“Il futile ci può annientare” così Barbara Spinelli in “Una parola ha detto Dio, due ne ho udite” ( pag. 56 – editori Laterza seconda edizione 2011) . Leggo volentieri Spinelli perché riesce a dare parole appropriate a tanti pensieri che o fatico ad esprimere o non oso perché mi sembrano bizzarri e, in questo periodo in cui il dialogo sembra impossibile, riesce difficile misurarsi con la propria stravaganza non verificabile.
Non tento un confronto su facebook – dove è facile ricevere numerose ‘futili’ risposte – perché non vorrei ritrovarmi vittima di quello sciagurato consenso prefabbricato ‘mi piace’, un’espressione certamente inventata da qualche mente banale che pensa, ad esempio, che l’interesse per le relazioni di un processo alla corte del L’Aia – se mai facebook le pubblicasse- possano essere oggetto non di una dolente curiosità ma del conforto di un disgustoso, dichiarato piacere, lo stesso che si dimostra per il pierino squittente di turno che informa di aver cucinato la minestra.
In realtà mi sento proprio così, non tanto annientata quanto a rischio di soffocamento da banalità che invadono anche spazi che pensavo affidati e da affidare a tutt’altro.
La più grande delusione del 2011
Da anni – e lo sa questo blog e poco più- mi occupo della questione della registrazione anagrafica dei neonati figli di immigrati irregolari.
Comunicare ad altri questo problema – e verificarne la reazione – è stata la mia cartina al tornasole per misurare il livello di inconsapevolezza, a volte frutto di coscienze vinte se non dalla banalità dalla coazione a ripetere luoghi comuni cui la diffusione della cultura padan-belusconico-leghista ha dato nuova vitalità, a volte determinato da un progetto di vita in cui è precipitata senza riserve e senza cautele la nostra democrazia.
In questi miei tentativi ciò che più mi ha sgomentato è stata l’impossibilità a comunicare l’essenza del problema. Il ‘pacchetto sicurezza’ aveva trasferito anche la registrazione degli atti di stato civile dallo spazio dell’uguaglianza a quello del privilegio e quindi ne aveva negato la natura di diritti …’ per loro, non per noi’ sentivo sghignazzare e non erano solo gli adepti all’ammucchiata padan-belusconico-leghista, ma un insieme molto più ampio dello spazio politico che può occupare.
Mi ero fissata sulla questione nascite perché mi sembrava la conseguenza più ripugnante della diffusione del Bossi-pensiero e comunque un indizio che, per averlo approfondito, mi aiutava a capire molto altro.
Pensavo che avrebbe offeso i sindaci, privati del loro compito costituzionale e storico di avere l’evidenza della popolazione esistente sul loro territorio … e non era così.
O non capivano o se ne infischiavano e se qualcuno sembrava capire si diceva troppo debole per opporsi alla deriva da cui forse (ma non ne sono sicura) cercheremo di risalire.
Pensavo avrebbe sconvolto i parlamentari che dovrebbero rappresentarci senza vincolo di mandato e invece sono nella maggior parte subordinati alle scelte di partiti determinanti nello stabilire chi dei clan che le singole segreterie controllano debba occupare i seggi parlamentari avendo a solo parametro di riferimento il consenso dell’opinione pubblica, così come si presenta, precostituito al di fuori dei loro programmi che forse neppure esistono.
E proprio qui sta il nodo del disastro: nell’opinione pubblica.
L’opinione pubblica fondamento della corruzione politica
Rubo ancora la parola a Barbara Spinelli, sottolineando con il grassetto le espressioni che mi interessano. Il titolo dell’articolo dello scorso 18 dicembre è ‘Abolire la miseria’ e, rifacendosi agli anni 1946-1948 ….
“….La sfida oggi è identica, e sono le pubbliche istituzioni nazionali e europee a doversi assumere il compito. Affidarlo a chiese o filantropi vuol dire regredire a tempi in cui solo la carità era il soccorso. In molti paesi arabi sono gli estremismi musulmani a occuparsi del Welfare, confessionalizzandolo. Non è davvero il modello da imitare: gli Stati europei si sono sostituiti alle chiese fin dal ‘200, creando istituzioni laiche aperte a tutti. Anche l’Europa unitaria investe su organismi comuni perché – sono parole di Jean Monnet – “gli uomini sono necessari al cambiamento, ma le istituzioni servono a farlo vivere“.
E finalmente “È laico anche questo: voler cambiare i comportamenti, non la natura dell’uomo”.
La deriva locale che ho sperimentato negli ultimi anni.
Non so se la mia regione sia un microcosmo. Forse ogni luogo lo è.
Comunque la cultura dominante nel territorio in cui vivo mi fa paura.
Un politica che si è sottratta alle sue responsabilità, che ne rifugge quando non le può agganciare al populismo acchiappavoti, che adegua il suo linguaggio a quello che nella sua insipienza considera ineliminabile, l’ululato o il brontolio del becerume dell’ammucchiata padan-belusconico-leghista, che ha dimenticato che lo spazio in cui, se volesse e sapesse, potrebbe operare le è stato consegnato da una storia di raggiungimento e tentata crescita di una democrazia giovane e traballante, ha affidato la solidarietà (quella che la Costituzione ancora dice ‘politica e sociale’ art. 2) al moralismo di quella cultura che si proclama cattolica e che ha debordato ben oltre lo spazio della chiesa da cui prende il nome.
Nel mio linguaggio privato io lo chiamo ‘effetto collaterale caritas’, dove per caritas non intendo l’ottimo lavoro che l’organizzazione promuove a livello alto ma ciò che ha trasmesso alla rete di base di organizzazioni e parrocchie, convincendole che lo spazio della solidarietà si manifesta nelle anime intenzionalmente buone mentre sfugge al dovere di promuovere regole più alte nel vivere associato, chiudendosi nell’orizzonte esclusivo e perciò angusto della famiglia che un tempo era stata indicata come istituzione amorale.
Avevo sentito i primi campanelli d’allarme anni fa, quando non c’era discorso, predica domenicale, esternazione estemporanea in cui qualcuno -dai preti ai loro imitatori- non si assumesse la banale irresponsabilità di pronunciare il termine Illuminismo come categoria da condannare, come sinonimo di ciò che non doveva essere.
Dimentichi di ciò che il Concilio Vaticano II aveva detto in fatto di ‘segni dei tempi’, spregiatori della storia d’Europa (povero presidente Monti che afferma di crederci!) volevano secondo me rimuovere l’affermazione di Kant (1784): “ L’ illuminismo è l’ uscita dell’ uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’ incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi é questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro”
Qui potrei riprendere un discorso su una, negativamente diffusa proposta di legge regionale che gode di ampia e autorevole accettazione, su cui mi riservo di tornare molto presto. Infatti comincio a prepararmi, documentandomi e ragionando, alle prossime elezioni nazionali, regionali e comunali.
Senza commento, perché non lo richiede
… voglio far memoria di una citazione di Beatrice Manetti (che ho tratto da L’indice n. 12 -2011. Sentieri per capre – riferimento a Scorciatoie e racconti di Umberto Saba).
L’articolista ci ricorda che il poeta Umberto Saba, dopo aver definito Mussolini “due terzi boia e un terzo pover’omo”, ne scrisse ancora come il padre carcerario che ha assecondato la congenita disposizione degli italiani al fratricidio e precisamente “Gli italiani vogliono darsi al padre, ed avere da lui, in cambio, il permesso di uccidere gli altri fratelli”.
Oggi, nella politica nazionale, chi legge riconosce un analogo padre, uso al linguaggio gestuale e ispiratore di altri simili padri? Io sì.