20 gennaio 2025 – Lettera trascurata che pubblico il 22 gennaio

Gentile padre Enzo Fortunato
ho letto con il piacere di poter far riferimento a un testo chiaro ed esplicito,
qual è il Suo scritto alla pag. 17 de Il sole 24ore di ieri (venerdì 17), “le parole
sferzanti di Papa Francesco sui diritti dei bambini” che Lei riporta.
Sono perciò confortata nella speranza di poter trovare attenzione a un
problema che reputo grave ma costantemente ignorato, quello di bambini che
nascono in Italia ma non vengono registrati all’anagrafe.
Sono una vecchia cittadina italiana , nata nel 1938 con un passato di
insegnante e successivamente di consigliera regionale in Friuli Venezia Giulia
dove vivo ma, soprattutto, sono una madre di figli ormai sessantenni , una
madre che si onora di aver fatto propri i principi di uguaglianza e solidarietà,
pilastri della nostra convivenza che voglia essere civile.
Spero avrà la pazienza di leggermi e mi spiego.
Nel 1991 venne approvata la legge 176, “Ratifica ed esecuzione della
Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembr1989”. In
quella norma leggiamo l’articolo 3, stella polare da allora di ogni discorso sui
minori: «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle
istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle
autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del
fanciullo deve essere una considerazione preminente».
Il conseguente art. 7 è perciò una indicazione vincolante quando afferma che
« Il fanciullo è registrato al momento della sua nascita e da allora ha diritto a
un nome , ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile a
conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da essi» .
Tale è la forza di questo articolo che nel 1998 la legge 40
(cd Turco Napolitano) , che aveva istituito il permesso di soggiorno a
garanzia della regolarità degli immigrati non comunitari, aveva escluso
proprio lo strumento che aveva istituito da quelli che devono essere
presentati al momento di registrare la nascita di un proprio figlio in Italia.
E’ evidente che tale norma assicura anche il rispetto dell’art. 3 della
Costituzione che afferma « Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge ,
senza distinzioni di [… ] condizioni personali e sociali».
Purtroppo nel 2009 tutto cambiò. Venne approvata la legge 94 che,
coacervo di norme disparate , all’art. 1 comma 22 lettera g include il
permesso di soggiorno fra i documenti che in quella circostanza devono venir
richiesti e presentati. Lo fa con un’abile forma di discriminazione indiretta ma
il risultato è sempre lo stesso: il nato da genitori non comunitari irregolari si
fa spia minacciosa della irregolarità di chi l’ha generato , irregolarità che, se
nota , diventa ragione di gravi penalizzazioni per i neo genitori che possono
così dover affrontare anche il rischio di espulsione. Da allora la neghittosità a
360 gradi del Palmento , il silenzio dell’opinione pubblica che spesso significa
indifferenza , hanno fatto sì che questa norma restasse significativamente
collocata, come titola la legge 94, fra le “Disposizioni in materia di sicurezza

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pubblica”, riducendo questi nati a oscuri invisibili che non saranno raggiunti
neppure dalla accorate richiesta del Santo Padre di amore e protezione. E’ una
protezione, ce lo dice papa Francesco, che dal cuore si concreta nell’azione e
fra le tante azioni possibili segnalo quella di una piccola modifica di legge che
cancelli lo sfregio che il legislatore volle nel 2009.
La garanzia della iscrizione nel registro di stato civile è diritto del nato che
non deve essere inficiato dalla possibile situazione di irregolarità di
colei/colui che lo ha generato. Un nato in Italia che si trovasse privo di quel
certificato non avrebbe esistenza giuridica e per lui le parole forti di papa
Francesco che Lei cita nell’articolo di ieri suonerebbero vane: come introdurre
un nato che c’è ma non esiste al godimento di ciò che gli è dovuto? Davanti a
quella inesistenza per legge «potremmo sentirci impotenti , ma ogni gesto,
ogni scelta consapevole , è una goccia che può contribuire a formare un mare.
Dobbiamo anche richiamare le istituzioni, le imprese, le organizzazioni
ecclesiali alla loro responsabilità » .
Perché ciò avvenga occorre una parola forte, autorevole, ascoltata .
Attendo : non so dichiararle un numero di ‘casi’.
Il caso è la legge…
Cordialmente
Augusta De Piero

22 Gennaio 2025Permalink

22 gennaio 2015 _ Una vescova davanti al presidente degli USA

Quanto trascrivo dal Corriere della sera  (link più sotto) dovrebbe essere preso in considerazione, secondo me in un  quadro ecumenico,  dalle chiese cristiane anche in Italia .,
Ha officiato la cerimonia interreligiosa post-Inauguration Day (meglio sarebbe scrivere ecumenica)  la  vescova episcopale  Mariann Edgar Budde   . La cerimonia si è svolta presso la Washington National Cathedral davanti al neo presidente Trump  , vistosamente irritato.
La vescova della diocesi episcopale di Washington Mariann Edgar Budde stava per concludere il suo sermone durante la preghiera inaugurale della nuova presidenza Trump  quando, guardando il 47esimo presidente degli Stati Uniti, ha dimostrato di non aver apprezzato gli ordini esecutivi firmati
ai danni di alcune categorie della popolazione.
«Ci sono gay, lesbiche e bambini transgender in famiglie democratiche, repubblicane e indipendenti, alcuni dei quali temono per la propria vita», ha proseguito.
Il tono usato da Budde è pacato, fermo, quasi indulgente. Come se si stesse rivolgendo a un fedele che si è smarrito in un luogo solenne quale è la cattedrale di Washington  Le sue parole non hanno il sapore di un monito, ma di un consiglio per ritrovare la strada giusta. Il New York Times lo ha definito «uno straordinario atto di resistenza». La vescova ha proseguito poi con il tema migranti: «La stragrande maggioranza degli immigrati non sono criminali – ha fatto notare -.Le chiedo di avere pietà, signor presidente, delle persone i cui figli temono che i loro genitori vengano portati via, e di aiutare coloro ch fuggono da zone di guerra e persecuzioni nelle loro stesse terre a trovare compassione e accoglienza qui».
Parole che fanno eco a quelle pronunciate da Papa Francesco.

Mariann Edgar Budde, vescova di Washington, chiede a Trump di avere «pietà per gay, immigrati e transgender» | Corriere.it

Il presidente Trump non aveva perso tempo e  aveva già firmato l’ordine esecutivo  che  obbliga il Dipartimento di Giustizia non solo a richiedere la pena di morte nei casi federali appropriati ma anche a contribuire a preservare la pena capitale negli stati che hanno avuto difficoltà a mantenere scorte adeguate di farmaci per l’iniezione letale.
Al di là di una possibile attrazione che costui possa esercitare  sarebbe cosa  giusta e corretta che la difesa dei diritti civili fosse praticata anche con attenzione a situazioni locali a partire dalla iscrizione  dei nati in Italia  nel  registro di stato civile senza che ciò comporti la presentazione del permesso di soggiorno, obbligatoria in Italia dal 2009. (legge 94 art. 1 comma 22 lettera g,) .E’ un fatto su  cui  la sciatteria  parlamentare  si accompagna al  ” silenzio degli onesti”,  se la voce di Martin Luther King riuscirà ancora ad essere ascoltata..
E, visto che con una vescova ho aperto questa nota, ricordo che la Conferenza Episcopale Italiana  nel 2015 concluse  il sinodo sulla famiglia senza ricordare  che i nati nel nostro stato  potevano e possono trovarsi  privi del certificato di nascita, senza identità, senza famiglia , invisibili come fantasmi condannati a vivere nei sotterranei della storia.

22 Gennaio 2025Permalink

14 dicembre 2024 – Conclusione dell’ultimo blog di Giancarla Codrignani

 LE GUERRIERE                                                  

La Scala ha inaugurato con la Forza del Destino, un’opera di Verdi che dimostra come la guerra, la vendetta, il pregiudizio dell’onore siano lombrosionamente fisiologici negli uomini. Ma la protagonista, vittima dell’odio del fratello per il fidanzato, figlio di re precolombiani ma ritenuto “un meticcio”, è una donna che reagisce alla violenza non solo ribellandosi al padre e diventando eremita quando il destino la condanna, ma letteralmente “combatte” con l’esercito in cui si è intruppata per ritrovare l’uomo che ama e che insegue nonostante la presunta uccisione di suo padre, vestita da soldato per potersi muovere in sicurezza. La stupenda Anna Netrebko impersona una donna che è donna, ma che sa comportarsi “come un uomo” in mezzo alle truppe o ai frati che non l’accettano in quanto femmina a cui una donna impone la sua sofferta autonomia.
Non si sa com’è, ma in questa stagione di guerre la pubblicistica racconta qua e là storie di donne “guerriere”, come se le storiche che vanno per archivi in cui giacciono i documenti “di genere” lasciati ignorati non ce ne avessero presentate parecchie. O come se le donne fossero “per natura” esenti da aggressività e da ricerca di parità pericolose come fare le soldate non solo per carriera ma “passione”. Kamala Harris si vanta di possedere una pistola e di saperla usare se incontrasse un aggressore.
I problemi – in tempo di guerre – sono di altro genere. E’ che le donne, proprio per essere state emarginate, hanno conosciuto il potere molto da vicino. E lo ritengono inadeguato alle loro esigenze biologiche, psicologiche, morali e politiche: sanno che fa male anche all’uomo che sceglie sempre la guerra anche contro di loro. Ma non hanno ancora elaborato una politica che non solo cambi il potere, ma ne cambi così tanto i connotati da doverlo chiamare in altro modo, forse “convivenza”. O, vedendo l’orizzonte attuale, “sopravvivenza”. Il veterofemminismo anni Settanta/Ottanta aveva fatto analisi diverse e non superficiali sulla pace, che oggi sono irrecuperabili e senza particolari innovazioni o proposte nelle attuali denunce online.
Comunque, a conclusione, una notizia sul solito clima regressivo che non solo questo governo (che se ne avvale alla grande) ci propone. In Lombardia un regolamento regionale del 2007, modificato nel 2022, ordinava il seppellimento o la cremazione degli esiti di aborti (spontanei o volontari) che hanno prodotto convenzioni con le aziende ospedaliere per “funerali” che dovrebbe essere comunicati alle interessate e non sempre lo sono. Il quotidiano Domani pubblicizza il podcast “Venti settimane”, uno strumento prodotto da un’inchiesta sostenuta dai lettori. Ci vogliono madri o – perché no? È sempre un posto di lavoro – soldate.
A proposito: forse in Siria sono arrivati dei “talebani”: c’è stata una domanda, una sola relativa a come tratteranno le donne? Eppure sarebbe stato il più valido strumento esplorativo di un futuro incerto (comodo far conto di niente).

Giancarla Codrignani  Noi Donne, 11 dic. 2024

14 Dicembre 2024Permalink

15 maggio 2024 – Il testo integrale del discorso della Senatrice Liliana Segre 14 maggio 2024 e anche altro

 

“Signor Presidente, Care Colleghe, Cari Colleghi,

continuo a ritenere che riformare la Costituzione non sia una vera necessità del nostro Paese. E le drastiche bocciature che gli elettori espressero nei referendum costituzionali del 2006 e del 2016 lasciano supporre che il mio convincimento non sia poi così singolare.

Continuo anche a ritenere che occorrerebbe impegnarsi per attuare la Costituzione esistente. E innanzitutto per rispettarla.

Confesso, ad esempio, che mi stupisce che gli eletti dal popolo – di ogni colore – non reagiscano al sistematico e inveterato abuso della potestà legislativa da parte dei Governi, in casi che non hanno nulla di straordinariamente necessario e urgente.

Ed a maggior ragione mi colpisce il fatto che oggi, di fronte alla palese mortificazione del potere legislativo, si proponga invece di riformare la Carta per rafforzare il già debordante potere esecutivo.

In ogni caso, se proprio si vuole riformare, occorre farlo con estrema attenzione. Il legislatore che si fa costituente è chiamato a cimentarsi in un’impresa ardua: elevarsi, librarsi al di sopra di tutto ciò che – per usare le parole del Leopardi – “dall’ultimo orizzonte il guardo esclude”. Sollevarsi dunque idealmente tanto in alto da perdere di vista l’equilibrio politico dell’oggi, le convenienze, le discipline di partito, tutto ciò che sta nella realtà contingente, per tentare di scrutare quell’ “Infinito” nel quale devono collocarsi le Costituzioni. Solo da quest’altezza si potrà vedere come meglio garantire una convivenza libera e sicura ai cittadini di domani, anche in scenari ignoti e imprevedibili.

Dunque occorrono, non prove di forza o sperimentazioni temerarie, ma generosità, lungimiranza, grande cultura costituzionale e rispetto scrupoloso del principio di precauzione.

Non dubito delle buone intenzioni dell’amica Elisabetta Casellati, alla quale posso solo esprimere gratitudine per la vicinanza che mi ha sempre dimostrato. Poiché però, a mio giudizio, il disegno di riforma costituzionale proposto dal governo presenta vari aspetti allarmanti, non posso e non voglio tacere.

Il tentativo di forzare un sistema di democrazia parlamentare introducendo l’elezione diretta del capo del governo, che è tipica dei sistemi presidenziali, comporta, a mio avviso, due rischi opposti.

Il primo è quello di produrre una stabilità fittizia, nella quale un presidente del consiglio cementato dall’elezione diretta deve convivere con un parlamento riottoso, in un clima di conflittualità istituzionale senza uscita. Il secondo è il rischio di produrre un’abnorme lesione della rappresentatività del parlamento, ove si pretenda di creare a qualunque costo una maggioranza al servizio del Presidente eletto, attraverso artifici maggioritari tali da stravolgere al di là di ogni ragionevolezza le libere scelte del corpo elettorale.

La proposta governativa è tale da non scongiurare il primo rischio (penso a coalizioni eterogenee messe insieme pur di prevalere) e da esporci con altissima probabilità al secondo. Infatti, l’inedito inserimento in Costituzione della prescrizione di una legge elettorale che deve tassativamente garantire, sempre, mediante un premio, una maggioranza dei seggi a sostegno del capo del governo, fa sì che nessuna legge ordinaria potrà mai prevedere una soglia minima al di sotto della quale il premio non venga assegnato.

Paradossalmente, con una simile previsione la legge Acerbo del 1923 sarebbe risultata incostituzionale perché troppo democratica, visto che l’attribuzione del premio non scattava qualora nessuno avesse raggiunto la soglia del 25%.

Trattando questa materia è inevitabile ricordare l’Avvocato Felice Besostri, scomparso all’inizio di quest’anno, che fece della difesa del diritto degli elettori di poter votare secondo Costituzione la battaglia della vita. Per ben due volte la Corte Costituzionale gli ha dato ragione, cassando prima il Porcellum e poi l’Italicum perché lesivi del principio dell’uguaglianza del voto, scolpito nell’art. 48 della Costituzione. E dunque, mi chiedo, come è possibile perseverare nell’errore, creando per la terza volta una legge elettorale destina compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare” ?

Ulteriore motivo di allarme è provocato dal drastico declassamento che la riforma produce a danno del Presidente della Repubblica. Il Capo dello Stato infatti non solo viene privato di alcune fondamentali prerogative, ma sarebbe fatalmente costretto a guardare dal basso in alto un Presidente del Consiglio forte di una diretta investitura popolare.

E la preoccupazione aumenta per il fatto che anche la carica di Presidente della Repubblica può rientrare nel bottino che il partito o la coalizione che vince le elezioni politiche ottiene, in un colpo solo, grazie al premio di maggioranza.

Anzi, è addirittura verosimile che, in caso di scadenza del settennato posteriore alla competizione elettorale, le coalizioni possano essere indotte a presentare un ticket, con il n° 1 candidato a fare il capo del governo ed il n° 2 candidato a insediarsi al Quirinale, avendo la certezza matematica che – sia pure dopo il sesto scrutinio (stando all’emendamento del Sen. Borghi) – la maggioranza avrà i numeri per conquistare successivamente anche il Colle più alto.

Ciò significa che il partito o la coalizione vincente – che come si è visto potrebbe essere espressione di una porzione anche assai ridotta dell’elettorato (nel caso in cui competessero tre o quattro coalizioni, come è già avvenuto in un recente passato grado di conquistare in un unico appuntamento elettorale il Presidente del Consiglio e il governo, la maggioranza assoluta dei senatori e dei deputati, il Presidente della Repubblica e, di conseguenza, anche il controllo della Corte Costituzionale e degli altri organismi di garanzia. Il tutto sotto il dominio assoluto di un capo del governo dotato di fatto di un potere di vita e di morte sul Parlamento.

Nessun sistema presidenziale o semi-presidenziale consentirebbe una siffatta concentrazione del potere; anzi, l’autonomia del Parlamento in quei modelli è tutelata al massimo grado. Non è dunque possibile ravvisare nella deviazione dal programma elettorale della coalizione di governo – che proponeva il presidenzialismo – un gesto di buona volontà verso una più ampia condivisione. Al contrario, siamo di fronte ad uno stravolgimento ancora più profondo e che ci espone a pericoli ancora maggiori.

Aggiungo che il motivo ispiratore di questa scelta avventurosa non è facilmente comprensibile, perché sia l’obiettivo di aumentare la stabilità dei governi sia quello di far eleggere direttamente l’esecutivo si potevano perseguire adottando strumenti e modelli ampiamente sperimentati nelle democrazie occidentali, che non ci esporrebbero a regressioni e squilibri paragonabili a quelli connessi al cosiddetto “premierato”.

Non tutto può essere sacrificato in nome dello slogan “scegliete voi il capo del governo!” Anche le tribù della preistoria costituzionali hanno separazione dei poteri, controlli e bilanciamenti, cioè gli argini per evitare di ricadere in quelle autocrazie contro le quali tutte le Costituzioni sono nate.”

E neppure Elena Cattaneo tace

Riforme, il giorno delle senatrici a vita. “Non posso tacere” (agi.it)

Ma io  voglio ricordare  le due senatrici  anche per un gesto nobile di rispetto della professionalità di una professoressa palermitana, Rosa Maria Dell’Aria  e del  lavoro, dei suoi studenti svillaneggiato  con una denuncia  proveniente da persona presente nelle istituzioni .
Se ne tacessi il mio blog non mi perdonerebbe
Le senatrici i allora dichiararono: “l 31 maggio del 2019, quando il «caso» dei ragazzi di Palermo e della loro professoressa conquistò i titoli dei giornali, trascinato nel dibattito politico, abbiamo voluto accoglierli in Senato, per offrire loro un’occasione di riconciliazione con le istituzioni e di riflessione sui valori fondanti della nostra Costituzione”.  Ne scrissi molto nel mio blog e più volte.  Il link che trascrivo  contiene anche qualche riferimento ad altre   pagine
28 dicembre 2020 — Una storia finita come deve essere. Diari e altro non dimentica

15 Maggio 2024Permalink

27 aprile 2024 _ EDITH BRUCK   25 Aprile 2024

Io, Edith Bruck dico basta odio

Contro fascismo strisciante e antisemitismo insegniamo ai ragazzi la tolleranza

Il 25 aprile non è solo oggi, ma ogni giorno dell’anno. La memoria di questa giornata ci deve accompagnare e rimanere sempre presente. Specialmente nel mondo in cui oggi viviamo, nell’Italia che non stenta a rinnegare alcuni valori, un’onta proprio per chi ha vissuto il 25 aprile e ne conosce il valore. Trovo vergognoso quello che sta accadendo, la censura che ha colpito Antonio Scurati, un uomo libero e che dovrebbe potere dire quello che crede. Eppure oggi esiste un fascismo strisciante in questo paese che non ha ancora fatto del tutto i conti con il passato. Non è possibile che “antifascista”sia ancora una parola proibita. Antifascisti siamo tutti. Al contrario il rischio è che tornino tutti gli -ismi più pericolosi, a cominciare dal razzismo. E dall’antisemitismo.

Dal 7 ottobre scorso, dopo l’azione dei terroristi di Hamas al Nova Festival e l’inizio del conflitto nella Striscia di Gaza c’è stato uno tsunami di antisemitismo in tutto il mondo. Come se ogni singolo ebreo fosse responsabile della politica di Benjamin Netanyahu. Perché dobbiamo essere giudicati come se fossimo una totalità? Come se nessuno di noi avesse un pensiero libero? Questo modo di agire rischia di farci tornare indietro, proprio agli anni più bui. E purtroppo vediamo segni di regressione non solo in Italia ma in tutta Europa. Un’Europa disunita di fronte a un mondo in guerra. Un’Europa inerme e impotente, dove Ilaria Salis è ancora in galera, trattata in maniera disumana nell’ Ungheria di Orban senza che nessuno alzi la voce. Un’Europa che volge a destra in Francia, in Olanda e in Svezia.

Un’Europa in cui i fascisti sono ancora liberi di manifestare.

Eppure in questo 25 aprile vorrei vedere qualche segno di speranza, un’ombra minima di pace. Vorrei che gli uomini smettessero di odiarsi. Non è retorica. Papa Francesco per primo continua ad invocare la pace senza che nessuno lo ascolti. Ma dal passato dovremmo proprio imparare questo: allontanare ogni forma di odio e alimentare quel poco di buono che c’è in ognuno di noi. Lo dobbiamo specialmente alle nuove generazioni, ai ragazzi che sono il nostro futuro. Io sono stata nei campi di concentramento, ma sono tornata alla vita senza l’ombra di odio dentro di me. Non so cosa sia l’odio e non lo voglio sapere mai. Per questo dico: smettiamo di odiarci. L’unico augurio che mi sento di fare oggi è di rispettare ogni essere umano, dal primo all’ultimo, perché ogni vita è ugualmente valida e preziosa.

Da 62 anni faccio testimonianza, lo farò anche questo 25 aprile anche se sono costretta su una sedia a rotelle. Ma credo che testimoniare e fare memoria sia oggi la cosa più importante. Incontro i ragazzi nelle scuole, molti mi scrivono lettere, mi fanno domande sul mio vissuto. Ho scritto anche un libro per le scuole, si chiama I frutti della memoria. Credo sia importante dialogare con i bambini fin da piccoli. A loro dobbiamo raccontare l’orrore della Shoah e far sapere cosa sono stati il fascismo e l’antisemitismo. E’ un dovere che abbiamo per far in modo che quanto successo non accada mai più. Oggi siamo di fronte a un mondo ancora dilaniato, stiamo vivendo due guerre, non possiamo rimanere a guardare. Ognuno di noi può fare qualcosa per lasciare a questi ragazzi un mondo migliore. Per insegnare loro la tolleranza e il rispetto contro ogni divisione.

(testo raccolto da Eleonora Camilli)

 

https://www.lastampa.it/editoriali/lettere-e-idee/2024/04/25/news/per_dare_ai_ragazzi_un_mondo_migliore-14252239/

NB_  con questo link non arrivo più  all’articolo che La Stampa mi aveva ‘regalato’ ieri  anche se non  sono abbonata.
E io ho approfittato del dono copiandolo e registrandolo nel mio blog

27 Aprile 2024Permalink

17 aprile 2024 – Ho scritto su Facebook (escluso il riferimento all’Ordinariato militare e conseguenti cappellani).

  1. Spero che il testo di Canfora sia letto e meditato nell’oggi pigro , asservito spesso al ‘male ‘ , non percepito della sua violenza armata di parole che ne hanno fatto banalità

15 aprile 2024   ·

“Mi capita di ripetere sempre che lo studio del mondo classico in cui la schiavitù era la base dell’economia e della ricchezza è al massimo attuale, perché la schiavitù riappare sempre in altre forme, dall’estremo Oriente alla Daunia. Non è mai finita purtroppo e quindi studiare le rivolte degli schiavi di Sicilia non è un giuoco, ma è parlare di noi stessi. È il problema della libertà, che è una parola che tutti usano senza chiedersi cos’è, quali sono le sue potenzialità e i suoi limiti. Se uno dovesse raccogliere tutto il pensiero filosofico in un’unica parola si ricondurrebbe tutto alla libertà: Dante dice che va cercando libertà all’inizio del Purgatorio, perché è la summa dei nostri desideri e pensieri della vita morale.”

Luciano Canfora, intervista 7 luglio 2023, Quotidiano di Puglia

  1. Non è solo il doveroso ricordo di Margherita Hack grande donna ma il riconoscimento di una voce che è quella di molte è molti di noi e a cui voglio (vogliamo ? ) dar suono.

23 gennaio 2024

“Dio mi sta bene, e anche la patria e la famiglia; ma il trilogismo Dio-Patria-Famiglia non mi sta più bene.

Dico no a quel dio usato come cemento nazionale, a quella patria spesso usata per distruggere altre patrie, a quella famiglia chiusa nel proprio egoismo di sangue.

Non mi riconosco tra quei cittadini ligi e osservanti che vanno in chiesa senza fede, che esaltano la famiglia senza amore, che osannano alla patria senza senso civico”.

 

Su quanto segue sto ragionando da tempo. Metto i link che forse servono ad altri che vogliano seguire un analogo percorso:  aug

L’Ordinariato militare per l’Italia venne eretto il 06/03/1925 con Decreto della Sacra Congregazione Concistoriale e approvato dallo Stato Italiano con L. 417/1926 che istituiva un contingente permanente di cappellani in tempo di pace.

Vedi

https://it.cathopedia.org/wiki/Ordinariato_militare

Il Cappellano Militare – Ordinariato Militare per l’Italia

 

 

17 Aprile 2024Permalink

18 gennaio 2024_ Paola Cortellesi alla Luiss

IL DISCORSO INTEGRALE DI PAOLA CORTELLESI, GIORNI DI POLEMICHE INUTILI.
Giorni di polemiche inutili, l’Università Luiss diffonde il testo integrale di #PaolaCortellesi che mette fine alle polemiche (anche offensive).
Probabilmente non sarà letto, troppo lungo, ma per chi avrà la pazienza di farlo si accorgerà di quanta cattiva informazione circola nel nostro paese e la facilità con la quale si commenta tutto senza informarsi in maniera adeguata.
In calce il link per verifica
“Grazie professoressa Severino, grazie a tutti voi, buongiorno agli ospiti, buongiorno ai ragazzi. Mi chiamo Paola Cortellesi, sono un’attrice, da una ventina d’anni scrivo per la radio, il teatro e la tv. Da dieci anni scrivo film per il cinema e da poco ho esordito alla regia con C’è ancora domani, uno spericolato film d’epoca, in bianco e nero che, in soldoni, tratta di prevaricazione e violenza di genere. Una mattonata, sulla carta, come diremmo in gergo. Con questi presupposti, nessuno si sarebbe aspettato un ampio gradimento della pellicola, e invece, contro ogni pronostico, questo film ha avuto un successo travolgente, ha battuto molti record e al momento è stato visto nelle sale cinematografiche da più di 5 milioni di persone”, con queste parole ha esordito l’attrice, sceneggiatrice e regista, ospite all’Università Luiss.
“Io ho iniziato il mio lavoro come attrice quasi trent’anni fa, nel mio settore ho avuto molte soddisfazioni, ricevuto importanti riconoscimenti ma, ultimamente, intorno al clamore suscitato dal film, l’interesse nei miei confronti è cresciuto spropositatamente. Questo a volte genera cose anche spiacevoli, come gli adulatori – da cui bisogna sempre guardarsi – e una certa diffusa aggressività di alcuni nel tentativo di trarre vantaggio da questi miei quindici minuti di popolarità. Fenomeni passeggeri e di nessun conto rispetto a esperienze magnifiche e per me eterne come incontrare la commozione sincera delle persone in sala a fine proiezione e la condivisione spontanea di momenti importanti e a volte duri della loro vita”, prosegue Paola Cortellesi davanti alla platea composta dagli studenti dell’università Luiss.
“Tra le cose belle e piacevoli, c’è la telefonata di Luigi Gubitosi (presidente della Luiss, ndr). Quando mi ha chiamata per propormi di essere qui oggi per l’inaugurazione dell’anno accademico di questa prestigiosa università, mi sono sentita fiera, onorata e… inadatta. Io che l’università l’ho lasciata a metà del percorso per andare a studiare teatro – quello l’ho studiato – che poi è diventato il mio lavoro, gli ho risposto che mi sentivo orgogliosa di parlare agli studenti ma che sarebbe forse stato meglio chiamare persone competenti in materia di legge, marketing, economia, perché le mie conoscenze non hanno molto a che vedere con i corsi di studio di questa università e che – le interpreti, le diriga o le scriva – le mie competenze si limitano a raccontare storie. E allora Luigi mi ha risposto: ‘E io questo chiedo, io questo voglio! Racconta il tema del tuo film, fai un racconto nel racconto. Le storie fanno bene, le storie fanno crescere, sono uno stimolo di riflessione’. Ha ragione, quindi eccomi qua”, dice Cortellesi.
“Eccomi qua a cercare di capire insieme a voi perché questa storia di violenza e prevaricazione in bianco e nero ambientata nel passato abbia fatto breccia nel cuore di così tante persone. Perché, perché è successa questa cosa”, si domanda Cortellesi.
“In breve, vi dico la trama, per chi non avesse visto il film, immagino molti di voi (sarebbe davvero presuntuoso pensare che l’avete visto tutti). Delia – che io interpreto, quindi una signora della mia età – è la moglie di Ivano, madre di tre figli. Moglie, madre. Questi sono i ruoli che la definiscono, e questo le basta. Siamo nella seconda metà degli anni Quaranta e la nostra famiglia qualunque vive nella Roma divisa tra la spinta positiva della liberazione e le miserie della guerra da poco alle spalle. Ivano, suo marito, è capo supremo e padrone della famiglia. Lavora per portare i pochi soldi a casa e non manca occasione per sottolinearlo, a volte con toni sprezzanti, altre direttamente con la cinghia. Ha rispetto solo per il suo anziano padre, il Sor Ottorino, un vecchio cattivo e dispotico di cui Delia è a tutti gli effetti la badante. È primavera e la nostra Delia è in agitazione per il fidanzamento dell’amata primogenita, Marcella, con un ragazzo di buona famiglia, Giulio. Un buon matrimonio per la figlia è tutto ciò a cui Delia aspiri. Non chiede nient’altro Delia. Accetta la vita che le è toccata e, se tutto procedesse come stabilito, la nostra storia finirebbe qui. Se non ci fosse l’ostilità dei genitori di Giulio, se non ci fosse tutto quel fermento in città, se non avesse incontrato Nino, il suo primo amore, e se non avesse ricevuto una misteriosa lettera che le toglie il sonno e che le darà il coraggio di provare a pensare a un futuro migliore”, spiega Paola Cortellesi.
“Ora, detta così, sembra una delle trame di tante fiabe per bambine, sempre un po’ sinistre a dire la verità… Voi ne conoscete qualcuna immagino, no? Cappuccetto Rosso, no? Forse queste sono dei tempi miei, ma immagino che Cenerentola, Biancaneve… queste le conoscerete. Comunque, per chi non le conoscesse… Cenerentola e Biancaneve narrano di giovani sprovvedute, dotate di rara bellezza e di un’ingenuità disarmante (ai limiti della patologia), che subiscono angherie di ogni genere da altre donne malvagie. Quindi la matrigna sfrutta Cenerentola, ragazza bravissima nelle faccende domestiche (che solitamente svolge cantando). E la matrigna tiene nascosta l’avvenenza della ragazza al principe. Ma grazie a una magia, a Cenerentola basta presentarsi in tutto il suo splendore per un paio d’ore perché il principe se ne innamori perdutamente. La matrigna la tiene nascosta ma lui, scaltro, la ritrova e la riconosce… perché l’aveva vista? No: perché ha i piedi sproporzionatamente piccoli… Comunque alla fine lui la salva e la sposa. Questa era la prima cattiva, la matrigna”, prosegue l’attrice, sceneggiatrice e regista.
“La regina di Biancaneve è ancora più canaglia perché lei è di fatto la mandante del tentato omicidio di Biancaneve. Perché lo fa? Perché lei vuole essere la più bella del reame. Quindi anche con l’aggravante dei futili motivi… Tentato omicidio perché il cacciatore, uomo coraggioso e di buon cuore, non ce la fa. Anche perché la ragazza è troppo bella. È bella. Fosse stata una cozza, al limite l’avrebbe squartata, ma è così bella… E poi è ingenua, perché proprio è ingenua come un cucciolo di labrador. E lui la lascia andare. Allora Biancaneve incontra i Sette Nani, presso i quali si adopera per un periodo come colf. Poi, nonostante le mille raccomandazioni, anche dei Sette Nani, Biancaneve si fida di una vecchia orrenda, con l’aspetto da strega e che infatti è la strega. Morde la mela avvelenata, muore. Risorge grazie a chi? Al principe. A un bacio del principe, che se ne innamora perdutamente perché? Perché è bella. Quindi il principe la salva e la sposa. Ecco, entrambe le ragazze, bellissime – per carità – ma un po’ stralunate, trovano la loro realizzazione nel matrimonio con il principe. Un estraneo. Un estraneo che sposano subito, senza pensarci, senza nemmeno esserci uscite una volta a cena”, aggiunge Cortellesi.
“Tornando alla trama del mio film, dicevo che la vita della povera Delia è talmente ingiusta da sembrarci la versione deprimente di una favola per bambine, e invece è storia. È storia piuttosto consueta di una famiglia qualunque della seconda metà degli anni Quaranta. Scena 1: uno schiaffone in pieno viso e via, come se niente fosse. Ecco, io avevo questa immagine e il desiderio di mettere in scena – attraverso Delia – le donne che ho immaginato dai racconti delle mie nonne e delle mie bisnonne. Vicende vere, drammatiche, però narrate con disincanto, e addirittura la volontà di sorriderne. Storie di vite dure, condivise con tutte nel cortile. Gioie e miserie, tutto in piazza, sempre. In quei racconti c’erano le donne comuni, quelle che non sono passate alla storia, quelle che hanno accettato una vita di prevaricazioni perché così era stabilito, senza porsi domande. Questo è stato, questo a volte è ancora”, racconta Paola Cortellesi.
“Da allora le donne hanno fatto grandi passi avanti, si sa, ma come sapete la cronaca ci racconta che in Italia si consuma un femminicidio ogni 72 ore, in media. Donne assassinate per la sola ragione per essere donne, il più delle volte da uomini che dicevano di amarle così tanto da considerarle loro proprietà. Nel nostro Paese ci sono uomini, quindi, anche giovanissimi, che non hanno la capacità di gestire un rifiuto, che non tollerano l’emancipazione, l’allontanamento della donna che credono di amare. E questo, nei casi più tragici, si traduce con : ‘o mia o di nessun altro, mai più'”, sottolinea l’interprete e cineasta.
“Quando ho scritto questo film insieme ai miei co-sceneggiatori abbiamo studiato le dinamiche, da lì siamo partiti: le dinamiche sempre uguali che oggi caratterizzano un rapporto tossico. La donna è isolata, allontanata dalla famiglia d’origine e dalle amicizie; è continuamente vessata da un linguaggio denigratorio, subisce percosse e rapporti sessuali non consensuali. Non è indipendente economicamente, non può scappare. La prigioniera perfetta, la preda perfetta. Questa condizione, che oggi ci ripugna, era all’ordine del giorno alcuni decenni fa, e nessuno allora gridava allo scandalo, nemmeno le donne stesse, perché quello era stato prospettato loro fin da bambine: servire, ubbidire, tacere”, fa notare Cortellesi.
“Avevo intenzione di fare un film contemporaneo ambientato in un passato non troppo remoto e seguire la crescita di un germoglio spontaneo di consapevolezza in una donna che non sa nulla, che non conta nulla e che appunto si sente una nullità. Delia, la nostra Delia, non vale niente, così le hanno insegnato, ma una lettera con sopra il suo nome – il suo, non quello del marito – e l’amore per sua figlia le accendono il coraggio di cambiare le cose. Io ho trovato il riscatto di Delia, il finale del mio racconto, leggendo con mia figlia un libro per bambine sulla storia dei diritti delle donne. Ho provato a immaginare cosa abbiano provato quelle donne, quelle reali, nel ricevere una lettera in cui qualcuno, lo Stato in quel caso, qualcuno tanto più importante dei loro aguzzini domestici, certificava il loro diritto di contare”, spiega.
“Con C’è ancora domani ho voluto raccontare le imprese straordinarie delle donne qualunque che hanno costruito ignare il nostro Paese. Delia è le nostre nonne e bisnonne. Chissà se loro hanno mai intravisto un domani. Per Delia un domani c’è: è un lunedì ed è l’ultimo giorno utile per cominciare a costruire una vita migliore. La nostra Delia si salva, e non grazie al coraggio del cacciatore, né tantomeno fuggendo su un cavallo insieme al principe. Si salva esercitando un suo diritto, suo e di milioni di altre donne. Si salva con la consapevolezza e un ritrovato rispetto di se stessa”.
E infine Paola Cortellesi analizza come segue lo strepitoso successo che ha raccolto la sua pellicola: “Credo che – al di là dello stile e della bellezza del film, per chi lo abbia ritenuto tale – alla base di questo successo ci sia l’empatia, l’immedesimazione. Questo film trascende la fruizione cinematografica ed entra nel quotidiano, evidentemente, e questo non grazie alle mie capacità ma a causa, ahimè, di un’urgenza di riscatto. Perché le giovani generazioni dovrebbero immedesimarsi con una storia del passato? È cambiato tutto, io stessa non posso immedesimarmi in una donna del secolo scorso che è stata trattata al pari di una schiava. Ma allora cos’è che ci tocca? Cosa riconosciamo? La violenza in tutte le sue forme. E se quella fisica per fortuna è una violenza che non ci ha mai riguardato, quella violenza ognuno di noi l’ha percepita almeno una volta nelle parole, negli atteggiamenti, nei commenti sgradevoli a scuola, a casa, sul lavoro. Vive e prolifera nelle piccole cose, ci inganna piano piano. È così presente da risultare invisibile, talmente presente che la diamo per scontata e ci convince che così deve essere, come niente fosse. Noi diamo per scontato che per un ragazzo una passeggiata notturna è una passeggiata notturna mentre per una ragazza è un percorso potenzialmente pericoloso da affrontare in fretta e con mille cautele? È ingiusto, è folle, è sotto i nostri occhi ma a volte lo diamo per scontato, non lo riconosciamo perché è negli schemi”, prosegue la cineasta.
“Lo sentiamo da piccoli, quando alle bambine con un’indole vivace viene dato del ‘maschiaccio’. Qualcuno ha stabilito che le femmine debbano essere composte, pacate, remissive, graziose e che la vivacità debba appartenere al maschio, a cui viene attribuita non si sa come un’innata aggressività, che infatti diventa ‘maschi-accio’ Accio, dispregiativo se associato a una bambina. lo sentiamo quando ai bambini che piangono si dice ‘non fare la femminuccia’. Come se i maschi non avessero il diritto di piangere, di essere sensibili e fragili. La fragilità è delle femmine, individui deboli. Ucce, femmin-ucce, diminutivo. Loro hanno facoltà di lamentarsi, ai maschi si impone di reagire e farlo subito, pure a cinque anni, quasi che un fisiologico tempo di delusione e di sconforto li esponga al pericolo di una qualche perdita della virilità”, continua Paola Cortellesi.
“Schemi, condizionamenti tramandati in buona fede se non dalle nostre famiglie dalla nostra società. Modelli in cui finiamo per rinchiuderci pur di piacere, di accontentare, di non deludere le aspettative”, illustra Cortellesi, facendo infine un augurio a se stessa, al suo pubblico e a tutta la società.
“Quello che mi auguro per voi ragazzi è che non abbiate mai paura di uscire dai condizionamenti. Che accettiate il rischio di sembrare strani o pazzi, se questo significherà scegliere. Spero, care ragazze, che non assecondiate l’idea che gli altri hanno di voi. Sono modelli che delimitano la vostra personalità e limitano le vostre prospettive. Spero, cari ragazzi, che siate parte attiva di questa lotta, praticando il rispetto, ammonendo chi non lo fa. Non siate indifferenti, l’indifferenza è una scelta, ed è quella sbagliata. Siate straordinari, concedetevi il dubbio, perché è la vostra libertà”, queste le sue parole.
“Come dicevo, non ho nulla da insegnare, ma a cinquant’anni ho qualcosa da raccontare. Vi parlo con l’unico vantaggio dell’esperienza. Se alla vostra età avessi potuto contare sul vantaggio di chi era più vecchio, non avrei commesso molti errori. Fate tesoro di chi è in vantaggio, traetene beneficio. Gli errori, si sa, aiutano a crescere. Commetteteli allora, ma fatelo nel tentativo, anche maldestro, di liberare la vostra creatività, di costruire la vostra indipendenza. L’errore che invece potete evitare è fare esclusivamente ciò che si aspetta da voi e quello che gli altri decidono per voi. Siate sempre i protagonisti del vostro progetto e mai le comparse del progetto di qualcun altro. Grazie”, così conclude Paola Cortellesi inaugurando l’anno accademico all’Università Luiss.
(BoxOfficeBenful)
18 Gennaio 2024Permalink

19 novembre 2023. Ieri era l’anniversario della morte di Adriana Zarri

In memoria di Adriana ZARRI, morta a 91 anni alle Crotte di Strambino, nella campagna piemontese, il 18 novembre 2010. Aveva vissuto gli ultimi trent’anni della sua esistenza in cascine solitarie, in cui conduceva, per scelta, una vita eremitica. Ma era, ed era sempre stata, impegnatissima sul fronte pubblico, come teologa progressista, scrittrice, giornalista (teneva una rubrica settimanale sul “Manifesto), militante delle cause civili (a favore della legge 194 sull’aborto) e politiche (nel 2004, alle elezioni europee, era stata candidata nelle liste di Rifondazione Comunista).
Scrisse la sua epigrafe in forma di poesia:
«Non mi vestite di nero:/è triste e funebre./Non mi vestite di bianco:/è superbo e retorico./Vestitemi/a fiori gialli e rossi/e con ali di uccelli./E tu, Signore, guarda le mie mani./Forse c’è una corona./Forse/ci hanno messo una croce./Hanno sbagliato./In mano ho foglie verdi/e sulla croce,/la tua resurrezione./E, sulla tomba,/non mi mettete marmo freddo/con sopra le solite bugie/che consolano i vivi./Lasciate solo la terra/che scriva, a primavera,/un’epigrafe d’erba./E dirà/che ho vissuto,/che attendo./E scriverà il mio nome e il tuo,/uniti come due bocche di papaveri».
Altre sue citazioni, per capire il modo in cui viveva la sua fede cristiana:
«Un amico auspicava il momento (quanto lontano non si sa ma temo – ahimé – lontanissimo) in cui, alla loggia di San Pietro, si sarebbe affacciato un papa con consorte al seguito annunciando: “questa è mia moglie”. Ma io vado più avanti: quando si affaccerà un papa donna col principe consorte al seguito, annunciando: “questo è mio marito”?».
«Non credo nell’inferno perché mi sembra un insulto alla bontà di Dio. Anche la nostra cultura laica non ammette più la giustizia puramente punitiva. E la concepisce solo come capacità di riscatto, di reinserimento. In una pena che dura per sempre come quella dell’inferno questo riscatto non c’è. Penso sia difficile ritenere che gli uomini sono più buoni di Dio. Quindi all’inferno non credo”.
Ho copiato questo testo, che condivido totalmente  dal post nella pagine facebook di Alberto Panaro
19 Novembre 2023Permalink