando democrazie affievolite, depotenziate da tratti illiberali.
Ci soccorre anche qui Bobbio, quando ammonisce che non si può ricorrere a semplificazioni di sistema o a restrizioni di diritti “in nome del dovere di governare”.

Una democrazia “della maggioranza” sarebbe, per definizione, una insanabile contraddizione, per la confusione tra strumenti di governo e tutela della effettiva condizione di diritti e di libertà.
Al cuore della democrazia – come qui leggiamo – vi sono le persone, le relazioni e le comunità a cui esse danno vita, le espressioni civili, sociali, economiche che sono frutto della loro libertà, delle loro aspirazioni, della loro umanità: questo è il cardine della nostra Costituzione.
Questa chiave di volta della democrazia opera e sostiene la crescita di un Paese, compreso il funzionamento delle sue Istituzioni, se al di là delle idee e degli interessi molteplici c’è la percezione di un modo di stare insieme e di un bene comune.
Se non si cede alla ossessiva proclamazione di quel che contrappone, della rivalsa, della delegittimazione.

Se l’universalità dei diritti non viene menomata da condizioni di squilibrio, se la solidarietà resta il tessuto connettivo di una economia sostenibile, se la partecipazione è viva, diffusa, consapevole del proprio valore e della propria necessità, della propria essenziale necessità.
Nel cambiamento d’epoca che ci è dato di vivere avvertiamo tutta la difficoltà, e a volte persino un certo affanno, nel funzionamento delle democrazie.
Oggi constatiamo criticità inedite, che si aggiungono a problemi più antichi.
La democrazia non è mai conquistata per sempre.
Anzi, il succedersi delle diverse condizioni storiche e delle loro mutevoli caratteristiche, ne richiede un attento, costante inveramento.
Nella complessità delle società contemporanee, a elementi critici conosciuti, che mettono a rischio la vita degli Stati e delle comunità, si aggiungono nuovi rischi epocali: quelli ambientali e climatici, sanitari, finanziari, oltre alle sfide indotte dalla digitalizzazione e dall’intelligenza artificiale.

Le nostre appaiono sempre più società del rischio, a fronteggiare il quale si disegnano, talora, soluzioni meramente tecnocratiche.

È tutt’altro che improprio, allora, interrogarsi sul futuro della democrazia e sui compiti che le sono affidati, proprio perché essa non è semplicemente un metodo, bensì costituisce lo “spazio pubblico” in cui si esprimono le voci protagoniste dei cittadini.

Nel corso del tempo, è stata più volte posta, malauguratamente, la domanda “a cosa serve la democrazia?”. La risposta è semplice: a riconoscere – perché preesistono, come indica l’art. 2 della nostra Costituzione – e a rendere effettive le libertà delle persone e delle comunità.
Karl Popper ha indicato come le forme di vita democratica realizzino, essenzialmente, quella “società aperta” che può massimizzare le opportunità di costituzione di identità sociali destinate a trasferirsi, poi, sul terreno politico e istituzionale.
La stessa esperienza italiana degli ultimi trent’anni ne è un esempio.
Nei settantotto anni dalla scelta referendaria del 1946, libertà di impronta liberale e libertà democratica hanno contribuito, al “cantiere aperto” della nostra democrazia repubblicana, con la diversità delle alternative, le realtà di vita e le differenti mobilitazioni che ne sono derivate.
La libertà di tradizione liberale ci richiama a un’area intangibile di diritti fondamentali delle persone, e alla indisponibilità di questi rispetto al contingente succedersi di maggioranze e, ancor più, a effimeri esercizi di aggregazione di interessi.
La libertà espressa nelle vicende novecentesche, con l’irruzione della questione sociale, ha messo poi a fuoco la dinamica delle aspettative e dei bisogni delle identità collettive nella società in permanente trasformazione.

È questione nota al movimento cattolico, se è vero che quel giovane e brillante componente dell’Assemblea Costituente, che fu Giuseppe Dossetti, pose il problema del “vero accesso del popolo e di tutto il popolo al potere e a tutto il potere, non solo quello politico, ma anche a quello economico e sociale”, con la definizione di “democrazia sostanziale”.

A segnare in tal modo il passaggio ai contenuti che sarebbero stati poi consacrati negli articoli della prima parte della nostra Costituzione. Fra essi i diritti economico-sociali.
Una riflessione impegnativa con l’ambizione di mirare al “bene comune” che non è il “bene pubblico” nell’interesse della maggioranza, ma il bene di tutti e di ciascuno, al tempo stesso; di tutti e di ciascuno, secondo quanto già la Settimana Sociale del ’45 volle indicare.
Il percorso dei cattolici – con il loro contributo alla causa della democrazia- non è stato occasionale né data di recente, eppure va riconosciuto che l’adesione dottrinaria alla democrazia fu condizionata dalla “questione romana”, con il percorso accidentato della sua soluzione.
Ma già l’ottava Settimana Sociale, a Milano, nel 1913, non aveva remore nell’affermare la fedeltà dei cattolici allo Stato e alla Patria – quest’ultima posta più in alto dello Stato – sollecitando, contemporaneamente, il diritto di respingere – come venne enunciato – ogni tentativo di “trasformare la Patria, lo Stato, la sua sovranità, in altrettante istituzioni ostili… mentre sentiamo di non essere a nessuno secondi nell’adempimento di quei doveri che all’una e all’altro ci legano”. Una espressione di matura responsabilità.
Il tema che veniva posto, era fondamentalmente un tema di libertà – anche religiosa – e questo riguardava tutta la società, non esclusivamente i rapporti tra Regno d’Italia e Santa Sede.
Ho poc’anzi ricordato la 19^ edizione della Settimana, a Firenze, nell’ottobre 1945. In quell’occasione, nelle espressioni di un giurista eminente – poi costituente – Egidio Tosato, troviamo proposto il tema dell’equilibrio tra i valori di libertà e di democrazia, con la individuazione di garanzie costituzionali a salvaguardia dei cittadini.
La democrazia come forma di governo non basta a garantire in misura completa la tutela dei diritti e delle libertà: essa può essere distorta e violentata nella pretesa di beni superiori o di utilità comuni. Il Novecento ce lo ricorda e ammonisce.

Anche da questo si è fatta strada l’idea di una suprema Corte Costituzionale.
Tosato contestò l’assunto di Rousseau, in base al quale la volontà generale non poteva trovare limiti di alcun genere nelle leggi, perché la volontà popolare poteva cambiare qualunque norma o regola.
Lo fece Tosato con parole molto nette: “Noi sappiamo tutti ormai che la presunta volontà generale non è in realtà che la volontà di una maggioranza e che la volontà di una maggioranza, che si considera come rappresentativa della volontà di tutto il popolo può essere, come spesso si è dimostrata, più ingiusta e oppressiva che non la volontà di un principe”. Esprimeva un fermo no, quindi, all’assolutismo di Stato, a un’autorità senza limite, potenzialmente prevaricatrice.
La coscienza dei limiti è un fattore imprescindibile per qualunque Istituzione, a partire dalla Presidenza della Repubblica, per una leale e irrinunziabile vitalità democratica.

Guido Gonella, personalità di primo piano del movimento cattolico italiano, e poi statista insigne nella stagione repubblicana, relatore anch’egli alla Settimana di Firenze del ’45, non ebbe esitazioni nel rinvenire nelle Costituzioni, una “forma di vita – come disse – più alta e universale”, con la presenza di elementi costanti, “categorie etiche” le definì, e di elementi variabili, secondo le “esigenze storiche”, ponendo in guardia dei rischi posti da una eccessiva rigidezza conservatrice e da una troppo facile flessibilità demagogica che avrebbe potuto caratterizzarle, con il risultato di poter passare con indifferenza dall’assolutismo alla demagogia, per ricadere indietro verso la dittatura.
Su questo si basa la distinzione tra prima e seconda parte della nostra Costituzione.

Il messaggio fu limpido: sbagliato e rischioso cedere a sensibilità contingenti, sulla spinta delle tentazioni quotidiane della contesa politica. Come avviene con la frequente tentazione di inserire richiami a temi particolari nella prima parte della Costituzione, che del resto – per effetto della saggezza dei suoi estensori – regola tutti questi aspetti comunque, in base ai suoi principi e valori di fondo.

La Costituzione seppe dare un senso e uno spessore nuovo all’unità del Paese e, per i cattolici, l’adesione ad essa ha coinciso con un impegno a rafforzare, e mai indebolire, l’unità e la coesione degli italiani.
Spirito prezioso, come ha ricordato di recente il Cardinale Zuppi, perché la condivisione intorno ai valori supremi di libertà e democrazia è il collante irrinunciabile della nostra comunità nazionale.
Pio XII, nel messaggio natalizio del 1944, era stato ricco di indicazioni importanti e feconde.
Permettetemi di soffermarmi su quel testo per richiamarne l’indicazione che, al legame tra libertà e democrazia, unisce il tema della democrazia connesso a quello della pace.
Perché la guerra soffoca, può soffocare, la democrazia.
L’ordine democratico, ricordava il Papa, include la unità del genere umano e della famiglia dei popoli. “Da questo principio – diceva – deriva l’avvenire della pace”.  Con l’invocazione “guerra alla guerra” e l’appello a “bandire una volta per sempre la guerra di aggressione come soluzione legittima delle controversie internazionali e come strumento di aspirazioni nazionali”.

Un grido di pace oggi rinnovato da Papa Francesco.

Non si trattava di un dovuto “irenismo”, di uno scontato ossequio pacifista della Chiesa di fronte alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale.
Era, piuttosto, una ferma reazione morale che interpreta la coscienza civile, presente certamente nei credenti – e, comunque, nella coscienza dei popoli europei – destinata a incrociarsi con le sensibilità di altre posizioni ideali.
Prova ne è stata la generazione delle Costituzioni del Secondo dopoguerra, in Italia come in Germania, in Austria, in Francia.
Per l’Italia gli art. 10 e 11 della nostra Carta, volti a definire la comunità internazionale per assicurare e pervenire alla pace.
Sarebbe stato il professor Pergolesi, sempre a Firenze 1945, ad affermare il diritto del cittadino alla pace, interna ed esterna, con la proposta di inserimento di questo principio nelle Costituzioni, dando così vita a una concezione nuova dei rapporti tra gli Stati.

Se in passato la democrazia si è inverata negli Stati – spesso contrapposti e comunque con rigidi, insormontabili frontiere – oggi, proprio nel continente che degli Stati è stato la culla, si avverte l’esigenza di costruire una solida sovranità europea che integri e conferisca sostanza concreta e non illusoria a quella degli Stati membri. Che consenta e rafforzi la sovranità del popolo disegnata dalle nostre Costituzioni ed espressa, a livello delle Istituzioni comunitarie, nel Parlamento Europeo.
Il percorso democratico, avviato in Europa dopo la sconfitta del nazismo e del fascismo, ha permesso di rafforzare le Istituzioni dei Paesi membri e di ampliare la protezione dei diritti dei cittadini, dando vita a quella architrave di pace che è stata prima la Comunità europea e adesso è l’Unione.
Una più efficace unità europea – più forte ed efficiente di quanto fin qui siamo stati capaci di realizzare – è oggi condizione di salvaguardia e di progresso dei nostri ordinamenti di libertà e di uguaglianza, di solidarietà e di pace.
Tornando alla riflessione sui cardini della democrazia, va sottolineato che la democrazia comporta il principio di eguaglianza – poc’anzi richiamato dal Cardinale Zuppi – perché riconosce che le persone hanno eguale dignità.
La democrazia è strumento di affermazione degli ideali di libertà.
La democrazia è antidoto alla guerra.
Quando ci chiediamo se la democrazia possiede un’anima, quando ci chiediamo a cosa serva, troviamo agevolmente risposte chiare.
Lo sforzo che, anche in questa occasione, vi apprestate a produrre per la comunità nazionale, richiama le parole con cui il Cardinale Poletti, nel 1988, alla XXX assemblea generale Conferenza Episcopale, accompagnò, dopo vent’anni, la ripresa delle Settimane Sociali: “diaconia della Chiesa italiana al Paese”.
Con il vostro contributo avete arricchito, in questi quasi centoventi anni dalla prima edizione, il bene comune della Patria e, di questo, la Repubblica vi è riconoscente.
La nostra democrazia ha messo radici, si è sviluppata, è divenuta un tratto irrinunciabile dell’identità nazionale – mentre diveniva anche identità europea – sostenuta da partiti e movimenti, che avevano raggiunto la democrazia nel corso del loro cammino e su di essa stavano rifondando la loro azione politica nella nuova fase storica.
Oggi dobbiamo rivolgere lo sguardo e l’attenzione a quanto avviene attorno a noi, nel mondo sempre più raccolto e interconnesso.
Accanto al riproporsi di tentazioni neo-colonialistiche e neo-imperialistiche, nuovi mutamenti geopolitici sono sospinti anche dai ritmi di crescita di Stati-continente in precedenza meno sviluppati, da tensioni territoriali, etniche, religiose che, non di rado sfociano in guerre drammatiche, da andamenti demografici e giganteschi flussi migratori.
Attraversiamo fenomeni – questi e altri – che mutano profondamente le condizioni in cui si viveva in precedenza e che è impossibile illudersi che possano tornare.
Dalla dimensione nazionale dei problemi – e delle conseguenti sfere decisionali – siamo passati a quella europea e, per qualche aspetto, a quella globale.
È questa la condizione della quale siamo parte e nella quale dobbiamo far sì che a prevalere sia il futuro dei cittadini e non delle sovrastrutture formatesi nel tempo.
All’opposto della cooperazione fra eguali si presenta il ritorno alle sfere di influenza dei più forti o meglio armati – che si sta praticando e teorizzando, in sede internazionale, con la guerra, l’intimidazione, la prevaricazione – e, in altri ambiti, di chi dispone di forza economica che supera la dimensione e le funzioni degli Stati.
Risalta la visione storica e la sagacia di Alcide De Gasperi con la scelta di libertà del Patto Atlantico compiuta dalla Repubblica nel 1949 e con il suo coraggioso apostolato europeo.
Venti anni fa, a Bologna, la 44^ Settimana si poneva il tema dei nuovi scenari e dei nuovi poteri di fronte ai quali la democrazia si trovava.

È necessario misurarsi con la storia, porsi di fronte allo stato di salute delle Istituzioni nazionali e sovranazionali e dell’organizzazione politica della società.
Nuovi steccati sono sempre in agguato a minare le basi della convivenza sociale: le basi della democrazia non sono né
esclusivamente istituzionali né esclusivamente sociali, interagiscono fra loro.
Cosa ci aiuta? Dare risposte che vedono diritti politici e sociali dei cittadini e dei popoli concorrere insieme alla definizione di un futuro comune.
Vogliamo riprendere per un attimo l’Enciclica “Populorum progressio” di Paolo VI: “essere affrancati dalla miseria, garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, salute, una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori di ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la loro dignità di uomini, godere di una maggiore istruzione, in una parola fare conoscere e avere di più per essere di più: ecco l’aspirazione degli uomini di oggi – diceva -, mentre un gran numero di essi è condannato a vivere in condizioni che rendono illusorio questo legittimo desiderio”.
Vi è qualcuno che potrebbe rifiutarsi di sottoscrivere queste indicazioni?
Temo di sì, in realtà, anche se nessuno avrebbe il coraggio di farlo apertamente.
Anche per questo l’esercizio della democrazia, come si è visto, non si riduce a un semplice aspetto procedurale e non si consuma neppure soltanto con la irrinunziabile espressione del proprio voto nelle urne nelle occasioni elettorali. Presuppone lo sforzo di elaborare una visione del bene comune in cui sapientemente si intreccino – perché tra loro inscindibili – libertà individuali e aperture sociali, bene della libertà e bene dell’umanità condivisa. Né si tratta di una questione limitata ad ambiti statali.
Mons. Adriano Bernareggi, nelle sue conclusioni della Settimana Sociale del ’45, – l’abbiamo poc’anzi visto nelle immagini – argomentò, citando Jacques Maritain, che una nuova cristianità si affacciava in Europa.
L’unità da raggiungere nelle comunità civili moderne non aveva più un’unica “base spirituale”, bensì un bene comune terreno, che doveva fondarsi proprio sull’intangibile “dignità della persona umana”.
Questa la consapevolezza che è stata alla base di una stagione di pace così lunga – che speriamo continui – nel continente europeo.

Continuava l’allora Vescovo di Bergamo, “la democrazia non è soltanto governo di popolo, ma governo per il popolo”.
Affrontare il disagio, il deficit democratico che si rischia
, deve partire da qui.
Dal fatto che, in termini ovviamente diversi, ogni volta si riparte dalla capacità di inverare il principio di eguaglianza, da cui trova origine una partecipazione consapevole.
Perché ciascuno sappia di essere protagonista della storia.
Don Lorenzo Milani esortava a “dare la parola”, perché “solo la lingua fa eguali”. A essere, cioè, alfabeti nella società.
La Repubblica ha saputo percorrere molta strada, ma il compito di far sì che tutti prendano parte alla vita della sua società e delle sue Istituzioni non si esaurisce mai.
Ogni generazione, ogni epoca, è attesa  alla prova della “alfabetizzazione”, dell’inveramento della vita della democrazia
.
Prova, oggi, più complessa che mai, nella società tecnologica contemporanea.
Ebbene, battersi affinché non vi possano essere più “analfabeti di democrazia” è causa primaria e nobile, che ci riguarda tutti. Non soltanto chi riveste responsabilità o eserciti potere.
Per definizione, democrazia è esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme.

Vi auguro, mi auguro, che si sia numerosi a ritrovarsi in questo cammino.

 

NOTA:  I grassetti sono miei

4 Luglio 2024Permalink

1 luglio 2024 _ Calendario di luglio

.1 luglio 2002 –   Entra in vigore il tribunale Penale Internazionale .
…………………………………………………………………………….. …[nota 1].
.2 luglio 2016 –   Morte di Elie Wiesel
.3 luglio  1883–    Nascita di Franz  Kafka
.3 luglio 1995 –   Morte di  Alexander Langer
.3 luglio 2022_    Crollo del ghiacciaio della Marmolada
.4 luglio 1976 –   Dichiarazione dei Diritti dei Popoli del Tribunale  Russel
.5 luglio 1963 –   Algeria: Indipendenza dalla Francia .
……………………… Festa nazionale
.6 luglio 1415 –    Morte sul rogo di Jan Hus
.6 luglio 1967 –    Inizio della guerra civile nigeriana (o guerra del .Biafra).
.7 luglio 1535 –    Morte di Tommaso Moro
.7 luglio 2024 –    Capodanno islamico  -1° giorno di Muharram 1446
……………………………………………………………………….. [Nota 2]
.8 luglio 1978 –     Sandro Pertini Presidente della Repubblica
.9 luglio 2002 –    Nasce a Durban l’Unione Africana.
10 luglio 1940 –    Nascita del governo collaborazionista di Vichy
10 luglio 1976 –    Nube tossica a Seveso
11 luglio 1979 –     Assassinio Ambrosoli – Milano
11 luglio 1995 –     Caduta di Srebrenica                           [nota 3]
12 luglio 1973 –     Giovanni Franzoni si dimette da abate di San  Paolo
13 luglio 1920 –     Incendio della Narodi Dom, casa del popolo.
………………………….Era la sede delle organizzazioni slovene a Trieste.
………………………….L’incendio fu appiccato dalle camicie nere.
13 luglio 1936 –     Inizio della guerra civile spagnola
13 luglio 2014 –     Muore  la scrittrice Nadine Gordimer,
…………………………. sudafricana,  attivista contro  l’apartheid,
……………………………Nobel  per la Letteratura nel 1991
13 luglio 2017 –    Muoiono Giovanni Franzoni
……………………….. e Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace 2010

13  luglio 2024 –     Attentato a Trump in Pennsylvania

14 luglio 1789 –     Parigi – presa della Bastiglia
14 luglio 2016 –    Strage di Nizza
14 luglio 2022 _     Morte di Eugenio Scalfari
14 luglio 2022_    Dimissioni di Draghi respinte da Mattarella
15 luglio 1938 –    Pubblicazione del Manifesto della razza
16 luglio 1945 –     New Mexico. primo esperimento nucleare USA
16 luglio 2023 –     Morte di mons. Luigi Bettazzi, ultimo testimone del
…………………………Concilio Vaticano II
17 luglio 1566 –    Morte di Bartolomeo de Las Casas
17 luglio 2019 –     Morte di Camilleri
18 luglio 1546 –   Morte di Martin Lutero
18 luglio 1918 –    Nascita di Nelson Mandela (morte 2013)
19 luglio 1943 –    Primo bombardamento anglo-americano su Roma
19 luglio 1992 –   Strage del giudice Borsellino e della scorta
19 luglio 2023-     Muharram 2023 –
…………………………primo giorno dell’anno  islamico 1445
20 luglio 1944 –   Attentato militare fallito vs Hitler         [nota 4]
20 luglio 1969 –   Allunaggio Apollo 11
20 luglio 2001 –   Genova- Uccisione di Carlo Giuliani durante il G8
20 luglio 2001 –   Genova – Assalto alla scuola Diaz durante il G8
22 luglio 2011 –   Utoeya – Norvegia.
………………………….Il neonazista Breivik uccide 76  persone.
22 luglio 2016 –  Strage di Monaco
22 luglio 2024 –   Aggressione al giornalista Andrea Joly
23 luglio 1929 –  Il fascismo bandisce l’uso delle parole straniere
23 luglio 2016 –  Strage di Kabul durante manifestazione di Hazara .(sciiti)
24 luglio 2014 –  Gaza – bombardamento e strage scuola Unrwa
24 luglio 1783 –   Nascita di Simon Bolivar
25 luglio 1943 –   Caduta del fascismo – Arresto Mussolini
……………………………Governo  Badoglio
25 luglio 1968 –   Paolo VI pubblica l’enciclica Humanae vitae
26 luglio 1960 –   Fine del governo Tambroni
26 luglio 1992 –   Morte di Rita Atria
27 marzo 1993 –  Attentati mafiosi a Milano e Roma – 5 morti
28 luglio 1914 –    L’Austria dichiara guerra alla Serbia
29 luglio 1976 –    Tina Anselmi diventa ministro del lavoro
…………………………Prima donna  in Italia ad assumere un incarico di
…………………………..governo..
29 luglio 1983 –    Omicidio del giudice Rocco Chinnici – Palermo
29 luglio 2013 –    Scomparsa di p. Paolo Dall’Oglio
31 luglio 1919 –       Nasce Primo Levi.                                [nota  5]
31 luglio 1941 –   Hermann Göring inizia a pianificare la soluzione  finale

[nota 1]
ICC: International Criminal Court, Corte penale Internazionale Permanente
Pattuita a Roma il 17 luglio 1998 è entrata in vigore il 1º luglio 2002.
Si occupa di genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra, crimine di aggressione
La Corte penale internazionale non è un organo dell’Onu e non va confusa con la Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite, anch’essa con sede all’Aia.

https://www.icc-cpi.int/

https://www.hrw.org/topic/international-justice/international-criminal-court

[nota 2]
capodanno islamico  –  1 Muharram 1446
Nel calendario islamicoMuharram è il primo mese dell’anno  e uno dei quattro mesi sacri.

Il primo giorno di muharram è il capodanno islamico.

La festività di muharram è particolarmente sentita nel mondo sciita, che commemora la battaglia di Kerbala, nel corso della quale cadde il figlio di AlìHusayn ibn Ali. Tale commemorazione raggiunge il suo apice il 10 del mese, giorno della ʿāshūrāʾ.

[nota 3]

GENOCIDIO DI SREBRENICA 11 luglio 1995
“non chiedetemi dov’ero l’11 luglio quando cadde Sebrenica e iniziò l’ultimo massacro del secolo. Non me lo ricordo. Fu il triplo dei morti rispetto a New York, ma non ci fu nessuna diretta TV e nessuno se ne accorse. Sebrenica, che roba era? Un buco tra le montagne dal nome impronunciabile” (P.Rumiz “Maschere per un massacro”)

[nota  4]
Fallimento dell’attentato a Hitler, nome in codice Operazione Walkiria.
La vendetta segnò una strage. Molti dei 5000 arrestati furono giustiziati. All’operazione Walkiria partecipò anche il pastore e teologo Dietrich Bonhoeffer che, dopo la lunga prigionia a Berlino, fu impiccato a Flossemburg il 9 aprile 1945 per ordine diretto di Hitler

[nota 5]
31 luglio 1919, Nasce Primo Levi, l’ uomo che trovò le parole per dire lo sterminio.

 

 

1 Luglio 2024Permalink

29 giugno 2024_ Ho un Sogno 275 _ Nel nome di SATNAM SINGH

NEL NOME DI SATNAM SINGH
Satnam Singh è il bracciante indiano, lavoratore in nero a Latina, gravemente  ferito in seguito a un infortunio sul lavoro e lasciato morire dissanguato.
La sua “irregolarità” ha consentito di inquadrarlo come uno sfruttabile e, nel momento del  dramma, è stato trattato come un “guaio”, un oggetto a perdere, non una persona,
cui sono dovute cure.
Il Presidente Mattarella è intervenuto con parole nette e, se ascoltato, potrà aprire uno spiraglio a favore dei tanti Satnam già presenti e in arrivo. Il primo passo
è stato fatto dal questore di Latina, riconoscendo a Sony, la giovane vedova un permesso di soggiorno per motivi di “protezione speciale”, un atto di giustizia, non
di beneficenza, che, vogliamo essere certi, le consentirà anche di farsi parte civile verso i responsabili dell’orrore.
La giustizia riparativa vorrebbe di più: non permettere che accada ancora.
Per questo, accanto alle manifestazioni di sdegno del momento, serve un sussulto  di umanità e giustizia del legislatore che porti al cambio delle norme, proprio a partire da quelle che regolano l’ingresso dei lavoratori stranieri e per un’attenzione  concreta alle condizioni di lavoro di tutte le persone, a prescindere dalla loro  condizione burocratica che oggi è supporto alla loro invisibilità.

Per sollecitare questo cambio, tutti noi abbiamo la possibilità di contribuire.  E ,se vogliamo farci un’idea più chiara, non mancano le fonti recenti e documentate.
Ne citiamo alcune, a partire dal Dossier curato dalla campagna “Ero Straniero”, che da anni fornisce informazioni sui flussi migratori sulla base di dati ufficiali e
proprio il 30 maggio ha presentato il suo ultimo dossier I veri numeri del decreto flussi: un sistema che continua a creare irregolarità” (https://erostraniero.it/
rapportoflussi2024).
E vogliamo citare ancora:

– Il Rapporto agromafie e caporalato dell’osservatorio Placido Rizzotto della Flai-CGIL (www.fondazionerizzotto.it), con il quale ogni due anni viene fotografata
la situazione del lavoro sfruttato nel settore agroalimentare e il recentissimo Rapporto del laboratorio L’altro Diritto/Osservatorio Placido Rizzotto sullo
sfruttamento lavorativo e sulla protezione delle sue vittime.
– Made in Immigritaly: terre, colture, culture è un rapporto nazionale, curato dal  Centro Studi Confronti (https://confronti.net) e commissionato dalla Fai-Cisl (www.
faicisl.it), che analizza l’apporto del lavoro immigrato nel settore agroalimentare italiano, comparto strategico del

30 Giugno 2024Permalink

29 giugno 2024_ Ho un Sogno n. 275- Quando mancano le parole per dirlo

QUANDO MANCANO LE PAROLE PER DIRLO

A volte non abbiamo parole per descrivere la realtà e ancor meno per immaginare una via d’uscita. Questo è capitato anche alla piccola redazione di Ho un sogno nel doloroso frangente del conflitto israelo-palestinese.  Così ci siamo fatti aiutare dalle parole di  David Grossman e Mahmud Darwish,  scrittori capaci di elaborare una riflessione “alta”, che non si lascia sopraffare dal  dolore che vivono e hanno vissuto .

LA GUERRA CHE NON SI PUÒ VINCERE…

Intitolando così un suo libro pubblicato in Italia nel 2005, David Grossman, ci ricorda che nel conflitto israelo-palestinese – quando in qualche modo si concluderà – non ci saranno né vincitori, né vinti perché nessuna vittoria conquistata in guerra può chiamarsi pace. Alla fine di un conflitto armato tutti sono perdenti

Il prezzo della guerra che non si può vincere mai lo avrebbe pagato lo stesso David Grossman nel 2006  con la morte del figlio Uri, soldato di Israele, ucciso in una attività bellica.
Un “Caduto fuori dal tempo”, che lascia il padre con una domanda: «È morto ad agosto, e quando quel mese finisce io immancabilmente penso: come posso passare a settembre mentre lui rimane in agosto? ».
Lo scrittore decide di non farsi vendicatore, rifiuta di pietrificare la sua vita an che nel  tempo infernale, come per altri è diventato il 7 ottobre 2023, quando un gruppo di terroristi di Hamas ha attaccato cittadini inermi, portando morte e sofferenza. Morte e sofferenza che è andata moltiplicandosi per il popolo palestinese nel suo disperato vagare per sfuggire a bombardamenti cinicamente annunciati.

Ora è importante schierarsi da un’unica parte, quella delle vittime, di tutte le vittime.
Come ci ricorda  Luigi Manconi, «questo è un imperativo morale, ma anche politico, perché indica una direzione, seppur impervia e sdrucciolevole, capace di disinnescare questa terribile spirale di morte, nella prospettiva di una futura soluzione fondata sulla pari dignità e sulla pari tutela dei due soggetti oggi in armi».
Una scelta di campo per le vittime che oggi che deve porsi  come primo obiettivo il cessate il fuoco permanente a Gaza.

…E LE COLOMBE DORMONO IN UN CARRO ARMATO ABBANDONATO

Con questa immagine suggestiva e tragica  il poeta palestinese Maḥmūd Darwīsh, ci introduce alla lettura   del “non luogo” cui sono ridotti coloro che sempre e nonostante tutto credono nella vitalità della pace. Ma neppure la devastazione dell’umana dignità  riesce ad annientare la speranza nella solidarietà.

“Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.

Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.

Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.

Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.

Mentre dormi contando i pianeti , pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.

Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.

Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e di’: magari fossi una candela in mezzo al buio”.

Mahmoud Darwish era nato nel 1941 nel villaggio di al-Birweh.
I suoi genitori , cacciati dal loro villaggio che fu completamente distrutto,  rientrarono illegalmente in Palestina  e Mahmud fin da bambino si trovò nello status legale di “alieno”, cittadino che risiede come “ospite illegale” nel suo stesso paese.

LA GUERRA NON SARA’ PER SEMPRE

Un poesia di Giuseppe Ungaretti “Pellegrinaggio”, inserita quest’anno  tra i temi della maturità, giunge quanto mai opportuna a ricordarci che quanto l’orrore della guerra sia a noi vicino nel tempo e nello spazio.
Carso, in una trincea fangosa dove il poeta visse  la sesta battaglia dell’Isonzo.

In agguato
in queste budella
di macerie
ore e ore
ho strascicato
la mia carcassa
usata dal fango
come una suola
o come un seme
di spinalba

Ungaretti
uomo di pena
ti basta un’illusione
per farti coraggio

Un riflettore
di là
mette un mare
nella nebbia

30 Giugno 2024Permalink

23 giugno 2024_ Satnam   e il dilemma della bimba torturata

Domenica 23  giugno – La stampa
Satnam   e il dilemma della bimba torturata

Editoriale di Andrea Malaguti   (segue a pag. 24)
Il testo inizia con una citazione di Fëdor  Dostoevskij da I fratelli Karamazov:

« “Supponiamo  che per costruire l’edificio della felicità, della  pace e della tranquillità  degli uomini, tu dovessi torturare una sola bambina, magari quella che hai visto prima piangere battendosi il petto con il pugno, costruiresti quell’edificio?” No, non lo farei, disse piano Alesa. »

E continua il giornalista Malaguti

Alla domanda che Ivan Karamazov  pone  al fratello Alesa abbiamo risposto uno stentoreo sì quando siamo nati. Alcuni senza saperlo. La  maggior parte di noi , diventando adulti, facendo finta di non sapere. Ce  ne freghiamo  se la bambina che piange viene torturata . Ci servono gli invisibili per continuare a vivere  come ci piace, per tenere bassa l’inflazione, per trovare la tranquillità che resta nel sempre più fragile e declinante edificio della civiltà  Occidentale.
I rider, quelli che si trovano all’alba in bicicletta  davanti alla stazione di Milano  e che ci portavano il cibo a casa durante il lockdown, i lavoratori della parte deteriore della logistica d’assalto che ci permettono con un’app di avere tutto e subito a prezzi di saldo, e, soprattutto, gli schiavi dei campi che ci fanno trovare pomodori freschi al supermercato e nei ristoranti.

Continua

Il testo è molto lungo e lo copierò  pian piano per conservarlo nel mio blog che è la mia memoria storica.
Qui posso solo consigliarne la lettura (quando le edicole chiudono a  Udine c’è la Biblioteca )

E ora continuo  io

A  Ivan abbiamo già detto SI’  per le ragioni elencate nel breve passo dell’editoriale di  Andrea Malaguti  trascritto sopra e  anche  per i nati cui   a precise condizioni – e facendoci beffa  del primo comma dell’arto 3 della Costituzione – abbiamo negato la registrazione dell’atto di nascita. approvando  la legge n. 94 Disposizioni in materia di sicurezza pubblica n. 94
L’articolo che ci interessa nel coacervo di norme di quella legge è l’art. 1, comma 22 lettura G.
Prego tutti coloro che  sono  presi dall’impegno di superare la legge Bossi Fini di ricordare che la norma che cito non è la Bossi Fini, legge  che richiede evidentemente una radicale revisione

Ed ecco infine il negletto comma 1 dell’art.  3della Costituzione.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale  e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua , di religione , di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

 

23 Giugno 2024Permalink