5 febbraio 2025 – Morte in Svezia e l’ONU ai tempi di Trump

Ieri, 16 febbraio , sono successe al cune c ose di cui voglio far memoria

Örebro  (Svezia). Un uomo di 35 anni (poi identificato) è entrato in una scuola/  centro di formazione per adulti  e  immigrati .e ha sparato contro i presenti . Leggo di 11 morti  e 15 feriti.
Fra i morti c’è anche l’aggressore .
Sapemmo mai le ragioni.?
Leggo di esclusione di atto terroristico , della possibilità di odio etnico

La Svezia è la terra di Olof Palme, uomo politico socialdemocratico.
Fu assassinato (era ministro in carica)  il 28 febbraio 1986
Ne faccio memoria nel mio calendario personale sapendo che c’è stato in processo, ci sono state condanne ma le ragioni dell’assassino non sono state chiarite.

Finirà così anche per l’assassino di   Örebro ? Probabilmente sì visto che è stato ammazzato e quindi si è spenta anche una voce fondamentale.

Washington D. C.

L’imprevedibilmente minaccioso  Presidente degli Usa,  maître à penser  del nostro ministro delle infrastrutture e trasporti, ha firmato un ordine esecutivo  per far uscire il suo paese dall’ Unhrc , l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, (United Nations High Commissioner for Refugees)  Conseguentemente avrebbe provveduto  anche all’uscita dall’Unhcr, Agenzia ONU per i Rifugiati, che tutela i diritti e il benessere dei rifugiati  in tutto il mondo.

E’ certo comunque che , dispondeo il Nostro  una revisione ampia dei finanziamenti statunitensi per l’ONU,  viene vanificato anche l’operato dell’Unrwa, principale ,agenzia di soccorso delle Nazioni Unite per i palestinesi.

E’  difficile esprimere certezze e districarsi nella cascata  di provvedimenti esecutivi di questo  precipitoso signore.  Scelgo la provvisorietà facendo un punto per quello che mi è possibile. Sarà altrettanto possibile correggermi .

Comincio da un cenno storico:

 L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR)

L’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite è stata creata dopo la seconda guerra mondiale per assistere e facilitare il rimpatrio dei milioni di cittadini europei sfollati a causa del conflitto. Nel dicembre 1950 un Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati è stato istituito dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite con mandato limitato a tre anni. Il 28 luglio 1951 viene adottata a Ginevra la Convenzione che ha riconosciuto ai rifugiati il diritto alla protezione e ne ha definito lo status giuridico internazionale. Lo status di rifugiato si configura infatti come uno dei possibili status di cui può godere uno straniero o un apolide che accede al diritto d’asilo, che presuppone il fondato timore di persecuzione individuale dello straniero nel suo Paese di origine. In Italia, la Convenzione è stata firmata il 23 luglio 1952 e ratificata dall’allora Presidente della Repubblica Einaudi il 15 novembre 1954 a seguito dell’approvazione della Legge 24 luglio 1954, n. 722. La Convenzione è entrata in vigore il 13 febbraio 1955. Poiché da allora gli esodi sono diventati un fenomeno persistente su scala mondiale, nel dicembre 2003 l’Assemblea Generale ha esteso indefinitamente il mandato dell’UNHCR. Anche la categoria dei beneficiari è stata progressivamente ampliata mediante Risoluzioni dell’Assemblea Generale, includendo gli apolidi nel 1994 e gli sfollati interni nel 2006.

E l’Italia? Spero di avere un  po’ di tempo per ragionare anche su questo aspetto anche se mentre penso, mi documento e scrivo mi sembra di essere già superata dal rotolare di effetti perversi  di azioni scervellate.

 

5 Febbraio 2025Permalink

2 febbraio 2025_ Da Il Sole 24 di oggi domenica _ copia manuale

L’Europa senza politica estera fa il gioco di Trump

di Sergio Fabbrini

Qualche giorno fa, il segretario di stato americano, Marco Rubio, ha finalmente chiamato l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Kaja Kallas, che da giorni lo aveva invitato a partecipare ad una riunione del Consiglio dei ministri degli esteri nazionali (CAE) dell’Unione europea (Ue). Finalmente, perché il capo della diplomazia americana aveva in precedenza chiamato diversi ministri degli esteri degli stati membri dell’Ue, come il polacco Rados?aw Sikorski, il danese Lars Løkke Rasmussen, il lituano K?stutis Budrys, la lettone Baiba Brazed, l’italiano Antonio Tajani, l’ungherese Peter Szijjártó, il francese Jean-Noel Barrot e la tedesca Annalena Baerbock. Solamente dopo questo giro di telefonate, Rubio ha trovato il tempo per chiamare Kaja Kallas, in teoria il ministro degli esteri dell’Ue. Si è trattato di una scortesia istituzionale oppure di qualcos’altro?

Dopo la fine della Guerra Fredda, con il Trattato di Maastricht del 1992, l’Ue si era decisa a dotarsi di una politica estera comune. Con il Trattato di Amsterdam del 1997 fu quindi formalizzata la figura dell’Alto rappresentante, il cui ruolo è stato rafforzato dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel dicembre 2009. Finalmente, si disse, l’Ue ha un ministro degli esteri, potendo così parlare con una sola voce negli affari internazionali. Per di più, si riteneva che il doppio ruolo assegnato all’Alto rappresentante, cioè di presidente del CAE e allo stesso tempo vicepresidente della Commissione europea intesa come organo sovranazionale, avrebbe condotto alla progressiva europeizzazione delle politiche estere degli stati membri. Si pensava di aver risolto il problema della politica estera europea creando un nuovo organismo, senza modificarne però la sostanza. Ovvero che i governi nazionali hanno continuato a tenere sotto il loro controllo la politica estera attraverso la logica intergovernativa del CAE, affidando all’Alto rappresentante una funzione di coordinamento (nel caso migliore) o di servizio ai Paesi più forti (nel caso peggiore). Il risultato è che l’Ue non ha una sua politica estera, come le ha ricordato Rubio.

Il coordinamento intergovernativo delle politiche estere nazionali ha difficoltà a funzionare in un’Unione di 27 stati membri, portatori di preferenze che sono diverse per via della loro collocazione geografica, esperienza storica e dinamica politica. La minaccia dell’imperialismo russo viene percepita in modo differente, a seconda che si viva a Tallinn o a Lisbona. Per di più, il CAE decide all’unanimità, riconoscendo un potere di veto ad ognuno dei ministri che lo compongono. Così, nelle condizioni di una crisi, i governi nazionali, specialmente degli stati membri più grandi, hanno seguito le loro priorità, proprio perché non esisteva una posizione comune. Tale debolezza europea è stata a lungo occultata dalla forza americana. All’America è stata appaltata, dall’Ue, la politica estera e (soprattutto) la politica di sicurezza. Sotto l’ombrello americano, i vari governi nazionali potevano qualche volta scalciare, senza però uscire dalla sua copertura. La guerra in Ucraina ha reso evidente le ambiguità europee. Senza la leadership americana, molto poco avrebbero potuto fare i governi nazionali dell’Ue. Tant’è che si sono dovuti limitare alla politica delle sanzioni economiche, incontrando anche qui resistenze non da poco. Basta pensare che i premier Viktor Orban e Robert Fico (dell’Ungheria e della Slovacchia) hanno già minacciato il veto all’approvazione del sedicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, in coerenza con le aspettative di Mosca. E, di fronte ad un veto, nulla si può fare. Se la leadership americana si ridimensionerà (per via del disimpegno trumpiano dalla Nato e dall’Europa), l’Ue intergovernativa non sarà in grado di sostituirla. Nessun stato membro, a cominciare dalla Francia, potrà prendere il posto lasciato scoperto (o semiscoperto) dall’America, ad esempio sul piano tecnologico e industriale. La Francia, inoltre, ha una visione di politica estera che divide l’Ue, con il suo antiamericanismo e soprattutto con la sua idea che l’Ue debba essere una Francia in grande. Eppure, solamente la Francia potrebbe avviare il percorso verso la sovra-nazionalizzazione della politica estera e di sicurezza, dichiarando di volere condividere il suo deterrente nucleare all’interno di un sistema europeo e di voler trasformare il suo seggio al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in un seggio dell’Ue (senza più nascondersi dietro cavilli giuridici). In questo modo chiuderebbe la frattura che aprì nel 1954 quando decise di non votare il Trattato della Comunità europea della difesa.

Insomma, Marco Rubio si è limitato a prendere atto della nostra situazione. Dopo tutto, per lui e il suo presidente, è conveniente che l’Ue non esista in quanto attore unitario, così da poter negoziare da una posizione di forza con ognuno dei suoi stati membri. Un esito che sarebbe disastroso per noi, come ha dovuto riconoscere l’euroscettica Danimarca, che aveva a lungo rifiutato di partecipare persino al coordinamento intergovernativo della politica estera e di sicurezza europea, per poi aderirvi nel luglio del 2022, pochi mesi dopo l’aggressione russa all’Ucraina. E che oggi, di fronte alle pretese imperiali di Trump in Groenlandia, si scopre fortemente europeista. Se l’Europa non siederà al tavolo dei Grandi, tutti noi saremo nel menù.

 

 

 

2 Febbraio 2025Permalink

28 gennaio 2025: – Una pagina insolita nel ricordo della Shoah

Dal 1992 vive in Italia   Božidar Stanišić, scrittore bosniaco  per non trovarsi a combattere su un territorio che allora stava perdendo anche il nome : lo chiamavamo ex Jugoslavia
Ormai cittadino italiano vive con noi la situazione confusa che caratterizza questo indecifrabile occidente .
In occasione della giornata della memoria mi ha inviato qualche pagina (che in parte riporto) dal romanzo dello scrittore  Ivan Ivanji,
“La mia bella vita all’inferno”

 

Riporto telegraficamente alcuni fatti necessari per fornire un’immagine esplicativa dell’andamento della mia bella vita scandita da brevi viaggi all’inferno. La zia Olga, suo marito Endre, mia sorella Ildi, come anche la nonna materna Gizela, sopravvissero al campo di concentramento di Bergen-Belsen e tornarono a Subotica. Lo zio Pišta, sua moglie e i loro due figli morirono soffocati dai gas di scarico, trasportati dal lager di Staro Sajmište per le vie di Belgrado su quel camion speciale delle SS, “dušegupka”, di cui si è già scritto molto, però per me questo è un capitolo concreto della mia storia familiare. Anche mia madre fu uccisa allo stesso modo. Mio padre fu internato nel campo di Topovske šupe, poi lo prelevarono e lo fucilarono come ostaggio. Avevo un altro zio, Saša, l’avevo visto solo una o due volte nella vita, dicono che era ricco e bello. Fu ucciso a Jasenovac insieme alla moglie e ai due figli. Un altro zio, Imre, ingegnere, sposato con una donna serba, Budimka, trascorse gran parte del periodo bellico dalle nostre parti, in un luogo sperduto, dove i suoi muratori lo nascosero. Riassumendo, mia nonna, una volta tornata dal campo di concentramento, non poté che constatare di aver perso tre figli, mentre altri due si salvarono, un bilancio assai positivo per una famiglia ebrea dalle nostre parti. Si può dire così? Beh, io lo posso dire, ma guai a chi si azzarda a utilizzare tali toni per parlare di quell’inferno che fu il prologo alla mia bella vita.

In ogni epoca – passata o contemporanea – il tempo del Male comprende momenti di impotenza e paura tremenda. Si pensi alle Sabine di fronte ai romani, agli ebrei di fronte alle SS, a Goethe davanti ai soldati sfrenati di Napoleone. Tuttavia, come già detto: l’ex campo di concentramento di Buchenwald lassù – la violenza – e la casa in Piazza Frauenplan a Weimar – Goethe – distano tra loro solo pochi chilometri in linea d’aria. In nessun altro posto al mondo il simbolo del Male assoluto e quello della grandezza umana assoluta sono così vicini l’uno all’altro. Da sedicenne, a Buchenwald, sulla collina di Etersburg, vicino a Weimar, non ne sapevo nulla. Non conoscevo nemmeno la leggenda della quercia di Goethe nello stesso campo. Di tanti fatti non sappiamo nulla, di molte leggende quasi nulla.

Il 16 settembre del 1939 il governo del Regno di Jugoslavia emanò due decreti riguardanti gli ebrei, di cui uno interessava anche me. Il primo decreto vietava agli ebrei qualsiasi commercio di generi alimentari. Allora? I miei genitori erano medici. Il secondo però riguardava proprio me, cioè “le persone di origine ebraica” e la loro istruzione nelle scuole superiori e nelle università. Nessuna scuola poteva accettare una percentuale di [alunni] ebrei superiore alla percentuale di ebrei sul totale della popolazione. Mio padre cercò di spiegarmelo, ritenendo che per via di tutti questi cambiamenti io dovessi essere particolarmente diligente e obbediente, ma io dissi: “Se mi vieteranno di studiare, diventerò il capitano di una nave”.

La notte di Capodanno 1941. L’ultima, ma anche la prima festeggiata in quel modo con papà. Stavo per compiere dodici anni, di certo non potevo sapere che una notte così non si sarebbe mai ripetuta, ma perché mio padre non lo aveva nemmeno intuito? Oppure lo aveva intuito? Non ricordo se nevicava. Sembra che proprio quei tasselli di memoria che dovrebbero rivelarmelo siano andati perduti. Sicuramente nevicava. Oggi mi sembra che prima del Tempo del Male tutto fosse ordinato e prevedibile. Se non a fine novembre, a inizio dicembre sicuramente cominciò a nevicare. Papà decise di trascorrere la notte di Capodanno solo con mia sorella e me. Non so dove fossero la mamma e la governante. Di sicuro cenammo, ma ormai non ricordo cosa. Di nuovo compare solo qualche tessera del mosaico. Tantissimi tasselli sono scomparsi. Papà aveva quarantadue anni. Giocammo a ramino.
… Ne  tanto meno pensavamo che circa un anno e dieci mesi più tardi sarebbe stato fucilato Papà

29 Gennaio 2025Permalink

25 gennaio 2025- senatrice Elena Cattaneo – ” Col nazionalismo scientifico si va a sbattere”

Oggi ho letto su La Stampa ( pag. 11) un’ interessante intervista  a Elena Cattaneo, scienziata e  senatrice a v ita..
E’ firmata da Maria Rosa Tomasello
“L’Italia fuori dall’OMS?  Qualunquismo.
Col nazionalismo scientifico si va a sbattere”.
Purtroppo non la posso scaricare ma è  raggiungibile anche  una valida sintesi pubblicata da Open di cui trascrivo  il link.
“Open è edito da una società a impresa sociale fondata da Enrico Mentana con lo scopo di costruire un giornale online che valorizzi i giovani, negli ultimi anni tagliati fuori anche dal giornalismo”.

Elena Cattaneo spiega perché l’Italia fuori dall’Oms non è una buona idea: «Il nazionalismo scientifico ci manderà a sbattere» – Open

Elena Cattaneo spiega perché l’Italia fuori dall’Oms non è una buona idea: «Il nazionalismo scientifico ci manderà a sbattere»
La Lega ha presentato una proposta di legge per far uscire l’Italia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Seguendo la decisione per gli Stati Uniti presa da Donald Trump. Elena Cattaneo, scienziata di fama internazionale e senatrice a vita, spiega cosa c’è che non va nella proposta: «Il nazionalismo scientifico è la ricetta più sicura per andare a sbattere contro il muro dell’ignoranza e della superstizione», esordisce in un’intervista a La Stampa  (Nota 1).
Secondo Salvini l’Oms è «un centro di potere sovranazionale profumatamente pagato dai contribuenti italiani». E chiede di usare «quei cento milioni» per sostenere la sanità italiana.

L’Italia e l’Oms
«Continuo a credere che l’impegno dei leader politici mondiali dovrebbe essere rivolto a far sì che tutti, in ogni luogo, con ogni Pil, possano beneficiare dei prossimi traguardi sanitari. Non per astratta filantropia, ma perché tutelando la tua salute oggi tutelo anche la mia domani», spiega Cattaneo a Maria Rosa Tomasello.
E sulle critiche all’Oms, rievoca la scienziata, «mi ricorda quando l’alfiere della Brexit, Nigel Farage, sosteneva che abbandonare l’Ue avrebbe consentito di dirottare al sistema sanitario britannico 350 milioni di sterline. Era una bufala, fu lo stesso Farage a riconoscerlo, ma ormai il danno era fatto». Durante la pandemia «l’Oms ha permesso la condivisione di dati e risultati senza i quali vaccini e campagne vaccinali sarebbero arrivati più tardi. Con conseguenze enormi».

La pandemia
E ancora: «La dimensione mondiale dell’Oms ha permesso ai governi di ciascun Paese di attuare misure di protezione che, sebbene criticate per la loro durezza, hanno aiutato a contenere il numero delle vittime. Abbiamo letto di alcune decisioni sbagliate nel gestire una pandemia mai immaginata né sperimentata.
È importante studiare ogni aspetto di quanto accaduto per non ripetere gli stessi errori, se prevedibili». Poi spiega: «Oltre alla disamina dei costi dell’Oms sarebbe interessante capire come i promotori dell’Oms-exit intendano sopperire alle funzioni proprie dell’organizzazione. Dove recupererebbero i dati globali su cui fondare le azioni necessarie a fronteggiare le emergenze sanitarie nel mondo che toccano tutti. Anche gli Stati Uniti».

Il nazionalismo scientifico
Cattaneo se la prende con «il nazionalismo scientifico, a partire dall’ambito biomedico, l’idea autarchica di una conoscenza che si arresta alle frontiere. Non solo è una contraddizione col metodo della scienza che ha il suo Dna nel confronto senza confini tra studiosi ed enti. Ma è la ricetta più sicura per andare a sbattere contro il muro dell’ignoranza e della superstizione, producendo povertà e marginalità». Per la scienziata «quando si legifera ignorando, o peggio, distorcendo i dati scientifici salta il rapporto con la realtà, e tutto si riduce a un rapporto di forza, quantitativo, tra chi afferma il dato scientifico che due più due fa 4 e chi sostiene che faccia 3 o 5. Oggi, sorprendentemente, vivere in una realtà alternativa, dove i dati cambiano a seconda di quello che fa comodo, viene visto da molti come un obiettivo, e non più un pericolo».

Il clima
Infine, Cattaneo rivela che nella comunità scientifica «il clima era di forte apprensione già nei giorni successivi alla rielezione del presidente Trump. Un editoriale della rivista scientifica Nature riportava la preoccupazione della comunità scientifica ma allo stesso tempo invitava gli scienziati degli Stati Uniti a non rinunciare a un dialogo con la nuova amministrazione e a impegnarsi ancora di più nel mettere a disposizione fatti ed evidenze, nella consapevolezza che non sarebbero stati da soli, perché la comunità della ricerca è globale».

 

25 Gennaio 2025Permalink

24 gennaio 2025 _ Salvini: l’Italia esca dalla Organizzazione Mondiale Sanità.

Desidero che questa notizia resti nella mia pagina a futura memoria, almeno mia.
Mi limito a pubblicare. Quello che penso e provo non conta.
Così ho scritto nella mia pagina Facebook
Ognuno guardi quest’uomo che fa il ministro . Lo faccia con occhi limpidi e mente libera
Non ho ancora trovato il numero e il titolo del DDL. devo ricordarmi di aggiornare appena possibile
ansa.it
Salvini, l’Italia non deve più avere a che fare con l’Oms – Ultima ora – Ansa.it
“Presentata questa mattina alla Camera la proposta di legge della Lega per uscire dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), come hanno fatto gli Stati Uniti con Donald Trump. (ANSA)
24 Gennaio 2025Permalink

20 gennaio 2025 – Lettera trascurata che pubblico il 22 gennaio

Gentile padre Enzo Fortunato
ho letto con il piacere di poter far riferimento a un testo chiaro ed esplicito,
qual è il Suo scritto alla pag. 17 de Il sole 24ore di ieri (venerdì 17), “le parole
sferzanti di Papa Francesco sui diritti dei bambini” che Lei riporta.
Sono perciò confortata nella speranza di poter trovare attenzione a un
problema che reputo grave ma costantemente ignorato, quello di bambini che
nascono in Italia ma non vengono registrati all’anagrafe.
Sono una vecchia cittadina italiana , nata nel 1938 con un passato di
insegnante e successivamente di consigliera regionale in Friuli Venezia Giulia
dove vivo ma, soprattutto, sono una madre di figli ormai sessantenni , una
madre che si onora di aver fatto propri i principi di uguaglianza e solidarietà,
pilastri della nostra convivenza che voglia essere civile.
Spero avrà la pazienza di leggermi e mi spiego.
Nel 1991 venne approvata la legge 176, “Ratifica ed esecuzione della
Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembr1989”. In
quella norma leggiamo l’articolo 3, stella polare da allora di ogni discorso sui
minori: «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle
istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle
autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del
fanciullo deve essere una considerazione preminente».
Il conseguente art. 7 è perciò una indicazione vincolante quando afferma che
« Il fanciullo è registrato al momento della sua nascita e da allora ha diritto a
un nome , ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile a
conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da essi» .
Tale è la forza di questo articolo che nel 1998 la legge 40
(cd Turco Napolitano) , che aveva istituito il permesso di soggiorno a
garanzia della regolarità degli immigrati non comunitari, aveva escluso
proprio lo strumento che aveva istituito da quelli che devono essere
presentati al momento di registrare la nascita di un proprio figlio in Italia.
E’ evidente che tale norma assicura anche il rispetto dell’art. 3 della
Costituzione che afferma « Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge ,
senza distinzioni di [… ] condizioni personali e sociali».
Purtroppo nel 2009 tutto cambiò. Venne approvata la legge 94 che,
coacervo di norme disparate , all’art. 1 comma 22 lettera g include il
permesso di soggiorno fra i documenti che in quella circostanza devono venir
richiesti e presentati. Lo fa con un’abile forma di discriminazione indiretta ma
il risultato è sempre lo stesso: il nato da genitori non comunitari irregolari si
fa spia minacciosa della irregolarità di chi l’ha generato , irregolarità che, se
nota , diventa ragione di gravi penalizzazioni per i neo genitori che possono
così dover affrontare anche il rischio di espulsione. Da allora la neghittosità a
360 gradi del Palmento , il silenzio dell’opinione pubblica che spesso significa
indifferenza , hanno fatto sì che questa norma restasse significativamente
collocata, come titola la legge 94, fra le “Disposizioni in materia di sicurezza

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pubblica”, riducendo questi nati a oscuri invisibili che non saranno raggiunti
neppure dalla accorate richiesta del Santo Padre di amore e protezione. E’ una
protezione, ce lo dice papa Francesco, che dal cuore si concreta nell’azione e
fra le tante azioni possibili segnalo quella di una piccola modifica di legge che
cancelli lo sfregio che il legislatore volle nel 2009.
La garanzia della iscrizione nel registro di stato civile è diritto del nato che
non deve essere inficiato dalla possibile situazione di irregolarità di
colei/colui che lo ha generato. Un nato in Italia che si trovasse privo di quel
certificato non avrebbe esistenza giuridica e per lui le parole forti di papa
Francesco che Lei cita nell’articolo di ieri suonerebbero vane: come introdurre
un nato che c’è ma non esiste al godimento di ciò che gli è dovuto? Davanti a
quella inesistenza per legge «potremmo sentirci impotenti , ma ogni gesto,
ogni scelta consapevole , è una goccia che può contribuire a formare un mare.
Dobbiamo anche richiamare le istituzioni, le imprese, le organizzazioni
ecclesiali alla loro responsabilità » .
Perché ciò avvenga occorre una parola forte, autorevole, ascoltata .
Attendo : non so dichiararle un numero di ‘casi’.
Il caso è la legge…
Cordialmente
Augusta De Piero

22 Gennaio 2025Permalink

22 gennaio 2015 _ Una vescova davanti al presidente degli USA

Quanto trascrivo dal Corriere della sera  (link più sotto) dovrebbe essere preso in considerazione, secondo me in un  quadro ecumenico,  dalle chiese cristiane anche in Italia .,
Ha officiato la cerimonia interreligiosa post-Inauguration Day (meglio sarebbe scrivere ecumenica)  la  vescova episcopale  Mariann Edgar Budde   . La cerimonia si è svolta presso la Washington National Cathedral davanti al neo presidente Trump  , vistosamente irritato.
La vescova della diocesi episcopale di Washington Mariann Edgar Budde stava per concludere il suo sermone durante la preghiera inaugurale della nuova presidenza Trump  quando, guardando il 47esimo presidente degli Stati Uniti, ha dimostrato di non aver apprezzato gli ordini esecutivi firmati
ai danni di alcune categorie della popolazione.
«Ci sono gay, lesbiche e bambini transgender in famiglie democratiche, repubblicane e indipendenti, alcuni dei quali temono per la propria vita», ha proseguito.
Il tono usato da Budde è pacato, fermo, quasi indulgente. Come se si stesse rivolgendo a un fedele che si è smarrito in un luogo solenne quale è la cattedrale di Washington  Le sue parole non hanno il sapore di un monito, ma di un consiglio per ritrovare la strada giusta. Il New York Times lo ha definito «uno straordinario atto di resistenza». La vescova ha proseguito poi con il tema migranti: «La stragrande maggioranza degli immigrati non sono criminali – ha fatto notare -.Le chiedo di avere pietà, signor presidente, delle persone i cui figli temono che i loro genitori vengano portati via, e di aiutare coloro ch fuggono da zone di guerra e persecuzioni nelle loro stesse terre a trovare compassione e accoglienza qui».
Parole che fanno eco a quelle pronunciate da Papa Francesco.

Mariann Edgar Budde, vescova di Washington, chiede a Trump di avere «pietà per gay, immigrati e transgender» | Corriere.it

Il presidente Trump non aveva perso tempo e  aveva già firmato l’ordine esecutivo  che  obbliga il Dipartimento di Giustizia non solo a richiedere la pena di morte nei casi federali appropriati ma anche a contribuire a preservare la pena capitale negli stati che hanno avuto difficoltà a mantenere scorte adeguate di farmaci per l’iniezione letale.
Al di là di una possibile attrazione che costui possa esercitare  sarebbe cosa  giusta e corretta che la difesa dei diritti civili fosse praticata anche con attenzione a situazioni locali a partire dalla iscrizione  dei nati in Italia  nel  registro di stato civile senza che ciò comporti la presentazione del permesso di soggiorno, obbligatoria in Italia dal 2009. (legge 94 art. 1 comma 22 lettera g,) .E’ un fatto su  cui  la sciatteria  parlamentare  si accompagna al  ” silenzio degli onesti”,  se la voce di Martin Luther King riuscirà ancora ad essere ascoltata..
E, visto che con una vescova ho aperto questa nota, ricordo che la Conferenza Episcopale Italiana  nel 2015 concluse  il sinodo sulla famiglia senza ricordare  che i nati nel nostro stato  potevano e possono trovarsi  privi del certificato di nascita, senza identità, senza famiglia , invisibili come fantasmi condannati a vivere nei sotterranei della storia.

22 Gennaio 2025Permalink

20 gennaio 2025 — Parla una storica israeliana

Ho copiato questo articolo dal sito di un amico che l’ha ripreso a sua volta da una comunicazione del giornalista e scrittore Massimo Chierici.
L’articolo proviene dalla pagina della scrittrice e storica  Fania Oz-Salzberger., professoressa emerita di storia presso la Facoltà di diritto della Università di Haifa
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Possiamo mantenere viva la speranza per due stati pur essendo realisti
Ci sono momenti nella storia umana in cui la pressione dall’alto cambia la geografia politica in meglio, quando le superpotenze prendono le decisioni. Questo potrebbe essere uno di quei momenti.
Sto scrivendo appena prima di enormi cambiamenti nella storia della guerra Hamas-Israele: un possibile accordo di ostaggi e cessate il fuoco, e l’insediamento del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Entrambe queste eventualità potrebbero ribaltare gran parte dell’attuale stallo, ma non è probabile che allevieranno l’abisso tra la destra (ora quasi interamente dominata da Netanyahu, Smotrich e Ben-Gvir) e il centro-sinistra liberale.
Quel baratro è emerso circa un decennio fa, e non ha mai riguardato i palestinesi. Riguarda la Corte Suprema e il procuratore generale, che sono diventati nemici di Netanyahu dopo che è stato incriminato per tre capi d’imputazione per corruzione. I tentativi di demonizzare il ramo giudiziario del governo israeliano sono iniziati un decennio fa, ma l’attuale coalizione è finalmente riuscita a indebolirlo e politicizzarlo. Così, un anno dopo il 7 ottobre, la Knesset ha ripreso il suo blitz legislativo contro la magistratura.
La guerra di Gaza ha inferto un colpo mortale alla solidarietà israeliana. La maggior parte delle vittime del 7 ottobre, molti kibbutznik e partecipanti al festival Nova, appartenevano al movimento pro-democrazia e alcuni di loro appartenevano al campo della pace. Molti israeliani sono ora convinti che questo spieghi il trattamento meschino da parte del governo dei kibbutz distrutti (Netanyahu deve ancora visitarne uno o incontrare le loro comunità), così come il trattamento incredibilmente maleducato delle famiglie degli ostaggi da parte di alcuni ministri e membri della Knesset, per non parlare della violenza contro di loro da parte della polizia di Ben-Gvir.
Inoltre, un numero significativo di israeliani è disgustato dalla guerra condotta a Gaza in nostro nome. Quella che è iniziata come una guerra eminentemente giusta si è trasformata in un bagno di sangue di innocenti palestinesi, con un prezzo orribile anche per le vite dei soldati israeliani. Solo una piccola, seppur crescente, minoranza di ebrei israeliani si preoccupa della prima, ma quasi tutti sono profondamente addolorati per la seconda. L’opinione pubblica è pronta per un cessate il fuoco e il ritorno del maggior numero possibile di ostaggi.
In che modo questo momento influenzerà la cosiddetta riforma giudiziaria? Io sono tra coloro che la chiamano crisi costituzionale o colpo di stato, e vedo l’attuale legislazione come una mossa per cambiare la nostra forma di governo distruggendo la separazione dei poteri. Chiaramente, Trump condivide il copione di Netanyahu quando si tratta di politicizzare unilateralmente la Corte Suprema. La crisi costituzionale israeliana dovrà essere risolta dagli israeliani, probabilmente nelle prossime elezioni previste per la fine del 2026, e si spera prima.
E il futuro israeliano/palestinese? Suggerisco di restare sintonizzati e di aspettarci l’inaspettato. Subito dopo il 7 ottobre 2023, mi sono imbattuto in ritornelli inquietantemente simili dalla destra israeliana e dalla sinistra anti-israeliana globale sul mio account Twitter e durante conferenze pubbliche: la soluzione dei due stati è morta, schernivano.
I destri pensavano di aver vinto la loro causa per il Grande Israele. Dopotutto, la frase “dal mare al Giordano” faceva parte del credo politico del Likud fin dagli anni ’70. Fin dal primo giorno, ci fu qualche brutto scherno contro i kibbutznik massacrati perché erano “di sinistra” che credevano nella pace.
Sul fronte opposto, gli odiatori di Israele in tutto il mondo hanno respinto senza mezzi termini un compromesso territoriale, dicendo agli ebrei di andarsene al diavolo dalla terra che avevano colonizzato. Sono stata personalmente diffamato da gente come Owen Jones per essere un sionista di sinistra e per aver mantenuto la mia convinzione che Israele e Palestina possano un giorno diventare vicini pacifici.
Una versione più soft chiedeva in modo surrealista “uno Stato, laico e liberale, per arabi ed ebrei”, senza spiegare esattamente come laicità e liberalismo possano attualmente provenire da Gaza o dalla Cisgiordania.
E tuttavia, sotto gli imprevedibili auspici di Trump e la pressione dei regimi arabi, un compromesso territoriale potrebbe ancora materializzarsi. In Israele, i pacifisti sono traumatizzati ma non capitolano. Le dimostrazioni antigovernative lasciano spazio a slogan umanisti e in cerca di pace. Gli oratori menzionano la difficile situazione degli innocenti abitanti di Gaza. Nei grandi raduni di Tel Aviv e in alcune proteste regionali, un cerchio crescente di ebrei e arabi chiede la pace. ONG come “Standing Together” e “Women Wage Peace” hanno notevolmente ampliato la loro portata.
Un compromesso territoriale non è ancora pace. Per anni, la sinistra sionista è stata accusata di promuovere un riavvicinamento illusorio e sognante tra israeliani e palestinesi. Ma questo era in gran parte un argomento fantoccio. Come diceva il mio defunto padre, lo scrittore Amos Oz, “Fate la pace, non l’amore!”. Nessun futuro accordo tra due stati includerebbe una clausola d’amore o una clausola di fiducia cieca. Sarà graduale, cauto e amaramente sospetto. Come dovrebbe essere.
Sono abbastanza fiducioso da credere che la maggior parte degli israeliani lo sosterrebbe se condotto in modo responsabile.
Tuttavia, non sono abbastanza ottimista da credere che un campo di pace palestinese possa emergere a breve. Ci sono momenti nella storia umana in cui una pressione opprimente dall’alto deve cambiare la geografia politica in meglio, quando imperi o superpotenze prendono le decisioni. Probabilmente stiamo entrando in una di queste congiunture.
Cosa può offrire la società civile israeliana a questo punto? Non molto, se non la promessa che una volta che un accordo di pace responsabile sarà sul tavolo, e una leadership palestinese non genocida sarà in grado di firmarlo, milioni di israeliani si alzeranno in piedi per sostenerlo. Il nostro DNA politico include ancora una volontà di compromesso che i nostri nemici non hanno mai mostrato. E abbiamo speranza. Una speranza gravemente ferita, una speranza spezzata ma speranza. Siamo quindi pronti a versare il nostro cucchiaino di umanità civica nel calderone delle mega-potenze egoiste che il 2025 probabilmente porterà a ebollizione.
20 Gennaio 2025Permalink

17 gennaio 2025 – Israele e Hamas firmano l’accordo, il gabinetto di sicurezza israeliano lo approva

I primi ostaggi verrebbero liberati domenica. Netanyahu: “Se la fase due fallisce la guerra riprende”. Antonio Guterres (Onu): Unifil ha trovato cento depositi di armi di Hezbollah

16:30 17 Gennaio
Israele: domenica alle 16 liberi 95 detenuti palestinesi

Dopo la riunione del gabinetto, il ministero della Giustizia israeliano ha pubblicato l’elenco dei detenuti palestinesi il cui rilascio è previsto nel primo round dell’accordo, soggetto all’approvazione del governo. L’elenco comprende 95 detenuti e, secondo il piano, la loro liberazione non sarà effettuata prima delle 16,00 (ora locale) di domenica. La maggior parte dei detenuti palestinesi nell’elenco sono donne e solo uno, con meno di 18 anni, condannato per omicidio.

16:27 17 Gennaio
Hamas: l’accordo è stato reso possibile da Trump

L’accordo di cessate il fuoco con Israele non sarebbe stato possibile senza il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump e il suo inviato Steve Witkoff. Lo ha detto il responsabile delle relazioni politiche e internazionali di Hamas, Basem Naim, in un’intervista al network saudita Al Arabiya. Secondo Naim l’intesa non sarebbe stata raggiunta “senza la pressione dell’amministrazione entrante guidata dal presidente Trump, perché il suo inviato nella regione, Witkoff, è stato qui negli ultimi giorni” e “prendeva nota di tutti i dettagli e di tutti gli ostacoli ed esercitava pressione, soprattutto sul governo israeliano”. L’esponente di Hamas ha quindi attribuito il ritardo di mesi nel raggiungere l’accordo “alla riluttanza, forse complice, dell’amministrazione Biden, e al sostegno illimitato e incrollabile al governo di Israele, alla guerra contro i palestinesi, al continuo investimento in questa guerra militarmente, diplomaticamente e politicamente”.

16:25 17 Gennaio
Ben Gvir: sono inorridito, gli ergastolani liberi torneranno a uccidere

“Se fino a ieri ero inorridito da questo accordo, oggi quando viene rivelato che terroristi con l’ergastolo vengono rilasciati a Gerusalemme, in Cisgiordania, quando tutti sanno che cercheranno di fare di nuovo del male e a uccidere di nuovo, mi prende l’ansia”, ha scritto su X il ministro di ultradestra israeliano Itamar Ben Gvir, che ha votato contro l’accordo nella riunione di gabinetto e ieri ha annunciato che si dimetterà. “Mi rivolgo agli amici del Likud e del sionismo religioso, non è troppo tardi, questo accordo può essere fermato”, ha aggiunto.

 

17 Gennaio 2025Permalink

14 dicembre 2024 – Conclusione dell’ultimo blog di Giancarla Codrignani

 LE GUERRIERE                                                  

La Scala ha inaugurato con la Forza del Destino, un’opera di Verdi che dimostra come la guerra, la vendetta, il pregiudizio dell’onore siano lombrosionamente fisiologici negli uomini. Ma la protagonista, vittima dell’odio del fratello per il fidanzato, figlio di re precolombiani ma ritenuto “un meticcio”, è una donna che reagisce alla violenza non solo ribellandosi al padre e diventando eremita quando il destino la condanna, ma letteralmente “combatte” con l’esercito in cui si è intruppata per ritrovare l’uomo che ama e che insegue nonostante la presunta uccisione di suo padre, vestita da soldato per potersi muovere in sicurezza. La stupenda Anna Netrebko impersona una donna che è donna, ma che sa comportarsi “come un uomo” in mezzo alle truppe o ai frati che non l’accettano in quanto femmina a cui una donna impone la sua sofferta autonomia.
Non si sa com’è, ma in questa stagione di guerre la pubblicistica racconta qua e là storie di donne “guerriere”, come se le storiche che vanno per archivi in cui giacciono i documenti “di genere” lasciati ignorati non ce ne avessero presentate parecchie. O come se le donne fossero “per natura” esenti da aggressività e da ricerca di parità pericolose come fare le soldate non solo per carriera ma “passione”. Kamala Harris si vanta di possedere una pistola e di saperla usare se incontrasse un aggressore.
I problemi – in tempo di guerre – sono di altro genere. E’ che le donne, proprio per essere state emarginate, hanno conosciuto il potere molto da vicino. E lo ritengono inadeguato alle loro esigenze biologiche, psicologiche, morali e politiche: sanno che fa male anche all’uomo che sceglie sempre la guerra anche contro di loro. Ma non hanno ancora elaborato una politica che non solo cambi il potere, ma ne cambi così tanto i connotati da doverlo chiamare in altro modo, forse “convivenza”. O, vedendo l’orizzonte attuale, “sopravvivenza”. Il veterofemminismo anni Settanta/Ottanta aveva fatto analisi diverse e non superficiali sulla pace, che oggi sono irrecuperabili e senza particolari innovazioni o proposte nelle attuali denunce online.
Comunque, a conclusione, una notizia sul solito clima regressivo che non solo questo governo (che se ne avvale alla grande) ci propone. In Lombardia un regolamento regionale del 2007, modificato nel 2022, ordinava il seppellimento o la cremazione degli esiti di aborti (spontanei o volontari) che hanno prodotto convenzioni con le aziende ospedaliere per “funerali” che dovrebbe essere comunicati alle interessate e non sempre lo sono. Il quotidiano Domani pubblicizza il podcast “Venti settimane”, uno strumento prodotto da un’inchiesta sostenuta dai lettori. Ci vogliono madri o – perché no? È sempre un posto di lavoro – soldate.
A proposito: forse in Siria sono arrivati dei “talebani”: c’è stata una domanda, una sola relativa a come tratteranno le donne? Eppure sarebbe stato il più valido strumento esplorativo di un futuro incerto (comodo far conto di niente).

Giancarla Codrignani  Noi Donne, 11 dic. 2024

14 Dicembre 2024Permalink