Quando fu vicino alla città, alla discesa del monte degli Ulivi, tutta la folla dei discepoli, con gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutte le opere potenti che avevano viste, dicendo: «Benedetto il Re che viene nel nome del Signore; pace in cielo e gloria nei luoghi altissimi!»
Alcuni farisei, tra la folla, gli dissero: «Maestro, sgrida i tuoi discepoli!» Ma egli rispose: «Vi dico che se costoro tacciono, le pietre grideranno».
(Luca 19: 37-40)
Care sorelle e cari fratelli,
quante volte ci è stato detto di stare zitti, che fosse meglio tacere, che non c’erano parole adeguate, anzi…ogni parola era inopportuna, fastidiosa, stucchevole, di troppo, perché la nostra parola può essere scomoda, creare dissenso, seminare dubbio ed essere divisiva.
Ecco, questo deve essere ciò che hanno pensato i farisei, quando hanno chiesto a Gesù di sgridare e far tacere i suoi discepoli.
Ma Gesù risponde loro con una frase che è la pietra miliare di ogni confessione di fede, e può diventare un motore per la nostra testimonianza: “se anche questi tacciono, le pietre grideranno!”. Quando anche i discepoli non potessero parlare di Gesù, non testimoniassero del Regno dei cieli, lo farebbero le pietre del selciato dell’ingresso di Gerusalemme.
Per i farisei sentire acclamare Gesù come re, assistere alla folla che lo loda con canti di festa, lui che è re di un regno senza confini, fa proprio rabbia.
Alla rabbia dei farisei Gesù risponde con una frase quasi incendiaria, con una provocazione: “se anche questi tacciono, le pietre grideranno!”.
Questa frase però è anche una dimostrazione del potere nuovo e diverso di Gesù rispetto all’autorità che zittisce e condanna al silenzio. Gesù invita a prendere la parola, non per piacere agli altri o per mettersi in mostra ma per dare un messaggio rivoluzionario, pericoloso, scandaloso in ogni tempo: Gesù è il re di un regno inimmaginabile, un regno dove non c’è sopraffazione, dove non c’è chi controlla e chi è controllato, chi abusa e chi è abusato, chi combatte e chi si difende, chi si vendica e chi è vendicato.
La provocazione resta tale anche per i lettori del Vangelo di ogni tempo, è un balsamo per tutti coloro che si sentono dei credenti imperfetti e impacciati: a prescindere dall’efficacia della loro testimonianza i fatti diranno che Gesù è il re della storia.
È una sfida per ogni credente, quella di cogliere i segni della salvezza ed esprimere anche il giudizio di Dio sulla storia umana con la propria voce che è più udibile di quella di una pietra. Ma spesso rimaniamo assordati nel silenzio dei nostri pensieri e diventiamo complici del “non voler disturbare”, ci nascondiamo dietro il tanto altro che abbiamo da fare.
Eppure dobbiamo ripartire dalla vocazione che abbiamo ricevuto, non solo chi tra noi è pastore, teologo, predicatrice, ma tutti e tutte noi credenti siamo chiamati ad annunciare l’Evangelo, anche quando questo compito si fa irriverente, scomodo!
Le pietre del selciato di Gerusalemme, vicino al monte degli ulivi, avrebbero gridato tutta la regalità di Gesù di Nazareth, il figlio di Dio venuto dalla Galilea, avrebbero acclamato il messia della periferia.
Il fatto che Gesù sia re di un regno senza confini e senza corona rivela tutta la fragilità e la disumanità dei regni di cui è stata costellata la storia, regni che spesso hanno usato proprio Gesù e Dio per legittimare il loro potere. Gesù è re dei giudei ma non in alternativa all’impero romano; è re del Regno di Dio, suo Padre, un regno i cui sudditi sono chiamati ad annunciare, a collaborare e costruire, in cui non c’è un potere oppressivo e un confine territoriale, neppure temporale, ma si vive l’utopia dell’amore di Dio per ognuno e ciascuna.
Se Gesù è re, allora nessun regno di questo mondo è veramente legittimo, vorrei dire: nessun potere di questo mondo ha autorità.
La teologia luterana ortodossa certo non sarebbe d’accordo con questa mia affermazione, ma ritengo vero per noi oggi che nessun potere può sentirsi tutelato dal Deus vult, Dio lo vuole.
Nessun potere al mondo può credersi assoluto ma deve permettere alla “voce che disturba”, al dissenso, di elevarsi.
La voce che afferma che Gesù è il Re esprime la relatività di ogni potere umano esistente. Questa parola diventa scomoda e urticante per ogni potere e per ogni autorità: la regalità di Gesù si esercita nella potenza che si dimostra nella debolezza (2 Cor 12). La regalità di Gesù rimane così “spina nella carne” di ogni potere umano.
Possiamo dire che Dio è re per regnare in un regno che sfida e surclassa ogni potere umano perché è un regno di pace, di giustizia e di amore, un regno il cui re non ha scettro né corona, non ha cioè il potere esercitato con controllo e oppressione.
Un regno che non ha tempo perché è in ogni tempo, in ogni pagina della storia.
Nel Medioevo il teologo hussita Nicola da Dresda usa l’immagine forte delle pietre che gridano la testimonianza che mancava in quel tempo della storia, per difendere la parola pubblica e la predicazione delle donne in un tempo in cui, a qualche centinaio di chilometri, le donne che osavano un ruolo pubblico nella società erano accusate di stregoneria e qualche volta condannate al rogo.
Una pagina della storia del cristianesimo e del movimento valdese su cui spesso sorvoliamo; eppure il nesso tra le donne e le pietre è un nesso che nella storia valdese della testimonianza ritorna prepotente così come nel dibattito sinodale sul ministero pastorale e l’accesso alla Facoltà delle donne negli anni ’50: se l’Evangelo può essere annunciato da elementi inerti, tanto più lo possono fare le donne, se preparate.
Altri credenti hanno sentito le pietre gridare ancora novanta anni fa mentre i cristiano-tedeschi si piegavano al culto della persona del Führer; poco dopo anche in Casa valdese si discuteva la posizione della chiesa durante il fascismo. È stato necessario ritornare a Gesù Cristo, per la chiesa confessante, per la teologia della chiesa valdese.
E oggi che cosa grideranno le pietre?
Potremmo dire banalmente che gridano contro ogni guerra e ogni sopraffazione.
Eppure credo che ancora oggi grideranno di Gesù Cristo, il fondamento della nostra esistenza come chiesa e come comunità di credenti: se guardassimo a Gesù Cristo non ci pronunceremmo solo contro la guerra ma ci impegneremmo per costruire pace a partire dal nostro contesto prossimo, di relazioni personali e comunitarie.
Le pietre grideranno l’ingiustizia ma noi discepoli e discepole potremmo certamente metterci all’opera per una società che impari nuovamente a confrontarsi e discutere in un pluralismo di idee e opinioni, per una chiesa che non tema la secolarizzazione o l’estinzione.
A noi, care sorelle e cari fratelli,
questa promessa di un’evangelizzazione dal basso del selciato giunga come un antidoto allo scoraggiamento dei nostri piccoli numeri, della stabile decrescita.
Sia piuttosto un incoraggiamento a continuare a tessere rete e costruire legami per moltiplicare l’amore di Dio.
L’Evangelo di Gesù Cristo viene proclamato ogni volta che una squadra di Breakfast Time, un gruppo di volontari di ogni comunità distribuiscele colazioni ai senza tetto, ogni volta che come comunità locali cerchiamo di superare l’ingiusto svantaggio economico di chi è sempre più povero; ogni volta che ci impegniamo per la legalità non solo a parole; ogni volta che apriamo attività nuove per dire chi è il Dio di Gesù Cristo a persone che forse in chiesa e ad uno studio biblico non verrebbero mai.
E se persino le pietre, che sono gli esseri più immobili e inerti che possiamo immaginare, potranno testimoniare di Gesù, allora noi che potremmo mai dire di più?
Certamente potremo confessare il nostro peccato: l’ingiustizia, il conflitto, l’odio che abbiamo visto e taciuto, che abbiamo persino disseminato nel mondo, che non siamo riusciti ad arginare e allora sì che avremo parlato del regno di Dio, che Gesù Cristo ci ha annunciato.
La buona notizia che questa parola di Gesù ci offre è ancora una volta tutta la sua radicalità, e tutta la sua scomodità; eppure senza questa fatica, vana è la nostra fede.
Perché abbiamo avuto tutti e tutte almeno una volta la tentazione di ergerci noi personalmente a sovrani e governanti del nostro mondo anche solo per un minuto e invece è venuto il tempo di riconoscere il nostro peccato e annunciare al mondo una cosa che questi 850 anni di storia della chiesa valdese ci hanno mostrato in maniera chiara: la parola pubblica della chiesa si distingue dal brusio delle epoche storiche perché annuncia Gesù Cristo, un re senza corona con un potere diverso da quello del mondo.
Questa verità non diventerà mai relativa, e non verrà mai meno.
Amen.