5 luglio 2025 – Un annuncio tardivo:

La notizai è del 27 giugno, la precedente, presente nel mio blog, risale all’1 dicembre 2016

Due bambini sono stati scoperti in un cascinale a Lauriano: «Mai registrati, senza scuola né cure. Vivevano da soli nel fango»© Ansa

Due fratellini di 6 e 9 anni -Rayan e Noha – sono stati scoperti in un cascinale sulle colline di Lauriano, nel torinese, in condizioni di grave isolamento e degrado. Nessuno in  Italia sapeva della loro esistenza: non erano registrati all’anagrafe, non frequentavano la scuola, non avevano documenti.

La fobia dei “virus creati in laboratorio” del padre

Come riporta La Repubblica, i bambini sarebbero nati e registrati in Germania, ma da quando la famiglia si è trasferita in Italia non è mai stato effettuato alcun passaggio burocratico. I minori non avevano alcun contatto con il sistema scolastico né con i servizi sanitari. Dal 2020, in piena pandemia, il padre avrebbe sviluppato una forte ossessione per i virusconvincendosi che il mondo fosse minacciato da agenti creati in laboratorio. Da allora, i figli sono rimasti chiusi in casa, completamente isolati.

I genitori hanno perso la responsabilità genitoriale

servizi sociali del Ciss di Chivasso sono intervenuti subito dopo la segnalazione. Il Tribunale per i Minorenni di Torino ha disposto l’immediato allontanamento dei bambini, che ora si trovano in una comunità protetta. È in corso la procedura di adottabilità e i genitori hanno perso la responsabilità genitoriale.

Analogo caso segnalato nel mio blog il primo dicembre 2016

https://diariealtro.it/?p=4752

 

5 Luglio 2025Permalink

29 giugno 2025 –29 giugno 2025 – Ricompare l’obiezione di coscienza, una delle mie passioni giovanili .

Risolvo un mio problema .
Io leggo volentieri le corrispondenze del giornalista  Sergio Fabbrini su  IlSole24 ore

Sergio Fabbrini, direttore della School of Government dell’Università Luiss Guido Carli di Roma, insegna Scienza politica e Relazioni internazionali   presso lo stesso ateneo e Comparative Politics alla University of California di Berkeley. Ha diretto la “Rivista Italiana di Scienza Politica” e ha vinto, tra gli altri, il Premio Capalbio per l’Europa nel 2011.

Ma il cognome Fabbrini mi tormenta perché ricordo bene Fabrizio Fabbrini, obiettore di coscienza,  la cui vicenda si inserì nelle riflessioni dei miei anni giovanili che, per quanto riguarda la scuola superiore,  erano i turpi anni ‘50.
Secondo me potrebbe essere il nonno di Sergio Fabbrini.
Non sono  riuscita a ricostruire esattamente le  parentele  ma afferro l’opportunità  di nome e cronologia che dà forza ai miei ricordi.
Ineliminabile quello del preside che, avendo io scritto il termine obiezione di coscienza in un  tema,  pensò bene di informare mia madre che ero  pazza.
Probabilmente avevo trovato il termine proibito occupandomi della guerra di resistenza algerina contro il colonialismo francese (1954-1962).
Fu  la fine della mia fiducia in coloro che pretendevano essere miei educatori.

24 Gennaio 2019  E’ SCOMPARSO FABRIZIO FABBRINI, PADRE DELL’OBIEZIONE DI COSCIENZA  di Luigi Cobianchi*   –  

Nel pomeriggio di ieri, 23/01/2019, è venuto a mancare il prof. Fabrizio FABBRINI, Docente Universitario, colonna della Democrazia Cristiana, allievo e pupillo di Giorgio LA PIRA, assurto alle cronache nazionali allorquando, da Assistente Ordinario nell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, si fece arrestare e scontò una pena a due anni di carcere militare, per essersi rifiutato di completare il servizio militare, opponendo l’“obiezione di coscienza”.
San Paolo VI, Papa, in mille modi gli espresse, nell’occasione, riconoscenza e vicinanza.

Grazie al prof. FABBRINI, nel pieno della temperie ideologica scaturita dal Concilio Ecumenico Vaticano II, si aprì, concretamente, per la prima volta nel nostro Paese, la strada verso il riconoscimento del Diritto all’Obiezione di Coscienza, rispetto agli Obblighi di Leva.
Scontata la pena comminatagli, “La Sapienza” gli chiuse le porte e, se non fosse stato per LA PIRA che lo prese con sé all’Università di Firenze, la sua carriera universitaria si sarebbe interrotta e il FABBRINI si sarebbe trovato, al di là di ogni altra considerazione, senza lavoro.

29 Giugno 2025Permalink

25 maggio 2025_ Khan Younis, il raid israeliano che fa strage. Gli ostaggi liberati contro Netanyahu di Giusi Fasano

Corriere della sera
Distrutta una famiglia. Polemiche sul nuovo capo dello Shin Bet. Finti vocali con le voci dei rapiti

TEL AVIV – La dottoressa Suheir Al-Najjar, nipote del defunto dottor Hamdi e lei stessa medico, dice all’agenzia di stampa turca Anadolu che l’esercito israeliano ha prima lanciato un missile che non è esploso. Pochi minuti dopo è arrivato il secondo che ha raso al suolo la casa. Senza il preavviso che in genere i militari diffondono prima dei bombardamenti massicci. «Lo sapevano — ha detto Suheir Al-Najjar —. Sapevano che dentro c’erano dieci bambini e due dottori, e lo hanno fatto comunque».

Che sia davvero andata così oppure no a questo punto poco importa. Di fatto della casa di Hamdi al-Najjar non è rimasto nulla e nel raid — siamo a Khan Younis — sono morti nove dei suoi dieci bambini. Ieri, l’agenzia si stampa palestinese Wafa aveva annunciato la morte di Hamdi; oggi l’ospedale di Khan Younis afferma che il dottore è in condizioni molto critiche, ma ancora in vita. L’unico figlio che si è salvato, 11 anni, è in terapia intensiva all’ospedale Nasser dove lavora come pediatra la mamma dei piccoli, Alaa al-Najjar, che aveva appena indossato il camice quando ha visto arrivare i primi resti dei suoi figli. L’Idf, le Forze di difesa israeliane, parlano di operazioni a Khan Younis contro «sospettati», ma non c’è un chiaro riferimento al raid sulla casa del dottor al-Najjar. La notizia dei fratellini morti (il più grande ha 13 anni) è un’onda emotiva che si fa sentire anche nella manifestazione organizzata dai familiari dei rapiti nell’ormai celebre Piazza degli Ostaggi di Tel Aviv. Le famiglie di chi è ancora prigioniero nei tunnel della Striscia (58 persone di cui una ventina ancora in vita) chiedono al governo il cessate il fuoco perché sono convinte che sia il solo modo di riabbracciare i loro cari o di riavere indietro i resti.

Ma il premier Benjamin Netanyahu insiste con la grande offensiva «Carri di Gedeone» per conquistare Gaza e sconfiggere Hamas a forza di bombardamenti. E la nomina di David Zini a nuovo capo dello Shin Bet, i servizi segreti interni, gela ancora di più le aspettative delle famiglie se è vero, come riportano i media israeliani, che (non è chiaro quando) ha detto ai suoi colleghi: «Sono contrario agli accordi con gli ostaggi. Questa è una guerra eterna». I familiari dei rapiti non hanno altra arma che la voce degli ex ostaggi per convincere delle loro ragioni l’intera opinione pubblica israeliana. Così ieri sera dal palco della manifestazione ha parlato fra gli altri Naama Levy, una delle cinque soldatesse rilasciate durante la tregua di gennaio. Ha descritto il terrore dei bombardamenti israeliani, «i boati, il rumore che ti paralizza, la terra che trema…In questo preciso istante ci sono degli ostaggi che sentono quegli stessi fischi e boati, tremando di paura. Non hanno dove scappare, possono solo pregare». In un altro angolo della città, intanto, attivisti israeliani mostravano le foto dei bambini palestinesi uccisi, chiedendo anche loro la fine della guerra.

Hamas sa bene quanto sia importante il nodo degli ostaggi e probabilmente ha usato la voce di vecchi appelli dei suoi prigionieri per creare con l’intelligenza artificiale dei messaggi vocali che alcuni israeliani hanno ricevuto nella notte fra venerdì e sabato: si sentono ostaggi che implorano di essere rilasciati e, in sottofondo, i rumori delle esplosioni. La Direzione nazionale per la sicurezza informatica dice che le chiamate — provenienti da numeri non identificati — erano un evidente tentativo di creare panico tra la popolazione. Come se non fosse già abbastanza il panico che queste famiglie devono sopportare ogni giorno.

 

25 Maggio 2025Permalink

9 aprile 2025 – Anniversario della morte di Dietrich Bonhoeffer

Dietrich Bonhoeffer

Roma (NEV), 7 aprile 2025 – Riportiamo il testo della rubrica “Essere chiesa insieme”, curata da Paolo Nasonella puntata del “Culto evangelico”, programma di RAI Radio1, andata in onda domenica 6 aprile 2025.

Dal minuto 15:31 Culto Evangelico | Culto Evangelico del 06/04/2025 | Rai Radio 1 | RaiPlay Sound


Ottant’anni fa, all’alba del 9 aprile del 1945, nel campo di concentramento di Flossenbürg, fu eseguita la condanna a morte del teologo protestante Dietrich Bonhoeffer. Il progetto hitleriano del Terzo Reich era ormai crollato e mancavano solo poche settimane al crollo definitivo del nazismo e al suicidio del führer eppure fu proprio lui, con un ultimo e brutale colpo di coda, ad ordinare l’esecuzione di Bonhoeffer.

Figlio della buona borghesia, questo teologo protestante aveva scelto con convinzione la strada del pastorato anche se, in breve, questa si espresse soprattutto nella forma della ricerca e della riflessione teologica.

In una Germania che virava verso il nazismo, ben presto Bonhoeffer aveva manifestato la sua avversione al führer denunciando, già nel 1933, l’immoralità delle leggi antiebraiche e il pericolo costituito dall’ascesa di un leader capace di sedurre le masse con il linguaggio facile del populismo. Con il passare degli anni, la sua opposizione al nazismo si fece militante e lo avvicinò ai circoli della resistenza per la quale svolse missioni di intelligence. È ben nota la frase attribuitagli da un compagno di prigionia a cui Bonhoeffer spiegava perché, di fronte alla tragedia e al pericolo, il cristiano non potesse restare fermo e inoperoso: “Quando un pazzo lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso, come pastore, contentarmi di sotterrare i morti e consolare le famiglie. Io devo, se mi trovo in quel posto, saltare e afferrare il conducente al suo volante”.

Finito nel mirino delle autorità, Bonhoeffer avrebbe potuto riparare negli Stati Uniti e svolgere una brillante carriera in una rassicurante facoltà teologica protestante. Invece, nel 1939 scelse di tornare nella sua Germania. Era lì che la coerenza cristiana era messa a più dura prova: sinodi e vertici della chiesa luterana si erano sostanzialmente accodati al regime e soltanto il piccolo gruppo della chiesa confessante ispirato dal teologo Karl Barth aveva difeso l’indipendenza della chiesa dal regime e aveva affermato che il cristiano doveva proclamare la sua unica e assoluta fedeltà a Dio soltanto e non alle autorità terrene.

Morto prima di compiere i 40 anni, Bonhoeffer lascia una consistente mole di scritti alcuni dei quali sono ormai dei classici della teologia cristiana. Il testo più noto, anche a un pubblico non specialistico, è probabilmente Resistenza e resa, una raccolta di testi datati tra il 1943 e il 1945. Nonostante si tratti di scritti dal carcere, resta deluso il lettore che in quelle pagine cerchi le parole di un manifesto o un proclama politico. La critica teologica al nazismo e alla sua ideologia risuona in quei testi, ma la sostanza è una riflessione sul cristianesimo e la sua crisi. In tempi così cambiati e così difficili, la fede cristiana non può ridursi a una religione convenzionale e consumistica, all’idea di un Dio tappabuchi che risponde alle domande umane che non trovano risposta. Dio non va cercato solo di fronte alla morte, ai limiti della nostra vita, ma al suo centro, di fronte alle questioni che più ci interrogano e più ci sfidano. In quelle pagine Bonhoeffer polemizza con l’idea di una grazia divina “a buon mercato”, grazia senza sequela, grazia senza croce, grazia senza Gesù Cristo vivo, incarnato. La grazia di Dio impegna il cristiano, lo invita ad abbandonare le reti con le quali sta pescando per porsi nel cammino della sequela cristiana.

Sono le parole di un credente che sente il peso della storia che sta attraversando e, proprio perché crede nell’azione di Dio, sa di dover fare la sua parte e di doversi assumere le sue responsabilità di credente “adulto”. Una fede che non è un rifugio rassicurante, ma che al contrario ci espone alle sfide del mondo. In tempi drammatici come i primi anni ’40 del secolo scorso, questo appello alla responsabilità della propria coscienza di fronte al male condusse Bonhoeffer fino al patibolo. E non ci deve stupire che la sua lezione morale e teologica abbia ispirato il pensiero e l’azione di personaggi come Martin Luther King o Desmond Tutu e abbia riscosso tanto interesse anche in ambito cattolico. Molto ricca resta anche la pubblicistica su questo gigante della teologia cristiana del secolo scorso e, tra i tanti titoli, segnaliamo Bonhoeffer. Un profilo, a firma del teologo protestante Fulvio Ferrario, arrivato in libreria per i tipi della Claudiana. Qualcuno però va oltre e arriva a beatificare questo credente luterano, restato fino in fondo coerente con la sua fede e la sua tradizione. È un paradosso inaccettabile. Il protestante Bonhoeffer non va santificato e posto sugli altari dell’ecumenismo, ma invece capito e studiato. Egli rimane un pensatore complesso, segnato dal maggiore dei drammi del Novecento, che non può iscriversi nelle liste dei teorici del pacifismo o della resistenza armata, ma che continua a interrogare ogni credente che si ponga di fronte alle scelte drammatiche della storia.

Nonostante l’epilogo e il contesto così drammatico della sua morte, Bonhoeffer ci rivolge anche un messaggio di speranza. Nel 1933, in un’Europa delle dittature che scivolava verso la guerra, egli lanciò un appello che oggi risuona quanto mai attuale. Propose, infatti, un “grande concilio ecumenico della santa chiesa di Cristo” che, di fronte alle guerre passate e a quelle che incombevano, pronunciasse una parola di pace e, nel nome di Cristo, promuovesse il disarmo”. Allora le chiese non raccolsero quell’appello. Possono – devono – farlo oggi, di fronte alle guerre in atto e alle altre che, con intollerabile leggerezza, vengono ipotizzate e minacciate ogni giorno.

9 Aprile 2025Permalink

4 marzo 2025 _ Informazioni aggiunte a quelle di ieri – da conservare

Scrivevo ieri  3 marzo _ un  testo  che conservo nel  mio blog (la mia imperdibile , personale memoria storica )  che ho intitolato:
“Scorrettamente ricopio e conservo con ammirazione”
Si può leggere con il  link che trascrivo di seguito.
Dopo il link troverete l’articolo pubblicato su Il fatto quotidiano di oggi e ripreso da Manuela Dwiri che lo offre alla lettura nel  nel suo sito

3 marzo 2025 — Scorrettamente copio e conservo con ammirazione

4 marzo     Da Il fatto quotidiano di oggi

Per chi non è riuscito a leggere l’articolo del fatto, eccolo qui

Ieri, domenica, ho iniziato a recarmi alla dimostrazione per la fine della guerra e il ritorno degli ostaggi anche durante la settimana e non solo il sabato sera. è l’unico modo che ho trovato per dare a me stessa un po’ di pace nello sfondo del fragilissimo cessate il fuoco, il blocco degli aiuti umanitari e ritorno degli ostaggi, vivi o morti, che è iniziato questa settimana.

In questi giorni l’esercito, esattamente come aveva promesso, ha iniziato a studiare gli errori compiuti il sette ottobre che hanno portato alla tragedia del sabato nero.

Difficile ascoltare. La verità fa male.

Ti viene voglia di tapparti le orecchie e spegnere la televisione, non vedere non ascoltare.

Per le famiglie che hanno perso i loro cari, per le famiglie che hanno i loro figli ancora nella prigionia dei tunnel di Gaza, è una tortura senza fine.

E perciò non deve stupire se oggi un buon numero di queste famiglie si è presentata alla Knesset, il parlamento israeliano, con la richiesta di una commissione d’inchiesta statale, e sebbene fossimo ormai abituati al trattamento a dir poco inappropriato da parte dei politici al governo , questa volta sono stati superati tutti i limiti. Non è stato loro permesso di entrare nella tribuna dei visitatori e sono stati fermati con la forza dalle guardie della knesset fino ad arrivare alla violenza fisica. Due dei padri si sono sentiti male. Solo dopo un’ora sono riusciti ad entrare sotto stretta sorveglianza di dozzine di agenti di sicurezza Il parlamentare Hili Tropper ha infine letto una lettera scritta da Yarden Bibas, il padre dei bambini coi capelli rossi e marito di Shir. Nella lettera ha invitato il premier a tornare con lui a casa, al kibbutz Nir Oz, il kibbutz che Netanyahu si è sempre rifiutato di visitare e dove oggi c’è stato il funerale di uno degli ostaggi. “tanti semplici cittadini – ha scritto Yarden-hanno chiesto perdono e così pochi politici. dopo che saranno tornati gli ostaggi, sarò il primo a sostenere qualsiasi azione volta a distruggere Hamas. Ma non ora” Ha poi richiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta statale “perché altrimenti non potremo riuscire a riabilitarci e a rinascere “

Quando alla fine Netanyahu ha parlato, furibondo, ha promesso che nessuna commissione d’inchiesta verrà creata se non creata da lui stesso.

I parenti dei caduti in guerra e degli ostaggi gli hanno voltato le spalle. Altri hanno letto la preghiera per i morti, il Kaddish

Sanno bene che la tregua è fragilissima e il ritorno alla guerra potrebbe essere la morte dei loro cari.

Un altro gruppo è partito per Washington, per cercare di incontrare Trump e implorare il suo aiuto.

Come possiamo essere arrivati a questo punto?

Domani sarò di nuovo a protestare.

 

Gli articoli di Manuela Dwiri si possono leggere nel sito(italiano in italiano)  Gariwo, di cui metto una breve nota qui di seguito

  • Gariwo è l’acronimo di Gardens of the Righteous Worldwide.
    Siamo una ONLUS con sede a Milano e collaborazioni internazionali.
    Dal 1999 lavoriamo per far conoscere i Giusti: pensiamo che la memoria del Bene sia un potente strumento educativo e serva a prevenire genocidi e crimini contro l’Umanità.
    Per questo creiamo Giardini dei Giusti in tutto il mondo e usiamo i mezzi di comunicazione, i social network e le iniziative pubbliche per diffondere il messaggio della responsabilità. Dal Parlamento europeo abbiamo ottenuto la Giornata dei Giusti, che ogni anno celebriamo il 6 marzo.
4 Marzo 2025Permalink

20 febbraio 2025 _ Pace che non si trova e un pensiero a tutte le vittime, oggi ai piccoli dai capelli rossi

Ho  condiviso questo testo del prof.  Gabriele   Boccaccini che ho avuto il piacere di conoscere in tempi lontani, durante un viaggio organizzato  dall’associazione Biblia  ( associazione laica di cultura biblica).
Studioso del giudaismo del secondo tempio e delle origini cristiane . Insegna negli USA  (University  of  Michigan)

Di fronte alle immagini macabre e disgustose di odio e di propaganda inscenate a Gaza sulla bare di povere vittime innocenti non e’ possibile rimanere silenti. Per tutta la vita ho sostenuto, fin dagli anni Settanta, la causa palestinese e la causa della pace (e continuo cocciutamente ad essere fedele a questi ideali). Ma senza mai perdere il senso critico, la percezione dei diritti di entrambi i popoli alla pace e alla sicurezza, l’opposizione a politiche estremiste (sia di parte israeliana che palestinese). Devo dire che dopo l’inizio della guerra mi aspettavo che in Europa o negli Stati Uniti ci sarebbero state manifestazioni pro-Palestina, speravo però che ci sarebbero state anche forti manifestazioni “per la pace” (a sostegno di soluzioni di compromesso), che invece non ci sono state. (La bandiera della Palestina non è la bandiera della pace ma di una delle due parti in conflitto) Quello che ingenuamente non mi aspettavo proprio e’ che le manifestazioni pro-Palestina prendessero una piega così estremista a sostegno non solo della “causa palestinese” ma della leadership estremista palestinese. Non mi aspettavo che partiti e movimenti politici, sindacati, organizzazioni umanitarie, giovani studenti e anche chiese e leader religiosi si appiattissero in modo così acritico su posizioni estreme, al punto da perdere la voce anche di fronte a scene come queste e non si accendesse in loro quanto meno una scintilla auto-critica o il bisogno anche di un timido distinguo o di una parola di umanità, dovuta alle vittime innocenti di entrambe le parti. Un popolo la propria libertà e il rispetto del mondo se li deve conquistare anche sul piano morale. Siamo figli e nipoti di partigiani che ne hanno passate tante ma sarebbero inorriditi a vedere i comportamenti e i metodi di lotta di questi che si spacciano per “resistenti” ma sono solo dei fanatici assassini.

20 Febbraio 2025Permalink

12 febbraio 2025 _ La fede ha un ufficio alla Casa Bianca

Tavolata nell’Ufficiò della Casa Bianca

 

Ho copiato il testo qui trascritto dalla pagina fb del pastore teologo Fulvio Ferraio.

Il titolo è mio

 

L’Ufficio della Fede

Non è una filiale del quasi omonimo Dicastero vaticano, bensì ha sede a Washington e si occupa della diffusione del vangelo secondo Trump. Lo dirige Paula White, fondatrice di una setta paracristiana, telepredicatrice e da tempo consigliera spirituale dell’attuale Presidente americano. Il personaggio è assai noto, ricordo un suo video relativo a un rito propiziatorio pro-Trump in occasione delle elezioni del 2020.
Secondo Il Fatto Quotidiano, tra i suoi messaggi c’è anche la richiesta di denaro (1000 dollari) per assicurarsi la salvezza: neanche tantissimo, considerando il rapporto costi-benefici. Salvo errore, però, non si tratta di una sua invenzione, è un appello che mi sembra di aver già sentito da qualche parte.
La prima cosa da dire è che, anche se è già passata l’idea che questa signora sia «evangelica», ella non c’entra nulla con il protestantesimo e nemmeno con il cristianesimo propriamente detto. E’ una libera imprenditrice religiosa, completamente indipendente (a parte Trump, si capisce).
La seconda è che spero che a nessuno venga in mente di lanciarsi in prese di posizione “confessanti” contro l’eresia, magari tirando in ballo grandi esempi del passato. Vero è che la barzelletta e la tragedia sono spesso intrecciate e che ciò richiede una certa attenzione. Per il momento, però, l’affare Paula White non merita esorcismi. Si tratta di una farsa paracristiana ed è auspicabile che tutti/e la percepiscono come tale. E’ giusto dire quel che è necessario per evitare equivoci, sapendo che non sarà facile. Attenzione, però, a non accordare a queste pagliacciate la dignità che deriva da una discussione, e sia pure la più aspra, sulla fede in Gesù.
La foto è stata postata da Trump su X, la piattaforma di Elon Musk
12 Febbraio 2025Permalink

2 febbraio 2025_ Da Il Sole 24 di oggi domenica _ copia manuale

L’Europa senza politica estera fa il gioco di Trump

di Sergio Fabbrini

Qualche giorno fa, il segretario di stato americano, Marco Rubio, ha finalmente chiamato l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Kaja Kallas, che da giorni lo aveva invitato a partecipare ad una riunione del Consiglio dei ministri degli esteri nazionali (CAE) dell’Unione europea (Ue). Finalmente, perché il capo della diplomazia americana aveva in precedenza chiamato diversi ministri degli esteri degli stati membri dell’Ue, come il polacco Rados?aw Sikorski, il danese Lars Løkke Rasmussen, il lituano K?stutis Budrys, la lettone Baiba Brazed, l’italiano Antonio Tajani, l’ungherese Peter Szijjártó, il francese Jean-Noel Barrot e la tedesca Annalena Baerbock. Solamente dopo questo giro di telefonate, Rubio ha trovato il tempo per chiamare Kaja Kallas, in teoria il ministro degli esteri dell’Ue. Si è trattato di una scortesia istituzionale oppure di qualcos’altro?

Dopo la fine della Guerra Fredda, con il Trattato di Maastricht del 1992, l’Ue si era decisa a dotarsi di una politica estera comune. Con il Trattato di Amsterdam del 1997 fu quindi formalizzata la figura dell’Alto rappresentante, il cui ruolo è stato rafforzato dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel dicembre 2009. Finalmente, si disse, l’Ue ha un ministro degli esteri, potendo così parlare con una sola voce negli affari internazionali. Per di più, si riteneva che il doppio ruolo assegnato all’Alto rappresentante, cioè di presidente del CAE e allo stesso tempo vicepresidente della Commissione europea intesa come organo sovranazionale, avrebbe condotto alla progressiva europeizzazione delle politiche estere degli stati membri. Si pensava di aver risolto il problema della politica estera europea creando un nuovo organismo, senza modificarne però la sostanza. Ovvero che i governi nazionali hanno continuato a tenere sotto il loro controllo la politica estera attraverso la logica intergovernativa del CAE, affidando all’Alto rappresentante una funzione di coordinamento (nel caso migliore) o di servizio ai Paesi più forti (nel caso peggiore). Il risultato è che l’Ue non ha una sua politica estera, come le ha ricordato Rubio.

Il coordinamento intergovernativo delle politiche estere nazionali ha difficoltà a funzionare in un’Unione di 27 stati membri, portatori di preferenze che sono diverse per via della loro collocazione geografica, esperienza storica e dinamica politica. La minaccia dell’imperialismo russo viene percepita in modo differente, a seconda che si viva a Tallinn o a Lisbona. Per di più, il CAE decide all’unanimità, riconoscendo un potere di veto ad ognuno dei ministri che lo compongono. Così, nelle condizioni di una crisi, i governi nazionali, specialmente degli stati membri più grandi, hanno seguito le loro priorità, proprio perché non esisteva una posizione comune. Tale debolezza europea è stata a lungo occultata dalla forza americana. All’America è stata appaltata, dall’Ue, la politica estera e (soprattutto) la politica di sicurezza. Sotto l’ombrello americano, i vari governi nazionali potevano qualche volta scalciare, senza però uscire dalla sua copertura. La guerra in Ucraina ha reso evidente le ambiguità europee. Senza la leadership americana, molto poco avrebbero potuto fare i governi nazionali dell’Ue. Tant’è che si sono dovuti limitare alla politica delle sanzioni economiche, incontrando anche qui resistenze non da poco. Basta pensare che i premier Viktor Orban e Robert Fico (dell’Ungheria e della Slovacchia) hanno già minacciato il veto all’approvazione del sedicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, in coerenza con le aspettative di Mosca. E, di fronte ad un veto, nulla si può fare. Se la leadership americana si ridimensionerà (per via del disimpegno trumpiano dalla Nato e dall’Europa), l’Ue intergovernativa non sarà in grado di sostituirla. Nessun stato membro, a cominciare dalla Francia, potrà prendere il posto lasciato scoperto (o semiscoperto) dall’America, ad esempio sul piano tecnologico e industriale. La Francia, inoltre, ha una visione di politica estera che divide l’Ue, con il suo antiamericanismo e soprattutto con la sua idea che l’Ue debba essere una Francia in grande. Eppure, solamente la Francia potrebbe avviare il percorso verso la sovra-nazionalizzazione della politica estera e di sicurezza, dichiarando di volere condividere il suo deterrente nucleare all’interno di un sistema europeo e di voler trasformare il suo seggio al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in un seggio dell’Ue (senza più nascondersi dietro cavilli giuridici). In questo modo chiuderebbe la frattura che aprì nel 1954 quando decise di non votare il Trattato della Comunità europea della difesa.

Insomma, Marco Rubio si è limitato a prendere atto della nostra situazione. Dopo tutto, per lui e il suo presidente, è conveniente che l’Ue non esista in quanto attore unitario, così da poter negoziare da una posizione di forza con ognuno dei suoi stati membri. Un esito che sarebbe disastroso per noi, come ha dovuto riconoscere l’euroscettica Danimarca, che aveva a lungo rifiutato di partecipare persino al coordinamento intergovernativo della politica estera e di sicurezza europea, per poi aderirvi nel luglio del 2022, pochi mesi dopo l’aggressione russa all’Ucraina. E che oggi, di fronte alle pretese imperiali di Trump in Groenlandia, si scopre fortemente europeista. Se l’Europa non siederà al tavolo dei Grandi, tutti noi saremo nel menù.

 

 

 

2 Febbraio 2025Permalink

27 gennaio 2025 _ Alcuni link sul tema

Provo a inserire una serie di link nella speranza che siano tali da potersi aprire e leggere. Se così  non fosse possono venir copiai e aperti tramite google .
Poiché non penso che sia possibile chiedere a chi mi leggerà, informato dà   un messaggio di posta,  di leggerli tutti , cerco di illustrarli per facilitare una scelta:

Il primo: giornata della memoria , si presenta già con il titolo
Approfitto per ricordare che la senatrice Segre …è presidente della Commissione
“contro le parole d’odio”, da lei voluta.

Il secondo  porta a un testo del mio blog, nella cui ultima parte conservo la memoria di una visita al lager  di  Majdanek , preceduto da lunghe considerazioni su un episodio avvenuto  nel 1918 a Codroipo
Chi volesse risparmiarsi le considerazioni su un episodio di mala  formazione  potrà iniziare  da Giocattoli vintage a Majdanek

Il terzo  riguarda l’importanza di dare un nome alle vittime credo rivesta una particolare attualità

Il quarto riporta  alcune considerazioni sempre della storica Anna Foa sulla giornata della memoria , scritte lo  scorso anno

Il quinto è la testimonianza di chi fu deportato bambino

Il sesto consente di raggiungere  il testo di Anna Fo che ho pubblicato poco fa.

Giornata della memoria, l’allarme di Segre: «Di noi non si parlerà più». Chi sono gli ultimi sopravvissuti alla Shoah

14 dicembre 2018 – Integrazione precoce a Codroipo, provincia di Udine

27 gennaio 2023 – Un nome è un nome e nulla lo può sostituire

https://it.gariwo.net/magazine/editoriali/il-27-gennaio-parliamo-di-shoah-ma-anche-delloggi-27897.html#:~:text=anche%20dell’oggi%22-,di%20Anna%20Foa,crescere%20di%20un%20nuovo%20antisemitismo.

Sami Modiano, la storia del bambino che tornò da Auschwitz | Studenti.it

https://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/intervista-ad-anna-foa-israele-i-crimini-di-guerra-a-gaza-sono-provati-papa-francesco-colpevole-di-dire-la-verit%C3%A0/ar-BB1rgxRT?apiversion=v2&noservercache=1&domshim=1&renderwebcomponents=1&wcseo=1&batchservertelemetry=1&noservertelemetry=1

27 Gennaio 2025Permalink

25 gennaio 2025- senatrice Elena Cattaneo – ” Col nazionalismo scientifico si va a sbattere”

Oggi ho letto su La Stampa ( pag. 11) un’ interessante intervista  a Elena Cattaneo, scienziata e  senatrice a v ita..
E’ firmata da Maria Rosa Tomasello
“L’Italia fuori dall’OMS?  Qualunquismo.
Col nazionalismo scientifico si va a sbattere”.
Purtroppo non la posso scaricare ma è  raggiungibile anche  una valida sintesi pubblicata da Open di cui trascrivo  il link.
“Open è edito da una società a impresa sociale fondata da Enrico Mentana con lo scopo di costruire un giornale online che valorizzi i giovani, negli ultimi anni tagliati fuori anche dal giornalismo”.

Elena Cattaneo spiega perché l’Italia fuori dall’Oms non è una buona idea: «Il nazionalismo scientifico ci manderà a sbattere» – Open

Elena Cattaneo spiega perché l’Italia fuori dall’Oms non è una buona idea: «Il nazionalismo scientifico ci manderà a sbattere»
La Lega ha presentato una proposta di legge per far uscire l’Italia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Seguendo la decisione per gli Stati Uniti presa da Donald Trump. Elena Cattaneo, scienziata di fama internazionale e senatrice a vita, spiega cosa c’è che non va nella proposta: «Il nazionalismo scientifico è la ricetta più sicura per andare a sbattere contro il muro dell’ignoranza e della superstizione», esordisce in un’intervista a La Stampa  (Nota 1).
Secondo Salvini l’Oms è «un centro di potere sovranazionale profumatamente pagato dai contribuenti italiani». E chiede di usare «quei cento milioni» per sostenere la sanità italiana.

L’Italia e l’Oms
«Continuo a credere che l’impegno dei leader politici mondiali dovrebbe essere rivolto a far sì che tutti, in ogni luogo, con ogni Pil, possano beneficiare dei prossimi traguardi sanitari. Non per astratta filantropia, ma perché tutelando la tua salute oggi tutelo anche la mia domani», spiega Cattaneo a Maria Rosa Tomasello.
E sulle critiche all’Oms, rievoca la scienziata, «mi ricorda quando l’alfiere della Brexit, Nigel Farage, sosteneva che abbandonare l’Ue avrebbe consentito di dirottare al sistema sanitario britannico 350 milioni di sterline. Era una bufala, fu lo stesso Farage a riconoscerlo, ma ormai il danno era fatto». Durante la pandemia «l’Oms ha permesso la condivisione di dati e risultati senza i quali vaccini e campagne vaccinali sarebbero arrivati più tardi. Con conseguenze enormi».

La pandemia
E ancora: «La dimensione mondiale dell’Oms ha permesso ai governi di ciascun Paese di attuare misure di protezione che, sebbene criticate per la loro durezza, hanno aiutato a contenere il numero delle vittime. Abbiamo letto di alcune decisioni sbagliate nel gestire una pandemia mai immaginata né sperimentata.
È importante studiare ogni aspetto di quanto accaduto per non ripetere gli stessi errori, se prevedibili». Poi spiega: «Oltre alla disamina dei costi dell’Oms sarebbe interessante capire come i promotori dell’Oms-exit intendano sopperire alle funzioni proprie dell’organizzazione. Dove recupererebbero i dati globali su cui fondare le azioni necessarie a fronteggiare le emergenze sanitarie nel mondo che toccano tutti. Anche gli Stati Uniti».

Il nazionalismo scientifico
Cattaneo se la prende con «il nazionalismo scientifico, a partire dall’ambito biomedico, l’idea autarchica di una conoscenza che si arresta alle frontiere. Non solo è una contraddizione col metodo della scienza che ha il suo Dna nel confronto senza confini tra studiosi ed enti. Ma è la ricetta più sicura per andare a sbattere contro il muro dell’ignoranza e della superstizione, producendo povertà e marginalità». Per la scienziata «quando si legifera ignorando, o peggio, distorcendo i dati scientifici salta il rapporto con la realtà, e tutto si riduce a un rapporto di forza, quantitativo, tra chi afferma il dato scientifico che due più due fa 4 e chi sostiene che faccia 3 o 5. Oggi, sorprendentemente, vivere in una realtà alternativa, dove i dati cambiano a seconda di quello che fa comodo, viene visto da molti come un obiettivo, e non più un pericolo».

Il clima
Infine, Cattaneo rivela che nella comunità scientifica «il clima era di forte apprensione già nei giorni successivi alla rielezione del presidente Trump. Un editoriale della rivista scientifica Nature riportava la preoccupazione della comunità scientifica ma allo stesso tempo invitava gli scienziati degli Stati Uniti a non rinunciare a un dialogo con la nuova amministrazione e a impegnarsi ancora di più nel mettere a disposizione fatti ed evidenze, nella consapevolezza che non sarebbero stati da soli, perché la comunità della ricerca è globale».

 

25 Gennaio 2025Permalink