11 ottobre 2023 – Una voce grande: Gideon Levy

Gideon Levy, firma prestigiosa di Haaretz, a suo tempo arrivato in Israele facendo l’aliyah:
Gideon Levy: “Israele punisce i palestinesi dal 1948, senza fermarsi un attimo”
Dietro tutto quello che è successo, l’arroganza israeliana. Pensavamo che ci fosse permesso fare qualsiasi cosa, che non avremmo mai pagato un prezzo o saremmo stati puniti per questo.
Continuiamo senza confusione. Arrestiamo, uccidiamo, maltrattiamo, derubiamo, proteggiamo i coloni massacrati, visitiamo la Tomba di Giuseppe, la Tomba di Otniel e l’Altare di Yeshua, tutto nei territori palestinesi, e ovviamente visitiamo il Monte del Tempio – più di 5.000 ebrei sul trono.
Spariamo a persone innocenti, caviamo loro gli occhi e spacchiamo loro la faccia, li deportiamo, confischiamo le loro terre, li saccheggiamo, li rapiamo dai loro letti, effettuiamo la pulizia etnica, continuiamo anche l’irragionevole blocco di Gaza, e tutto andrà bene.
Costruiamo un’enorme barriera attorno alla Striscia, la sua struttura sotterranea costa tre miliardi di shekel e siamo al sicuro. Ci affidiamo ai geni dell’Unità 8200 e agli agenti dello Shin Bet che sanno tutto e ci avviseranno al momento opportuno.
Stiamo spostando metà dell’esercito dall’enclave di Gaza all’enclave di Huwara solo per garantire le celebrazioni del trono dei coloni, e tutto andrà bene, sia a Huwara che a Erez.
Poi si scopre che un primitivo, antico bulldozer può sfondare anche gli ostacoli più complessi e costosi del mondo con relativa facilità, quando c’è un grande incentivo a farlo.
Guarda, questo ostacolo arrogante può essere superato da biciclette e motociclette, nonostante tutti i miliardi spesi per questo, e nonostante tutti i famosi esperti e imprenditori che hanno guadagnato un sacco di soldi.
Pensavamo di poter continuare il controllo dittatoriale di Gaza, gettando qua e là briciole di favore sotto forma di qualche migliaio di permessi di lavoro in Israele – questa è una goccia nell’oceano, anch’essa sempre condizionata ad un comportamento corretto – e in al ritorno, mantenetelo come la loro prigione.
Facciamo la pace con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti – e i nostri cuori dimenticano i palestinesi, così che possano essere spazzati via, come molti israeliani avrebbero voluto.
Continuiamo a detenere migliaia di prigionieri palestinesi, compresi quelli detenuti senza processo, la maggior parte dei quali prigionieri politici, e non accettiamo di discutere il loro rilascio anche dopo decenni di prigione.
Diciamo loro che solo con la forza i loro prigionieri possono ottenere la libertà.
Pensavamo che avremmo continuato con arroganza a respingere ogni tentativo di soluzione politica, semplicemente perché non ci conveniva impegnarci in essa, e sicuramente tutto sarebbe continuato così per sempre.
E ancora una volta si è rivelato non essere così. Diverse centinaia di militanti palestinesi hanno sfondato la recinzione e hanno invaso Israele in un modo che nessun israeliano avrebbe potuto immaginare.
Alcune centinaia di combattenti palestinesi hanno dimostrato che è impossibile imprigionare due milioni di persone per sempre, senza pagare un prezzo elevato. Proprio come ieri il vecchio bulldozer palestinese fumante ha demolito il muro, il più avanzato di tutti i muri e le recinzioni, ha anche strappato di dosso il mantello dell’arroganza e dell’indifferenza israeliana.
Ha demolito anche l’idea che sia sufficiente attaccare Gaza di tanto in tanto con droni suicidi e vendere questi droni a mezzo mondo per mantenere la sicurezza.
Ieri Israele ha visto immagini che non aveva mai visto in vita sua: veicoli militari palestinesi che pattugliavano le sue città e ciclisti provenienti da Gaza che entravano dai suoi cancelli.
Queste immagini dovrebbero strappare il velo dell’arroganza. I palestinesi di Gaza hanno deciso che sono disposti a pagare qualsiasi cosa per un assaggio di libertà. C’è qualche speranza per questo? NO. Israele imparerà la lezione? NO.
Ieri già parlavano di spazzare via interi quartieri di Gaza, di occupare la Striscia di Gaza e di punire Gaza “come non è mai stata punita prima”. Ma Israele punisce Gaza dal 1948, senza fermarsi un attimo.
75 anni di abusi e il peggio l’attende adesso. Le minacce di “appiattire Gaza” dimostrano solo una cosa: che non abbiamo imparato nulla. L’arroganza è destinata a durare, anche se Israele ha ancora una volta pagato un prezzo elevato.
Benjamin Netanyahu ha una responsabilità molto pesante per quanto accaduto e deve pagarne il prezzo, ma la questione non è iniziata con lui e non finirà dopo la sua partenza.
Ora dobbiamo piangere amaramente per le vittime israeliane. Ma dobbiamo piangere anche per Gaza. Gaza, la cui popolazione è composta principalmente da rifugiati creati da Israele; Gaza, che non ha conosciuto un solo giorno di pace.
11 Ottobre 2023Permalink

15 settembre 2023 – Imperativo quasi categorico : Difendere Dio

De La stampa    15 Settembre 2023

Lo sgradevole sentore della guerra di religione   di Lucetta Scaraffia

«Dobbiamo difendere  Dio e gli elementi della nostra civiltà» : sono queste le parole sfuggite alla nostra presidente del Consiglio dopo il colloquio con Orban e sono parole che a dir poco lasciano perplessi: Sappiamo bene come sia difficile rispondere all’impronta su qualunque argomento  e per giunta in un  momento di grande tensione  interna e internazionale, ma quando si tratta  di dire cosa si vuole difendere sarebbe senz’altro meglio stare un po’ più attenti e cercare di spiegarsi meglio. Difendere Dio, oltre che affermazione  teologicamente dubbia – se mai è Dio che ci difende – è un obiettivo molto vago, che non corrisponde in nulla al problema che dobbiamo affrontare , cioè la crescente ondata migratoria di giovani maschi – in prevalenza provenienti da Paesi di tradizione islamica. Costoro infatti potrebbero rispondere che anche loro difendono Dio, e forse con molto maggiore entusiasmo e molta maggiore convinzione  di noi europei. Il fatto che il Dio che difendono è diverso da quello della maggior parte di noi  non va certo dimenticato, ma le parole di Meloni sembrano alludere a un Dio che invece è solo nostro ,  quasi che solo da queste parti si creda in un Dio e si lasciano dietro uno sgradevole , sgradevolissimo, sentore di guerra di religione.
Si può supporre , naturalmente , che Meloni, dicendo quello che ha detto, intendesse parlare di difesa della nostra tradizione cristiana davanti a un’ondata migratoria c he porta in Europa tanti mussulmani spesso assai rigidi nel modo di vivere la loro identità religiosa. Il che, è bene dirlo subito, rappresenta un problema  reale,  un problema che  esiste e si fa sempre più grave. In una società secolarizzata come è la nostra,  infatti, si è creato un vuoto religioso e in gran  parte anche etico che è facile sia riempito da chi ha idee forti e una fede molto sentita.  Sappiamo per esempio che in molti Paesi europei dove è stata forte la migrazione islamica – come l’Olanda, la Gran Bretagna, la Svezia e perfino la Germania – si sta discutendo  se addirittura accettare i principi della sharìa anche nei tribunali locali, creando in tal modo una sorta di sistema giuridico parallelo. Un sistema che, ricordiamolo sempre, non riconosce la libertà delle donne , il diritto a convertirsi a un’altra religione e altri diritti che noi consideriamo giustamente fondamentali.
Ma le nostre società , la nostra civiltà così intrisa d’incertezza sul senso e il valore della propria identità ha non  poche difficoltà, con il suo  relativismo diffuso, a resistere all’ondata di certezze che ci viene rovesciata addosso dall’immigrazione islamica.  Viviamo infatti in un contesto culturale che  non ha chiarito quali siano “gli elementi della nostra civiltà da difendere”. Ammettiamolo:  chi di noi si sentirebbe così sicuro , ad esempio , nel redigere un elenco dei suddetti “elementi”? Allora sarebbe stato opportuno che magari Meloni avesse chiarito meglio quali sarebbero a suo avviso gli elementi da “difendere “, e magari cercasse su tale  elenco il consenso più vasto dell’opinione pubblica. Solo con la chiarezza  e la consapevolezza di chi siamo  , cioè della nostra tradizione culturale , possiamo avviare un confronto con quel mondo così diverso che, nel sentire di molti, ci sta accerchiando, e avviene un confronto vero, che permetta di uscire dall’utopia di un multiculturalismo impraticabile ma anche dalla prospettiva di un  inevitabile  scontro di civiltà.

15 Settembre 2023Permalink

9 settembre 2023_Patrick Zaki si è sposato

Bologna, 9 settembre 2023 – Dopo la laurea all’Università di Bologna e la sua liberazione dopo tre anni di calvario giudiziariolui l’aveva ringraziata sui social per il suo amore, il suo sostegno e incoraggiamento, accanto a una foto di mani intrecciate. In occasione dell’anniversario di fidanzamento, lei gli aveva scritto una lettera colma d’emozione e di speranza, pochi giorni prima della liberazione. E già lo vedeva, quel matrimonio, “più bello di come l’abbiamo sognato”.

Oggi Patrick Zaki – l’attivista egiziano laureato Unibo e cittadino onorario di Bologna, graziato al termine di caso giudiziario in Egitto durato tre anni – si è sposato al Cairo con Reny Iskander. 

La cerimonia si è svolta presso la cattedrale copta di San Marco nel quartiere di Heliopolis della capitale egiziana, con rito copto-ortodosso.

Oltre ai genitori della sposa e dello sposo (papà George e mamma Hala) e alla sorella di Patrick, Marise, in chiesa erano presenti fra gli altri la sua avvocata principale, Hoda Nasrallah, e diversi militanti per la difesa dei diritti umani in Egitto, tra cui Ahmed Douna, come Patrick graziato quest’estate dal presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi.

La sposa indossava un abito bianco con velo e Patrick un completo nero con papillon e camicia bianca. Durante la funzione Patrick ha poi indossato una pesante tunica bianca con bordature e croce dorate e Reny un’abbinata mantellina.

Reny Iskander, moglie di Patrick Zaki, si è laureata – come lo stesso attivista –nel curriculum Gemma dell’Unibo. I due sono insieme da più di quattro anni, uniti nel percorso di studi e nella vita privata.

Reny era accanto a Patrick anche prima degli anni prigionia. Una presenza importante e di riferimento: durante la sua permanenza in carcere, una visita di Iskander aveva scaldato il cuore dello studente egiziano, che le raccontava della sua situazione anche attraverso una lettera.

E poi il giorno della scarcerazione, l’abbraccio tanto atteso tra i due fidanzati ha fatto il giro dei social.

Patrick Zaki si è sposato, chi è la moglie (msn.com)

 

9 Settembre 2023Permalink

8 settembre 2023 Sono passati ottant’anni 2. Qualche notizia pro memoria

La Repubblica 8 settembre 2023
8 settembre 1943, l’Italia firma l’armistizio. Ecco cosa accadde ottant’anni fa
a cura della redazione Cultura

Fu l’inizio della feroce occupazione tedesca del nostro Paese, ma anche della Resistenza che portò alla rinascita dell’Italia democratica

Che cosa è successo l’8 settembre 1943?

L’8 settembre 1943 segna la data in cui venne reso pubblica, tramite un proclama del maresciallo Pietro Badoglio, diventato primo ministro il 25 luglio in seguito alla deposizione di Mussolini, la firma dell’armistizio di Cassibile. L’armistizio, così chiamato perché era stato firmato il 3 settembre nella località siciliana, prevedeva che l’Italia si arrendesse incondizionatamente alle Nazioni Unite e abbandonasse l’alleanza con la Germania di Hitler. La firma dell’armistizio il 3 settembre prevedeva che rimanesse segreto per cinque giorni: il pomeriggio dell’8 settembre 1943 alle ore 17:30, corrispondenti alle 18:30 italiane, il generale Dwight Eisenhower ne diede notizia, in lingua inglese, su Radio Algeri.

Il proclama di Badoglio fu trasmesso alle 19:42 dai microfoni dell’Eiar. Il giorno stesso della firma dell’armistizio gli angloamericani sbarcarono a Salerno, iniziando a risalire verso Nord. Dal 28 agosto Mussolini si trovava a Campo Imperatore, ai piedi del Gran Sasso, controllato da 250 carabinieri e guardie di pubblica sicurezza. Nelle prime ore del 12 settembre un gruppo di paracadutisti tedeschi, con un’operazione denominata Quercia, lo libera e lo trasporta per via aerea prima a Pratica di mare, poi a Vienna e infine a Monaco di Baviera.

Quali furono le conseguenze della proclamazione dell’armistizio? 

Nella notte tra l’8 e il 9 settembre il re Vittorio Emanuele III fugge da Roma insieme alla regina Elena, al principe ereditario Umberto, al maresciallo Badoglio e lo Stato maggiore al completo. A Pescara si imbarcano sulla corvetta “Baionetta” e 48 ore dopo arrivano nel porto di Brindisi. Lasciato senza comandi sia in Italia che all’estero, l’esercito italiano è allo sbando: si tratta di oltre un milione di uomini dislocati in Italia e di 900.000 dislocati nei Paesi occupati. Un esercito male equipaggiato, con armamento inadeguato alle esigenze del momento, che resta senza direttive.

La Germania, ormai ex alleato, dà il via all’Operazione Achse, che prevede che i reparti della Wehrmacht e le SS prendano il controllo del territorio dell’Italia settentrionale e centrale fino a Roma. Le truppe tedesche prendono subito possesso di aeroporti, stazioni ferroviarie e caserme, cogliendo di sorpresa le forze armate italiane. Era previsto che chi accettava di continuare a combattere al fianco dei tedeschi potesse conservare le armi; chi rifiutava era da considerarsi prigioniero di guerra da internare in Germania, chi si fosse opposto sarebbe stato passato per le armi.

A Roma, presso l’ambasciata tedesca, il 28 settembre viene istituito in assenza di Mussolini stesso, che ancora si trovava in Germania, lo “Stato Fascista Repubblicano d’Italia” che verrà denominato più tardi Repubblica Sociale Italiana a partire dal 1 dicembre, detta poi Repubblica di Salò dal nome della località sul lago di Garda che era sede del Ministero della cultura popolare e delle agenzie di stampa. Pur rivendicando l’intero Regno d’Italia, la Repubblica di Salò coincideva con il territorio ancora nelle mani delle truppe nazifasciste, e andò riducendosi progressivamente man mano che gli Alleati avanzavano verso nord.

Come nacque la Resistenza?


Le forze politiche antifasciste (comunisti, socialisti, democristiani, azionisti, liberali) danno vita il 9 settembre 1943 al Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), che nei 20 mesi successivi sarà guida politica e militare della lotta di Liberazione. I tedeschi nei giorni immediatamente successivi all’armistizio hanno disarmato e catturato in Italia e all’estero circa 800.000 soldati italiani: la gran parte degli uomini, deportati nei lager, sarà protagonista della “Resistenza disarmata” dei cosiddetti internati militari italiani (IMI).

La Resistenza, guidata da antifascisti che hanno combattuto il regime fascista nel corso di tutto il Ventennio, è composta da forze con diverso orientamento e vi partecipano civili di ogni età e militari che hanno rifiutato l’arruolamento a Salò e che, sfuggiti alla cattura e alla deportazione, decidono di partecipare alla ricostruzione dell’Italia democratica. In clandestinità, il CLN riesce a organizzare comitati militari che assumono la responsabilità dell’organizzazione delle forze che vanno raccogliendosi in città e in montagna, e si radicano nel territorio.

Le formazioni partigiane si organizzano in brigate (le “Garibaldi”, le “Giustizia e Libertà”, le “Matteotti”, le “Mazzini”, le “Autonome”, etc.) mentre nelle città prendono vita le SAP (Squadre di Azione Patriottica) e i GAP (Gruppi di Azione Patriottica), dediti a operazioni di reclutamento e propaganda, sabotaggio, guerriglia urbani

 

8 settembre 1943, l’Italia firma l’armistizio. Ecco cosa accadde ottant’anni fa – la Repubblica

8 Settembre 2023Permalink

7 settembre 2023_ Una notizia dalla Palestina

Trasferisco quanto ricevuto, girato da una amica.
Pubblico perché i miei ricordi di soggiorno in Palestina e di attraversamento dei checkpoint sola, senza la protezione di alcun gruppo, rendono credibile ciò che viene narrato
Spero che alla cittadina italiana, abbandonata ad Amman con il bambino , l’ambasciata italiana assicuri sicurezza e protezione.
E soprattutto dia notizia per quanto possibile della sorte di Khaled El Qaisi.
Pur nella differenza della situazione non dimentico Giulio Regeni.

Israele arresta Khaled El Qaisi, ricercatore italo-palestinese

Israele arresta Khaled El Qaisi, ricercatore italo-palestinese
     

redazione

Pagine Esteri, 6 settembre 2023 –  Lo scorso 31 agosto il giovane ricercatore italo-palestinese Khaled El Qaisi è stato arrestato dalle autorità israeliane al valico di Allenby, tra Cisgiordania e Giordania. Ne danno notizia la moglie del ricercatore, Francesca Antinucci, e la madre, Lucia Marchetti.

El Qaisi, di doppia nazionalità, italiana e palestinese, la scorsa settimana, diretto ad Amman, stava attraversando il valico di Allenby  con moglie e figlio dopo aver trascorso le vacanze con la propria famiglia a Betlemme. Al controllo dei bagagli e dei documenti è stato ammanettato sotto lo sguardo del figlio di 4 anni, e della moglie.

Antinucci spiega che alle richieste di delucidazioni sui motivi del fermo, non è seguita risposta alcuna da parte degli agenti di frontiera israeliani. Invece le sono state sottoposte domande per poi essere allontanata col figlio verso il territorio giordano, senza telefono, senza contanti né contatti, in un paese straniero. Solo nel tardo pomeriggio la moglie e il bambino sono riusciti a raggiungere l’Ambasciata italiana ad Amman grazie all’aiuto di alcune persone.

Khaled El Qaisi, aggiungono la madre e la moglie, ancora non ha potuto incontrare il suo avvocato. Si è solo saputo che affronterà un’udienza davanti a giudici israeliani domani, 7 settembre, presso il tribunale di Rishon Lezion.

Traduttore e studente di Lingue e Civiltà Orientali all’Università La Sapienza di Roma, stimato per il suo impegno nella raccolta, divulgazione e traduzione di materiale storico, è tra i fondatori del Centro Documentazione Palestinese, associazione che mira a promuovere la cultura palestinese in Italia.

A sostegno di Khaled El Qaisi, l’intergruppo parlamentare per la Pace tra Palestina e Israele ha inviato una lettera-appello al ministro degli esteri Antonio Tajani, per sollecitare un intervento delle autorità di governo italiane su quelle israeliane. Pagine Esteri

 

 

7 Settembre 2023Permalink

2 settembre 2023 _ Colpi di stato in Africa – Un mio piccolo dossier

Dopo il Niger, il Gabon. A mettere in fila gli eventi, si potrebbe immaginare un domino Wagner nell’Africa francofona: dopo il fallito ‘putsch’ in Russia dei mercenari di Evgheny Prigozhin il 24 e 25 giugno, c’è stato un colpo di Stato in Niger il 25 luglio della guardia presidenziale contro il presidente Mohamed Bazoum, filo-occidentale; e, ieri, a una settimana dalla tragica scomparsa di Prigozhin in uno schianto aereo, c’è stato un colpo di Stato in Gabon contro il presidente Ali Bongo Ondimba, appoggiato (non senza screzi) da Parigi. (Giampiero Gramaglia – Gp News)

31 agosto 2023.        Le ragioni dei continui colpi di stato in Africa
Pierre HaskiFrance InterFrancia

Il fenomeno è eccezionale e non può essere spiegato in modo semplicistico. GuineaMaliBurkina FasoNiger e il 30 agosto anche il Gabon: negli ultimi anni cinque paesi francofoni dell’Africa hanno vissuto colpi di stato militari. Inevitabilmente emergono diversi interrogativi.

Tra le spiegazioni semplicistiche possiamo elencare una semplice epidemia di golpe, un complotto russo o un rifiuto della Francia. Senza dubbio questi ingredienti sono presenti qua e là, a vario grado. Ma bisogna approfondire.

Il punto in comune tra le vicende citate è il fallimento degli stati postcoloniali, creati sotto una forte influenza francese e caratterizzati da due fasi storiche, una autoritaria e l’altra democratica, o per essere più precisi pseudo-democratica.

Nel 1960, quando diverse colonie francesi ottennero l’indipendenza, il presidente Charles de Gaulle e il suo “monsieur Afrique”, il discusso Jacques Foccart, misero in piedi regimi il cui obiettivo era quello di garantire l’influenza francese dietro una facciata di sovranità.

Il Gabon è stato la caricatura di questo processo.

Democrazie senza alternanza, senza contropoteri e senza alcun freno alla corruzione. Ma ora questo inganno politico sta saltando per aria

Foccart  ha raccontato di aver  scelto personalmente Omar Bongo (padre) quando il primo presidente del paese, Léon Mba, ha scoperto di essere affetto da un cancro, nel 1965. Bongo, all’epoca trentenne, era il direttore di gabinetto del presidente. Sostenuto da Foccart, ha guidato il Gabon fino alla sua morte, nel 2009. Poi il figlio, Ali Bongo Ondimba, ha preso il suo posto fino al golpe del 30 agosto 2023, arrivato dopo quasi sessant’anni di dominio della famiglia Bongo.

Questo non basta a spiegare il colpo di stato, ma aiuta a comprendere la gioia popolare che ha accompagnato il golpe. Inoltre da questa prospettiva è facile capire l’impasse politica in cui si trovava il Gabon, al pari di altri paesi del continente.

Durante la prima fase la Francia non si è solo adattata, ma ha tirato le fila del regime autoritario. In occasione della mia prima visita a Libreville, nel 1981, i tre uomini forti del paese erano l’ambasciatore francese, il comandante francese della guardia presidenziale e il capo di Elf, la compagnia petrolifera francese. Nel paese nessuno poteva fare niente senza il loro consenso.

Dopo la caduta del muro di Berlino, François Mitterrand ha vincolato gli aiuti francesi alla democratizzazione del regime. Un escamotage che ha permesso agli autocrati di prolungare il loro dominio, come dimostra in modo lampante il caso dei due Bongo, padre e figlio, ma anche quello di Paul Biya, l’eterno presidente del Camerun. Democrazie senza alternanza, senza contropoteri e senza alcun freno alla corruzione. Ma ora questo inganno politico sta saltando per aria un po’ ovunque.

La Francia ha progressivamente allentato la presa politica. Gli interessi economici francesi nel continente si sono ridotti, con l’eccezione proprio del Gabon. Nel frattempo la Cina si è ritagliata un  ruolo di primo piano in buona parte dell’Africa,

Ma ancora oggi sopravvivono l’eredità, il quadro istituzionale e i blocchi politici lasciati dalla Francia, mentre le nuove generazioni non sopportano più di essere mal governate e i militari si presentano come salvatori della patria. Parigi si illude evocando il ritorno di istituzioni che hanno perso tutta la loro legittimità, ma il patto sociale si è rotto, e forse questa è l’occasione di rinegoziarlo.

In queste condizioni, come sottolineava qualche settimana fa il pensatore di origine camerunese Achille Mbembe sul quotidiano Le Monde, “i golpe appaiono come l’unico modo di provocare un cambiamento, di assicurare una forma di alternanza al vertice dello stato e di accelerare la transizione generazionale”. Una tripla necessità che non abbiamo voluto considerare e che oggi esplode, nel bene e nel male.    (Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale ha una newsletter settimanale che racconta cosa succede in Africa. Ci si iscrive qui.

Gabon: dopo Niger, epidemia colpi di Stato in Africa prosegue (gyvs) (informazione.it)

https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2023/08/31/africa-gabon-colpi-stato

L’epidemia di golpe africani: un allarme per l’Europa

diFederico Rampini| 30 agosto 2023

Un filo conduttore è la crisi di molti esperimenti democratici in Africa: solo il 38% degli africani è soddisfatto di come funziona la democrazia, le loro élite intellettuali la associano all’Occidente inteso come imperialismo e neo-colonialismo

Il golpe in Gabon è l’ottavo consecutivo in soli tre anni in quella parte dell’Africa, cioè la fascia occidentale e centrale del continente. Lo hanno preceduto Mali, Guinea, Burkina Faso e di recente il Niger, alcuni dei quali hanno subito dei colpi di Stato militari a ripetizione (è così che si arriva al totale di otto).

L’instabilità politica che questa “epidemia” segnala, il grave arretramento della democrazia che genera, hanno spinto il responsabile della politica estera Ue Josep Borrell a parlare di “un grosso problema per l’Europa”. A conferma, della crisi in Gabon parleranno a breve i ministri della Difesa dell’Unione.

In cerca di semplificazioni sarebbe facile soffermarsi su un aspetto: tutti i paesi sopra elencati per la “epidemia dei golpe” sono ex-colonie francesi. Molti di loro in seguito alla presa di potere dell’esercito hanno denunciato gli accordi con la Francia, in certi casi (Mali, Burkina) cacciando i contingenti delle forze armate di Parigi.

Siamo dunque in presenza di una «seconda morte dell’impero coloniale francese in Africa»? Senza dubbio il sentimento anti-francese gioca un ruolo. Nel Niger poco dopo la deposizione del presidente democraticamente eletto abbiamo visto scendere in piazza delle folle che inneggiavano ai militari golpisti, urlavano «abbasso la Francia e viva Putin». Le accuse di neocolonialismo contro Emmanuel Macron e i suoi predecessori sono pratica corrente. È ancora presto per dire se il copione si ripeterà in Gabon, dove pure la presenza transalpina è rilevante, per esempio con la società Elf nel petrolio. Greggio e cacao sono le due principali esportazioni del Gabon.

Un simbolo che spesso viene usato per esemplificare i retaggi di colonialismo francese, è l’unione monetaria nel Cfa o franco africano, un’istituzione abbastanza curiosa anche nel nome, visto che a Parigi il franco non esiste più, sostituito ovviamente dall’euro da oltre un ventennio.

Il Cfa è un’architettura a dir poco barocca: quella sigla descrive in realtà due unioni monetarie, una per l’Africa centrale e l’altra per l’Africa occidentale; tutt’e due legate all’euro da una parità fissa e garantite dal Tesoro di Parigi. Si possono tracciare delle (vaghe) analogie con il Commonwealth britannico. La Francia ne ricava pochi vantaggi comunque. In compenso paga un prezzo politico: nell’immaginario collettivo di molti paesi africani la sola esistenza di un “franco Cfa” è un simbolo potentissimo di ciò che loro percepiscono come un retaggio coloniale.

Ma le accuse a Parigi sono solo in parte giustificate, per lo più invece sono pretestuose, incoerenti, in malafede. Gli stessi paesi che ora cacciano i militari francesi, magari per sostituirli con mercenari russi, l’altroieri avevano chiesto aiuto a Parigi per combattere terroristi jihadisti e milizie separatiste. Gli stessi militari che hanno preso il potere a ripetizione, invocando come pretesto per i loro golpe l’incapacità dei governi civili di garantire ordine e sicurezza, sono essi stessi responsabili per clamorosi insuccessi nel reprimere terroristi, jihadisti, organizzazioni criminali. I generali che cacciano i politici accusandoli di corruzione sono di solito i primi campioni della corruzione.

Celebrare la seconda morte dell’impero francese è una forzatura anche perché la crisi della democrazia – e della sicurezza – si estende oltre l’Africa francofona. L’anglofono Zimbabwe ha appena tenuto delle elezioni di dubbia correttezza, non più limpide di quanto lo sia stata in Gabon la vittoria del “figlio d’arte” Ali Bongo (il 64enne presidente appena deposto viene da una dinastia initerrottamente al potere da 56 anni, suo padre Omar Bongo governò dal 1967 al 2009). Il Sudan, che non è un ex colonia francese bensì fu un possedimento in condominio anglo-egiziano, è ancora devastato dalla guerra tra due fazioni militari. Una ricaduta di disordini e di repressione si sta verificando anche in Etiopia, la nazione dell’Africa che si vanta di non essere mai stata colonizzata da nessuno (a ragione gli etiopi definiscono “occupazione” l’episodio italiano, che considerano talmente breve e con impatto troppo modesto per potersi definire una colonizzazione).

Un filo conduttore è la crisi di molti esperimenti democratici in Africa. L’ultimo sondaggio Afrobarometro rivela che solo il 38% degli africani sono soddisfatti di come funziona la democrazia nel proprio paese (quelli che ce l’hanno). Secondo la ong americana Freedom House metà degli Stati continentali sono “non liberi”, il 43% “parzialmente liberi”.

Noi occidentali però questi giudizi dovremmo maneggiarli con moderazione e spirito critico, tenuto conto che anche le opinioni pubbliche di casa nostra danno segnali di delusione e disaffezione verso il sistema politico democratico. Dovremmo anche considerare quel che sta accadendo in Africa come un’emergenza che ci riguarda per diversi aspetti, non tutti scontati. Da una parte è un “grosso problema” (come dice Borrell) perché la catena dei golpe investe zone strategiche per l’Europa sia come origini di flussi migratori sia come giacimenti di risorse energetiche e minerarie. D’altra parte è un “grosso problema” se e quando questi golpe poggiano su narrazioni anti-occidentali e spianano la strada a ulteriori penetrazioni di Cina, Russia, o anche altri attori come Arabia saudita, Turchia.

Dietro quest’ultimo fenomeno c’è una tendenza allarmante che accomuna tanti paesi africani: troppo spesso le loro élite intellettuali tendono ad associare la democrazia all’Occidente nel senso deteriore che esse danno alla parola Occidente, cioè come simbolo di imperialismo, post o neo-colonialismo, sfruttamento. Così facendo queste élite ottengono il triplice risultato di screditare la democrazia, avallare i golpe, legittimare le intese fra golpisti e Pechino, Mosca, eccetera.

È utile che del tema si occupino i ministri della Difesa europei perché buona parte dell’Africa soffre per un deficit di sicurezza prima ancora che di stabilità o di libertà. La democrazia non sopravvive se non è capace di assicurare ai propri cittadini un minimo di “legge e ordine” (tema sottovalutato o incompreso negli stessi paesi occidentali). I militari del Gabon, come quelli del Niger, Mali e Burkina Faso prima di loro, sono dei bugiardi quando promettono sicurezza visto che fino a ieri hanno avuto vasti poteri per mantenere l’ordine e non lo hanno fatto. Qualcuno però dovrà riuscirci prima o poi. Crescita economica, sviluppo, occupazione, istruzione e sanità, progrediscono se esiste un minimo di sicurezza. L’Europa dovrebbe sviluppare una offerta alternativa – in una cornice di rispetto dei diritti umani – rispetto al Gruppo Wagner o altre milizie mercenarie.

Il fatto che il golpe del Gabon sia accaduto a così breve distanza da quello del Niger ricorda un altro fallimento che si sta consumando: quello della comunità economica dell’Africa occidentale, Ecowas. Sotto la leadership della nazione più importante di tutto il continente, la Nigeria, l’Ecowas aveva promesso/minacciato un intervento militare multinazionale per ripristinare il legittimo governo civile in Niger. Poi l’Ecowas si è impaurita, soprattutto perché all’interno della stessa Nigeria sono cresciute le resistenze. Forse l’Unione europea dovrebbe riprendere il bandolo della matassa proprio da lì.

L’epidemia di golpe africani: un allarme per l’Europa- Corriere.it

2 Settembre 2023Permalink

27 agosto 2023 – Un generale si autopropone letterato e il Vicepresidente del Consiglio ne promuove il senso del dovere.

Per parlare del caso chiacchieratissimo del generale R.V. mi appoggio ad autorevoli fonti (citate nei link)  e, per cominciare, mi servo di brevi tratti riportati dalla Agenzia AGI  (cfr link n.1)

 L’esercito apre un’inchiesta interna sul caso Vannacci
Non si spegne la polemica sul libro “Il mondo al contrario”.  © Aleandro Biagianti / Agf – Il generale Roberto Vannacci

AGI – Non accenna a placarsi la polemica sul generale dell’Esercito Roberto Vannacci, autore di “Il mondo al contrario”, un saggio di circa 300 pagine con frasi denunciate come omofobe e razziste. E proprio i contenuti del libro, che hanno fatto esplodere la bufera, sono il motivo della decisione dello Stato maggiore dell’Esercito di sollevarlo dalla guida dell’Istituto geografico militare.

L’Esercito ha ufficializzato l’avvicendamento di Vannacci al comando dell’Istituto Geografico militare di Firenze e l’apertura di un’inchiesta interna in relazione al volume. Il provvedimento, si legge in una nota, è stato adottato “per tutelare sia l’Esercito sia il Generale Vannacci, sovraesposto mediaticamente dalla vicenda legata al suo libro”.

“Va infatti considerato che al Comandante dell’Istituto Geografico Militare è anche attribuita la responsabilità territoriale e la gestione dei rapporti tra Esercito, autorità e istituzioni locali”, si sottolinea. “Parallelamente è stata avviata un’inchiesta volta all’accertamento dei fatti”, un “atto dovuto ai sensi degli articoli 552 e 553 del Testo Unico dell’Ordinamento Militare”.

E, a questo punto, trovo un’espressione che  mi fa paura.
Chi usa la parola dovere in relazione al dirsi del generale R.V. , indicato come leader della Lega, è un ministro della Repubblica e Vicepremier del Governo Meloni.
Trascrivo le poche righe in cui trovo la parola “dovere  “.

“Se il generale scrive qualcosa che non ha niente a che fare con segreti di Stato o con il suo lavoro, ed esprime dei suoi pensieri nero su bianco, ha il DOVERE e il diritto di farlo”.

Nel timore di sbagliare- e di dar luogo a contestazioni  militariste – proseguo con le verifiche.

E nel link n. 2 ritrovo la parola che mi spaventa, dovere, già constatata presente nel n. 1.

Matteo Salvini, ministro e vicepremier, allarga la crepa nel centrodestra sul caso Vannacci. C’è uno spazio politico da occupare subito, quello dove si è ben accomodato il generale che il ministro della Difesa Guido Crosetto ha destituito con provvedimento disciplinare per le tesi omofobe, contro i migranti e le femministe del suo libro. Fonti leghiste fanno infatti sapere di una «telefonata molto cordiale» tra il vicepremier Matteo Salvini e il parà. Salvini promette che leggerà il libro e intanto chiede di giudicare il generale «per quello che fa in servizio. Se poi scrive qualcosa che non ha niente a che fare con i segreti di Stato o il suo lavoro ha tutto il DOVERE e diritto di farlo. La condanna al rogo come Giordano Bruno non mi sembra ragionevole».

E ritrovo la stessa parola anche su Avvenire (quotidiano della CEI) che riporta la stessa citazione del paragrafo precedente depurata dal riferimento ridicolo  (opinione mia) a Giordano Bruno.
Ma la Conferenza Episcopale Italiana aggiunge un’altra nota importante con un riferimento nominativo di cui non sono responsabile.  Scrive  che:

“solo l’outsider Marco Rizzo (Partito comunista – Democrazia sovrana popolare), … invece ha puntato il dito su chi ha ignorato il generale dopo i suoi esposti sull’uranio impoverito e ora lo attacca per delle opinioni personali”.

Quindi, se è vero quello che ha scritto Avvenire, dando voce all’on Rizzo,  la denuncia dell’uranio impoverito  che, per qual cha capisco, “ha a che fare con i segreti di Stato” non ha invece a che fare con il best seller generalizio , voce di un libero cittadino italiano che non viola  in quel testo la disciplina militare..
A me sembra un gioco incrociato di furbacchioni,  ma io sono solo io  come sempre.
Così anche i vescovi  uniti nella CEI hanno il loro  link che porta il n. 3.

Infine cosa ha detto il cittadino Vannacci (libero di esprimere le sue opinioni)  di professione militare con il grado di generale?

Tanto ne hanno scritto i quotidiani e chiacchierato la TV sui più vari canali che preferirei non fare disturbanti citazioni .  Mi limito a una soltanto:

«Il lavaggio del cervello a cui siamo sottoposti giornalmente volto ad imporre l’estensione della normalità a ciò che è eccezionale ed a favorire l’eliminazione di ogni differenza tra uomo e donna, tra etnie (per non chiamarle razze), tra coppie eterosessuali e omosessuali, tra occupante abusivo e legittimo proprietario, tra il meritevole ed il lavativo non mira forse a mutare valori e principi che si perdono nella notte dei tempi?

E concludendo segnalo la silloge delle bravate verbali  proposta da Domani  (link n. 4)

 

LINK numero 1     Agi_Agenzia Italia   22 agosto 2023

Bufera su Vannacci. Salvini sente il generale. Crosetto: ‘Ho agito da ministro’

LINK numero 2     Il sole 24 ore   21 agosto  2023

https://amp24.ilsole24ore.com/pagina/AFOPE6a

LINK numero 3.   Avvenire -21 agosto 2023

Salvini difende il generale: «No al Grande fratello». Lui lo ringrazia (avvenire.it)

LINK numero 4.   Domani  –  22   agosto 2023

Streghe, «invertiti», patria e armi: dieci frasi dal libro “Mondo al contrario” di Vannacci (editorialedomani.it)

27 Agosto 2023Permalink

22 agosto 2023 – Una mia scelta dall’ultima pagina di “Cerco solo di capire”, il blog di Giancarla Codrignani.

22 agosto 2023
“Cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione!”, punto esclamativo incluso casomai non si fosse capita l’assertività. Poi, attacchi al femminismo, all’ambientalismo, ai clandestini, solo delinquenti e stupratori, par di capire. Il tutto condito da un linguaggio triviale e sessista. Libro numero 3 in classifica dei saggi su Amazon, uscito pochi giorni fa e autoprodotto, a colpire il ruolo dell’autore: Roberto Vannacci, 55 anni, generale di lungo corso, già a capo dei paracadutisti della Folgore e oggi alla guida dell’Istituto geografico militare (esautorato dal Ministro Crosetto. Non basta.

*****

“Sono un obiettore di coscienza al servizio militare, e aderisco alla campagna di “Obiezione alla guerra” del Movimento Nonviolento. Sostengo tutti gli obiettori e credo che se fossero accolti, ascoltati e sostenuti, come i tanti nonviolenti che agiscono da sempre in tutte le parti del mondo, se fosse sostenuto il progetto di Difesa civile non armata e nonviolenta della Patria, riusciremmo davvero a fare passi concreti per “ripudiare la guerra”, ed onorare la nostra Costituzione. Pensiamoci. Di più. Quando stringiamo accordi coi dittatori, quando gli vendiamo armi, quando aumentiamo le spese militari. Quando non cerchiamo giustizia, libertà, democrazia, diritti, uguaglianza. Per tutti. MAURO BIANI, il vignttista di Repubblica

*****

Michela Murgia è stata una grande intellettuale a cui va riconosciuto un magistero morale popolare. Anche una profezia cattolica: l’omaggio del card. Zuppi (“credeva ai legami d’anima, perché siamo generati non dal sangue, ma dallo Spirito”) e il funerale religioso debbono essere passati come la tradizionale “occupazione” degli interessi ecclesiastici. Michela era citata e ha scritto per l’Osservatore Romano. La spaccatura interna al mondo cattolico risulta evidente, se il testamento resta un fatto laico senza considerazione sulla contraddizioni – laiche e religiose – sui vincoli dell’amore.

*****

Comunicare: di destra, di sinistra. Dice Salvini: ”Non guardo mai la tv: perché dovrei pagare il canone?” di pancia. La sinistra racconta tutte le sfumature del “lavoro povero” (chiamato così da tutti), come se non ci fosse il lavoro “nero” o il “no” al reddito di cittadinanza senza ragionare sul valore della spesa di 30 mld senza effetti quando andiamo a fare la spesa. Il “metodo destra” – come fu all’origine del fascismo – è intuitivo. Anzi, ti vieta di ragionare.

*****

Alternative für Deutschland: se pensassero che è nazismo, forse non lo direbbero. Ma sono proprio nazisti e oggi negano posto a scuola agli handicappati: stiano in aule speciali e non tolgano opportunità ai “sani”. Anche Lgbtq+ possono essere troppo diversi, intoccabili.

*****

Il Ponte sullo Stretto: le tre linee che collegano la Basilicata da Potenza a Foggia, Napoli e Taranto sono sospese per lavori di aggiustamento. Tra Vaglio e Trevigno, sempre Basilicata frana e crollo di un ponte: isolate? Gente, avete votato Salvini.

*****

Pagare i Parlamentari. Uno polemica mortificante con Fassino che difendeva gli emolumenti più o meno reali (per legge sono diversi quelli dei senatori e quelli dei deputati), stroncabile dalla richiesta che ci viene dall’Europa di regolare le prestazioni (“talora” gratuite dei vari professionisti “onorari”, giudici o ambasciatori). Inutile ricordare che sia i greci che i romani, che i moderni nel formarsi degli Stati democratici hanno retribuito le cariche pubbliche per non lasciarle nelle mani dei nobili e dei ricchi. Oggi gli eletti del popolo sono dei professionisti e vanno retribuiti. Io con il mio stipendio di insegnante, senza figli e senza altri incarichi, non ce l’avrei fatta per le spese che di cui ho dovuto farmi carico; ma questo non significa che non si debba tornare alla costituente quando Teresa Mattei pensava allo stipendio del metalmeccanico. Infatti proprio l’eletto dal popolo fa un lavoro di massima responsabilità (è, tra l’altro, “a disposizione” e non ha quasi più vita personale normale (cose queste di scarsa importanza e comuni ad altri “mestieri”.ma fare il legislatore è come fare il giudice costituzionale (come “paga” l’ultimo livello dovrebbe essere superiore a quello di senatore o deputato), non può essere un mestiere o una professione. Infatti è questione di lessico: si è perduta la terminologia originaria: non ci sono mai stati “stipendi”; ma indennità; né “pensioni”, ma vitalizi. Poi ognuno è libero di fare (secondo me) antipolitica e decidere che andava bene quando i diritti li stabiliva il regime e la camera dei fasci e delle corporazioni.
La produttività del Parlamento va certamente controllata. Dall’informazione (che ha “diritto” di averla e “dovere di praticarla criticamente). Ma soprattutto dall’elettore.

*****

La settimana prima di Ferragosto due fatti internazionali che riguardano il mondo: In Ecuador l’uccisione del giornalista anticorruzione Fernando Villas – che non avrebbe vinto, ma faceva paura – mostra che il potere delle cosche della droga – che in pochi anni hanno unito l’Ecuador (negli ultimi 3 anni la droga requisita è passata da 79 a 200 tonnellate, mentre nella sola Guayaquil si sono commessi 1.537 omicidi) a Colombia e Perù (che producono il 60 e il 26% della coca del mondo) – sono uno dei poteri forti. Poi il golpe in Niger: nessuno sapeva l’importanza di questo paese la cui democrazia godeva del sostegno delle potenze occidentali poco attente negli anni a promuovere democrazia anche negli altri paesi dell’Africa nera. Errori da non scontare, perché i partiti islamici radicali vincono perché il Niger odia la Francia, ma nessuno ama l’Occidente, anche se ormai ne condivide le ambizioni di consumo. In Niger l’Europa poteva intervenire insieme con la Francia ricorrendo all’ art. 1 e 2 del Trattato del Quirinale per la cooperazione bilaterale rafforzata: tempestività.

*****

I Palestinesi. Il Vaticano ha ricevuto il ministro degli Esteri dello Stato Palestinese Riad Malki. Nell’incontro è stato sottolineata la crescita della conflittualità religiosa, oltre che militare, che porta a radicalizzare le posizioni: conseguenze dei movimenti nazionalisti religiosi e della politica israeliana in territorio palestinese. Anche se positive le proteste del popolo israeliano contro la riforma della giustizia e se il rappresentante palestinese ha espresso un giudizio positivo sul suo omologo israeliano Eli Cohen, “uomo di pace”, si rammaricava che la questione non è più sull’agenda delle cancellerie occidentali: c’è una normalizzazione in atto, nonostante gli “accordi di Abramo (che il ministro palestinese ritiene positivi). “Noi palestinesi nell’eventualità di nuovi patti per le zone B e C pretenderemo che sia assegnato agli Usa e all’Unione Europea il ruolo di garanti…(analogamente) focalizzarci sull’Iniziativa di PaceAraba, approvata da tutti gli Stati arabi ed islamici” Contestualmente “dobbiamo far crescere una pacificazione anche tra i nostri popoli senza la quale gli accordi trai vertici politici contano poco. I cristiani di Terra Santa con le loro scuole lo fanno, ma è difficile ispirare sentimenti di pace quando ogni giorno sopporti i soprusi… Auspichiamo che la diplomazia della Santa Sede, che sta giocando un ruolo importante e generoso nel conflitto russo-ucraino, possa esercitare efficacemente le sue note ed apprezzate capacità anche in questa situazione. Occorre ricreare quel clima di dialogo che portò 30 anni fa agli accordi di Oslo,…. Sono passati quasi 10 anni dalla bella iniziativa di Papa Francesco di piantare con i due presidenti un ulivo della pace nei giardini vaticani. È ora di innaffiare e fare crescere quell’albero”. Non so come lo leggiate voi: sono parole di chi non ha speranza.

E il cinismo: forse molliamo Zelinsky. Pechino affronta la sua “bolla” alla Lehman Brothers fa paura. Biden sigla i “Principi di Camp David” patto di ferro Usa-Giappone-Corea di prevenzione anticinese, ma validi anche se vincesse Trump. Trump deve vedersela con diversi processi per corruzione e brogli, mentre la Cina ha annunciato di voler rendere noto il presunto piano di Washington sul cyber-attacco contro il “Centro di monitoraggio terremoti” di Wuhan. Ma lo spionaggio non viola il diritto internazionale?

*****

Vignetta pagata dal contribuente. I produttori di grano, i pastifici e dell’intera catena alimentare legata ai prezzi delle materie prime rese fluide della guerra ucraina, non hanno notizie dal governo. Il ministro Lollobrigida in materia ha versato mezzo milione per una campagna di pubblicità della “pasta” all’insegna di un personale slogan “La pasta, integratore di felicità”.

 

 

22 Agosto 2023Permalink

12 agosto 2023 – Marinella Perroni ricorda Michela Murgia

11 agosto 1023 L’Osservatore  romano

Un ricordo di Michela Murgia  La vita, la teologia e le polpette
di Marinella  Perroni

Il 10 agosto è morta, a 51 anni, la scrittrice Michela Murgia. Ne pubblichiamo un ricordo personale della teologa Marinella Perroni.

L’ultimo suo post su Instagram è stata una piccola ode alle polpette. Ho scaricato Instagram negli ultimi mesi solo per seguire lei, perché mi aveva detto che era quello il modo che aveva scelto per restare in contatto con tutti coloro che le volevano bene, le erano cari, la seguivano. E io mi sono sempre sentita soltanto una dei tanti, innumerevoli, suoi amici. Per me, però, averla conosciuta è stata anche una sorta di “grazia di stato”. Sì, dato che la passione per la riflessione teologica è sempre stato uno dei fili portanti delle nostre, purtroppo rare, ma lunghissime conversazioni. Perché per Michela fede e teologia non potevano che convergere, l’una a sostegno e garanzia dell’altra, ma anche l’una in grado di far deflagrare l’altra.

Lei lo ha raccontato diverse volte nei suoi libri. Ci siamo conosciute quando ancora intorno a lei non si era andato raccogliendo il mondo intero, scrittori e stilisti, scienziati e politici, intellettuali e giornalisti. E, con loro, un numero incalcolabile di “amici” che hanno goduto della sua capacità davvero unica di esprimere in parole acute e taglienti, scevre da qualsiasi preziosismo, la sua intelligenza delle cose, del mondo e delle persone. Una intelligenza limpida, che andava alla velocità della luce, che mai si piegava al male della banalità, che sempre intravvedeva la ricaduta politica di ciò che siamo e facciamo.

Era la sera dell’8 marzo 2010 e da un paese della provincia di Nuoro di qualche centinaio di abitanti mi avevano invitato a tenere una tavola rotonda su “donne e chiesa”, uno dei tormentoni che va avanti ormai da decenni. Mi avevano contattato dicendomi che, accanto a due teologhe che venivano dal continente (insieme a me c’era Cristina Simonelli), ci sarebbe stata una giovane scrittrice sarda.

Michela aveva 38 anni e per 13 anni — tanti per quanto è stata capace di darmi, troppo pochi per quanto mi avrebbe potuto ancora regalare — mi ha fatto sentire sempre la sua presenza, anche se riuscivamo a vederci troppo poco. Era questa la sua forza: esserci con tutta la potenza della sua vitalità, sapendo che nessuna lontananza può mai dividere ciò che Dio ha unito. Perché per lei le relazioni erano espressione di Dio: non avrebbe certo potuto scrivere in God Save the Queer quelle pagine davvero magiche di teologia trinitaria se non avesse fatto questa esperienza di Dio e degli umani. Una Trinità che si espande a dismisura in tutto ciò che uomini e donne fanno per rendere il mondo degno di loro, ma anche di Dio.

Poi è venuta Accabadora, la sorpresa di Ave Mary in risposta a una mia richiesta che pensavo ormai archiviata dato il suo prorompente e incalzante successo. Mai però in lei il successo ha avuto il sopravvento sulle relazioni. Poi sono venuti tutti gli altri libri di cui, a volte, mi leggeva lei stessa capitoli interi. Ultimamente, anche passando ore sedute al tavolino del ristorante Il cambio, a Trastevere, dove si sentiva tra amici fraterni, protetta almeno un po’ dalla cattiveria che le si rovesciava contro giorno dopo giorno in modo direttamente proporzionale a ogni sua parola pubblica.

Era diventata instancabile: la “causa” per la quale investiva tutte le sue energie, cioè non rinunciare mai alla qualità politica di ciò che siamo, pensiamo, diciamo e facciamo, era per lei fuoco che brucia senza consumarsi perché la vita genera sempre altra vita. Questo era il “credo politico” di Michela e lei sapeva, per di più, che il tempo si era fatto breve. Paradossalmente — ma non per lei — la malattia non l’aveva vinta ma le aveva piuttosto fatto accelerare il ritmo. E ha voluto mangiare tutti i frutti che la vita le ha messo tra le mani, li ha saputi gustare perché avevano il sapore della complessità della vita.

Le polpette, sì. «Metafora del queer», così le chiama in quell’ultimo saluto con cui si è congedata dalla vita. Perché tra le tante cose che Michela ha insegnato ai suoi figli c’è anche l’arte del cucinare. Michela cara, anche per me sarà sempre metafora quel piatto di spaghetti con mazzancolle e zucchine che hai imbandito per me il sabato di Pasqua di quest’anno e che ci siamo gustate, sedute nella mia cucina a parlare di morte e risurrezione. Metafora della vita, della fede, dell’amicizia. Ma anche del dolore e del mistero.

di MARINELLA PERRONI

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-08/quo-185/la-vita-la-teologia-e-le-polpette.html

 

11 Agosto 2023Permalink

31 luglio 2023 — Fra Del Rio e Pillon, tutti insieme appassionatamente per tacitare chi nasce da famiglie sbagliate. Si comincia così

Promemoria per me

Da quando ho saputo che all’interno del Pd c’è un gruppo di cattolici (una confessione religiosa  che fa gruppo!? La rinascita della balena bianca!) e ho scoperto che questo gruppo  fa capo a Del Rio che so essere coinvolto in una specie di lobby focolarina ho paura.
Infatti nel trattare della maternità surrogata  Del Rio parte dalla tipologia della maternità  e usa la parola chiave “nascituro”  (il grassetto che metto nel testo  come promemoria è mio)
Mai parla diritto del nato . E’ chiaro che si approfitta del soggetto nato per trasformarlo in nascituro e precipitarsi ad omaggiare Pillon.
E il fondamento della censura deliberata che impedisce di assicurare il diritto dei sans papier a registrare la nascita del proprio figlio e che impedisce ancora  di assicurare la famiglia al figlio di coppie arcobaleno.
E’ molto interessante che questa  notizia sia comparsa su Il tempo.
Mi chiedo se diffonderla consenta di ragionare a chi non vuol sapere che il fondamento di ogni discorso in cui ci sia un minore (e in primis un nato!) .è il suo superiore interesse ( legge 176/1991 art. 3). La diffonderò  oculatamente ma non  voglio illudermi chi per 14 anni non ha voluto capire che chi nasce ha diritto alla registrazione anagrafica si adatti a capire e  a trarne le conseguenze.
Particolarmente rivoltante il Sinodo dei Vescovi del 2015 che si è esplicitamente rifiutato di segnalare fra le difficoltà legate alla famiglia la negazione del certificato di nascita ai figli dei sans papier, un  raggiro che ha funzionato.
Infine la beffa della citazione di  mc4,9
«Chi ha orecchi per intendere intenda!»  (CEI)
«Chi ha orecchi da udire oda» (Riveduta 2020 e Nuova Diodati)

20 luglio 2023  Maternità surrogata, anche il senatore Del Rio del Pd la boccia: “Non è  umana”

Il dibattito sulla gestazione per altri spacca la politica italiana.
La maggioranza ha proposto di rendere universale, ossia perseguibile anche se commesso all’estero, il reato di maternità surrogata. L’aula della Camera ha respinto le pregiudiziali di costituzionalità presentate da Pd e +Europa. I voti a favore sono stati 124, i contrari 187. Oggi, a tornare sull’argomento è stato il senatore del Pd Graziano Delrio.
In un’intervista rilasciata a Il Corriere della Sera, il dem ha bocciato senza mezzi termini la Gpa, presentandola come una pratica “non umana”.
Delrio, medico endocrinologo, si è detto contrario alla maternità surrogata. Il Motivo? “È una pratica in cui non c’è nulla di umanità e non c’è rispetto dei diritti del figlio. È già vietata in Italia, perché comporta lo sfruttamento di altre persone ed è un’offesa alla dignità della donna.  Lo dice la Corte costituzionale, non io. Inoltre: il diritto alla genitorialità non può essere ridotto a una logica di mercato, ignorando i diritti del nascituro“, ha affermato il senatore. Stando alle dichiarazioni di Graziano Delrio, poi, la maternità surrogata solidale, cioè una donazione senza compenso, non esiste. “La relazione tra madre e figlio è una relazione strettissima, biologica, sensoriale, come dimostrato da tutte le ricerche. Non riesco a pensare alla maternità surrogata come un atto di generosità. Perché è comunque un fatto contrattuale ma i figli non si comprano né si vendono”.

Nessun dubbio sull’emendamento Magi. “Rispetto la decisione proposta dei deputati. Avrei personalmente proposto di dire con chiarezza no in Aula: sia al centrodestra, sia alla proposta di Magi.
È un dibattito etico che non si governa con emendamenti. Ci sono implicazioni politiche e sociali: è una responsabilità enorme”, ha detto con chiarezza Graziano DelRio

https://www.iltempo.it/politica/2023/07/20/news/maternita-surrogata-gpa-graziano-delrio-pd-boccia-emendamento-magi-non-umana-36424777/

31 Luglio 2023Permalink