15 marzo 2021 – Marinella Perroni racconta la strada di Kamala

GR_inverno 2021­  –  Marinella Perroni racconta la strada di Kamala.

Di generazione in generazione

Interrompo la serie di chiamate dei profeti biblici (che riprenderò più avanti) per ricordare Kamala Harris, vicepresidente degli Stati Uniti, una donna  che ha saputo  leggere il suo  tempo e chiedersi  quale significato lei stessa poteva avere per il futuro del suo paese.
Così scorre la storia dell’umanità  la storia che non  si riduce alla narrazione del pregiudizio da combattere e si fa umana nel rispetto del  protagonismo del piccolo corpo di Ruby e, per   investire  tutto un paese, diventa parte importante di una storia umana che si svolge “di generazione in  generazione”, come ci racconta la teologa Marinella Perroni

E quel “di generazione in  generazione” è la ragione dell’inserimento di questo testo nel Gr

Fa grande il Signore la mia anima
e il mio spirito esulta presso Dio, mio salvatore,
48
perché guardò l’essere in basso della sua alleata
Per questo, d’ora in poi
tutte le generazioni mi chiameranno beata.
49 Grandi cose ha fatto per me il Potente
e Santo è il suo nome;
50 la sua misericordia si trasmette di generazione in generazione.
per quelli che gli sono dinanzi.

GR ha parecchi fili da seguire nel loro svolgersi.
Uno di questi ce lo propone il Magnificat, cui più volte siamo tornati, e così abbiamo conosciuto un modo diverso di tradurre il canto di Maria, non serva ma alleata.
(I Vangeli delle donne. Ed  Ancora. Vangelo secondo Luc a. Introduzione e commento di Rosanna Virgili pag. 809)

06 marzo 2021            Rosa Parks, Ruby Bridges, la vicepresidente Usa: una genealogia di donne vista da una teologa

Un’immagine è stata virale nel web subito dopo le elezioni di John Biden a presidente Usa e Kamala Harris a vice. La accompagnava una didascalia: «Rosa si è seduta, per questo Ruby ha potuto camminare, per questo Kamala può correre» (Beth Perry).

Nel 1955, a Montgomery (Alabama) Rosa Parks si rifiuta di cedere il posto sull’autobus.

 

 

 

 

 

Nel 1960, Ruby Nell Bridges è la prima bambina di colore che mette piede in una scuola per soli bianchi nel Sud degli Stati Uniti, e il giudice del distretto federale chiede al governo di inviare degli agenti per proteggere i bambini, dato che fuori dalle porte della scuola Ruby è attesa da una folla che urla e  getta oggetti. a un uomo bianco.

 Nel 2020, Kamala Harris, di origini indo-americane e giamaicane, è la prima donna a essere investita del ruolo di vicepresidente della più potente democrazia occidentale. Altrettanto virali sono state le parole pronunciate dalla stessa Harris: «Sebbene io sia la prima donna a ricoprire questo incarico, non sarò l’ultima. Penso a intere generazioni di donne che hanno battuto la strada per questo preciso momento. Penso alle donne che hanno combattuto e sacrificato così tanto per l’uguaglianza, la libertà e la giustizia per tutti, comprese le donne afroamericane, trascurate ma che spesso dimostrano di essere la spina dorsale della nostra democrazia».

Tra dittature e narcisismi

Come la foto, anche queste parole chiedono di sapersi riconoscere in una genealogia. Che poi Kamala Harris le abbia ripetute più volte fino al momento culminante della cerimonia del giuramento ha consentito che, finalmente, il messaggio trovasse riscontro nei media. E per questo, in un tempo come il nostro che ancora fa tanta fatica ad accettare la soggettualità delle donne come trasformazione storica e non come rivendicazione, fanno riflettere.

Nessuno può sapere come Kamala Harris saprà orientare la politica del suo paese. Ma non è questo, qui, il punto. La forza delle sue parole sta nel fatto di chiedere a tutte le donne, di ogni età, cultura e religione, di sentirsi parte di una catena di donne, fatta non solo da quelle che le hanno partorite, ma soprattutto da quelle che, con le loro aspirazioni e le loro battaglie, le hanno generate alla vita pubblica. In un momento in cui la politica sembra costretta all’angolo tra dittature e narcisismi, Harris chiede di uscire da questa letale alternativa che produce una storia deforme. Solo quando diventa genealogia, quando cioè genera la consapevolezza di venire da lontano la storia delle donne entra finalmente a far parte della “grande storia”. La in-forma, non la de-forma. Vorrei allora provare a spiegare cosa evoca in me, alla vigilia di un 8 marzo che, come da tempo ormai, si trascina tra polemiche e stanchezze, questo richiamo forte a sentirsi inserite in una genealogia di donne che hanno fatto la storia, non l’hanno subita. Non posso farlo, evidentemente, altro che da teologa quale sono.

Un’immensa riserva aurea

Ho sempre sofferto del fatto che la mia Chiesa non fosse capace di mettersi all’ascolto delle generazioni di donne che, da un secolo e mezzo, hanno dato vita a un movimento tumultuoso, contraddittorio, spesso scomposto, ma decisivo per la storia umana. Anzi le ha piuttosto sanzionate ed è andata alla ricerca di un “femminismo cattolico” prima ancora di capire le istanze più profonde del femminismo o di donne dal profilo “affidabile” prima ancora di aprirsi al dibattito culturale, difficile ma fecondo, su temi e problemi messi sul tavolo dal combinato disposto tra tutte le scienze.

Nel frattempo però, un immenso lavoro è stato fatto per restituire alle donne credenti la storia biblica e la storia della fede come storia delle donne. E, soprattutto per le donne credenti, guardare al passato è una scelta rivoluzionaria. La Bibbia e la grande tradizione religiosa ebraica e cristiana sono un’immensa riserva aurea: di pratiche e di parole, di scelte di vita e di linguaggi, di azioni politiche e di esperienze mistiche. Sarà il tempo, animato dalla discussione interna alle chiese e tra le chiese, a setacciare l’oro dalla polvere, a liberare le “pepite” che la ricerca biblica, storica e teologica ha estratto dalla riserva aurea della tradizione ebraica e cristiana dai detriti che, inevitabilmente, le hanno sepolte o ne hanno resa “impura” la trasmissione.

Per questo ora sarebbe necessario un decisivo balzo in avanti. Non possiamo più accontentarci di contemplare le “pepite” che la storia della fede delle donne ci ha fatto scoprire, di scorrere l’album delle foto-ricordo. È tempo, ormai, che le donne occupino gli spazi pubblici con una seria discussione critica sulla loro storia. Solo così potranno coglierne la generatività e sentirsi, finalmente, dentro una genealogia. Maria di Nazareth, nel suo canto di lode, rende grazie all’Onnipotente perché la sua misericordia si trasmette “di generazione in generazione”. Critica storica, confronti tra generazioni, passaggi di testimone: forse, abbiamo bisogno ancora di molti 8 marzo.

di Marinella Perroni Biblista,   Pontificio Ateneo S. Anselmo

Di generazione in generazione, Kamala, prima e dopo – L’Osservatore Romano

 

15 Marzo 2021Permalink