11 gennaio 2023 – Una opinione di Giancarla Codrignani

11  gennaio     Giancarla Codrignani     LE OPINIONI DI VORREI CAPIRE

Il golpismo di Bolsonaro dopo quello di Trump dell’Epifania 2021 che propone la guerra civile, farà capire alla gente che cosa sono anche in Europa e in Italia le destre e di conseguenza che cosa sono le sinistre, irresponsabilmente divise nella difesa della democrazia e giustamente punite (ma, ragazzi è ora di piantarla) dall’elettorato?

Il 9 gennaio 1979 un commando dei Nar guidato da Valerio Fioravanti fece irruzione per “processarla” a Radio Città Futura: due bottiglie molotov e una serie di spari colpiscono alle gambe le redattrici di Radio Donna mentre le conseguenze dei colpi costarono a una quinta la ricostruzione dell’osso pubico. Fioravanti si vantò di aver portato i Nar al livello delle Brigate rosse. Che, però sono sparite, mentre le pratiche di violenza politica del neofascismo sono rimaste immutate.

Padre Georg Ganswein, che è pure stato nominato nel 2012 arcivescovo titolare di Urbisaglia (che di solito ha solo un vescovo), non si sa se si possa dire “distaccato” presso Benedetto xvi, non ha grandi ragioni di avercela con Francesco. Anche lui tra i reazionari: non nega di essere di destra, un falco.

Bisogna ogni tanto leggere Libero: per leggere l’intervista a Ganswein ho registrato questi titoli: Chiesa divisa, fedeli coesi; Moratti e dem vogliono distruggere la Lombardia; Risposta a Cazzullo, Il lavoro non manca, la voglia di lavorare invece sì; Pure le banche stanche della Lagarde; Non è più il tempo di Un’Europa guidata Da Francia e Germania Ora nuovi equilibri.

“Sia il liberalismo che il socialismo sono sempre stati avversari del nazionalismo” (l’economista Mario Ponti su Domani del 9/01.

Per chi ritiene prioritario nominare un/a segretario/a del Pd prima di fare dichiarazioni di intenti: vogliamo partire dallo spiegare alla gente che le regole europee prevedono che il rapporto debito/pil non superi il 60 %, ma l’Italia naviga sul 150?

Ursula von der Leyen ha celebrato a Roma la memoria di Davide Sassoli, un politico esemplare, scomparso l’11 gennaio dello scorso anno.
Per chi ama le ascendenze Davide era un politico cattolico. Letta è un cattolico democristiano.

Cara  Giancarla, leggerti è sempre  un piacere..  Questa volta non solo condivido il tuo messaggio ma lo passerò su facebook.
E’ troppo  bello per sequestrarlo.

 

11 Gennaio 2023Permalink

11 gennaio 2023 – Leggendo le pagine ebraiche

11 Gennaio 2023 – 18 Tevet 5783

Pagine Ebraiche info@paginebraiche.net tramite gmail.mcsv.net

L’INTESA SIGLATA DA MINISTERO DELL’ISTRUZIONE E UCEI

L’ebraismo italiano e le ferite del passato,  un protocollo per la Memoria

“Promuovere la conoscenza della bimillenaria presenza ebraica in Italia e delle comunità ebraiche, con riferimento alla storia, al pensiero e alla cultura dell’ebraismo italiano dalle sue origini ai tempi d’oggi; promuovere la conoscenza dei luoghi della persecuzione razziale, deportazione e sterminio nel nostro Paese; promuovere la conoscenza degli accadimenti, attraverso testimonianze e fonti documentali relative alla storia del ventennio fascista in Italia, di tutte le vittime del nazifascismo e di coloro che si sono adoperati per salvare vite umane (‘I Giusti tra le Nazioni’); promuovere ogni forma di contrasto alla distorsione, alla banalizzazione, alla minimizzazione e all’abuso della storia e della memoria della Shoah; promuovere i valori del rispetto e della convivenza tra popoli e dell’incontro tra culture e religioni diverse; condividere progetti di ricerca e approfondimento storico e didattico inerenti alla trasmissione della memoria”.

Sono gli obiettivi cui tende la carta d’intenti siglata a Cracovia dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara e dalla presidente UCEI Noemi Di Segni durante il Viaggio della Memoria istituzionale in svolgimento in Polonia alla presenza della Testimone della Shoah Tatiana Bucci.

La cerimonia della firma alla sinagoga Remuh, cui è intervenuto anche il rabbino capo di Torino Ariel Finzi, è stata l’occasione per parlare di Memoria e di corretta trasmissione alle nuove generazioni. “Per l’Italia e le sue istituzioni l’appello è quello di assumersi le responsabilità per quanto accaduto. La Shoah non è solo qui nei luoghi dello sterminio, perpetrata dai nazisti. È avvenuta anche a casa nostra, nei nostri uffici, dimore, piazze, valli e montagne”, le parole della presidente Di Segni in sinagoga. Parole di condanna rispetto alle responsabilità del fascismo sono arrivate anche dal ministro Valditara. “Quest’anno – il suo ulteriore messaggio agli studenti – ricorrono i 75 anni della Costituzione, è un’occasione per ricordare che la nostra Carta mette davanti a tutto la persona umana, al cui servizio si pone lo Stato. Questo è il nostro faro, che ci deve illuminare la via per impedire che queste tragedie si ripetano”.

Il Viaggio della Memoria è proseguito quest’oggi ad Auschwitz e Birkenau. Con i ragazzi anche l’assessore alle Politiche educative UCEI Livia Ottolenghi e l’assessore alle Politiche giovanili Simone Mortara.

 

L’INTERVENTO DELLA PRESIDENTE UCEI A CRACOVIA

“Shoah, l’Italia e le sue istituzioni  si assumano la responsabilità”

Di seguito l’intervento della Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni in occasione della firma del Protocollo d’intesa siglato dall’UCEI con il ministero dell’Istruzione:

È un’emozione stare assieme a voi tutti in questo luogo, così significativo. Ogni luogo ha una destinazione d’uso. Case, edifici scolatici, sinagoghe, chiese. A noi sembra normale oggi viverli così, ma non lo è stato per chi si è trovato a dover fuggire, nascondersi, essere rinchiuso, veder dissacrati o svanire i luoghi più cari.

Avraham Shlonski. Poesia. Le mura di casa mia. Le mura di casa mia non sono come una separazione tra me e il mondo. C’è la grazia della crescita che ascolta l’interno. Perché chi ascolta tutto non sente nulla. Solo chi fa tacere il suo rumoroso agire al suono del silenzio, sente tutto e tutti. Le mura della mia casa non sono una separazione tra me e il mondo. Sono il chiudere gli occhi di chi vede una cosa fino in fondo; perché chi vede tutto, non vede più nulla. Solo chi guarda verso l’unico e l’eterno riesce a vedere le cose tutte. Le mura della mia casa non sono una separazione tra me e il mondo. Sono il segreto della rivelazione per dire anche senza parole che chi sta sul portone non si rivolge a nessuno. Solo chi parla con la propria anima parla con tutti.

Allora, cosa divennero i muri delle nostre case nel ‘38? Nel ‘43? Quando fuggimmo, quando ci rinchiusero nei ghetti? Quando eravamo qui nei campi così lontani dalle nostre terre e dalle nostre case. Desidero ringraziare tutti voi per essere qui, noi tutti assieme, ad affrontare un percorso non facile. Avete attraversato in due ore chilometri e chilometri che centinaia di migliaia, anzi milioni di persone, hanno attraversato con i treni, in un viaggio terribile. Un percorso che conoscete sicuramente dai libri di storia e di geografia, che forse inizierete a comprendere meglio in questi due giorni, dopo aver tradotto le pagine del libro in esperienza vissuta. Conoscere – questo il vero viaggio – quanto drammaticamente avvenuto solo pochi decenni fa nel cuore d’Europa. Un viaggio nei luoghi di sterminio e di morte, nei quali si è giunti entro pochi anni dal varo di poche leggi; poche ma esplicite formalizzazioni di quella assolutezza del pregiudizio, da anni propagandato alle masse, ignoranti o indifferenti.

Noemi Di Segni, Presidente UCEI

Mi regalo lo spazio per  un commento
La presidente dellUCEI  ha parlato della assolutezza del pregiudizio
Oggi io leggo quella feroce assolutezza nella memoria tradita, nei conti non fatti con il nostro passato che consentono di accettare  nella tranquillità di una soporifera indifferenza  che in Italia nascano bambini cui viene negata ogni identità perché figli di migranti non comunitari privi di permesso di soggiorno.
Dal 2009 quando è stata approvata con voto di fiducia la legge 94 , che in un caos di argomenti affastellati contiene l’art.1 comma 22 lettera G per  imporre la presentazione del permesso di soggiorno allo sportello del comune dove si registra la nascita dei figli, si sono succeduti 7 governi con le più variegate maggioranze parlamentari
In questo mondo variegato l’infamia negazionista non ha trovato validi oppositori  e i parlamentari indifferenti sono stati ben sostenuti da una società civile pur essa indifferente.
Gli sportelli dei comuni sono divettati muri … oggi per pochi, domani chissà

 

11 Gennaio 2023Permalink

6 gennaio 2023 – Grazie a Vito Mancuso e al mio vecchio blog

 

NEL TESTAMENTO DI BENEDETTO QUELLA PAURA CATTIVA CONSIGLIERA Un testo pieno di timori per una società che si lascia confondere e non è salda nella fede. L’articolo del prof.#VitoMancuso su #LaStampa di martedì 3 gennaio 2023

 

Il testamento spirituale di Joseph Ratzinger diffuso dopo la sua morte, ma composto nel 2006, è molto istruttivo per comprenderne l’anima, direi più precisamente la psiche, cioè quella dimensione interiore in cui il pensiero di un essere umano si mescola alle emozioni e crea quel coacervo di razionalità e di irrazionalità in cui ognuno di noi propriamente consiste.

Il breve testo si divide in quattro parti: ringraziamenti, richiesta di perdono, esortazioni, richiesta di preghiera. Senza sminuire i ringraziamenti e le richieste, belle dal punto di vista umano ma prevedibili quanto ai ringraziamenti e convenzionali quanto alle richieste, la parte decisamente più interessante è la terza delle esortazioni a tutti i cattolici. Scrivendo egli sapeva che questo testo sarebbe stato letto all’indomani della sua morte con la massima attenzione da parte di tutti, il che significa che, se aveva un asso da giocare, era proprio quello il luogo per farlo. E infatti Ratzinger lo giocò.

Dapprima rivolto ai soli bavaresi: “Non lasciatevi distogliere dalla fede”. Poi rivolto a tutti e rafforzando con due punti esclamativi l’invito: “Rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere!”. Ecco la sua più grande esortazione, l’obiettivo per cui spese la vita, il suo asso: la conservazione la fede. Prova ne sia che nel 2016, quando già da tre aveva rinunciato al papato, conversando con il giornalista tedesco Peter Seewald per quella che è stata la sua ultima pubblicazione intitolata proprio “Ultime conversazioni”, affermerà: “Oggi l’importante è preservare la fede. Io considero questo il compito centrale”. Ma ora si faccia attenzione ai verbi usati: non lasciarsi distogliere, rimanere, non lasciarsi confondere, preservare. Chi parla così? Chi sente di essere al cospetto di una grave minaccia e ne ha paura. Il messaggio conclusivo e sintetico di Joseph Ratzinger, quindi, è nella sua essenza profonda un grido d’allarme. La sua ragione era quella di un uomo sicuro, ma la sua psiche, al contrario, quella di un uomo impaurito.

Di cosa aveva paura? Lo si comprende dalle “Ultime conversazioni” quando afferma che oggi prevale “una cultura positivista e agnostica che si mostra sempre più intollerante verso il cristianesimo”, con la conseguenza che “la società occidentale, in ogni caso in Europa, non sarà una società cristiana”. Idea ribadita poco dopo: “La scristianizzazione dell’Europa progredisce, l’elemento cristiano scompare sempre più dal tessuto della società”.

Ma occorre proseguire l’analisi del testamento spirituale perché in esso Ratzinger entra ancor più nello specifico e mette in guardia i cattolici dal pericolo a suo avviso più minaccioso: “Spesso sembra che la scienza – le scienze naturali da un lato e la ricerca storica (in particolare l’esegesi della Sacra Scrittura) dall’altro – siano in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica”. Il pericolo quindi è la scienza? Il testo parla di due forme di scienza: le scienze naturali e le scienze storico-bibliche. Per le prime alla domanda sollevata occorre rispondere di no: la scienza per Ratzinger non è un pericolo, lo sono semmai alcune “interpretazione filosofiche solo apparentemente spettanti alla scienza”. Anzi, la pura scienza può risultare persino utile alla fede, perché “nel dialogo con le scienze naturali la fede ha imparato a comprendere meglio il limite della portata delle sue affermazioni, e dunque la sua specificità”. Immagino che qui Ratzinger pensasse al caso Galileo e al fatto che oggi un episodio del genere non è neppure lontanamente concepibile. Per la fede quindi le scienze naturali non sono un pericolo, anzi talora sono persino un aiuto.

Le cose stanno in modo diverso per le scienze bibliche, al cui riguardo ecco le precise parole di Ratzinger: “Sono ormai sessant’anni che accompagno il cammino della Teologia, in particolare delle Scienze bibliche, e con il susseguirsi delle diverse generazioni ho visto crollare tesi che sembravano incrollabili, dimostrandosi essere semplici ipotesi: la generazione liberale (Harnack, Jülicher ecc.), la generazione esistenzialista (Bultmann ecc.), la generazione marxista”. Fa un certo effetto ritrovare in un testamento spirituale, accanto ai ringraziamenti più belli a Dio e ai familiari e alle richieste più intime di perdono e di preghiera, la menzione di scuole esegetiche con tanto di nomi.

Ma fa ancora più effetto non ritrovare nessuna parola di apprezzamento per le scienze bibliche, contrariamente a quanto avvenuto per le scienze naturali. Di esse Ratzinger dice solo di aver visto crollare tesi, quasi che nulla sia rimasto in piedi del lavoro svolto, per cui non rimarrebbe altro che affidarsi alla lettura tradizionale della Bibbia promossa dalla Chiesa per riscoprire sempre “la ragionevolezza della fede” e che “Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita”. Le cose però non stanno per nulla così. Come le scienze naturali, anche le scienze bibliche hanno contribuito notevolmente ad approfondire e a purificare la fede mettendo in condizione di interpretare in modo adulto i testi biblici. Nel 2008, mentre papa Benedetto regnava, il cardinal Martini insigne studioso della Bibbia pubblicò un testo che fece scalpore, “Conversazioni notturne a Gerusalemme”, dove giunse a parlare di vere e proprie scuole bibliche per “rendere indipendenti i cristiani” perché, a suo avviso, “ogni cristiano che vive con la Bibbia dovrebbe trovare risposte personali alle domande fondamentali”. Trovare risposte personali. Per Martini infatti la Chiesa deve essere più “un contesto che procura stimoli e supporto, che non un magistero da cui il cristiano dipende”. La meta non è l’obbedienza alla Chiesa continuando a credere come si credeva nei secoli passati; è piuttosto la libertà della mente al fine di verificare in prima persona la “ragionevolezza della fede”, nel caso purificarla, vivendo così la vita autentica di chi è se stesso e non un portavoce di pensieri altrui.

La sfiducia di Ratzinger nei confronti delle scienze bibliche emerge in modo clamoroso nella sua opera su Gesù in tre volumi, dove per centinaia di pagine egli prescinde quasi totalmente dai secoli di esegesi scientifica sul testo dei Vangeli, evita le domande scomode e finisce per presentare una figura di Gesù ai limiti del devozionismo. E se questo è un problema che riguarda solo lui e la statura scientifica di questo suo lavoro, quello che invece riguarda tutti è il modo con cui egli da Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (carica mantenuta per 23 anni) esercitò il suo potere disciplinare contro quei biblisti e quei teologi che, come auspicava il cardinal Martini, pensavano in prima persona rielaborando la teologia. Mi riferisco alle decine e decine di teologi a cui venne tolta la cattedra, tra cui ricordo Leonardo Boff, José Maria Castillo, Charles Curran, Jacques Dupuis, Matthew Fox, Ion Sobrino e la condanna post mortem di Anthony De Mello. La teologia della liberazione venne perseguitata in tutte le sue forme e il vescovo martire Oscar Romero dovette attendere papa Francesco per essere elevato agli onori degli altari.

Come ho scritto all’inizio, il problema di Ratzinger è stato a mio avviso la paura. Lo si capisce dai verbi usati nel testamento spirituale tutti sulla difensiva. E dalla paura nasce l’aggressività. Egli è stato un uomo sinceramente devoto al suo Signore, il grande teologo francese Yves Congar nel suo diario del Concilio lo ricorda come “ragionevole, modesto, disinteressato, di buon animo”, e io credo che egli sia stato proprio così. Ma la paura è sempre una cattiva consigliera.

Vito Mancuso, La Stampa 3 gennaio 2023

 

Mio  commento

 

Ho condiviso questo pezzo di Mancuso perché l’ho profondamente apprezzato.

In particolare mi ha convinto la citazione del nome di Romero, la cui vicenda (associata a quella dell’avvocata Marianela Garcia Vilas di cui non si parla mai) seguo dal tempo della morte del vescovo di San Salvador

Ne ho scritto nel mio blog (che costituisce la mia memoria storica che non voglio perdere) e si può leggere con il link che trascrivo nella seconda parte del vecchio post

quella che inizia con il titolo

“Il ricordo di un’altra donna che mise la sua professione a disposizione dell’umanità”

https://diariealtro.it/?p=6386

6 Gennaio 2023Permalink

3 gennaio 1923 – Per cominciar l’anno con voce di donne

30 dicembre 2022  –  La stampa Marinella Perroni.  Il Dio bambino, ostaggio dei pagani

Mi stupisce che l’articolo di Michela Murgia apparso per Natale su La Stampa abbia creato tanto sconcerto: qualche giorno prima ho letto un articolo su Le Monde che è molto più radicale ed esplosivo di quello di Murgia e per il quale nessuno si è sentito di gridare allo scandalo. Né teologi si sono spesi per rassicurare che le schegge vaganti non minano il sistema che resta impavidamente sempre uguale a sé stesso.

Dopo teologi ben noti da tempo anche al grande pubblico ho deciso di intervenire nel dibattito perché mi sembra che l’attenzione sia stata catturata più dal sasso che dallo stagno. Lo faccio da biblista e teologa e non perché Murgia ne abbia bisogno e nemmeno per solidarietà tra donne, nonostante ne meriti tanta, visto che viene fatta oggetto di un odio sociale che ha pochi eguali: se Murgia fosse un maschio, sarebbe gratificata dall’appellativo di polemista, nobile mestiere anche all’interno della grande tradizione letteraria cristiana. Ma, non lo è.

E’ la compattezza di prospettiva da parte di teologi del calibro di Mancuso, Forte e Bianchi che mi ha fatto seriamente pensare. Innanzi tutto perché si sono espressi con autorevolezza, ma sembra non abbiano capito che l’intento di Murgia era quello di difenderci da un’omiletica natalizia che, nobilitando devozionalmente l’infantilismo, concorre a omologare il Natale-cristiano alla paccottiglia pagana o, nel migliore dei casi, ad allontanare i credenti dalla messa natalizia. Forse per noi donne è più facile percepirlo, visto che siamo costrette a stare sempre «al di qua», cioè lì dove la parola autorevole della predicazione deve essere solo ascoltata e mai può essere pronunciata. Lì dove, cioè, si è prese in ostaggio da un’omiletica in cui la retorica del Dio-bambino, quando non irrita, scoraggia.

Anche papa Francesco fa ricorso alla logica del Dio-bambino, ma almeno lo fa con la forza di una tradizione spirituale che rispetta l’esigenza etica dell’annuncio messianico: forse, vuole ben dire qualcosa che la sapienza liturgica della Chiesa ci invita a celebrare, il 26 dicembre, Stefano, primo martire cristiano, e il 28 i santi innocenti come prospettive assolutamente irrinunciabili per comprendere l’evento della nascita del Messia. Troppo fedele al Vangelo di Matteo e in contrapposizione all’irenismo di quello di Luca? Se così fosse, sarebbe bene che i predicatori lo spiegassero, no? È troppo chiedere che chi esercita l’alto ministero della predicazione studi un po’ prima di prendere la parola? Non bastano le chiese sempre più vuote?

Quanto mi sta più a cuore è, però, altro. Non possiamo far finta di non sapere che, dai quattro Vangeli che fin dall’antichità la Chiesa ha considerato canonici, come anche da Paolo, non viene riconosciuta alcuna rilevanza teologica agli avvenimenti della nascita di Gesù e ciò significa che appartengono al bagaglio della tradizione come valore aggiunto, importante, certo, ma sempre aggiunto. Della predicazione di Gesù e del racconto della sua passione, cioè dei fatti di Pasqua, non si può in nessun modo fare a meno, mentre tutto ciò che riguarda quanto può essere avvenuto prima del ministero pubblico di Gesù va capito come frutto dell’enorme sforzo da parte dei suoi seguaci di rendere ragione della fede nella sua risurrezione. In ogni momento culturale la trasmissione della fede cristiana ha messo alla prova la credibilità del suo annuncio. E i due cosiddetti «Vangeli dell’infanzia» di Matteo e Luca non vogliono raccontare fatti, ma tentare di tradurre in termini narrativi la potenza della dichiarazione giovannea «e il verbo si è fatto carne».

Gli storici sanno molto bene che il riferimento al censimento di Augusto ha per l’evangelista Luca ben altro valore che non quello di una notizia di cronaca. Come per Matteo, quanto fa di Gesù il figlio di David, cioè il Messia, è l’appartenenza di Giuseppe alla casa di David e non il fatto di essere nato a Betlemme. Il 25 dicembre, il freddo e il gelo, il bue e l’asino e tutto il resto, non sono nemmeno valore aggiunto, sono semplicemente aggiunte.

Il concetto di incarnazione va maneggiato con cura, e non richiede di storicizzare i singoli racconti contenuti nei Vangeli dell’infanzia, ma impone di rendere ragione del rapporto che sempre esiste tra storia e narrazione. Altrimenti non possiamo stupirci che gli adolescenti si allontanino da quanto hanno ricevuto durante il catechismo come hanno fatto nei confronti di Babbo Natale. Senza poi pensare che il delicatissimo e indispensabile sforzo di dialogo ebraico-cristiano richiede una coraggiosa revisione delle nostre convinzioni, come lo richiederebbero le acquisizioni in ambito biblico che non possono più consentire troppo facili espropri dall’Antico Testamento. Il ricorso ai bisogni della religiosità popolare, poi, è a volte perfino offensivo. I Vangeli dell’infanzia di Matteo e Luca sono, infatti, il risultato di una raffinatissima tessitura che si realizza sulla sottile linea di confine tra teologia e letteratura che il popolo ha capito sempre prima e meglio delle tante formule astratte che ha dovuto accettare di mandare a memoria.

La drammatica situazione attuale fuori e dentro le chiese è un monito: oggi la fede richiede intelligenza critica. E posso assicurare che la ricezione delle parole di Michela Murgia da parte anche di molte comunità cristiane è stata quanto mai positiva. Perché pensare può significare uscire dal sistema, ma mai attentare alla fede.

Marinella Perroni “Il Dio bambino ostaggio dei pagani” (alzogliocchiversoilcielo.com)

 

23  dicembre – Cosa ha detto Michela Murgia  –  solo audio

https://www.lastampa.it/audio/audioarticoli/2022/12/23/audio/i_cattolici_amano_un_dio_bambino_perche_rifiutano_la_complessita-12430568/

 

4 agosto 2022 _  Marinella Perroni “Lo sproposito di dottorar le donne

È stato davvero un piacere leggere nei giorni scorsi su SettimanaNews, il portale dei Dehoniani, un bellissimo pezzo di Anita Prati dal titolo Lo sproposito di dottorar le donne. Con malcelata ironia, Prati contrappone l’accesso delle donne agli studi accademici, una realtà di fatto che – sia pure a fatica se solo si pensa che ha avuto inizio nel Seicento – si va
comunque imponendo, a una  ferma convinzione del santo cardinale Gregorio Barbarigo. Al centro dell’interesse di Anita Prati c’è Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, intellettuale veneziana e oblata benedettina. La sua vicenda è ben conosciuta soprattutto dalle teologhe per il suo carattere rivoluzionario prima ancora che per il suo valore esemplare: a Elena Lucrezia i notabili del Sacro Collegio dell’Università di Padova, il 25 giugno 1678, attribuiscono il titolo di magistra et doctrix in philosophia e le consegnano le insegne del dottorato. La prima al mondo. Non però – come avrebbe voluto – in teologia: quando, per volere del padre di Elena, venne fatta richiesta all’Università di Padova di riconoscerle la laurea in teologia, la reazione del vescovo Barbarigo fu senza appello: «È uno sproposito dottorar una donna, ci renderebbe ridicoli a tutto il mondo».

A lui, come a tanti altri come lui, la storia non ha dato né darà ragione. Con buona pace della misoginia, ecclesiastica e non solo, ancora imperante.

Una nuova memoria collettiva: la materia c’è…. 

C’è voluto del tempo però, e – come Anita Prati mette in risalto con grande finezza – è stata necessaria la convergenza tra la filantropia di Mary Clark Thompson, che nel 1906 dona alla  Biblioteca del Vassar College di Poughkeepsie una vetrata nella quale è raffigurata la scena del conferimento del dottorato, l’acume della badessa benedettina Mechtild Pynsent, che a fine ’800 pubblica una sua biografia in lingua inglese e, soprattutto, l’impegno appassionato di Ruth Crawford, che all’inizio del ’900 restituisce alla vicenda umana e intellettuale di Elena Cornaro spessore storico sullo sfondo del protagonismo femminile nel Seicento veneziano.

Un filo memoriale della sua riscoperta, dunque, che si snoda lungo secoli e senza il quale la storia di questa donna si sarebbe andata a perdere nel silenzio «come è accaduto per infinite altre storie di donne». Perché non i fatti tessono la storia, ma la memoria. Il filo memoriale va però intessuto nell’ordito di una memoria collettiva che conferisce consapevolezza identitaria a qualsiasi gruppo umano.

In molte ci siamo fatte carico dell’entusiasmante fatica della memoria, sempre più convinte che la storia delle donne non può che essere la ricostruzione di un’immensa mappa genealogica. Per noi teologhe cristiane, poi, questo ha significato recuperare gli infiniti reperti di protagonismo femminile presenti nella Bibbia e portarli alla luce nella loro autenticità, liberarli cioè dalle scorie secolari di un’interpretazione sessista o, per dirlo con la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, dal pericolo di un’unica storia, quella maschile.

… eppure non passa

Un lavoro arduo, sempre scandito da una domanda martellante: perché non passa? Perché il filo memoriale delle donne bibliche che abbiamo ricostruito non ce la fa a diventare patrimonio comune delle nostre Chiese nelle quali domina ancora un’interpretazione dei testi biblici del tutto funzionale al mantenimento di un sistema fondato sulla gerarchia dei sessi?

Anita Prati ha ragione quando ricorda che l’arco di tempo che ha visto le donne impegnate a sanare gli spaventosi vuoti di memoria che riguardano la loro storia è ancora molto breve, e cita le parole con cui, nel 1622, Marie de Gournay stigmatizza le conseguenze di una cultura fondata sulla gerarchia dei sessi:«Beato te lettore, se non appartieni al sesso cui tutti i beni sono vietati, con la privazione della libertà, nell’intento di costituirgli come sola felicità, come virtù sovrane e uniche: l’essere ignorante, fare la sciocca e servire».

È vero che la lunga esperienza cristiana è saldamente radicata nella persona e nel messaggio di colui che è venuto “non per farsi servire, ma per servire” (Mc 10,45) e che ha posto il servizio come regola aurea della vita della sua comunità discepolare (Gv 13,12-17).

Si tratta però del servizio, non dell’asservimento a cui sono state sottoposte le donne, prigioniere dei molti servizi, ma private di ogni forma di diaconia ecclesiale pubblicamente riconosciuta. Anche, e soprattutto, la diaconia dell’intelligenza della fede e della potenza della sua trasmissione. Evocando Barbarigo potremmo dire che ci sono ancora tanti “santi” uomini che considerano uno sproposito “dottorar le donne”.

E ancora “la donna accoglie, l’uomo orienta”

La domanda continua a martellare: come è possibile che, ancora oggi, nel recente documento della Cei che viene consegnato alle Chiese locali per orientare il secondo anno del Cammino sinodale, dal titolo I cantieri di Betania, si ratificano e si veicolano dolorosi stereotipi che, oltre tutto, alterano seriamente la comprensione del racconto evangelico della visita di Gesù alle sorelle di Betania?

Viene fatto di sfuggita, in sordina, ma, forse, è inquietante proprio questa assenza di consapevolezza.

In tutto il documento si fa riferimento al testo di Luca in termini metaforici e, insieme, esemplari, e l’attribuzione di significati prende sempre più le distanze dal senso proprio del racconto evangelico. Nel paragrafo “Il cantiere dell’ospitalità e della casa” l’accento cade sulla necessità, anche da parte di Gesù stesso, di una famiglia per sentirsi amato e sul fatto che, nei primi secoli, «l’esperienza cristiana ha una forma domestica». Fin qui, forse, poco da obbiettare.

Ma perché poi, quando si delineano i caratteri della chiesa domestica, si afferma che in essa la comunità vive «una maternità accogliente e una paternità che orienta»? Senza rendersi conto che questa considerazione apre in realtà uno squarcio sugli stereotipi di genere che pesano come un macigno sulle nostre Chiese e «voce dal sen fuggita poi richiamar non vale» (Metastasio).

La strada da percorrere è ancora lunga e, forse, per ora c’è solo da sperare che un numero crescente di padri (e di madri) orientino le figlie allo studio, senza paura di “dottorar le donne”. La rivoluzione, infatti, è un’onda che viene da molto lontano

https://www.alzogliocchiversoilcielo.com/2022/08/marinella-perroni-lo-sproposito-di.html

 

 

3 Gennaio 2023Permalink

31 dicembre 2022. Cerco di poter sperare nel nuovo anno

Fine anno  con sgomento, senza trascurare un’attenzione positiva

Il 31 gennaio ho cercato di mitigare il mio scoraggiamento cercando esperienze positive. Le ho trovate e le elencherò
E’ chiaro che non si tratta di recuperare le ‘opere buone’ che ci sono e vedono l’impegno di molti ma di identificare atteggiamenti importanti per affrontare il problema per me politicamente essenziale del rispetto del principio della universalità  del diritto ad esistere che si manifesta con la certezza dell’iscrizione di ogni nato  in Italia nei registri di stato civile.
Il principio è stato ferocemente violato nel 2009, escludendo dalla certezza dell’esistenza giuridicamente riconosciuta i figli dei migranti non comunitari irregolari.
Ho tentato disperatamente di sostenere  questo problema in regione , identificando  nell’impegno per la modifica della legge l’unica soluzione che ci consente di uscire dalla vergogna di una norma  che, mentre  devasta la vita delle vittime,  fa di noi cittadini capaci, nel silenzio,  di accettare un principio razzista, riportandoci a una cultura  dell’indifferenza condivisa che, nel 1938, fu la base dell’orrore condiviso.
E’ mio convincimento che questo verme maligno introdotto dall’esistenza di una legge di fatto negazionista ci obblighi almeno , per rispetto di noi stessi , a dire no.
I miei contatti  con l’associazionismo in regione (associazionismo registrato e organizzazioni non registrate) sono stati irrimediabilmente deludenti: il no alla legge negazionista non è stato pronunciato con chiarezza fatta eccezione della posizione presa dal consigliere regionale Furio Honsell , di cui ho scritto ieri e di cui riporto ancora il link
https://www.consiglio.regione.fvg.it/pagineinterne/Portale/IterLeggi/IterLeggiDettaglio.aspx?Leg=5&ID=19-m17

Altri segni positivi  per augurare buon anno

Alla proposta di legge Honsell (che invito ad esaminare con il link che ho trascritto) aggiungo, riprendendoli come pubblicati nel  mio blog diariealtro.it,  segni positivi

20 dicembre 2022

20 dicembre 2022 – Le conclusioni della commissione Segre vanno rese operative

27  dicembre  2022.  Copia del documento “Costituzione quanti anni veramente hai?” , pubblicato da Noemi Di Segni, presidente della Unione delle Comunità ebraiche italiane

27 dicembre 2022. Conferimento della cittadinanza italiana che il sindaco di Caorle ha consegnato al  medico dott. Florin Nganso  Fenjiep.
L’intervento del medico era stato rifiutato da un cittadino italiano  per motivazioni di tipo razzista.

29 dicembre 2022. Testimonianza di Zakia Seddiki, una donna di statura eccezionale, vedova dell’ambasciatore Luca Attanasio, ucciso in Africa nell’esercizio del suo lavoro

31 Dicembre 2022Permalink

29 dicembre 2022 – Zakia Seddiki, moglie di un ambasciatore

Il 22 febbraio 2021 fu ucciso Luca Attanasio, ambasciatore  italiano in Congo.
Con lui morì il carabiniere Vittorio Iacovacci che l’accompagnava.
Tanto avvenne in un tentativo di rapimento presso il villaggio  Kibumba.

Il 27 dicembre scorso la moglie Zakia Seddiki – che insieme a lui , nell’ottobre 2020, aveva ricevuto il premio Internazionale Nassiriya per la Pace –
ha concesso una intervista,  firmata da Niccolò Carratelli,  a La Stampa.

Ne ricopio  il testo

«Luca ave va la forza di unire le persone e sta continuando a farlo».
Zakia Seddiki cerca  invano di non commuoversi ,  mentre davanti agli ambasciatori italiani riuniti alla Farnesina ricorda il marito,  «uno di voi», ucciso a 43 anni in un agguato in Congo, nel febbraio 2021.
Nel nome di Luca Attanasio sono state attivate 40 borse di studio per altrettanti giovani in 12 diversi paesi, quasi tutti africani:  dal Congo al Niger, dalla Somalia all’Etiopia.  Un progetto della fondazione Mama Sofia, di cui  Seddiki è presidente , in collaborazione con l’Università telematica eCampus e lo stesso ministero degli esteri. I ragazzi saranno individuati dalle nostre ambasciate attraverso dei bandi specifici , poi frequenteranno corsi di lingua italiana  per prepararsi a seguire quelli  universitari veri e propri.
«Luca amava ripetere che essere ambasciatori è una missione  – ricorda Zakia di fronte ai colleghi del diplomatico –  significa non lasciare indietro nessuno in qualsiasi parte del mondo».
A lei, invece, Attanasio ha lasciato tre bellissime bambine (la più grande ha 5 anni, le due gemelline quasi 4): «Le cresco pensando a lui , ai valori che condividevamo, e in loro rivedo il suo amore ».
Cosa significa per lei presentare questa iniziativa alla Farnesina?
«Mi commuove riuscire a fare qualcosa di concreto insieme a tutti questi colleghi di Luca, condividere questo impegno con loro, che fanno lo stesso lavoro e sanno cosa significa.  Luca era una persona concreta, voleva aiutare gli altri in modo tangibile  ed è bello dare continuità alle sue idee con questo progetto».
E’ un progetto di cui avevate parlato fra voi?
«Con Luca  abbiamo  vissuto la realtà  delle scuole e del sistema di istruzione  in alcuni Paesi e abbiamo capito che l’unico modo per cambiare davvero il futuro di quei ragazzi è puntare all’educazione: farli studiare perché possano prendere in mano la loro vita.  E’ uno dei tre obiettivi per cui è nata la nostra   fondazione  Mama Sofia, gli altri sono le cure sanitarie  e l’accesso all’acqua potabile».
Perseguire questi obiettivi è un modo per sentire Luca ancora vicino?
«Per quello ci sono le nostre figlie, mi basta guardare loro per  sentire che lui c’è. Ma  per me è molto importante  continuare la strada intrapresa insieme, provare a realizzare alcune nostre idee. E’ anche un modo per  cercare di calmare il dolore che mi accompagna tutti i giorni ».
Sono passati quasi due anni da quel tragico giorno di febbraio, ma forse a voi sembra ieri…
«E’  così,  è  ancora  molto complicato per noi, la ferita è fresca e fa male. Le bambine chiedono sempre del loro papà, lo ricordiamo tutti i giorni. La verità è che non riusciamo ad accettare quello  che è successo ».
Come riesce a crescere le vostre tre figlie da sola, senza il papà?
«Ancora più dei progetti della fondazione , la famiglia che abbiamo costruito rappresenta la continuità della vita con lui. Il mio primo pensiero è essere una buona madre, cerco di essere presente e per fortuna ho la mia di mamma che mi aiuta. Voglio  far crescere le bambine  secondo i valori che io e Luca condividevamo: la pace, l’umanità, il rispetto dei diritti umani.  Così sento di onorare la memoria anche di Luca, di dare loro anche il suo amore ».
Lei ha chiesto in più occasioni verità e giustizia. C’è un processo in corso a Kinshasa, ma il rischio è che ne esca una verità di comodo. Cosa spera?
«A chiedere verità e giustizia non siamo solo noi familiari , ma un intero paese. L’Italia quel giorno ha perso due suoi figli , l’ambasciatore Luca Attanasio e il carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci che voglio ricordare in questo momento. Ecco, visto che Luca era un uomo delle istituzioni , io posso solo dire che mi fido delle istituzioni italiane e spero che tutti si impegneranno per arrivare a una verità vera  e all’accertamento delle responsabilità ».
Due anni dopo, cosa resta di Luca Attanasio?
«Luca può essere un esempio per i giovani, a loro dobbiamo trasmettere la memoria di quello che ha fatto nella sua vita, il suo messaggio di umanità. Con Mama Sofia proviamo a onorarlo realizzando i suoi profetti . Mi diceva sempre che era orgoglioso di me  per il mio impegno nella fondazione. Ho bisogno di pensare che Luca sia sempre orgoglioso di me, ovunque si trovi , e per questo non mi fermo ».

29 Dicembre 2022Permalink

27 dicembre 1947 _ Una data intrigante 2

 

Un articolo che non voglio perdere: L’autrice è  la  presiedente dell’Unione delle Comunità  Ebraiche Italiane  

 

 Costituzione quanti anni veramente hai? 75 anni fa veniva promulgata la nostra Costituzione dall’allora Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, pubblicata sempre il 27 dicembre nella Gazzetta di edizione straordinaria n. 298. Evidente che l’Assemblea costituente, presieduta da Umberto Terracini, affrontava l’ardua sfida di proporre – all’indomani della devastazione italiana e della guerra mondiale – un articolato impianto che potesse restituire all’Italia dignità di nazione e di popolo.

Come cittadina e come presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane desidero offrire una riflessione sul significato di questa sfida per il domani dei nostri figli e dell’Italia nel suo insieme. Un domani che è impossibile scegliere e assicurare se non si fa chiarezza sul passato e sul significato che oggi continuano ad avere le norme nel loro insieme, sul concetto di memoria collettiva, sostanzialità dei diritti e principio di legalità.

Quello che traspare dalla Costituzione è un insieme di valori che oggi ci appaiono “ovvi” e irrinunciabili. Per me gli enunciati e le disposizioni prescrittive non sono solo una rivendicazione scritta con la penna sanguinante del Dopoguerra, ma sono la traccia del millenario pensiero ebraico, di fondamenti biblici che si rivolgono tanto al singolo cittadino quanto a chi governa, al magistrato come al reo, al datore di lavoro quanto al contribuente, al genitore e all’educatore, a chi è chiamato a difendere confini e di monito a chi progetta massacri.

Tracce di sapere antico e condiviso nei secoli che nell’alternanza tra sovranità, persecuzione e isolamento ha tramandato l’imperativo della memoria che assicura tutela allo straniero, cura degli emarginati e rispetto ai disabili, che responsabilizza l’uomo per la cura dell’ambiente e il bene anche degli animali. Queste palpitazioni di pensiero ebraico leggo nella Carta costituzionale che proprio per questo mi sta così a cuore e l’ovvietà non può tradursi nell’indifferenza o nella selettività dei moniti e delle responsabilità.

Nell’anniversario dei 75 anni dalla promulgazione di quel testo che respiriamo e consideriamo alla base del nostro sistema di vita privata e pubblica ci dobbiamo interrogare su cosa è maturato e consolidato, cosa invece è ancora inafferrato o mal proposto. Anzitutto in merito al principio di legalità e il perimetro di quella sovranità che il popolo è chiamato ad esercitare nei limiti della Costituzione.

Legalità oggi, con riferimento alle libertà costituzionali, significa l’uso e non l’abuso della norma costituzionale, avendo ben chiara la genesi di queste disposizioni. Libertà di parola, di manifestazione, di stampa, di associazione sono la risposta al totalitarismo e al fascismo che ha soffocato l’Italia. Non sono libertà riacquistate per assegnare oggi presidi di potere sconfinato e strumento per diffondere odio e discriminazione, distorsione della verità e falsi nemici.

Se eguaglianza e libertà furono negate 85 anni fa ai cittadini italiani di religione ebraica con la decretazione d’urgenza e la persecuzione legalizzata va chiarito che questo è stato solo l’apice delle nefandezze del regime fascista.

La condanna delle leggi razziali come male assoluto che abbiamo ascoltato in questi giorni con grande attenzione non può essere selettiva e avulsa dalla considerazione di ciò che il regime fascista ha compiuto nell’intero ventennio e dal primo giorno in cui gli furono affidati i “pieni poteri”.

La condanna che attendo di ascoltare – se di legalità e di principi costituzionali si vuole vivere e governare – è del fascismo nel suo insieme fino alla sua formale caduta, così come di chi ne ha cercato la disperata sopravvivenza: prima con la Repubblica di Salò, poi nelle nicchie dell’amnistia concessa nel ’46, che non ha solo impedito ai responsabili di crimini fascisti (che oggi definiremmo con la medesima ovvietà crimini contro l’umanità) di non essere chiamati a processo, ma anche consentito ad autorevoli personaggi di primo piano del regime fascista di riciclarsi nel sistema democratico, raggiungendo in alcuni casi ruoli apicali di primissimo piano istituzionale.

La condanna che attendo è quella di un regime – con il suo Duce, i suoi motti propagandistici, le sue opere glorificanti e simboli – al quale oggi in molti – singoli e aggregati di vario genere – esprimono nostalgia e desiderio di ritorno, dimenticando che quel male eccentrico ha devastato non solo dal ’38 in poi quell’1 per mille di cittadini ebrei, ma l’intero popolo italiano, con le stragi nazi-fasciste le cui tonnellate di fascicoli secretati, ancora oggi, dopo 75 anni restano in attesa di risposte.

Anche gli storici e i giuristi esperti offriranno oggi una significativa lettura di questo anniversario che si accosta all’avvio di un anno che sarà scandito da anniversari, eventi e cerimonie in nome di una Memoria collettiva. La mia vuole essere una semplice riflessione sull’origine dei valori che tutti siamo chiamati a difendere e un accorato invito alla coerenza.

Noemi di Segni è Presidente UCEI Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

fonti: la repubblica    La Repubblica martedì 27 dicembre

“Responsabilità istituzionale e coerenza costituzionale impongono la rinuncia a ogni sentimento nostalgico” – Moked

Il blog di Pierluigi Piccini

 

28 Dicembre 2022Permalink

24 dicembre 2022 – Un neonato al gelo _ abbandonarlo è scelta responsabile!!??

Copio questa notizia da Il Giorno .
A fianco del titolo leggo
Annamaria Lazzari  Cronaca

Milano, bebè lasciato in ospedale: “10 giorni per riconoscerlo. Non resisterebbe al gelo”

La decisione sofferta dei genitori, che ora vivono in una tenda nella stazione di San Donato Il procuratore Cascone: “Scelta responsabile ma resta l’amarezza per la loro situazione”

Se una madre partorisce ha dieci giorni di tempo per effettuare il riconoscimento del neonato. Se non lo fa, il parto diventa in anonimato e si apre automaticamente un procedimento di adottabilità”. A chiarirlo è Ciro Cascone, procuratore capo del Tribunale per i minorenni di Milano, commentando la vicenda di Sabrina.

La ragazza, 23 anni ed originaria di Cagliari, vive sulla strada col compagno Michael, 29 anni. Di fronte agli operatori del Cisom mercoledì notte ha raccontato di aver partorito il 2 dicembre all’ospedale di Melegnano ma nella sua fragilissima condizione non ha potuto tenere con sé il bambino nato prematuro. “Mi hanno dato dieci giorni di tempo per riconoscere mio figlio. Ma come farebbe a sopravvivere con me al gelo?” ha affermato la ragazza, finita a dormire sotto una tenda raffazzonata nella stazione di San Donato.

Un approdo disperato dopo un’odissea che ha portato la coppia prima in Germania (dove il ragazzo faceva il pizzaiolo, prima di perdere il lavoro) e poi ad Amsterdam e a Chiasso. Sono arrivati ad aprile a Milano ma sono privi di documenti. Di dormitorio non ne vogliono sentire parlare per non essere separati. “Abbiamo dormito con meno 19 gradi in Germania, al gelo, riusciremo a resistere a Milano” ha spiegato il compagno.

Sabrina ha problemi di salute. “I genitori in queste condizioni disagiate non sarebbero stati in grado di tenere con sé il bambino e credo che la loro scelta sia stata in qualche maniera la più responsabile. Rimane l’amarezza per la situazione di emarginazione dei giovani genitori. Non sarà purtroppo il primo né l’ultimo caso di ragazzi che si perdono senza che nessuno faccia niente per accompagnarli verso un progetto di vita accettabile” commenta il procuratore.

Milano – La marginalità sociale ha anche il volto giovanissimo di Sabrina. Una lunga odissea l’ha portata dalla natìa Cagliari a una città imprecisata della Germania, poi in Olanda e in Svizzera fino ad arrivare a Milano lo scorso aprile. C’è di più nella sua storia straziante: Sabrina il 2 dicembre è diventata madre. Ha partorito all’ospedale di Melegnano ma nella sua fragilissima condizione non ha potuto tenere con sé il bambino nato prematuro. “Mi hanno dato dieci giorni di tempo per reclamare mio figlio al Tribunale dei Minori. Ma come farebbe a sopravvivere con me al gelo?”, sospira la ragazza 23enne che vive sotto una tenda raffazzonata creata con un ombrello e delle coperte in una banchina esterna nella stazione di San Donato Milanese. “Erano tre anni che non avevo il ciclo, mi sono accorta che ero incinta quando era troppo tardi e non era possibile neppure abortire”.

Il compagno

Non è da sola. Con lei c’è Michael che di anni ne ha 29: “Dormitorio? Non se ne parla. Ci separerebbero. Io non potrei vivere senza di lei e lei da sola soffrirebbe di attacchi di panico e depressione. Abbiamo dormito con meno 19 gradi in Germania, al gelo in strada, riusciremo a resistere a Milano”, assicura con un velo di tristezza sul volto il ragazzo, mentre i volontari Cisom distribuiscono del tè caldo, panettoncini, coperte.

“Il lavoro? Facevo il pizzaiolo in Germania poi dopo il Covid ho perso l’occupazione e non l’ho più ritrovato. Dalla Germania ci hanno dato il foglio di via. Siamo andati ad Amsterdam e poi a Chiasso ma ci hanno cacciato anche da lì e siamo arrivati a Milano. Per un po’ abbiamo dormito in centro e da poche settimane siamo arrivati qui a San Donato Milanese”, racconta Michael. “Non abbiamo i documenti.

Dovremo tornare a Cagliari per rifarli ma non ci possiamo permettere il viaggio andata e ritorno. In Sardegna non vogliamo peraltro tornare a vivere: è un binario morto, non c’è lavoro e nessuno ti dà una mano”.

Sabrina soffre di perdite anomale di sangue dopo il parto e teme di aver contratto un’infezione, per questo le volontarie le danno un kit di igiene e degli assorbenti. Lorenzo Farini Quartara, responsabile dell’attività socio-assistenziale del Cisom Milano, fa di più: organizza un appuntamento alla clinica Mangiagalli per il giorno successivo telefonando a un medico amico anche se è mezzanotte passata. “Vi aspettano per domani, non servono i documenti” dice prima di accomiatarsi. “Ci andremo” promettono Michael e Sabrina. E speriamo che sia davvero così.

Parole mie che scrivo a stento
Non c’è una parola sul diritto del nato a una famiglia
Per i  nati in Italia figli di sans papier  la famiglia non c’è perché possono non essere registrati all’anagrafe, per il piccolo nato a Melegnano la famiglia non c’è perché fa freddo  .
In entrambi i casi la situazione è affrontata senza che emerga un protagonismo del nato sia fantasma, se figlio di non comunitari senza permesso di soggiorno, sia corpo reale ma figlio di coppia con problemi sociali gravi.
Vorrei che qualcuno mi dicesse c he questa notizia è inventata mentre so che l’altra  è vera ma affondata nel silenzio voluto dal disinteresse.

 

 

24 Dicembre 2022Permalink

20 dicembre 2022 – LE CONCLUSIONI DELLA COMMISSIONE SEGRE VANNO RESE OPERATIVE

E’ uscito il  n. 270  del periodico  Ho un sogno (reperibile alla libreria CLUF di via Gemona 22) . Vive da 31 anni ed  è l’unica fonte di informazione per alcune notizie ignorate .
Questo numero porta due miei articoli,  Comincio dal primo che non sfugge alla mia costante attenzione ai ‘bambini fantasma’.
Naturalmente in HUS 270 c’è anche molto altro

Era il 6 giugno 2018 e Liliana Segre, che il presidente Mattarella il 19 gennaio aveva nominato senatrice a vita “per aver illustrato la Patria con altissimi metriti nel campo sociale”, si presentava al Senato con il suo primo discorso.
Se qualcuno avesse pensato a una meritatissima onorificenza per una vecchia grande signora si sarebbe sbagliato: il Senato si assicurava la presenza di una donna lucida e attiva, con una forte capacità comunicativa, a molti sgradita, tanto da scatenare minacce e indurre il Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza ad assegnarle una scorta. In risposta, la senatrice Segre propose come suo primo atto legislativo l’istituzione di una Commissione parlamentare di indirizzo e controllo sui fenomeni d’intolleranza, razzismo e antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza. «Tale Commissione – aveva dichiarato – potrà svolgere una funzione importante: è un segnale che come classe politica rivolgiamo al Paese, un segnale di moralità, ma anche di attenzione democratica verso fenomeni che rischiano di degenerare»..
Dopo un percorso non facile, che la vide sempre presente, il 27 giugno 2022 la senatrice Segre presentò la relazione conclusiva dell’ampio lavoro votato all’unanimità.
Contemporaneamente le Nazioni Unite decidevano di promuovere la Giornata Internazionale contro i discorsi d’odio che si celebrerà ogni 18 giugno.

Non è possibile sintetizzare i temi che emergono da quel documento ricchissimo di riferimenti ma, come Ho un sogno, ne vogliamo segnalare uno connesso al lavoro di informazione che, con i nostri mezzi, abbiamo  sostenuto per anni.
Dal 2009, ci sono bambini che nascono in Italia cui è negata l’iscrizione nei registri di  stato civile, destinati a restare senza identità. Se il Parlamento prenderà atto del documento Segre come uno strumento vivo e operativo quale si propone, non potrà sottrarsi al dovere di cambiare la legge del 2009 riconoscendo che, al momento di registrare la nascita di un figlio in Italia, a nessuno può venir chiesto il permesso di soggiorno. La burocrazia può essere feroce nella sua apparente insignificanza e, nel caso specifico, farsi creatrice di bambini invisibili persino ai coetanei.
Il 13 ottobre 2022, Liliana Segre, Presidente del Senato, lo ha ricordato ancora imponendoci la sua immagine di bambina di otto anni, cacciata da scuola perché ebrea e, infine, “bersaglio d’odio”, identificata con un codice numerico tatuato sul braccio.
«In questo mese di ottobre nel quale cade il centenario della Marcia su  Roma, che dette inizio alla dittatura fascista, tocca proprio ad una come me assumere momentaneamente la presidenza di questo tempio della democrazia che è il Senato della Repubblica. Ed il valore simbolico di questa circostanza casuale si amplifica  nella mia mente perché ai miei tempi la scuola iniziava in ottobre; ed è impossibile per me non provare una  sorta di vertigine ricordando che quella stessa bambina che in un giorno come questo del 1938, sconsolata e smarrita, fu costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il suo banco delle scuole elementari, oggi si trova  per uno strano destino addirittura sul banco più prestigioso del Senato!».

Augusta De Piero

Qui aggiungo per eventuali approfondimenti e verifiche

Per conoscere il testo integrale e la presentazione del documento della commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione alla violenza

https://reasonproject.eu/commissione-segre-la-relazione-conclusiva/

Legislatura 18ª – Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza – Resoconto sommario n. 54 del 22/06/2022 (senato.it)

Per conoscere il testo integrale  anche in video del discorso Segre  del 13 ottobre

Senato, il discorso della senatrice a vita Liliana Segre – integrale – YouTube

Il discorso integrale di Liliana Segre: nel tempio della democrazia a 100 anni dalla marcia su Roma (rainews.it)

20 Dicembre 2022Permalink

30 novembre 2022 – Le parole sono importanti anche nell’autobiografia della presidente del consiglio

Memorie carsiche nell’autobiografia di Giorgia Meloni

Maria Rosa Zerega

Giorgia Meloni, Io sono Giorgia. Le mie radici, le mie idee, Rizzoli 2021
Copio da Nota-m 22 novembre 2022

 

Non ho intenzione di fare una recensione dell’autobiografia della Meloni, un saggio naturalmente di grande successo a lungo nelle parti alte delle classifiche dei libri più venduti con recensioni numerose in internet. Propongo un commento a margine e soprattutto un raffronto fra il racconto che l’autrice fa di sé stessa e il sotto testo che racchiude storia politica, ideologia, agito e vissuto non esplicitati, ma affioranti come appunto un fenomeno carsico. Un testo abilmente autocelebrativo, interessante per comprendere i riferimenti politici e ideali del capo del governo. Innanzi tutto chiariamoci quale sia stato il tessuto politico e ideologico in cui Giorgia Meloni si è formata. Nasce nel 1977 ed entra giovanissima – 15 anni – nel Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Movimento sociale italiano-Destra nazionale, il partito che discende direttamente dal fascismo repubblicano ispirato ai principi della Carta di Verona, il manifesto ideologico della Repubblica sociale italiana. Quando nel ’95 Alleanza Nazionale succede al MSI, Meloni diventa responsabile nazionale di Azione Studentesca, il movimento degli studenti di estrema destra. Nel ’96, con la svolta di Fiuggi, AN si riconosce nella destra occidentale di stampo conservatore e liberale abbandonando i riferimenti al fascismo storico, mentre nel 2012 Giorgia Meloni, Ignazio La Russa Guido e Crosetto fonderanno il nuovo movimento Fratelli d’Italia dichiarato prosecutore di AN, ma in realtà ispirato alla tradizione del MSI, che attinge allo squadrismo, corporativo e antisemita. In seguito l’antisemitismo verrà rimosso. Presente sia nella Repubblica di Salò sia nel MSI è l’ossessione per il tradimento – famoso lo slogan «boia chi molla» – : gli italiani hanno tradito gli alleati nazisti, quindi bisogna fare sempre attenzione… E tradimento è una parola chiave ricorrente nel sotto testo della Meloni. Questa traiettoria parte da Salò-Verona e non ha mai subito fratture. Le tre generazioni MSI hanno continuato a richiamarsi al fascismo, ancorandosi al passato, anche con manifestazioni che ne riprendono la ritualità. Anche quando sono entrati in Parlamento, accettando formalmente le regole democratiche e tagliando le frange estremiste, non hanno rinnegato l’ideologia che riconosce la dimensione eroica di chi combatte per la patria. Nell’autobiografia Giorgia Meloni non fa cenno alle sue radici ideologiche, ma nel racconto emerge la paura del tradimento, la dimensione eroica («Io sono una guerriera»), il patriottismo racchiuso nella formula fascista «Dio, Patria, Famiglia», che Giorgia spaccia per motto mazziniano. Non nomina mai la parola stato o paese, sempre patria, raramente nazione. La patria è il luogo che coinvolge il cuore, la sede di ogni nazionalismo. All’internazionalismo viene opposto il nazionalismo. Io sono una donna, è diventato un brand, poi anche io sono una madre, io sono una cristiana. Da un lato si assiste a uno svelamento femminile. Racconta la sua vita, i rapporti familiari, l’assenza del padre, gli studi, le difficoltà economiche… Il suo cristianesimo è un afflato eroico, patriottico, nazionalista. L’etica cristiana è a difesa della famiglia. Il fascismo è sotteso, mai nominato. Parla di idea. L’idea fondamentale è l’identità nazionale, da conservare e difendere. Difendere dall’emigrazione che porta a un miscuglio di culture, a una contaminazione, difendere dagli attacchi alla famiglia, dal gender, dall’aborto. Eroi di questa cultura sono i morti di destra degli anni ’70. La sinistra è invece giudicata apolide, sradicata e ha prodotto una cultura della morte. Una battaglia cristiana è quella contro questa cultura. Le radici cristiane ed europee vanno ricercate nell’antichità classica di Atene, Roma e Costantinopoli, mentre nega ogni valore alla rivoluzione francese e all’illuminismo. Esempio di eroe europeo è Leonida, il re di Sparta che nel 480 aC morì con i suoi uomini al passo delle Termopili, opponendo un’eroica resistenza all’invasione dei persiani. Non vengono mai nominati interi periodi storici come fascismo, seconda guerra mondiale e resistenza, mentre i periodi a cui guardare ed ispirarsi sono: – Risorgimento; – prima guerra mondiale; – El Alamein (località egiziana in cui fra il 23 ottobre e il 9 novembre 1942 fu combattuta una delle principali battaglie della seconda guerra mondiale che assicurò agli alleati il controllo del Mediterraneo. Il nome è celebrato come simbolo del valore militare italiano per l’eroica resistenza del battaglione Folgore a cui, dopo la sconfitta, fu reso l’onore delle armi); – Fabrizio Quattrocchi (medaglia d’oro al valor civile alla memoria. Soldato mercenario italiano ucciso durante la guerra in Iraq e salutato come esempio di coraggio nazionalista). Il 9 novembre è considerata da Giorgia Meloni festa fondante per l’Europa, ma in modo restrittivo, prendendo in considerazione solo la caduta del muro di Berlino e la liberazione dell’Europa dal comunismo e tacendo sulla notte dei cristalli. In effetti il 9 novembre è stato proclamato dalle Nazioni Unite Giornata mondiale contro il fascismo e l’antisemitismo, perché il 9 novembre 1938 iniziarono i pogrom nazisti contro gli Ebrei. Festa fondante per l’Italia è considerato il 17 marzo, proclamazione del regno d’Italia. Si rimane sempre in ambito risorgimentale. Non dichiarato, ma sottinteso e suggerito è che questa data potrebbe sostituire il 25 aprile, come festa nazionale. Mentore e ispiratore di Giorgia Meloni è il filosofo inglese Roger Scruton (1944-2020), ideologo del tradizionalismo conservatore.

fonte: WWW.notam.it

 

30 Novembre 2022Permalink