29 agosto 2025 _ Cristiani, musulmani ed ebrei per la pace: “Bisogna arginare l’odio”

Cristiani, musulmani ed ebrei per la pace: “Bisogna arginare l’odio”

Da Roma un appello che risuona soprattutto per il Medio Oriente, teatro di conflitti e tensioni, con la proposta di un incontro tra vescovi, rabbini e imam in Italia che sia “diretto, non convenzionale né confessionale, per testimoniare insieme una responsabilità comune”

Vatican News

«Questo appello nasce dalla convinzione dell’improrogabile necessità di favorire qualsiasi iniziativa di incontro per arginare l’odio, salvaguardare la convivenza, purificare il linguaggio e tessere la pace. Responsabilità di singoli e di soggetti collettivi!». È con queste parole che prende avvio l’appello interreligioso diffuso a Roma oggi e promosso dai rappresentanti delle comunità ebraiche, cristiane e musulmane di tutta Italia.

Le firme del documento

L’appello, firmato da Noemi Di Segni (Unione delle comunità ebraiche italiane), Yassine Lafram (Unione delle comunità islamiche d’Italia), Abu Bakr Moretta e Yahya Pallavicini (Comunità religiosa islamica italiana), Naim Nasrollah (presidente della Moschea di Roma) e dal cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, richiama la necessità di «trovare soluzioni a quanto umilia le nostre fedi e resistere».

L’attenzione per il Medio Oriente

Parole che risuonano soprattutto per il Medio Oriente, teatro di conflitti e tensioni sempre più tragiche. «La coscienza dei tempi oscuri che stiamo attraversando e del potere di illusione che soffia anche sulla tragedia in corso in Medio Oriente, ci richiama, come leader di comunità religiose, come credenti e come cittadini, a denunciare l’insinuarsi di pericolose generalizzazioni e dannose confusioni tra identità politiche, nazionali e religiose». I firmatari denunciano inoltre la “nefandezza di una propaganda che, sfruttando ingenuità e visceralità, ottenebra un discernimento sano e banalizza il senso profondo della nostra stessa umanità”, fomentando antisemitismo, islamofobia e avversione verso il cristianesimo cattolico e le religioni in generale. “Nessuna sicurezza sarà mai costruita sull’odio. La giustizia per il popolo palestinese, come la sicurezza per il popolo israeliano, passano solo per il riconoscimento reciproco, il rispetto dei diritti fondamentali e la volontà di parlarsi”.

Una proposta concreta

Da qui la proposta concreta di un incontro tra vescovi, rabbini e imam in Italia: «Un incontro semplice, diretto, non convenzionale né confessionale, per testimoniare insieme una responsabilità comune», con l’auspicio che le comunità religiose possano promuovere attività locali e nazionali con il coinvolgimento delle istituzioni. «Il dovere di lavorare per una responsabile convivenza ci richiama come religiosi alla necessità di promuovere coesione sociale sulla base di valori condivisi», si legge ancora nell’appello, che si conclude con un ringraziamento per le testimonianze maturate nelle scorse settimane a Bologna, Milano e Torino, come segno di speranza in un tempo segnato dalla violenza.


Cristiani, musulmani ed ebrei per la pace: “Bisogna arginare l’odio” – Vatican News

29 Agosto 2025Permalink

2 luglio 2025 _ scrive Manuela Dviri

min 
buongiorno a tutti. scritto ieri notte.
E adesso vado a riposare.
Stiamo vivendo tempi di cambiamenti repentini. Da un giorno all’altro, da un’ora all’altra. Il giornale ricevuto la mattina per mezzogiorno è già obsoleto. Ciò che sembrava sicuro, diventava un’ora dopo pericoloso. Il vero diventa falso in una mezzora scarsa. Alla sensazione di sfiducia totale nel confronto del governo e delle sue decisioni e di un premier sempre e solo preoccupato della sua personale sopravvivenza (che quando gli fa comodo attacca lo stato di diritto e accusa persino il suo stesso esercito e mai si è detto colpevole di nulla) si è poi unita la paura per l’apparizione di un Trump imprevedibile. E per me personalmente questi 12 terribili giorni della guerra con l’Iran sono stati vissuti in contemporanea con la malattia del mio compagno di vita, la vecchia quercia Avraham. Sfollata nelle case dei miei figli. Una settimana li, una settimana là.
E poi lo sgomento e la paura per i soldati che continuano a morire a Gaza, per gli ostaggi ancora nei tunnel di Gaza. Per quello che stanno vivendo i civili gazawi, ( due giorni fa è morto il fratello di un mio amico di Gaza)
E quel dover tornare a manifestare per loro perché finalmente quella guerra senza senso finisca. Tutti i sabato sera e appena posso anche durante la settimana.
Lunedì, l’ultimo giorno della guerra con l’Iran, mi è capitato di essere fuori di casa. Di trovarmi in un rifugio sconosciuto, chiusa lì per un’un’ora senza linea al cellulare. C’era accanto a me una signora con la testa mezza bionda e mezza no perché la parrucchiera le stava facendo la tinta ed erano scese insieme nel rifugio. Una scena da commedia dell’assurdo. Che non mi ha fatto neanche ridere da tanto sono stanca e mi gira la testa.
La vita in questi lunghi mesi è stata uno scombussolamento continuo, con ogni possibile sensazione che l’essere umano può provare: dalla paura esistenziale, al terrore, all’impotenza, alla speranza, alla delusione, alla rabbia, all’orgoglio, al dolore, alla vergogna, all’accettazione di una realtà senza senso e alla sensazione di non capirci più niente, e poi anche lo sconforto e la disperazione e il sogno di venirne fuori e il tentativo di trovare una prospettiva. La pietà. La compassione. La solidarietà. Tanta. E la paura, tantissima. Tutti, ho scoperto dopo, durante la guerra con l’Iran portavano con sé il passaporto, (malgrado l’aeroporto fosse ermeticamente chiuso) e i gioielli li tenevano addosso o nel mamad perché non si sa mai. Questione di inconscio collettivo evidentemente.
E adesso siamo tutti stanchi. E a molti gira la testa. Non in senso metaforico.
Con la relativa calma e il ritorno alla vita apparentemente normale è arrivata finalmente la stanchezza.
Il bisogno di dormire.
Abbiamo tutti sonno. Non si parla altro che di stanchezza, di quanto si è stanchi e di quanto si vorrebbe andare di nuovo a dormire. Io compresa. Non ho voglia di far niente. Non ho idee di nessun genere. Voglio solo riposarmi e non pensare a nulla. Anche quando dormo sogno di andare a dormire. E questi 600 e più giorni di guerra e morte e distruzione si confondono nella mia testa in un unico enorme evento di cui non riesco nemmeno più a ricordare le date , i confini, e gli eventi precisi, tanto da doverlo chiedere a chat gpt. Sono arrivati prima i missili Houti o quelli Hisballah? quand’è crollato il regime di Assad? E la storia dei cercapersone quand’è stata ?E quello di Nassralah ? E quand’è che gli ebrei in generale hanno cominciato ad essere accusati, a sentirsi in colpa? E di cosa? E anche la intelligenza artificiale mi è sembrata un po’ imbarazzata e confusa nella risposta.
Avrà bisogno di riposare anche lei.
2 Luglio 2025Permalink

25 maggio 2025_ Khan Younis, il raid israeliano che fa strage. Gli ostaggi liberati contro Netanyahu di Giusi Fasano

Corriere della sera
Distrutta una famiglia. Polemiche sul nuovo capo dello Shin Bet. Finti vocali con le voci dei rapiti

TEL AVIV – La dottoressa Suheir Al-Najjar, nipote del defunto dottor Hamdi e lei stessa medico, dice all’agenzia di stampa turca Anadolu che l’esercito israeliano ha prima lanciato un missile che non è esploso. Pochi minuti dopo è arrivato il secondo che ha raso al suolo la casa. Senza il preavviso che in genere i militari diffondono prima dei bombardamenti massicci. «Lo sapevano — ha detto Suheir Al-Najjar —. Sapevano che dentro c’erano dieci bambini e due dottori, e lo hanno fatto comunque».

Che sia davvero andata così oppure no a questo punto poco importa. Di fatto della casa di Hamdi al-Najjar non è rimasto nulla e nel raid — siamo a Khan Younis — sono morti nove dei suoi dieci bambini. Ieri, l’agenzia si stampa palestinese Wafa aveva annunciato la morte di Hamdi; oggi l’ospedale di Khan Younis afferma che il dottore è in condizioni molto critiche, ma ancora in vita. L’unico figlio che si è salvato, 11 anni, è in terapia intensiva all’ospedale Nasser dove lavora come pediatra la mamma dei piccoli, Alaa al-Najjar, che aveva appena indossato il camice quando ha visto arrivare i primi resti dei suoi figli. L’Idf, le Forze di difesa israeliane, parlano di operazioni a Khan Younis contro «sospettati», ma non c’è un chiaro riferimento al raid sulla casa del dottor al-Najjar. La notizia dei fratellini morti (il più grande ha 13 anni) è un’onda emotiva che si fa sentire anche nella manifestazione organizzata dai familiari dei rapiti nell’ormai celebre Piazza degli Ostaggi di Tel Aviv. Le famiglie di chi è ancora prigioniero nei tunnel della Striscia (58 persone di cui una ventina ancora in vita) chiedono al governo il cessate il fuoco perché sono convinte che sia il solo modo di riabbracciare i loro cari o di riavere indietro i resti.

Ma il premier Benjamin Netanyahu insiste con la grande offensiva «Carri di Gedeone» per conquistare Gaza e sconfiggere Hamas a forza di bombardamenti. E la nomina di David Zini a nuovo capo dello Shin Bet, i servizi segreti interni, gela ancora di più le aspettative delle famiglie se è vero, come riportano i media israeliani, che (non è chiaro quando) ha detto ai suoi colleghi: «Sono contrario agli accordi con gli ostaggi. Questa è una guerra eterna». I familiari dei rapiti non hanno altra arma che la voce degli ex ostaggi per convincere delle loro ragioni l’intera opinione pubblica israeliana. Così ieri sera dal palco della manifestazione ha parlato fra gli altri Naama Levy, una delle cinque soldatesse rilasciate durante la tregua di gennaio. Ha descritto il terrore dei bombardamenti israeliani, «i boati, il rumore che ti paralizza, la terra che trema…In questo preciso istante ci sono degli ostaggi che sentono quegli stessi fischi e boati, tremando di paura. Non hanno dove scappare, possono solo pregare». In un altro angolo della città, intanto, attivisti israeliani mostravano le foto dei bambini palestinesi uccisi, chiedendo anche loro la fine della guerra.

Hamas sa bene quanto sia importante il nodo degli ostaggi e probabilmente ha usato la voce di vecchi appelli dei suoi prigionieri per creare con l’intelligenza artificiale dei messaggi vocali che alcuni israeliani hanno ricevuto nella notte fra venerdì e sabato: si sentono ostaggi che implorano di essere rilasciati e, in sottofondo, i rumori delle esplosioni. La Direzione nazionale per la sicurezza informatica dice che le chiamate — provenienti da numeri non identificati — erano un evidente tentativo di creare panico tra la popolazione. Come se non fosse già abbastanza il panico che queste famiglie devono sopportare ogni giorno.

 

25 Maggio 2025Permalink

20 marzo 2025 _ Equinozio di primavera

23 h 
Documento scioccante!!!!
★★★★★
Gali Alon, che ieri ha partecipato alla manifestazione, scrive:
Ieri sono stato picchiato. Davvero.
Ieri sono stato picchiato da persone che dovrebbero proteggermi. E mentre pensavo che se fosse stata la polizia ad attaccarmi, chi mi avrebbe protetto?
Vecchio Mashbir, Gerusalemme. A proposito di ieri sera. La manifestazione è stata organizzata a mezzogiorno, ore dopo la ripresa della guerra. La sera ci siamo incontrati lì, circa 200 A. Donne, protesta contro la guerra.
Siamo riusciti a percorrere trenta metri, fino all’imbocco della via pedonale, quando i vigili hanno iniziato ad attaccare. Quelli che erano in piedi spinsero e si stesero a terra, così velocemente, ci sedette. Non ho mai provato tanta paura. Accanto a me sedeva un uomo di 60 anni, trascinato da tre poliziotti che gli hanno dato un calcio nello stomaco, mentre lui gridava “gli occhiali! ” I miei occhiali! “.
Una giovane ragazza seduta davanti a me si è rifiutata di lasciare andare il cartello che teneva in mano ed è stata presa a pugni in faccia, il sangue ha iniziato a scorrere dal pascolo. I tamburi sono stati presi e distrutti violentemente, così come i megafoni e i cartelli, che sono stati strappati in due. Accanto a me sedeva Michal, è stata colpita gravemente ed è stata costretta ad evacuare in ospedale. La mattina mi ha informato che le avevano rotto il braccio.
I poliziotti, quasi tutti, erano senza targhetta con il nome. Si sono rifiutati di essere identificati. Uno di loro è andato in giro con il casco da moto in faccia tutta la sera, picchiando la gente.
Tuttavia siamo rimasti seduti, senza megafoni, senza tamburi, senza cartelli. Abbiamo appena urlato basta. Basta guerra, che rifiutiamo, che non accettiamo di rinnovare la lotta, per genocidio. “Continueremo a gridare, non ci arrenderemo, fermate il fuoco! “.
Oggi succede questo, pensavo. Stanno per uccidere un manifestante. Ho sentito un attacco d’ansia venire verso di me a passi da gigante. Ho provato ad alzarmi e scappare, ma un poliziotto mi ha visto, mi ha afferrato e mi ha schiaffeggiato sul pavimento. Abbiamo iniziato a camminare in direzione piazza Parigi, tanto per uscire da lì, per allontanarci dalla polizia. Ci hanno inseguito, colpendo chi era rimasto indietro.
Sono caduto sul pavimento e un’ondata di persone sopra di me. Un poliziotto ha raccolto uno dei recinti usati per la separazione e l’ha trascinato, pugnalandomi alle spalle lungo la strada. Voglio credere che non dicesse sul serio, ma ora non riesco a dormire sulla schiena.
Ma è un’ipotesi, la cosa veramente brutta è vedere gli altri, soprattutto amici e parenti, essere picchiati a morte. Ciò che è veramente difficile è la mancanza di potere di fronte a questa violenza.
Qualcosa è cambiato, qualcosa si è rotto. Gerusalemme di ieri, e soprattutto via Gaza, dove vivo, è diventata una distopia, con migliaia di poliziotti e soldati e cellulari e meccatazi. Tutto bloccato, chiuso e cancello.
E ho paura.
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20 Marzo 2025Permalink

4 marzo 2025 _ Informazioni aggiunte a quelle di ieri – da conservare

Scrivevo ieri  3 marzo _ un  testo  che conservo nel  mio blog (la mia imperdibile , personale memoria storica )  che ho intitolato:
“Scorrettamente ricopio e conservo con ammirazione”
Si può leggere con il  link che trascrivo di seguito.
Dopo il link troverete l’articolo pubblicato su Il fatto quotidiano di oggi e ripreso da Manuela Dwiri che lo offre alla lettura nel  nel suo sito

3 marzo 2025 — Scorrettamente copio e conservo con ammirazione

4 marzo     Da Il fatto quotidiano di oggi

Per chi non è riuscito a leggere l’articolo del fatto, eccolo qui

Ieri, domenica, ho iniziato a recarmi alla dimostrazione per la fine della guerra e il ritorno degli ostaggi anche durante la settimana e non solo il sabato sera. è l’unico modo che ho trovato per dare a me stessa un po’ di pace nello sfondo del fragilissimo cessate il fuoco, il blocco degli aiuti umanitari e ritorno degli ostaggi, vivi o morti, che è iniziato questa settimana.

In questi giorni l’esercito, esattamente come aveva promesso, ha iniziato a studiare gli errori compiuti il sette ottobre che hanno portato alla tragedia del sabato nero.

Difficile ascoltare. La verità fa male.

Ti viene voglia di tapparti le orecchie e spegnere la televisione, non vedere non ascoltare.

Per le famiglie che hanno perso i loro cari, per le famiglie che hanno i loro figli ancora nella prigionia dei tunnel di Gaza, è una tortura senza fine.

E perciò non deve stupire se oggi un buon numero di queste famiglie si è presentata alla Knesset, il parlamento israeliano, con la richiesta di una commissione d’inchiesta statale, e sebbene fossimo ormai abituati al trattamento a dir poco inappropriato da parte dei politici al governo , questa volta sono stati superati tutti i limiti. Non è stato loro permesso di entrare nella tribuna dei visitatori e sono stati fermati con la forza dalle guardie della knesset fino ad arrivare alla violenza fisica. Due dei padri si sono sentiti male. Solo dopo un’ora sono riusciti ad entrare sotto stretta sorveglianza di dozzine di agenti di sicurezza Il parlamentare Hili Tropper ha infine letto una lettera scritta da Yarden Bibas, il padre dei bambini coi capelli rossi e marito di Shir. Nella lettera ha invitato il premier a tornare con lui a casa, al kibbutz Nir Oz, il kibbutz che Netanyahu si è sempre rifiutato di visitare e dove oggi c’è stato il funerale di uno degli ostaggi. “tanti semplici cittadini – ha scritto Yarden-hanno chiesto perdono e così pochi politici. dopo che saranno tornati gli ostaggi, sarò il primo a sostenere qualsiasi azione volta a distruggere Hamas. Ma non ora” Ha poi richiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta statale “perché altrimenti non potremo riuscire a riabilitarci e a rinascere “

Quando alla fine Netanyahu ha parlato, furibondo, ha promesso che nessuna commissione d’inchiesta verrà creata se non creata da lui stesso.

I parenti dei caduti in guerra e degli ostaggi gli hanno voltato le spalle. Altri hanno letto la preghiera per i morti, il Kaddish

Sanno bene che la tregua è fragilissima e il ritorno alla guerra potrebbe essere la morte dei loro cari.

Un altro gruppo è partito per Washington, per cercare di incontrare Trump e implorare il suo aiuto.

Come possiamo essere arrivati a questo punto?

Domani sarò di nuovo a protestare.

 

Gli articoli di Manuela Dwiri si possono leggere nel sito(italiano in italiano)  Gariwo, di cui metto una breve nota qui di seguito

  • Gariwo è l’acronimo di Gardens of the Righteous Worldwide.
    Siamo una ONLUS con sede a Milano e collaborazioni internazionali.
    Dal 1999 lavoriamo per far conoscere i Giusti: pensiamo che la memoria del Bene sia un potente strumento educativo e serva a prevenire genocidi e crimini contro l’Umanità.
    Per questo creiamo Giardini dei Giusti in tutto il mondo e usiamo i mezzi di comunicazione, i social network e le iniziative pubbliche per diffondere il messaggio della responsabilità. Dal Parlamento europeo abbiamo ottenuto la Giornata dei Giusti, che ogni anno celebriamo il 6 marzo.
4 Marzo 2025Permalink

27 febbraio 2025_ Due bambini dai capelli rossi e la loro mamma

Gariwo.net  27 febbraio 2025

Mi ero svegliata come ogni altro giorno dell’anno…di Manuela Dviri

Il 26 febbraio è il giorno del compleanno di quattro dei nostri nipoti. Maya compie 14 anni, Gaia e Lia 17, Yuvi 19. Ed è anche il giorno della morte di nostro figlio Yoni. La possibilità di tre nascite la stessa data è di 1 su 48 milioni. Ho smesso da tempo di cercare di capire.

Maya avrebbe dovuto nascere in realtà il 25, ma il parto non progrediva, è nata a mezzanotte e 18 minuti del 26 febbraio. Il 18 nella numerologia ebraica, che è il valore simbolico dei numeri, vuol dire vita. Yoni evidentemente ci teneva molto a farci capire qualcosa.

E a proposito, il giorno prima, al funerale a Nir Oz di Oded Lifshiz, 84 anni, morto in prigionia a Gaza, suo figlio ci ha ricordando i principi a cui credeva suo padre, simbolo dell’Israele del dialogo, dei padri fondatori, dell’Israele migliore.

E di nuovo, l’Israele migliore l’abbiamo incontrata mentre il triste convoglio con i feretri della famiglia Bibas stava tornando a casa, al kibbutz Nir Oz. In ogni incrocio del paese, anche quelli più lontani, li attendevano centinaia di migliaia di persone con bandiere bianco azzurre, bandiere gialle della protesta per il ritorno degli ostaggi, bandiere arancioni come i capelli dei due bambini trucidati. Il triste corteo è stato seguito da centinaia di moto. La gente piangeva silenziosa. Chiedeva perdono per averli lasciati morire, urlava la parola Sliha (scusa, chiedo perdono)

Non Nethanyau. Non si sono visti rappresentanti del governo al funerale. Certo, non c’era lui. Anzi. Yarden Bibas, il padre, tornato dalla prigionia solo quindici giorni fa, aveva già chiesto per ben due volte al Premier Nethanyau di non “impadronirsi” dei suoi figli e di sua moglie, di non raccontare al mondo intero come sono stati fisicamente uccisi sventolando le loro foto. Di permettere un minimo di privacy. Ma lui ci ha provato di nuovo. A Tel Aviv, nell’udienza del processo a suo carico per corruzione, ha chiesto ai giudici un momento di silenzio in ricordo dei Bibas.

Fortunatamente non gli è stato concesso.

E intanto continuava al sud il viaggio del corteo. Lungo la strada un irreale silenzio, rotto solo dal pianto della folla.

Poi il funerale. Privato.

In queste ore sarebbe molto facile cadere nella deumanizzazione dell’altro, nel passaggio così facile e rapido da vittima a creatore di altre vittime. Ma la folla non chiede vendetta. Netanyahu invece sì, in questo è un esperto. Mai chiederà perdono come quella folla. Il kibbutz Nir Oz è diventato il simbolo della distruzione avvenuta sotto il suo governo, non solo di quella fisica. Con lui è esplosa la distruzione dei valori, dell’umanità. L’abbandono dei cittadini per perseguire gli interessi personali. Nel quotidiano Haaretz, Rogel Halper scrive oggi, 27 febbraio, che quella folla di cittadini con le bandiere bianco azzurre gli ricorda i movimenti popolari nell’Argentina degli anni settanta. Un movimento di cittadini che vogliono la verità per i propri desaparecido. Per i propri morti, gli ostaggi, la distruzione.

Quelle centinaia migliaia di persone in lutto, quella catena umana di 120 chilometri che ha accompagnato i Bibas nel loro ultimo viaggio, da Rishon Lezion fino al cimitero, non abbandonerà mai gli ostaggi ancora in prigionia, vivi o morti. Sta emergendo in Israele un ampio movimento popolare che chiede risposte a Netanyahu a proposito dei propri cari “scomparsi”.

Questa protesta crescerà. Ha un’autorità morale incorporata, sembra che nasca meno dalla rabbia e più dal dolore, e dal silenzio di quando finiscono le parole e non c’è più forza per urlare. Intorno alla famiglia Bibas è in corso una battaglia per la narrazione. Netanyahu sta cercando di usarli come armi per dimostrare la barbarie di Hamas e per giustificare il prolungamento della guerra di vendetta che ha preservato il suo governo, anche a costo della vita degli ostaggi.

Moltissimi altri e con loro i membri del kibbutz Nir Oz, tra i kibbutz più colpiti il sette ottobre, stanno invece trasformando la immagine dei bimbi coi capelli rossi barbaramente uccisi in prigionia in un simbolo della incapacità e delle colpe del governo e nella richiesta di una commissione d’inchiesta statale. Quelle centinaia di migliaia di persone che hanno accompagnato i Bibas, persone chiunque, di destra e di sinistra, sono la forza di questo popolo che piange i suoi morti e chiede risposte, lo stesso popolo che vede ora tornare morti gli ostaggi “anziani” immolati da Netanyahu per la sua sopravvivenza.

Nel pieno della notte tra il 26 e il 27, all’ingresso dell’istituto legale, alcune decine di cittadini attendevano i loro feretri per l’ultimo saluto.

27 Febbraio 2025Permalink

20 febbraio 2025 _ Pace che non si trova e un pensiero a tutte le vittime, oggi ai piccoli dai capelli rossi

Ho  condiviso questo testo del prof.  Gabriele   Boccaccini che ho avuto il piacere di conoscere in tempi lontani, durante un viaggio organizzato  dall’associazione Biblia  ( associazione laica di cultura biblica).
Studioso del giudaismo del secondo tempio e delle origini cristiane . Insegna negli USA  (University  of  Michigan)

Di fronte alle immagini macabre e disgustose di odio e di propaganda inscenate a Gaza sulla bare di povere vittime innocenti non e’ possibile rimanere silenti. Per tutta la vita ho sostenuto, fin dagli anni Settanta, la causa palestinese e la causa della pace (e continuo cocciutamente ad essere fedele a questi ideali). Ma senza mai perdere il senso critico, la percezione dei diritti di entrambi i popoli alla pace e alla sicurezza, l’opposizione a politiche estremiste (sia di parte israeliana che palestinese). Devo dire che dopo l’inizio della guerra mi aspettavo che in Europa o negli Stati Uniti ci sarebbero state manifestazioni pro-Palestina, speravo però che ci sarebbero state anche forti manifestazioni “per la pace” (a sostegno di soluzioni di compromesso), che invece non ci sono state. (La bandiera della Palestina non è la bandiera della pace ma di una delle due parti in conflitto) Quello che ingenuamente non mi aspettavo proprio e’ che le manifestazioni pro-Palestina prendessero una piega così estremista a sostegno non solo della “causa palestinese” ma della leadership estremista palestinese. Non mi aspettavo che partiti e movimenti politici, sindacati, organizzazioni umanitarie, giovani studenti e anche chiese e leader religiosi si appiattissero in modo così acritico su posizioni estreme, al punto da perdere la voce anche di fronte a scene come queste e non si accendesse in loro quanto meno una scintilla auto-critica o il bisogno anche di un timido distinguo o di una parola di umanità, dovuta alle vittime innocenti di entrambe le parti. Un popolo la propria libertà e il rispetto del mondo se li deve conquistare anche sul piano morale. Siamo figli e nipoti di partigiani che ne hanno passate tante ma sarebbero inorriditi a vedere i comportamenti e i metodi di lotta di questi che si spacciano per “resistenti” ma sono solo dei fanatici assassini.

20 Febbraio 2025Permalink

27 gennaio 2025 _ Alcuni link sul tema

Provo a inserire una serie di link nella speranza che siano tali da potersi aprire e leggere. Se così  non fosse possono venir copiai e aperti tramite google .
Poiché non penso che sia possibile chiedere a chi mi leggerà, informato dà   un messaggio di posta,  di leggerli tutti , cerco di illustrarli per facilitare una scelta:

Il primo: giornata della memoria , si presenta già con il titolo
Approfitto per ricordare che la senatrice Segre …è presidente della Commissione
“contro le parole d’odio”, da lei voluta.

Il secondo  porta a un testo del mio blog, nella cui ultima parte conservo la memoria di una visita al lager  di  Majdanek , preceduto da lunghe considerazioni su un episodio avvenuto  nel 1918 a Codroipo
Chi volesse risparmiarsi le considerazioni su un episodio di mala  formazione  potrà iniziare  da Giocattoli vintage a Majdanek

Il terzo  riguarda l’importanza di dare un nome alle vittime credo rivesta una particolare attualità

Il quarto riporta  alcune considerazioni sempre della storica Anna Foa sulla giornata della memoria , scritte lo  scorso anno

Il quinto è la testimonianza di chi fu deportato bambino

Il sesto consente di raggiungere  il testo di Anna Fo che ho pubblicato poco fa.

Giornata della memoria, l’allarme di Segre: «Di noi non si parlerà più». Chi sono gli ultimi sopravvissuti alla Shoah

14 dicembre 2018 – Integrazione precoce a Codroipo, provincia di Udine

27 gennaio 2023 – Un nome è un nome e nulla lo può sostituire

https://it.gariwo.net/magazine/editoriali/il-27-gennaio-parliamo-di-shoah-ma-anche-delloggi-27897.html#:~:text=anche%20dell’oggi%22-,di%20Anna%20Foa,crescere%20di%20un%20nuovo%20antisemitismo.

Sami Modiano, la storia del bambino che tornò da Auschwitz | Studenti.it

https://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/intervista-ad-anna-foa-israele-i-crimini-di-guerra-a-gaza-sono-provati-papa-francesco-colpevole-di-dire-la-verit%C3%A0/ar-BB1rgxRT?apiversion=v2&noservercache=1&domshim=1&renderwebcomponents=1&wcseo=1&batchservertelemetry=1&noservertelemetry=1

27 Gennaio 2025Permalink

27 gennaio 2025 _ Una intervista ad Anna Foa, storica

da  L’Unità 2 settembre 2024
Intervista ad Anna Foa: “Israele? I crimini di guerra a Gaza sono provati, Papa Francesco colpevole di dire la verità”

Storia di Umberto De Giovannangeli  2 settembre 2024

Definirla una intellettuale coraggiosa è peccare in difetto. Perché non è da tutti, soprattutto in questi tristi tempi dove a “regnare” è una sorta di pensiero unico e una informazione mainstream, andare controcorrente è una virtù che va coltivata, difesa, valorizzata. Virtù che Anna Foa sfodera nel suo ultimo libro Il suicidio di Israele (Editori Laterza), giunto alla seconda edizione, con vendite sorprendenti per un saggio. La professoressa Foa ha insegnato Storia moderna all’Università di Roma La Sapienza. Si è occupata di storia della cultura nella prima età moderna, di storia della mentalità, di storia degli ebrei. Tra le sue numerose pubblicazioni, ricordiamo: Le vie degli ebrei; Gli ebrei in Italia. I primi 2000 anni; Ebrei in Europa. Dalla Peste Nera all’emancipazione XIV-XIX secolo; Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento; Portico d’Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del ’43; La famiglia F.; Donne e Shoah.

Papa Francesco nel suo discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ha definito la condizione in cui versa la popolazione di Gaza, ignobile. Di nuovo, una presa di posizione forte di Bergoglio.

Io credo che Bergoglio abbia del tutto ragione utilizzando questo aggettivo così forte e angosciante. Lui ha ripreso le dichiarazioni che sono state fatte da più parti, dalle organizzazioni internazionali e dalle stesse organizzazioni che in Israele si occupano dei diritti umani. D’altro canto, le immagini che noi abbiamo – gli israeliani ne hanno di meno – di Gaza, sono immagini terrificanti. Si dice, a ragione, che lì si stia consumando qualcosa di terribile, che non ha eguali dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi. Che Bergoglio lo dica mi sembra positivo. Almeno c’è qualcuno che continua a dirlo. Non capisco di cosa possa essere accusato quando queste cose sono dette da tutti, sono dette e documentate dall’Onu, da agenzie umanitarie come l’Unicef, dalle organizzazioni di soccorso. Cose che sono state dette e raccontate da giornalisti coraggiosi, quali sono i giornalisti di Haaretz. Ieri, ad esempio, ho letto un bellissimo pezzo di Gideon Levy sullo scempio di vite umane che si sta perpetrando a Gaza e sulla deriva morale, non solo politica, che sta corrodendo Israele. Quanto a Bergoglio sta facendo il suo mestiere: il Papa. E lo sta facendo molto bene.

Professoressa Foa, non crede che l’appiattirsi sempre e comunque nella difesa d’Israele, finisca poi per far male a Israele stesso?

Lo credo assolutamente. Io credo che l’unico modo in cui la diaspora poteva aiutare Israele, era quello di sostenere l’opposizione, di impedire che scivolasse in questi crimini. Non vogliamo usare la parola genocidio, non usiamola, ma quella di crimini di guerra e contro l’umanità è del tutto confacente a ciò che da quindici mesi sta avvenendo a Gaza. Aiutare a far crescere l’opposizione che si è afflosciata dopo il 7 ottobre, che in qualche modo era anche quello che Hamas voleva.

Lei prima faceva riferimento ad Haaretz, uno degli ultimi bastioni di una stampa davvero indipendente in Israele. Sul quotidiano progressista di Tel Aviv, si è riaperto un vivace dibattito su una soluzione della questione palestinese fondata su uno Stato binazionale.

Lo Stato binazionale era la soluzione dei primi sionisti. Era una soluzione che in qualche modo è andata avanti anche nelle forme sioniste più istituzionali, fino alla grande rivolta del 1936. Ed è la soluzione migliore, in teoria, anche se oggi la vedo moltissimo come utopistica. Può essere che anche quella dei due Stati lo sia, però da un punto di vista realistico credo che bisognerebbe fare quello che è possibile, sapendo bene che non sarà il meglio. Se la soluzione a due Stati è più forte e in qualche modo consente di essere realizzata, anche se ha tutta una serie di problematiche e di possibilità di crearsi, forse si dovrebbe puntare a questo, sempre tenendo presente che lo Stato binazionale era l’idea dei primi sionisti, di quelli che hanno gettato le basi ideali e politiche nella prima metà del ‘900, di quello che poi s’inverò nello Stato d’Israele. L’idea, per l’appunto, di uno Stato binazionale, l’idea di mettere alla prova il sionismo sui rapporti con gli arabi. Il sionismo si sarebbe messo alla prova su questo, non su altre cose, non sull’identità israeliana, nemmeno sui kibbutzim o sul socialismo. Il sionismo si sarebbe messo alla prova sui rapporti con gli arabi. Purtroppo, la prova è fallita.

Nel sionismo, non era presente anche una componente messianica che oggi innerva le politiche della destra che governa oggi Israele?

Una piccola componente c’era, però anche i sionisti religiosi non erano in maggioranza messianici. Il messianismo nasce dopo il ’67, dopo la Guerra dei Sei giorni. Se Ben Gurion poteva dire, nel ’48, “non farò una battaglia sulla religione e sull’osservanza religiosa ebraica perché non vale la pena di scannarsi su questo quando fra due generazioni non ci saranno più religiosi”, era perché non era ancora affiorata quell’ala messianica che ci ricorda molto, lo dicevano gli israeliani prima del 7 ottobre, gli zeloti che hanno poi portato alla rovina il Regno di Giuda nella guerra con i Romani. Volete di nuovo distruggerci, gli zeloti sono di nuovo riapparsi, questo si diceva nelle discussioni e nelle piazze israeliane. Questi nascono con i coloni, nascono con una forte influenza degli ebrei americani ortodossi. Li abbiamo letti nei libri di Amos Oz, tantissimi anni fa, questi coloni con la kippah all’uncinetto che parlano, esaltati, della Grande Israele. Sono cresciuti anche perché hanno fatto dieci figli per due o tre generazioni, e questo ha aumentato il loro numero e di conseguenza anche il loro impatto sulla vita, sociale e politica, d’Israele. Sono questi esaltati che assaltano e danno fuoco ai villaggi palestinesi in West Bank e che vogliono colonizzare tutta Eretz Israel, la Terra d’Israele, e forse anche un pezzo in più.

Il 20 gennaio si reinsedia alla Casa Bianca Donald Trump. Nella vulcanica conferenza stampa di Mar-a-Lago, il presidente eletto ha sostenuto, tra le altre cose, che se Hamas non libera subito gli ostaggi che ancora ha in mano, quando diventerà a tutti gli effetti commander in chief degli Stati Uniti, scatenerà l’inferno a Gaza.

L’inferno c’è già a Gaza, dobbiamo non stancarci nel dirlo. Ogni inferno può essere peggiorato, certamente, puoi mettere tutti i palestinesi al muro e sterminarli uno dopo l’altro. In quella vulcanica conferenza stampa, ha detto anche altre cose, come volersi prendere la Groenlandia o Panama col suo canale, o fare del Canada il 51° stato americano. Siamo ormai ad un livello che forse un bravo psichiatra giudicherebbe pericoloso per la salute mentale del soggetto in questione. Si parlava molto del fatto che in fondo l’interesse di Trump per un rapporto con l’Arabia Saudita, lo avrebbe portato a mollare le punte più estreme di Netanyahu. Non mi sembra che stia succedendo questo, ma vedremo quello che accadrà dopo il 20 gennaio.

Allargando l’orizzonte a livello globale, non crede, professoressa Foa, che vi sia stata una regressione etica e culturale, per cui non esiste più l’avversario ma solo il nemico da distruggere con qualunque mezzo e a qualunque costo?

Sì. E io non perdonerò mai al 7 ottobre, e a coloro che l’hanno provocato, oltre alle tante vittime innocenti uccise brutalmente, di aver accelerato il processo di disgregazione dell’etica della sinistra, degli oppositori, attraverso la paura, a tutti quegli elementi negativi che sappiamo bene a cosa portano. La paura di un attacco fisico porta ad allinearsi alle posizioni di chiunque pur di evitare che qualcuno venga a tagliarti la gola dentro casa tua. Questo lo vediamo ovunque, ma lì in particolare dove era successo. Io credo che se non ci fosse stato il 7 ottobre, Netanyahu probabilmente sarebbe caduto nello spazio di un mese o due, perché era veramente sul bordo del precipizio, e invece il 7 ottobre, con questo mare di sangue, ha scatenato chiamiamola una depressione, chiamiamola una perdita di consapevolezza politica anche in tanti che l’avevano avuta e manifestata nel corso di quel lungo, straordinario 2023, in cui in centinaia di migliaia era scesi in piazza, con una determinazione e continuità eccezionali, contro la repressione interna e la spinta antidemocratica del governo Netanyahu. Tutto questo in parte è venuto meno. Ci sono però ancora tanti gruppi, tanti movimenti che si battono e dovremmo riconoscerli e aiutarli.

 

L’ultima domanda, ci rimanda ad un altro suo libro molto bello, Portico d’Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del ’43. Nel suo discorso di fine anno, il Presidente Mattarella, ha ricordato che nel 2025 si celebreranno gli 80 anni dalla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Professoressa Foa, cosa un millenial dovrebbe ricordare di quella storia?

Dovrebbe cercare di collegare quella storia ai suoi interessi di oggi, interessi intesi come le cose che lo interessano, le cose che ancora suscitano emozioni in lui o lei, ammesso che si possa parlare di questo. Vede, io cerco di dire sempre di sì agli inviti che mi vengono dalle scuole, ma nelle presentazioni, tante, del mio ultimo libro, le teste che ho davanti a me son tutte bianche. E questo è qualcosa di molto triste. Un giovane forse dovrebbe capire, per esempio, cosa sia stata la Liberazione. È difficile spiegare a qualcuno cosa abbia voluto dire per uno che è stato nascosto, uscire all’aria aperta e poter dire il suo vero nome e non un nome falso. Io che sono nata con un nome falso, ma non ero abbastanza grande per pronunciare il mio nome vero perché avevo cinque-sei mesi quando c’è stata la liberazione, capisco questa cosa, proprio perché sono stata costretta a vivere con un nome falso e anche a essere nascosta. Bisognerebbe spiegare loro la vita quotidiana di allora. Io ho tentato di farlo in quel libro che lei ha citato e che tra tutti quelli che ho scritto è quello che preferisco. In Portico d’Ottavia, ho cercato di far vedere come vivevano, come si nascondevano, che emozioni avevano coloro che abitavano lì, molti dei quali non sono più tornati indietro dai campi di sterminio. Un approccio di questo tipo potrebbe risultare utile, chissà. Cerco di trovare delle aperture nelle loro menti, e spesso la trovo. E non sono puramente quelle di pancia. Sono quelle in cui in qualche modo riesci ad identificarti con la vita e con la storia di un altro , che è altra cosa del piangersi addosso e avere solo emozioni e non ragioni.

 

 

27 Gennaio 2025Permalink

20 gennaio 2025 — Parla una storica israeliana

Ho copiato questo articolo dal sito di un amico che l’ha ripreso a sua volta da una comunicazione del giornalista e scrittore Massimo Chierici.
L’articolo proviene dalla pagina della scrittrice e storica  Fania Oz-Salzberger., professoressa emerita di storia presso la Facoltà di diritto della Università di Haifa
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Possiamo mantenere viva la speranza per due stati pur essendo realisti
Ci sono momenti nella storia umana in cui la pressione dall’alto cambia la geografia politica in meglio, quando le superpotenze prendono le decisioni. Questo potrebbe essere uno di quei momenti.
Sto scrivendo appena prima di enormi cambiamenti nella storia della guerra Hamas-Israele: un possibile accordo di ostaggi e cessate il fuoco, e l’insediamento del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Entrambe queste eventualità potrebbero ribaltare gran parte dell’attuale stallo, ma non è probabile che allevieranno l’abisso tra la destra (ora quasi interamente dominata da Netanyahu, Smotrich e Ben-Gvir) e il centro-sinistra liberale.
Quel baratro è emerso circa un decennio fa, e non ha mai riguardato i palestinesi. Riguarda la Corte Suprema e il procuratore generale, che sono diventati nemici di Netanyahu dopo che è stato incriminato per tre capi d’imputazione per corruzione. I tentativi di demonizzare il ramo giudiziario del governo israeliano sono iniziati un decennio fa, ma l’attuale coalizione è finalmente riuscita a indebolirlo e politicizzarlo. Così, un anno dopo il 7 ottobre, la Knesset ha ripreso il suo blitz legislativo contro la magistratura.
La guerra di Gaza ha inferto un colpo mortale alla solidarietà israeliana. La maggior parte delle vittime del 7 ottobre, molti kibbutznik e partecipanti al festival Nova, appartenevano al movimento pro-democrazia e alcuni di loro appartenevano al campo della pace. Molti israeliani sono ora convinti che questo spieghi il trattamento meschino da parte del governo dei kibbutz distrutti (Netanyahu deve ancora visitarne uno o incontrare le loro comunità), così come il trattamento incredibilmente maleducato delle famiglie degli ostaggi da parte di alcuni ministri e membri della Knesset, per non parlare della violenza contro di loro da parte della polizia di Ben-Gvir.
Inoltre, un numero significativo di israeliani è disgustato dalla guerra condotta a Gaza in nostro nome. Quella che è iniziata come una guerra eminentemente giusta si è trasformata in un bagno di sangue di innocenti palestinesi, con un prezzo orribile anche per le vite dei soldati israeliani. Solo una piccola, seppur crescente, minoranza di ebrei israeliani si preoccupa della prima, ma quasi tutti sono profondamente addolorati per la seconda. L’opinione pubblica è pronta per un cessate il fuoco e il ritorno del maggior numero possibile di ostaggi.
In che modo questo momento influenzerà la cosiddetta riforma giudiziaria? Io sono tra coloro che la chiamano crisi costituzionale o colpo di stato, e vedo l’attuale legislazione come una mossa per cambiare la nostra forma di governo distruggendo la separazione dei poteri. Chiaramente, Trump condivide il copione di Netanyahu quando si tratta di politicizzare unilateralmente la Corte Suprema. La crisi costituzionale israeliana dovrà essere risolta dagli israeliani, probabilmente nelle prossime elezioni previste per la fine del 2026, e si spera prima.
E il futuro israeliano/palestinese? Suggerisco di restare sintonizzati e di aspettarci l’inaspettato. Subito dopo il 7 ottobre 2023, mi sono imbattuto in ritornelli inquietantemente simili dalla destra israeliana e dalla sinistra anti-israeliana globale sul mio account Twitter e durante conferenze pubbliche: la soluzione dei due stati è morta, schernivano.
I destri pensavano di aver vinto la loro causa per il Grande Israele. Dopotutto, la frase “dal mare al Giordano” faceva parte del credo politico del Likud fin dagli anni ’70. Fin dal primo giorno, ci fu qualche brutto scherno contro i kibbutznik massacrati perché erano “di sinistra” che credevano nella pace.
Sul fronte opposto, gli odiatori di Israele in tutto il mondo hanno respinto senza mezzi termini un compromesso territoriale, dicendo agli ebrei di andarsene al diavolo dalla terra che avevano colonizzato. Sono stata personalmente diffamato da gente come Owen Jones per essere un sionista di sinistra e per aver mantenuto la mia convinzione che Israele e Palestina possano un giorno diventare vicini pacifici.
Una versione più soft chiedeva in modo surrealista “uno Stato, laico e liberale, per arabi ed ebrei”, senza spiegare esattamente come laicità e liberalismo possano attualmente provenire da Gaza o dalla Cisgiordania.
E tuttavia, sotto gli imprevedibili auspici di Trump e la pressione dei regimi arabi, un compromesso territoriale potrebbe ancora materializzarsi. In Israele, i pacifisti sono traumatizzati ma non capitolano. Le dimostrazioni antigovernative lasciano spazio a slogan umanisti e in cerca di pace. Gli oratori menzionano la difficile situazione degli innocenti abitanti di Gaza. Nei grandi raduni di Tel Aviv e in alcune proteste regionali, un cerchio crescente di ebrei e arabi chiede la pace. ONG come “Standing Together” e “Women Wage Peace” hanno notevolmente ampliato la loro portata.
Un compromesso territoriale non è ancora pace. Per anni, la sinistra sionista è stata accusata di promuovere un riavvicinamento illusorio e sognante tra israeliani e palestinesi. Ma questo era in gran parte un argomento fantoccio. Come diceva il mio defunto padre, lo scrittore Amos Oz, “Fate la pace, non l’amore!”. Nessun futuro accordo tra due stati includerebbe una clausola d’amore o una clausola di fiducia cieca. Sarà graduale, cauto e amaramente sospetto. Come dovrebbe essere.
Sono abbastanza fiducioso da credere che la maggior parte degli israeliani lo sosterrebbe se condotto in modo responsabile.
Tuttavia, non sono abbastanza ottimista da credere che un campo di pace palestinese possa emergere a breve. Ci sono momenti nella storia umana in cui una pressione opprimente dall’alto deve cambiare la geografia politica in meglio, quando imperi o superpotenze prendono le decisioni. Probabilmente stiamo entrando in una di queste congiunture.
Cosa può offrire la società civile israeliana a questo punto? Non molto, se non la promessa che una volta che un accordo di pace responsabile sarà sul tavolo, e una leadership palestinese non genocida sarà in grado di firmarlo, milioni di israeliani si alzeranno in piedi per sostenerlo. Il nostro DNA politico include ancora una volontà di compromesso che i nostri nemici non hanno mai mostrato. E abbiamo speranza. Una speranza gravemente ferita, una speranza spezzata ma speranza. Siamo quindi pronti a versare il nostro cucchiaino di umanità civica nel calderone delle mega-potenze egoiste che il 2025 probabilmente porterà a ebollizione.
20 Gennaio 2025Permalink