27 gennaio 2022 – Il ricordo di una mamma a Majdenek

Trovo e trascrivo il racconto di Lidia Maksymowicz, deportata a tre anni con la sua mamma.
Così ha narrato alla trasmissione Che tempo che fa:

Avevo 3 anni, arrivammo ad Auschwitz in un carro bestiame, il fatto di essere stata separata da mia madre è stato molto doloroso. I bambini venivano messi in una baracca e venivano usati da Mengele per i suoi esperimenti. Noi bambini cercavamo di scappare in un nascondiglio in basso per non essere visti da lui.
Mia madre veniva strisciando alla mia baracca per portarmi da mangiare e farmi ricordare il mio nome. Non ricordavo più il suo viso, ma solo le sua mani che mi portavano da mangiare Tra i bambini non c’era solidarietà ma solo una lotta per la sopravvivenza

».

Dei bambini nei campi di sterminio mi sono occupata tante volte ma oggi – giorno della memoria – voglio riportare un post scritto nel mio blog il 1r4 dicembre 2018 nel ricordo della mia visita a Majdanek, uno dei luoghi della Shoah

«Majdanek è una località situata a circa quattro chilometri ad est di Lublino in Polonia.
Sarebbe restrittivo definirlo un museo, è un campo di concentramento praticamente rimasto com’era dai tempi del nazismo. I pannelli esplicativi e gli oggetti esibiti all’interno delle baracche sono più che sufficienti per rivivere l’orrore di questo campo. Sono visibili anche i forni crematori, nonché le camere a gas in cui veniva usato il famigerato Zyclon B.
In quel campo, che visitai qualche anno fa, vidi ordinati in una bacheca i bambolotti di ‘celluloide’ (ai miei tempo si chiamava così) li conoscevo bene perché ci giocavo anch’io come i miei piccoli coetanei cui furono sottratti prima che fossero gasati e bruciati, ceneri nel vento.
Per far memoria della malvagità idiota quei bambolotti furono trattati come bottino di guerra e conservati tanto da poter essere esibiti anche oggi all’orrore di chi pensa a quali abissi di disvalore aggiunto possa arrivare la crudeltà, specialmente se organizzata».

Quei bambolotti per quei bambini rappresentavano una relazione , forse confortante , comunque l’ultimo briciolo di umanità consentito a quei piccoli esseri umani distinti per ‘razza’ (e sappiamo bene che in quei campi razza era anche l’essere ‘rom o sinti’ la cui strage ha un nome proprio da non dimenticare: Porrajmos) .
Altro da distruggere erano anche i disabili, gli omosessuali, gli avversari politici.
La memoria però non può consentirci un rifiuto nel passato, a puntello dell’indifferenza che ci consente di vivere l’oggi in una confortante rinnovata innocenza.
Si comincia dalle piccole cose, così piccole che si possono rendere banali, invisibili.
Tolleriamo senza scrupoli né consapevolezze adeguate la legge che dal 2009 impone ai migranti non comunitari la presentazione dei permesso di soggiorno per registrare la nascita di un figlio in Italia. La paura di esporsi irregolari di fronte a un ufficiale di stato civile può indurli a nascondere il loro nato negandogli, in una speranza di sicurezza, il certificato di nascita e anche la relazione primaria della genitorialità che, se non è documentata, non è.
Così quei piccoli diventano fantasmi senza nome e senza identità

La mamma di Lidia Maksymowicz che strisciava per portare un tozzo di pane alla sua bambina sfidava la violenza nazista per vincolare la sua piccola alla memoria del suo nome.
Pensiamoci se l’indifferenza non ci induce ad oscurare anche quella tragica, grande donna.

27 Gennaio 2022Permalink