31 dicembre 2022. Cerco di poter sperare nel nuovo anno

Fine anno  con sgomento, senza trascurare un’attenzione positiva

Il 31 gennaio ho cercato di mitigare il mio scoraggiamento cercando esperienze positive. Le ho trovate e le elencherò
E’ chiaro che non si tratta di recuperare le ‘opere buone’ che ci sono e vedono l’impegno di molti ma di identificare atteggiamenti importanti per affrontare il problema per me politicamente essenziale del rispetto del principio della universalità  del diritto ad esistere che si manifesta con la certezza dell’iscrizione di ogni nato  in Italia nei registri di stato civile.
Il principio è stato ferocemente violato nel 2009, escludendo dalla certezza dell’esistenza giuridicamente riconosciuta i figli dei migranti non comunitari irregolari.
Ho tentato disperatamente di sostenere  questo problema in regione , identificando  nell’impegno per la modifica della legge l’unica soluzione che ci consente di uscire dalla vergogna di una norma  che, mentre  devasta la vita delle vittime,  fa di noi cittadini capaci, nel silenzio,  di accettare un principio razzista, riportandoci a una cultura  dell’indifferenza condivisa che, nel 1938, fu la base dell’orrore condiviso.
E’ mio convincimento che questo verme maligno introdotto dall’esistenza di una legge di fatto negazionista ci obblighi almeno , per rispetto di noi stessi , a dire no.
I miei contatti  con l’associazionismo in regione (associazionismo registrato e organizzazioni non registrate) sono stati irrimediabilmente deludenti: il no alla legge negazionista non è stato pronunciato con chiarezza fatta eccezione della posizione presa dal consigliere regionale Furio Honsell , di cui ho scritto ieri e di cui riporto ancora il link
https://www.consiglio.regione.fvg.it/pagineinterne/Portale/IterLeggi/IterLeggiDettaglio.aspx?Leg=5&ID=19-m17

Altri segni positivi  per augurare buon anno

Alla proposta di legge Honsell (che invito ad esaminare con il link che ho trascritto) aggiungo, riprendendoli come pubblicati nel  mio blog diariealtro.it,  segni positivi

20 dicembre 2022

20 dicembre 2022 – Le conclusioni della commissione Segre vanno rese operative

27  dicembre  2022.  Copia del documento “Costituzione quanti anni veramente hai?” , pubblicato da Noemi Di Segni, presidente della Unione delle Comunità ebraiche italiane

27 dicembre 2022. Conferimento della cittadinanza italiana che il sindaco di Caorle ha consegnato al  medico dott. Florin Nganso  Fenjiep.
L’intervento del medico era stato rifiutato da un cittadino italiano  per motivazioni di tipo razzista.

29 dicembre 2022. Testimonianza di Zakia Seddiki, una donna di statura eccezionale, vedova dell’ambasciatore Luca Attanasio, ucciso in Africa nell’esercizio del suo lavoro

31 Dicembre 2022Permalink

14 gennaio 2022 – DAVID SASSOLI, 30 MAGGIO 1956 – 11 GENNAIO 2022

David Sassoli, il mieloma, il trapianto di midollo e le falsità dei no vax


di Paolo Conti

David Sassoli era ricoverato nel reparto di Oncoematologia dell’Istituto Tumori Friulano ad Aviano ed era seguito dallo staff medico del Centro di riferimento oncologico da lungo tempo.
Anni fa Sassoli era stato colpito da un mieloma, un tumore del sangue, ed era stato sottoposto a un trapianto di midollo. Per questa ragione il 26 dicembre era stato deciso il suo trasferimento ad Aviano quando le sue condizioni si erano aggravate dopo un’ultima ricaduta nei giorni di Natale, seguita alla brutta polmonite da legionella di cui aveva parlato in un video il 9 novembre 2021, raccontando anche di un ricovero a Bruxelles.
L’istituto di Aviano ha spiegato con una scarna dichiarazione le ragioni della morte di David Sassoli: «Una grave complicanza dovuta a una disfunzione del sistema immunitario». Niente altro, nessun particolare «nel rispetto del riserbo mantenuto dal presidente Sassoli e dalla famiglia».

Quella di Aviano è una struttura di eccellenza a livello internazionale e segue pazienti con neoplasie dell’apparato emopoietico, leucemie acute e croniche e altre malattie di questo tipo. L’istituto di Aviano è una struttura modernissima, aperta nel 1984 e riconosciuta già dal 1990 come istituto di ricovero e cura a carattere scientifico da parte del ministero della Salute.
Un quadro clinico complesso da tempo, quello di David Sassoli, ma mantenuto sotto controllo fino alla polmonite da legionella che aveva pesantemente debilitato il suo fisico, come è purtroppo facile capire proprio dal video con la dichiarazione del 9 novembre.
Nonostante tutto ciò, molti nell’area no vax hanno speculato persino sulla sua morte. Il filosofo Paolo Becchi si è chiesto: «Ma è morto in seguito alla terza dose? Non c’è nessuna correlazione? Non rendete pubblica neppure l’autopsia? O non la fate neppure? Costringete la gente a vaccinarsi e a morire. State costruendo una tirannia sanitaria mai esistita prima». Insieme a tante reazioni indignate, l’incredibile frase di Becchi ha scatenato anche altri messaggi di irrisione e di odio.
Lo staff di Sassoli ha detto che, durante la malattia, «si erano diffuse in rete deliranti malevolenze su Covid e affini» e che la scelta di Sassoli era stata quella «di non replicare, di non inasprire i toni». Enrico Mentana, direttore del Tg La7, ha definito «ignobili esseri, vigliacchi» gli autori di alcuni messaggi su Twitter da parte di no vax che attribuivano la scomparsa di Sassoli alla terza dose di vaccino.

https://www.corriere.it/esteri/22_gennaio_12/sassoli-mieloma-no-vax-788287cc-7372-11ec-947d-d1048d2c4770.shtml adria

14 Gennaio 2022Permalink

9 maggio 2021 – Dal 25 aprile al 9 maggio- Un viaggio nel tempo , difficile ma non impossibile

Anniversario della Liberazione            domenica, 25 Aprile

Il 25 aprile è sempre stata una festa bella .
Al momento ufficiale di piazza libertà seguiva il  trasferimento a piazza 26 luglio.
Al centro il monumento che,  quando lo si pratichi all’interno,  svela uno spazio simbolico prezioso, dominato da una scritta di Piero Calamandrei che ricopio

« Quando io considero questo misterioso e miracoloso moto di popolo, questo volontario accorrere di gente umile, fino a quel giorno inerme e pacifica, che in una improvvisa illuminazione sentì che era giunto il momento di darsi alla macchia, di prendere il fucile, di ritrovarsi in montagna per combattere contro il terrore, mi vien fatto di pensare a certi inesplicabili ritmi della vita cosmica, ai segreti comandi celesti che regolano i fenomeni collettivi, come le gemme degli alberi che spuntano lo stesso giorno s’accorgono che è giunta l’ora di mettersi in viaggio. Era giunta l’ora di resistere; era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini.»

Il monumento fu inaugurato nel 1969,  dopo non poche discussioni.
Calamandrei era scomparso nel 1956  quindi nessuna malizia nell’accettare il neutro universale dell’espressione uomini (il politicamente corretto è importante ma va praticato con una capacità di storicizzazione e senza fanatismi).
Voglio piuttosto soffermarmi sul « vivere da uomini», sottolineando il significato di una lotta di liberazione cui si deve  il tempo opportuno  per scrivere la Costituzione della Repubblica, un testo che si  proietta al futuro,  cui appartiene anche il nostro presente.
Quindi siamo eredi e nel contempo ‘signori’ di quel testo che sta a noi vivere e trasmettere.

Se non c’è figlio non c’è mamma
e se non c’è mamma non c’è bambino

In quel testo c’è un articolo, l’articolo 3,  che indica principi fondamentali, che nascono dalla dignità consapevole che ogni essere umano può scoprire nel fondo di sé, quei principi che la scritta di Piero Calamandrei ricorda nella sintesi straordinaria dello scritto: « l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini.»

Ma oggi non mi basta la sintesi e ricopio l’intero articolo con rimandi ad altri della Costituzione  e soprattutto nell’angoscia che mi prende pensando ai tradimenti che  si propongono  in una fase oscura della nostra  vita che mi sento di definire tale ,  al di là di ogni melensaggine psicologica e fanatismo di coscienze  militarizzate.

Art. 3

« Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale [cfr. XIV] e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso [cfr. artt. 29 c. 2, 37 c. 1, 48 c. 1, 51 c. 1], di razza, di lingua [cfr. art. 6], di religione [cfr. artt. 8, 19], di opinioni politiche [cfr. art. 22], di condizioni personali e sociali.

E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. »

Tradimenti .. appunto al plurale ma qui mi soffermo su un tradimento che si connette alla beffarda giornata della festa della mamma (incentivo al mercato … se mamma c’è).

Sappiamo (o fingiamo di non sapere,  scelta diffusa di una indifferenza praticata e furbescamente non proclamata)  che  dal 2009 la legge 94 (art. 1 comma 22 lettera G),  obbligando i migranti non comunitari a denunciare la nascita di un figlio in Italia presentando il permesso di soggiorno,  li espone al rischio che propongo con le parole  dell’11° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia.
 « Inoltre, sempre in riferimento alla Legge 94/2009, che ha introdotto il reato d’ingresso e soggiorno irregolare e successivo obbligo di denuncia per i pubblici ufficiali incaricati di pubblico servizio, è emerso il rischio di mancata registrazione alla nascita per i minorenni nati in Italia da genitori privi di permesso di soggiorno. Nonostante la Circolare esplicativa n. 19/2009 del Ministero dell’Interno, nonché la successiva Legge 67/2014 che ha depenalizzato il reato autorizzando il Governo a convertire la fattispecie in una sanzione   <…> la Legge 94/2009 continua a essere in vigore, rischiando di indurre in errore genitori in posizione irregolare, portandoli così a non provvedere alla registrazione alla nascita dei figli, per paura di essere identificati. »
(20 novembre 2020. Cap. 3.1  – diritto di registrazione e cittadinanza
Per opportuna verifica ecco il link in http://gruppocrc.net/documento/11-rapporto-crc/)

Non c’è verso di trasformare questa segnalazione in una trasparente e pubblica richiesta di modifica della legge che  abbia una forte visibilità e un pubblico riscontro, richiesta ovviamente  da proporsi  in forma associata riconosciuta  autorevole e non solo da singole persone che possono esser ignorate se non beffate.

Io so che nella piazza del 25 aprile 2021 ancora una  volta c’erano le condizioni perché si aggirassero i fantasmi di neonati umiliati a spie di chi, non potendo provvedere alla garanzia della loro esistenza giuridicamente fondata, non può dirsi genitore.

E io dovrei sentirmi a mio agio in una piazza inaccessibile a chi  come me è madre  ma in piazza non può dichiararsi tale perché una legge ha deciso che suo figlio non ha da essere?
Essere madri è un diritto – uguale per tutte – non un  privilegio

La crepa aperta nel nostro sistema da una norma infame se non  viene cancellata  ne aprirà altre:
è una deriva che  l’Europa ha già conosciuto in quelli che ritenevamo essere i suoi anni peggiori e, favoleggiavamo,  chiusi.
Possiamo ancora permetterci di considerarli i peggiori (per ora), sapendo però che non sono chiusi.

Per chi volesse sapere qualche cosa di più sul monumento alla Resistenza di Udine.

http://eliovarutti.blogspot.com/2016/06/marconi-spiega-il-monumento-alla.html

9 Maggio 2021Permalink

15 aprile 2021 –  La cittadinanza italiana  a Patrick  Zaki, nel ricordo di Giulio Regeni  

Al comunicato del 14 aprile  del Consigliere Regionale Furio Honsell unisco l’immagine della senatrice Segre pubblicata Ho un sogno n. 263

Commuove che alla seduta odierna di palazzo Madama abbia preso parte anche la senatrice a vita #LilianaSegre, confermando anche in questa occasione la propria caratura umana e civile.

Ritengo importante che analogo atto venga adottato anche dal #ConsiglioRegionale del #FVG e ci faremo pertanto portatori di una mozione in tal senso, non solo per difendere la persona di Patrick Zaki ma anche in omaggio al ricordo di #GiulioRegeni, vittima del medesimo brutale regime” ha dichiarato il consigliere regionale

Furio Honsell  di #OpenSinistraFVG.

Liliana Segre non sono  riuscita a isolare  l’immagine della senatrice Segre; per il momento quindi resta l’intero numero di Ho un Sogno

E prima di chiudere vengo a sapere e immediagamente copio

Liliana Segre presidente della commissione contro l’odio: standing ovation dei senatori

La senatrice a vita Liliana Segre è stata eletta presidente della commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio che si è riunita per la prima volta, dopo essere stata istituita nel nell’ottobre del 2019. Subito dopo la proclamazione è seguito un applauso di tutti componenti della commissione in piedi. “Sono profondamente emozionata perchè è tanto che penso che questa commissione sia qualcosa che sento profondamente e adesso cominciamo. Mi faccio da sola un grande coraggio per iniziare questo percorso, visto che ho 90 anni” ha dichiarato Segre

 

 

15 Aprile 2021Permalink

 14 aprile 2006  –  Liliana Segre, una grande donna in Senato e uno studente dell’università di Bologna in carcere.

UNA GRANDE DONNA ENTRA IN SENATO PER PRENDERSI PERSONALMENTE CURA DEL DIRITTO UMANO DI UN GIOVANE STUDENTE EGIZIANO.

Voglio  iniziare la ripresa del mio blog (bloccato da un po’ per la mia insipienza digitale ma non solo) trascrivendo  le  dichiarazioni della grande senatrice Segre che andrà in Senato nonostante il Covid associato ai suoi 90 anni.

” Ho firmato con profonda convinzione la mozione che chiede al governo di concedere la cittadinanza italiana a Patrick Zaki, detenuto senza alcuna motivazione e senza processo sin dal 7 febbraio 2020 nelle carceri egiziane. Oggi sarò presente in aula per appoggiare la mozione e la liberazione di Zaki“.
Si schiera così con lo studente dell’Alma Mater anche la senatrice a vita Liliana Segre.
“La sua detenzione senza processo è una violazione clamorosa dei diritti umani e civili che lo Stato democratico italiano non può accettare senza fare il possibile per ottenerne la liberazione”.

Cittadinanza a Zaki: si schiera Liliana Segre – Cronaca – ilrestodelcarlino.it

Aggiungo (ma non mi fermerò qui) un mio piccolo articolo sul n.263 di Ho un Sogno, un periodico locale, in cui scrivo della senatrice Segre, quando ancora non sapevo del su ritorno in Senato .

“Tu voltati, voltati sempre a guardare l’altro”
La senatrice Segre è una portatrice di memoria  inquietante . Lo è stata da  quando  è entrata in Senato il 7 giugno 2018  ricordando che  «il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha deciso di ricordare l’ottantesimo anniversario dell’emanazione delle leggi razziali, razziste, del 1938 facendo una scelta sorprendente: nominando quale senatrice a vita una vecchia signora, una persona tra le pochissime ancora viventi in Italia che porta sul braccio il numero di Auschwitz».
I senatori si alzarono in piedi applaudendo, tutti.
La vecchia signora non costituiva una minaccia: simbolo di un ricordo  ingombrante  ma  niente di più.  Molti di loro non si rendevano conto che la senatrice Segre veniva da un’esperienza trentennale di rapporto instancabile con i giovani  cui aveva offerto la conoscenza  non solo di una memoria ferita ma di una  testimonianza incisa nella carne: «  dovevamo cominciare a dimenticare il proprio nome … . Mi venne tatuato un numero sul braccio e dopo tanti anni si legge ancora bene, 75190 ».
E il ricordo si fa presente perché declinato in  parole che evocano l’attualità:  «Sono stata anch’io richiedente asilo, clandestina, respinta . Vivevamo immersi nella zona grigia dell’indifferenza. L’ho sofferta, l’indifferenza. Li ho visti, quelli che voltavano la faccia dall’altra parte. E anche oggi ci sono persone che preferiscono non guardare».
Il crescendo di un discorso  la porta a ricordare « quei tanti che, a differenza di me, non sono tornati dai campi di sterminio, che sono stati uccisi per la sola colpa di essere nati, che non hanno tomba, che sono cenere nel vento.  Salvarli dall’oblio non significa soltanto onorare un debito storico verso quei nostri concittadini di allora, ma anche aiutare gli italiani di oggi a respingere la tentazione dell’indifferenza verso le ingiustizie e le sofferenze che ci circondano».
Quando la ‘tentazione dell’indifferenza’  si fa riferimento esplicito è troppo. Ci sono parole che nemmeno  la senatrice  Segre può permettersi di rendere attuali: « Mi rifiuto di pensare che oggi la nostra civiltà democratica possa essere sporcata da progetti di leggi speciali contro i popoli nomadi». E gli applausi dei senatori si fanno selettivi.
E’ difficile chiamare con il suo nome ogni olocausto  e proprio per questo  i nomi vanno ricordati non possono essere affogati nel grigiore dell’indifferenza  “Aktion T4, Porrajmos e Omocausto”.
Per sé non scuotono la coscienza come dovrebbero fare: l’indifferenza li colloca nello spazio del grigiore che li allontana.
Ma ancora una volta è Liliana Segre che offre lo strumento necessario per non renderci ammorbati dall’indifferenza, la forma più comoda del negazionismo.
Ricorda che durante una selezione si rese conto che Janine, la piccola francese che lavorava con lei alla fabbrica di munizioni e la seguiva nella fila di scheletri nudi quali ormai quelle donne erano , si era ferita e sarebbe stata eliminata. Ormai sapeva leggere gli sguardi e i cenni degli aguzzini.
Capì ma non  osò voltarsi per salutarla e se lo rimprovera ancora.
Una scheggia di umanità nella disumanità diventa l’indicazione dell’unica strada possibile:
« Tu voltati, voltati sempre a guardare l’altro »  perché ciò di cui non si nega la vista, esiste e va affrontato con  la dignità  degli sguardi che si incontrano. Non sempre succede.

C’è una connessione fra le due notizie? Nel mio intento sì e ne scriverò presto.

14 Aprile 2021Permalink

1858 – Quando il sovrano regnante  dello stato pontificio rapì un bambino ebreo.

La preziosa iniziativa di Rai Radio3 di proporre nel corso delle trasmissioni varie testimonianze   relative alla giornata della breccia di Porta Pia stimola una mia riflessione personale che richiede una premessa organizzata

Premessa cronologia

1 settembre 1870 – La sconfitta della Francia  nella guerra franco –prussiana costringe la guarnigione francese a lasciare Roma, togliendo allo stato pontificio la determinante tutela militare e consentendo quindi l’ingresso delle truppe italiane in città, ponendo fine allo Stato Pontificio

2 ottobre 1870 – Un plebiscito ratifica l’annessione di Roma allo stato italiano e la città ne diviene capitale
11 febbraio 1929 – Santa Sede e regime fascista firmano i “patti lateranensi”.

Ø  A seguito del Patto del Laterano l’Italia riconosce la Città del Vaticano come stato sovrano

Ø  Con il Concordato allora contestualmente stipulato viene

– riconosciuto il carattere cattolico dello stato italian0

– assicurato il libero esercizio del potere spirituale della chiesa e del culto;

– vengono stabiliti e gli effetti civili del matrimonio canonico

– l’obbligatorietà dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole.

Il Concilio Vaticano II e successivo Concordato del 1984 introducono elementi nuovi di cui non scrivo perché voglio considerarne uno che – per me (insisto: posizione personale) –  indica continuità

Una capriola all’indietro

Quando gli sgherri di Pio IX, ultimo papa re, eseguirono l’ordine di rapire un bambino ebreo.

ll piccolo Edgardo Mortara, di famiglia ebraica bolognese, era stato battezzato di nascosto da una cameriera cristiana e tanto bastò  a Gaetano Feletti, rappresentante del Sant’Uffizio e inquisitore della città, per ordinarne il rapimento secondo le leggi dello stato pontificio di cui Bologna faceva allora parte. Il confessore della povera cameriera l’aveva attivato violando il segreto confessionale. Regnava l’ultimo papa re che non si mosse a pietà per quel bambino e si rifiutò di accogliere le richieste di giustizia che venivano da parecchi politici europei.

Può essere interessante ricordare anche che il 24 novembre 1868   furono eseguite due condanne a morte nello Stato Pontificio, le ultime, ma  la pena di morte nella Città del Vaticano è stata legale dal 1929 al 1969, prevista in caso di tentato omicidio del papa.

Il mio diariealtro non dimentica
e quello che riesce a tenere a mente a me torna utile per dare coerenza a una questione che mi sono posta undici anni fa  e di cui desidero fare una memoria documentata
Con il link che si raggiunge in calce si trova  molto materiale documentato sul caso del rapimento Mortara, accennato nel paragrafo precedente  e alcune mie considerazioni più vicine a noi che ricopio con piccole modifiche

2015 –  Il Sinodo della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ignora l’uguaglianza dei neonati

So che molti (se leggeranno quanto ho scritto) ne saranno irritati o si limiteranno a compassionarmi come una fissata (capita!) e allora aggiungo la constatazione di una omissione appartenente alla chiesa cattolica che non credo si possa negare.

Evidentemente nessuno dei padri e madri sinodali, partecipi del Sinodo sulla famiglia del 2015, seppe o volle cogliere la storica connessione fra l’orrore di un bambino strappato alla sua famiglia da una qualsivoglia forma di criminalità e quello che la legge italiana impone dal 2009 ai figli dei migranti irregolari.
A loro la famiglia viene preventivamente strappata dato che non è possibile registrarne la dichiarazione di nascita e quindi assicurare a questi piccoli, come dovuto, il relativo certificato di nascita.
Non occorrono gli sgherri del 1858, basta la burocrazia frutto di una legge sciagurata ma non messa in discussione, per assicurare la possibilità dello stesso effetto  devastante dell’azione armata di allora.
….
L’indifferenza sinodale accompagna fedelmente quella del parlamento italiano che, con ampio conforto dell’opinione pubblica, non sa o non  vuole modificare la legge che tanto ha previsto undici anni fa nel quadro etico-culturale del quarto governo Berlusconi con un impegno preciso del ministro dell’interno di allora on. Roberto Maroni.

  E (finalmente ?) oggi

Tutti i tentativi di chiedere una modifica della legge 94/2009  (art. 1, comma 22, lettera g) fatti nel corso di undici anni sono finiti nel nulla (salvo una posizione esplicita ma ignorata presa dalla Società di Medicina delle Migrazioni in un congresso del 2014) finché un  piccolo gruppo di persone, coordinate da Giuseppina Trifiletti e accomunate dalla passione per il teatro, si è presa la briga di analizzare i documenti che avevo loro segnalato, ha condiviso il mio sgomento e ha realizzato un piccolo pezzo teatrale perché questa  è la modalità espressiva  che li accomuna.

Fortuna ha voluto che l’Ateneo di Udine e in particolare il Dipartimento di scienze giuridiche in materia di immigrazione (stimolato dal prof. Francesco Bilotta) si facesse carico del problema e assumesse lo spettacolo del gruppo NonSoChe, facendone un evento da inserire nel Festival della sostenibilità
Così pezzo teatrale, già presentato  lo scorso agosto al teatro San Giorgio e precedentemente  nella sala della Comunità di San Domenico (che è stata luogo prezioso di accurate prove e base rinnovata dopo il lockdown) approda alla Sala Madrassi  (della parrocchia di San Quirino).

La pandemia dell’etica
L’orrore non è solo italiano ma universale.
Anche  il Presidente degli USA se ne è fatto parte diligente individuando come luogo dello strappo la frontiera USA-Messico.
Molto ci sarebbe da dire. Riporto solo un passo di un mio post tratto dal solito diariealtro
Scrivevo il 27 dicembre 2018: Un bambino muore solo.
Le  cause del decesso del bambino proveniente dal Guatemala sono ignote. E’ morto in un centro per l’immigrazione la Vigilia di Natale.
Aveva otto anni, aveva la febbre  e, come gli altri  bambini ‘sotto custodia americana’,  era stato strappato ai suoi genitori arrestati (e imprigionati) per aver varcato illegalmente la frontiera che separa gli USA dal Messico.
“ Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Il grido di Cristo in croce gli appartiene di diritto se a Dio mio sostituiamo ‘papà”.
Chi in un simile momento potrebbe spiegare a un piccolo sofferente fino alla morte che il suo papà non l’ha abbandonato ma che è stato rapito un tizio di nome Trump?

Il riferimento del link che segue è al paragrafo:  Il mio diariealtro non dimentica

https://diariealtro.it/?p=4586

20 Settembre 2020Permalink

19 settembre 2020 – Parlamento europeo.  Si parla di immigrazione.

Wake Up Italy

Prende la parola presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen.
E le parole che pronuncia, cogliendone anche le sfumature, sono una lezione su come si trattano i sovranisti e la loro volontà di distruggere l’Europa e i valori fondamentali su cui si fonda la nostra civiltà.
Intanto le prime parole che pronuncia, riferite agli interventi che l’hanno preceduta, non sono casuali. Con calma, totale serenità: “Dopo aver ascoltato le posizioni di estrema destra…”.

Ecco: non dice “le parole del centrodestra” o “delle destre”, come si fa qui con la Lega o Fratelli d’Italia.

Lei le chiama col loro nome, senza infingimenti o ipocrisie: “estrema destra”. E’ ciò che sono. E bisognerebbe specificarlo sempre.

Quindi prosegue, sempre con garbo e tono sereno: “C’è una differenza fondamentale su come si guarda la persona, l’essere umano. Noi siamo convinti che ciascun essere umano abbia una dignità solenne che non potrà mai essere toccata, indipendentemente dalla sua provenienza”.

“Noi”. Capito? Dice “Noi”.

Un “Noi” che sottolinea che davanti alla dignità umana c’è un noi, ovvero noi che crediamo nel progresso, nei diritti umani, nella civiltà occidentale. E poi c’è un voi. Voi che avete deciso di stare al di fuori di questi valori, di essere i nemici della nostra civilità.

E sempre più calma, con tono quasi comprensivo, pieno di compassione:

“L’estrema destra” (la chiama sempre così) “ha una posizione diversa. Radicalmente diversa” per la quale “ci sono vari tipi di esseri umani: noi e loro. E loro, loro, devono essere trattati con odio. Ma l’odio non da mai buoni consigli.

A quel punto un esponente dell’estrema destra, della Lega Tedesca, alza la voce.

Lei sorride, lo guarda, e additandolo con grazia: “Questo la fa arrabbiare, la tocca nel vivo. Perché siamo diversi. Siamo profondamente diversi. Voi predicate l’odio. Noi invece cerchiamo soluzioni. Vogliamo un approccio costruttivo per la migrazione. E questa sempre sarà la nostra posizione”.

Del tipo: fatevene una ragione.

Ecco. E’ tanto difficile capire che andrebbero trattati così i nemici dei valori su cui si fonda la civiltà europea? Quelli che l’Europa vorrebbero distruggerla per permettere a potenze straniere come Putin o Trump di comprarsela un pezzo la volta?

Da Emilio Mola.   #wakeup

Riporto il link che conduce alla fonte del testo che ho trascritto da fb in traduzione italiana
https://www.politico.eu/article/ursula-von-der-leyen-state-of-the-union-speech-compared/

 

19 Settembre 2020Permalink

31 luglio 2020 – Hanno occhi per vedere e non vedono, hanno orecchi per udire e non odono (Ez. 12, 2). Per fortuna c’è chi vede e ascolta

Ricevo la segnalazione che trascrivo dall’amico Božidar  Stanišić , insegnante e scrittore,  che nel 1992 fuggì da Maglaj, la sua città il luogo, sfondo del racconto che segue) .
Oggi è cittadino italiano, autore anche dall’articolo che mi ha segnalato.     [fonte 1]
Non è la prima storia, fattami conoscere da Božidar e non solo: fa parte di storie che si infilano nella mia posta per canali oscurati, ignorati dai media più diffusi.
Io le pubblico nel mio blog per far memoria di un filo che almeno per me e qualche altro lettore non vuole spezzarsi e pretendere di essere, e di poter essere anche in futuro, testimonianza della  storia che si sviluppa sotto i nostri occhi e non vogliamo vedere        [fonte 3]                                                 

Bosnia Erzegovina: tre ex soldati, un messaggio di pace

Il documentario “Maglaj – guerra e pace” parla di tre ex soldati di Maglaj – un serbo, un croato e un bosgnacco – che nella guerra del 1992-95 avevano combattuto l’uno contro l’altro, e oggi di nuovo vivono nella stessa città e lavorano insieme per costruire un futuro migliore

30/07/2020 –  Božidar Stanišić

Alla fine di maggio di quest’anno ho ricevuto un invito, a dire il vero inaspettato, dal Centro per la costruzione della pace “Karuna”  di Sarajevo per partecipare alla proiezione di un film documentario intitolato “Maglaj – rat i mir  ” [Maglaj – guerra e pace]. Una proiezione online naturalmente, cioè “a distanza”, a causa del coronavirus. Non sapevo che il film fosse stato realizzato già nel 2018, ma non è mai troppo tardi per le buone notizie. E un’altra buona notizia è che in Bosnia Erzegovina questo documentario già da qualche tempo è qualcosa di più di una semplice testimonianza della guerra combattuta tra il 1992 e il 1995 in un paese che ancora oggi è lontano dal raggiungere una riconciliazione e dall’elaborare un progetto concreto per il futuro.

Tre ex comandanti, un unico messaggio

“Mi chiamo Marko Zelić, sono un ex membro del Consiglio di difesa croato”.

“Mi chiamo Rizo Salkić, mi chiamano Italiano. Sono un ex membro dell’Armija della Bosnia Erzegovina”.

“Mi chiamo Boro Jevtić, sono un ex membro dell’Esercito della Republika Srpska”.

Maglaj Guerra e Pace
Regia e sceneggiatura: Alen Ćosić, Will Richard, Asmir Muratović
Direttore della fotografia: Asmir Muratović
Scenografie: Alen Ćosić
Costumi: Alen Ćosić
Tecnico del suono: Asmir Muratović
Montaggio: Asmir Muratović
Produzione: OSCE Mission in BiH

Vai al tralier del docufilm                                                 [fonte 2]

Prima della guerra Marko, Rizo e Boro erano amici, lavoravano nella stessa fabbrica. Nella nostra guerra fratricida divennero nemici. Poi una volta finita la guerra, tornarono ad essere amici. E con questo documentario, il cui titolo allude al titolo dell’immortale romanzo di Tolstoj, mandano un chiaro messaggio a tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina (compresi quelli della diaspora) che il futuro del loro paese passa attraverso la costruzione della convivenza e della pace. Prima di loro nessun partecipante diretto alle guerre in ex Jugoslavia ha mai compiuto un gesto simile.

Il film “Maglaj – guerra e pace” lancia un messaggio e un monito anche all’intera regione, soprattutto alle giovani generazioni, sull’assurdità dei disastri provocati dalle guerre e distruzioni, ma anche sull’importanza della convivenza e del dialogo.

Finora non abbiamo mai visto né generali né politici né presidenti delle ex repubbliche jugoslave fare una cosa simile (se si esclude il breve periodo all’inizio del XXI secolo in cui al potere erano due politici inclini al dialogo: Ivo Josipović e Boris Tadić), e ora in un documentario apparentemente modesto possiamo ascoltare un dialogo tra tre ex soldati, tre protagonisti di uno stesso microcosmo bellico. E il microcosmo di Maglaj era maledettamente interessante. Prima i serbi avevano combattuto contro i croati e i bosgnacchi, poi i croati avevano combattuto contro i bosgnacchi, e infine i croati e i serbi si erano schierati contro i bosgnacchi. Tutto questo su un fazzoletto di terra. La città di Maglaj subì un assedio da parte delle forze serbe e croate che si protrasse per nove mesi, durante i quali veniva costantemente bombardata.

La scintilla ispiratrice del film

Alen Ćosić, regista e sceneggiatore del film “Maglaj – guerra e pace” spiega come è nato e come è stato accolto questo documentario.

“Il film Maglaj – rat i mir è stato realizzato su iniziativa della missione Osce in Bosnia Erzegovina  , dove lavoro come program officer. Ho conosciuto i tre protagonisti del film quando lavoravo come traduttore dall’inglese per le forze dell’Ifor (battaglione danese) che tra il 1995 e il 2004 erano impegnate nell’implementazione dalla parte militare degli Accordi di Dayton sul territorio di Maglaj, Doboj e Žepče. L’idea del film è nata durante le attività messe in atto dall’Ufficio temporaneo della missione Osce a Maglaj, aperto a seguito delle alluvioni che colpirono Maglaj nel maggio 2014, e durante la collaborazione con i tre comandanti alla realizzazione di alcuni progetti della missione Osce volti alla costruzione della riconciliazione e della convivenza sul territorio dei comuni di Maglaj, Doboj e Žepče. Con Boro Jevtić, presidente del municipio di Bočinja, collaboriamo ormai da qualche anno per favorire il rientro dei serbi a Maglaj; con Marko Jevtić abbiamo collaborato all’epoca in cui era presidente del consiglio comunale di Maglaj per combattere la discriminazione nelle scuole nei comuni di Maglaj e Žepče, e Rizo Salkić l’ho conosciuto quando lavorava come ufficiale di collegamento responsabile delle operazioni di sminamento umanitario avviate dopo la guerra.

Durante i nostri incontri e momenti di socializzazione spontanei molto spesso abbiamo parlato della guerra sul territorio di Maglaj, delle azioni belliche e delle sofferenze patite da tutte e tre le parti [coinvolte nel conflitto]. Ci siamo spesso recati sulle [ex] linee del fronte e abbiamo parlato delle operazioni militari viste dalla loro prospettiva. Ho pensato: se loro tre – che avevano ricoperto posizioni di alto livello nei rispettivi eserciti, guidando grandi brigate e combattendo l’uno contro l’altro durante i quattro anni di guerra da queste parti – sono in grado di parlare così apertamente, allora sarebbe ottimo riprendere tutto con una videocamera per trasmetterlo agli altri. L’ho proposto ai dirigenti dell’Osce e mi hanno dato il via libera per realizzare questo progetto.

Le prime proiezioni del film a Maglaj e Doboj, organizzate dalla missione Osce in Bosnia Erzegovina, sono state, a mio avviso, gli eventi più partecipati del periodo post-bellico e rappresentano uno dei rari esempi di dialogo sulle vicende belliche vista da tale prospettiva. Le sale cinematografiche a Maglaj e Doboj (Maglaj si trova nel territorio della Federazione BiH e Doboj nell’altra entità del paese, la Republika Srpska) erano stracolme di gente. Successivamente abbiamo organizzato proiezioni del film, seguite da discussioni a cui hanno partecipato i tre protagonisti, anche in altre città della Bosnia Erzegovina, e anche il Centro per la costruzione della pace Karuna usa questo documentario nelle sue attività volte alla costruzione della pace. Il film è stato presentato al Sarajevo Film Festival dello scorso anno. Dopo la presentazione del film ai diplomatici di stanza a Sarajevo e dopo la partecipazione [dei tre protagonisti del film] a una trasmissione sull’emittente televisiva N1, la storia del film e dei suoi protagonisti è stata riportata da Reuters e dal New York Times. Eravamo intenzionati a continuare a promuovere il film e l’idea che sta alla sua base, a presentarlo in tutta la regione, ma anche nei paesi in cui vive una consistente comunità bosniaco-erzegovese. Tuttavia, dopo lo scoppio dell’epidemia di coronavirus, abbiamo temporaneamente sospeso le nostre attività…”.

Le parole dei protagonisti di Guerra e pace

“Noi sappiamo che quella guerra era puro interesse e che in quella guerra la gente comune era una vittima collaterale. Quando è iniziata quella maledetta guerra nessuno di noi pensava che sarebbe potuta durare così a lungo. Pensavamo che sarebbe stata più breve e meno intensa, che non avrebbe portato via così tante vite, che non avrebbe comportato tanta violenza. Quel che è accaduto è accaduto. Molte persone, soprattutto giovani, non sono consapevoli delle conseguenze della guerra. Ne siamo usciti distrutti. Abbiamo perso le nostre famiglie. Molti se ne sono andati dalla Bosnia, e continuano ad andarsene a causa della situazione creatasi [dopo la guerra]. La guerra è guerra. Al massimo il 5-10% della popolazione voleva quella guerra. Gli altri non hanno avuto alcuna voce in capitolo e sono stati semplicemente spinti alla guerra…”. (Rizo Salkić)

“Forse può sembrare un po’ strano sentire una storia in cui tre combattenti induriti dalla guerra e dalle vicende belliche oggi parlano di pace e portano con loro un messaggio di riconciliazione, in tutta la Bosnia Erzegovina, e nella regione. Ognuno di noi deve sentire quella pace nel cuore e nell’anima. Quindi non si tratta di una pace artificiale, così come non è artificiale nemmeno l’amicizia tra noi tre che proveniamo dalla stessa città. È vero che abbiamo combattuto l’uno contro l’altro. Durante la guerra io e Rizo abbiamo combattuto contro Boro. Poi le circostanze sono cambiate e Boro e io abbiamo combattuto contro Rizo, e poi di nuovo io e Boro abbiamo combattuto contro Rizo, e già questa frase rispecchia l’assurdità della guerra…”. (Marko Zelić)

“La guerra è una grande ingiustizia, un’assurdità, una cosa inutile. La gente pensava: entriamo in guerra, spariamo un po’, poi torniamo a casa. Ma quando le persone hanno cominciato a morire, quando abbiamo cominciato a perdere i nostri cari… È la più grande tragedia! Non dobbiamo permettere che accada di nuovo. Noi tre insieme, non è una messinscena. È qualcosa che viene dall’anima. Lo abbiamo fatto perché ne abbiamo sentito il bisogno. Non ci aspettavamo che [il film] avrebbe attirato così tanta attenzione. L’idea era quella di fare qualcosa per la nostra città. Cercare di smuovere la situazione dal punto morto e dire che la guerra non deve accadere mai più. Se dovessimo dare retta ai politici accadrà di nuovo, ma non dobbiamo permetterlo…”. (Boro Jevtić)

Dopo tutto

Tutti noi, rimasti lì o sparsi per il mondo, ormai da anni riceviamo notizie che parlano soprattutto dell’acuirsi delle divisioni su base etnica e religiosa; dell’allontanamento culturale e linguistico; di vari guerrafondai, vecchi e nuovi, e profittatori di guerra, ma anche di quelli che sfruttano ampiamente una “transizione” infinita; della revisione della storia e della glorificazione di quelli che hanno perso la Seconda guerra mondiale; di “eroi” che in realtà sono criminali di guerra; dei media facilmente corruttibili; di nazionalismo e sciovinismo come le principali (e per molti vantaggiose) tendenze politiche e sociali.

In questo contesto, il film “Maglaj, rat i mir” appare come una viva testimonianza del fatto che in Bosnia Erzegovina, e nell’intera regione, la Ragione e il Bene non sono del tutto scomparsi, sono stati relegati in secondo piano, quindi marginalizzati. Mentre guardavo questo documentario mi chiedevo se in qualche modo fosse possibile proiettarlo in tutte le scuole in Bosnia Erzegovina, nella regione e, perché no, in Europa.

Ma forse sto solo fantasticando?

Per concludere cito le parole di Amra Pandžo, direttrice del centro Karuna che, rincuorata dalle reazioni positive del pubblico presente alle proiezioni del film, ha affermato: “In Bosnia Erzegovina, a quanto pare, esistono due mondi paralleli: uno è quello che vediamo sui media, e l’altro è quello abitato da persone comuni, che passano il tempo nei loro soggiorni, sui loro divani, mangiando grah o pasulj [due termini, croato e serbo, che indicano fagioli]. La prima Bosnia Erzegovina vive nelle assurde e accese polemiche tra le élite politiche decadenti della regione, mentre la seconda chiama con Viber un vecchio compagno di scuola che vive nell’altra entità, o in un altro paese, e parla con lui come non riesce a fare con nessun altro. Dal momento che cerco sempre di sottolineare la coesione che esiste tra i cittadini e le cittadine della Bosnia Erzegovina, e che può essere ulteriormente sviluppata, spesso mi criticano, dicendomi che ‘la realtà è un’altra’. Non so chi vive nella realtà e non pretendo di conoscere alcuna verità superiore, ma mi accompagnano le incredibili storie di cittadini e cittadine bosniaco-erzegovesi che fanno del loro meglio per evitare che gli anni Novanta si ripetano. Forse non hanno una coscienza politica abbastanza sviluppata da poter dare il proprio voto ai politici meno inclini a provocare conflitti; sono sicuramente schiacciati dalla povertà e non sono capaci di percepire il mondo in una prospettiva di lungo termine, né tanto meno sono in grado di separare le loro ansie e paure dalle decisioni che prendono. Tuttavia, nelle piccole città della Bosnia Erzegovina vivono persone calorose che fanno sì che uno straniero, dopo aver ascoltato le loro storie sincere, vi chieda: ‘Com’è possibile che qui ci sia stata una guerra?’”.

NOTE   

[fonte 1]  https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Bosnia-Erzegovina-tre-ex-soldati-un-messaggio-di-pace-203606

Il 23 maggio 2014 Božidar  Stanišić mi aveva segnalato un articolo di Paolo Rumiz, che ricordava una terribile alluvione che aveva interessato la stessa città, pubblicato nel mio blog
https://diariealtro.it/?p=3078

[fonte 2]            https://www.youtube.com/watch?v=OdHSWIHjxZw

[fonte 3]
L’11 marzo avevo trascritto alcune storie di donne, precedentemente pubblicate da Ho Un Sogno,  fra cui quella di sua moglie SK, che era fuggita con lui e il figlio M. che allora aveva nove anni

8 marzo 2011 – Donne sotto traccia 1

31 Luglio 2020Permalink

2 giugno 2020 Un richiamo alla responsabilità di ognuno e di ognuna.

ANNO SETTIMO DEL PONTIFICATO
SOLITUDINE E OPPOSIZIONI Giancarla Codrignani

L’opposizione a papa Francesco è ormai di assoluta evidenza e anche i media hanno abbandonato il tradizionale riserbo, sui fatti interni alla Curia romana, mentre le preoccupazioni sanitarie non hanno messo in ombra il lavorio non più nemmeno sotterraneo di screditare papa Francesco.

Un simbolo e, ad un tempo, un segnale
L’immagine della veste bianca nel deserto di piazza san Pietro in una sera scura e bagnata è rimasta impressa come simbolo della nostra infelice precarietà. Ma è leggibile anche come segnale della solitudine di un papa nella sua Chiesa, bisognosa di unità, ma divisa secondo interpretazioni dell’appartenenza cristiana non più limitata alle scuole teologiche, ma affidata ai credenti nell’applicazione del mandato di un Concilio, evidentemente ancora scomodo anche se garantito alla presenza dello Spirito.
Il rovesciamento gerarchico dalla Gerarchia al Popolo di Dio, convalidato dall’autonomia riconosciuta al laicato, ha investito e diviso una Gerarchia timorosa della perdita di valore sacrale del dogma e determinata a mantenere il potere e il controllo sulla cristianità.
Appare ancora rivelatrice della sua capacità politica la decisione di Giovanni XXIII di dare l’annuncio del Vaticano II prima alla stampa che alla curia. Paolo VI lo guidò a definizione, ma gli oppositori ebbero poi partita vinta sulla libertà di imparare a leggere meglio il Vangelo alla luce della modernità. Infatti il Popolo di Dio – come la società civile – cattolico, “naturalmente” plurale, rimasto ignorante nell’approfondimento dei valori, è stato consegnato acriticamente sia a Camillo Ruini sia a qualunque predicatore con il rosario in mano.

Un papa non deve “piacere”
Stando ai colpi di like sui social in un ipotetico referendum interno non si sa se ai cattolici “piacerebbe” più Woytjla o Bergoglio. A prescindere dal fatto che il papato ha bisogno di inverarsi nell’ elezione di una persona che non deve tanto “piacere”, ma essere seguita per la qualità del magistero, forse in Vaticano la sorpresa dell’omaggio reso da Francesco a Woytjla nella celebrazione per il centenario con l’invito ai poveri di Roma a sedere ai posti d’onore prima dei cardinali e dei diplomatici deve ancora una volta avere lasciato i curiali interdetti.
Anche Sergio Paronetto, presidente del Centro Studi di Pax Christi italiana, denuncia la sottovalutazione della “galassia molto varia contenente posizioni iniziali spesso opposte ma convergenti verso un solo obiettivo: bloccare il papa, sbarazzarsi di lui, screditarlo e, in prospettiva, operare perché non venga eletto un Francesco II”. Anche se la Storia insegna che i poteri forti (e reazionari), come nelle elezioni del 1948 inventarono l’anticomunismo europeo, poi ebbero paura del Concilio e oggi si oppongono a Francesco “che chiede sviluppo sostenibile e giustizia sociale (dando) fastidio a chi è interessato solo ai soldi”, secondo le parole del card. Maradiaga (Repubblica 22.10.2019).

Un pastore che cerca
Alcune personalità, pur favorevoli a Francesco, lo danno per sconfitto, spesso esprimendo la propria delusione per le riforme mancate. È certamente vero che non ha impugnato le forbici correttive sul “Nuovo” Catechismo di Giovanni Paolo II o sul codice di diritto canonico; né, come donna, posso certo rallegrarmi delle dissolvenze che fanno seguito a sue incoraggianti dichiarazioni e che nemmeno le superiore degli Ordini religiosi femminili riescono a bloccare. Tuttavia non credo che un’attenzione realistica alla politica della sempre potente curia romana trovi in Francesco un papa “incerto”: il “felicemente regnante” deve opporsi alle false certezze, anche dottrinali, che lo contestano fino ad accusarlo di eresia.
Un domenicano che stimo, Timothy Radcliffe lo definisce “un pastore che cerca”. Se spinge la chiesa all’uscita e condanna a ogni piè sospinto il peccato ecclesiastico del clericalismo, nella metafora dell’estrema solitudine sulla piazza vuota non si vedevano le ombre sospette, ma era sospesa la minaccia di una sfida (che non va assolutamente raccolta) per dividere la Chiesa.
È tempo, infatti, di pensare al futuro e salvare una Chiesa destinata a confermarsi seriamente cristiana.

I laici debbono aiutare il papa
Se invece la Chiesa guardasse indietro senza rendere irreversibili i contenuti del Vaticano II – oggi pressoché sconosciuto poichè gli attuali sessantenni andavano alle elementari quando lo si celebrava – percezione dei segni dei tempi, sarebbe un fallimento, perché mentre la generazione dei cristiani critici era stata allieva dei profeti del Concilio – Chenu, Haering, Congar, Rahner, Schillebeeckx… – e aveva chiara coscienza dei segni dei tempi, un domani, anche in presenza di spiriti magni e coraggiosi, non ci sarebbero più cattolici impegnati: per i giovani (i nostri figli, i nipoti) la religione forse resta un problema, ma non suscita interesse e anche nella società civile percepiscono i valori democratici oscurati da nazionalismi e violenze.
Per questo mi sembra che ci sia molto da fare per aiutare il papa da parte di un laicato che, pur reso adulto, è tornato a ricevere passivamente la particola come il bambino.
La “chiesa in uscita” è minoritaria: per far uscire le parrocchie sarebbero necessari parrocchiani coraggiosi, a meno che non ci si aspetti che esca il parroco. Massimo Faggioli, con cui sono quasi sempre d’accordo (e che da anni insegna in una facoltà gesuitica americana), vorrebbe più forte e deciso il contributo di Francesco al rinnovamento: vorrei suggerirgli di rivolgere gli inviti ai rappresentanti della Conferenza episcopale americana, che fu potenza di fuoco contro il Concilio e oggi è posizionata contro Francesco.

Lo Spirito Santo e noi…
Il 31 maggio torna la Pentecoste. La discesa dello Spirito Santo arrivò cinquanta giorni dopo la resurrezione, cosa che, detta così, non significa molto, se non si fa memoria dei seguaci di Gesù che se ne stavano chiusi in casa per paura di essere arrestati. L’evento suona la sveglia ai timorosi, che capiranno, affronteranno il martirio e solo così la Chiesa avrà storia.
I sacrifici odierni che ci riguardano sono di altro genere: non sappiamo quanti assisteranno alla condivisione distanziata di comunità in cui forse qualcuno è scomparso, anche se è sembrato giusto tornare a celebrare dopo il poco cordiale messaggio al governo italiano orientato a mantenere il divieto. Il sacrificio del digiuno eucaristico “per non contagiare il prossimo” non sarebbe stato diverso da quello imposto al nonno che non può abbracciare i nipotini.
Comunque la Pentecoste, se ci interroghiamo sul suo senso, ci dice che l’intenzione innovativa proposta dal papa venuto dalla fine del mondo – necessaria, a mio avviso, dopo i ventisette anni di pontificato wojtyliano e i sette di papa Benedetto – aspetta forza dalle nostre mani.
Giancarla Codrignani

Giornalista, socia fondatrice e membro del Consiglio direttivo di Viandanti
L’articolo è ripreso dal blog www.cercosolodicapire.it
[Pubblicato il 28 maggio 2020]
http://www.viandanti.org/website/anno-settimo-del-pontificato-solitudine-e-opposizioni/

2 Giugno 2020Permalink

27 marzo 2020 – L’Hospitale sulla antica via dei pellegrini a S. Tomaso di Majano (Udine). La New Entry corrisponde al tag GIULY

Ho ricevuto queste riflessioni dagli Amici dell’Hospitale di San Tomaso di Majano ,esse esprimono molto bene quello che ho pensato io in questi giorni. In effetti trovo straordinario il cambiamento che è riuscito a fare questo virus , riuscendo a stravolgere in pochi giorni il nostro forsennato correre e tante nostre abitudini e tante nostre false certezze. Giuly

Poco più di quindici giorni fa pensavamo che nessuno potesse fermare questo mondo in caduta libera che vedeva molti costretti a spremere ogni ora del loro tempo in una corsa sfrenata e irrazionale di consumi e spostamenti e tanti altri più o meno disperati impegnati invece ad attendere pazientemente di poterci entrare in quel mondo. Tutti sapevamo che era una follia destinata al collasso prima o poi, certo. Ma non potevamo immaginare che fosse così presto e che quell’equilibrio squilibrato fosse così precario. In due settimane si è fermato tutto per un fenomeno più o meno naturale come lo fu l’Influenza spagnola del 1918 o la peste del periodo antico e quella del 1348, del 1360, 1370, 1380, 1399,

tratto dal testo “L’Hospitale di San Giovanni di Gerusalemme” MDP, mappa concessa gentilmente da Markus e Kristine Banduch

1410, 1420 e poi del 1511 e del ‘600: un’epidemia pandemica. Ne usciremo questo lo speriamo ma è già un’immane tragedia per migliaia di persone e famiglie. Purtroppo non sta andando tutto bene, proprio per niente. Quasi mille morti al giorno, soli senza i propri cari, spesso senza un sacerdote, e ormai anche senza dottori. Mi ricordo nel 1996 quando parlammo per la prima volta di globalizzazione, pensai: E le epidemie, chi le fermerà? Pensavo anche alle epidemie di tipo politico-culturale. È la prima epidemia mondiale, ma non pensavamo che quel mondo fosse così fragile. Tutto basato sull’instabilità, sull’orlo della crisi: il sistema economico che consuma tutti gli altri, l’ambiente, l’umanità e la sua sanità.

Solo la primavera non ha subito rallentamenti anzi la città respira, i canali di Venezia sono trasparenti. Chi non leggeva un libro prima non lo legge neanche adesso. “Solo il mestiere del contadino si può ancora praticare”. La criminalità è gli incidenti stradali sono calati dell’80%.
Sembra che sia stata dichiarato il Cessate il Fuoco generale mondiale, sarebbe magnifico. Le famiglie hanno ritrovato, sia pure per forza, l’intimità e il tempo libero, certo quelle che per fortuna non sono state colpite dal virus o non sono rimaste divise dai confini che sono effettivamente stati chiusi, infine, ma per chiuderci dentro. Migliaia di lavoratori stranieri sono tornati in massa ai loro paesi, e molti che già meditavano il rientro non torneranno.
La cura dell’ospedale gratuito improvvisamente è di nuovo la cosa più importante, quello che ti cura perché vali tutto a prescindere da ricchezza, status, età, e patologie pregresse.
Rimpiangiamo di non esserci stretti la mano e guardati in faccia quando potevamo, speriamo di poterlo fare più avanti.

Abbiamo di nuovo bisogno solo delle cose essenziali, cibo e cure, tutti allo stesso modo. Tutto quello che ci sembrava importante non vale più, l’epidemia ha improvvisamente azzerato tutto. Eppure per la natura tutto sembra normale, la primavera apparentemente noncurante prosegue la sua rinascita, spinta dalla forza della vita, ci mostra la via.

Nulla sarà come prima, per un po’, anche se cercheremo di tornare dove eravamo, questo è certo. La vita umana è fragile. Non possiamo essere sempre impreparati a questo. Ma qui è la comunità umana globale a mostrare la sua fragilità. Sono saltati tutti i parametri, il Nord contamina il Sud, chi era chiamato ad accogliere ha bisogno improvvisamente dell’accoglienza, anche chi non aveva bisogno di nessuno ora necessita di cibo, dell’essenziale, della cura e del sacrificio di tanti.
Ma già ciascuno pensa a come uscirne più potente di prima a spese del vicino. Troviamo invece che questa possa essere un’occasione chiara per provare un cambiamento. Per riprovare la cura reciproca tra comunità umane. La comunità umana globale dovrebbe riconoscersi, ritrovare coscienza di sé, del senso del suo progetto, be’ almeno cominciare riprendere un percorso consapevole. Sembra un’utopia ma è già tutto accaduto nel tempo antico, quando è stato inventato l’ospedale gratuito, tra occidente e oriente, quello che ora ci sta salvando. Sembra difficile ma ora questa prova ci ha fatto volgere, tutta l’umanità, dalla parte giusta. La cura reciproca ha molti nomi antichi, ha a che fare con l’essenza dell’umanità, non è solo una pratica provvisoria per uscire dalla prova, ma è la via.
Allora, se non ora quando?

https://hospitalesangiovanni.wordpress.com/

 

27 Marzo 2020Permalink