6 luglio 2023_ ancora una volta il teologo Bruno Forte, arcivescovo di Chieti -Vasto

Premetto:  Inserisco questo articolo, su cui ritornerò con mie considerazioni personali, e ricordando i ‘precedenti’  dell’autore (noto teologo) come appaiono su diariealtro
https://diariealtro.it/?p=3863  29 giugno 2015
https://diariealtro.it/?p=8204  27 dicembre 2022

1 luglio Il dibattito.
I giorni dei Pride e l’idea cristiana di persona

Sono stati diversi gli eventi organizzati in Italia in queste ultime settimane o programmati per quelle a venire sotto la denominazione di Gay Pride, tanto da far parlare da parte degli organizzatori di un’Onda Pride 2023, che va dal Nord al Sud del Paese. La stessa titolazione degli eventi è da molti considerata superata, tanto che i promotori invitano sempre di più a parlare semplicemente di Pride, perché l’orgoglio che si vuol rivendicare è quello di tutte le persone che si sentono o sono discriminate, e non soltanto quello degli omosessuali.

Alla diffusione del fenomeno e al battage mediatico che lo accompagna non mi sembra abbiano corrisposto finora abbastanza contributi critici, che ne mostrassero i possibili valori in gioco, ma anche i limiti e le eventuali manipolazioni: proporre l’abbozzo di un tale contributo alla luce della visione cristiana dell’uomo è lo scopo delle riflessioni che seguono. Va osservato, anzitutto, che il messaggio di non discriminare nessuno non può che essere condiviso a partire dalla pari dignità di ogni essere umano davanti a Dio e in rapporto a chiunque altro: questo messaggio decisivo è stato elaborato proprio dal pensiero cristiano, grazie ai dibattiti cristologici della fine del IV secolo e della prima metà del V attraverso la definizione del concetto di “persona”, che può considerarsi il grande apporto della fede cristiana all’idea che possiamo farci dell’uomo.

Soggetto consapevole della propria storia, libero e responsabile nel costruire rapporti con altri e nell’accogliere con rispetto chiunque, quale che sia la sua provenienza culturale, sociale, politica o religiosa, la persona nella sua assoluta singolarità è il baluardo contro ogni massificazione e manipolazione dei protagonisti storici. Proprio in forza di questa convinzione il cristiano si riconoscerà chiamato a rispettare ogni persona e a rifiutare ogni emarginazione o discriminazione, quale che ne sia il motivo ispiratore. Di conseguenza, ogni impegno a favore del rifiuto di qualsivoglia ghettizzazione o logica discriminante troverà nei credenti e nella Chiesa convinti e motivati alleati. Fatta questa necessaria premessa, è non meno importante esporre alcuni motivi di riflessione indirizzati a tutti, a chi ha preso o prenderà parte agli eventi dell’Onda Pride come a chi vi si asterrà, sentendo questo tipo di manifestazioni estraneo o contrario alle proprie convinzioni e alla propria cultura.

Mi ispiro per quanto segue a quanto affermato con chiarezza da papa Francesco nell’enciclica Laudato si’, al numero 155: «L’accettazione del proprio corpo come dono di Dio è necessaria per accogliere e accettare il mondo intero come dono del Padre e casa comune… Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati è essenziale per una vera ecologia umana. Anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé. In tal modo è possibile accettare con gioia il dono specifico dell’altro o dell’altra, opera di Dio creatore, e arricchirsi reciprocamente. Pertanto, non è sano un atteggiamento che pretenda di “cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa”».

Alla luce di queste parole ritengo utile ricordare alcuni aspetti della visione cristiana della vita, che mi sembrano di portata largamente umana. In primo luogo, chi crede nutre in generale una profonda gratitudine per aver avuto nella propria infanzia un papà e una mamma ed essere cresciuto all’interno di una famiglia aperta alla vita. Le Assemblee del Sinodo dei Vescovi del 2014 e 2015 e l’esortazione apostolica a esse seguite Amoris laetitia  (19 marzo 2016) hanno sostenuto senza esitazione la consapevolezza che donare la vita è la gioia più grande e il dono più augurabile per tutti e per ciascuno, poiché in questa relazione vitale si esprimono l’amore reciproco degli sposi e la sua fecondità. Nella medesima linea si pone l’invito all’accettazione del proprio corpo come dono di Dio, necessaria per accogliere e accettare il mondo intero come dono nella casa comune: l’apprezzamento del nostro corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere noi stessi nell’incontro con il diverso da noi. In tal modo, ci è possibile accettare con gioia il dono specifico dell’altro o dell’altra, opera di Dio creatore, e arricchirci reciprocamente.

Questa convinzione è rilevante specie in relazione all’accompagnamento educativo degli adolescenti e dei giovani, che tanto più e meglio sapranno relazionarsi agli altri quanto più sapranno apprezzare la propria dignità di persone nella loro identità sessuale e nella loro specifica capacità relazionale. Nella visione cristiana la differenziazione sessuale è considerata vitale e arricchente per la crescita di tutti, per il semplice motivo che più siamo capaci di accoglierci in maniera autentica sul piano sessuale, più ci accorgiamo di essere capaci di accogliere le persone diverse da noi, provenienti da altre etnie, lingue e culture, nella loro nativa ricchezza sociale e politica, diventando così anche più aperti all’accoglienza degli immigrati e dei richiedenti asilo. Ce lo ricordano diverse parole di papa Francesco: anzitutto quelle famosissime pronunciate il 28 luglio 2013 sul volo da Rio de Janeiro a Roma in riposta alla domanda di un giornalista: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Il Catechismo della Chiesa cattolica dice che queste persone non devono essere discriminate, ma accolte».

Poi, fra le tante affermazioni possibili, quelle che il Papa ha fatto all’Angelus del 27 giugno 2021: «La malattia più grande della vita… è la mancanza di amore… Finiamola di giudicare gli altri! Gesù ci chiede uno sguardo non giudicante, ma accogliente. Apriamo il nostro cuore per accogliere gli altri perché solo l’amore sana la vita… Non giudicare e lasciate vivere, amate gli altri e cercate di vivere con amore… Gesù guarda sempre il modo di salvarci e non la storia negativa che possiamo avere. Gesù va oltre i peccati, Gesù va oltre i pregiudizi, non si ferma alle apparenze. Lo stile di Gesù è avvicinarsi ». Quale sarà, allora, il nostro stile, anche verso chi sentiamo diverso o lontano dal nostro modo di vedere e di vivere?

Arcivescovo di Chieti-Vasto

 

https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/lidea-cristiana-della-persona-nella-stagione-dei-pride-un-messaggio-che-d

 

6 Luglio 2023Permalink

23 giugno 2023 – Quando il pensiero di una ministra è volatile, involuto, contraddittorio. Testi copiati: decodifica a chi legge

21 GIUGNO 2023   La ministra Roccella sulle mamme gay: “Non si diventa genitori per contratto, la strada corretta è la stepchild adoption”

La ministra conferma la linea del governo, indicando l’adozione come la via giusta per le coppie omosessuali

 Non desidera entrare nel merito delle decisioni dei giudici ma per la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella: “In Italia si diventa genitori solo in due modi, o per rapporto biologico o per adozione. Lo ha ribadito anche la Cassazione. La genitorialità per contratto in Italia non esiste”.

Stepchild adoption, “non è una procedura discriminatoria”

Si tratta delle dichiarazioni al Corriere della Sera di Roccella, all’indomani del caso di Padova sulla impugnazione delle trascrizioni all’anagrafe dei bambini di 33 coppie di mamme. L’invito è a seguire la procedura già in vigore della stepchild adoption, sui cui la ministra si chiede: “Qualche anno fa veniva richiesta a gran voce. Perché adesso non va bene più? Non è una procedura discriminatoria”.

“Nessuno escluderà dalle normali attività del bambino”

Qualora la famiglia sia già costituita la una delle mamme perde la genitorialità per riacquisirla in seguito all’adozione. “È sicuramente un disagio e un dispiacere per l’adulto, ma non credo che i bambini si accorgeranno del cambiamento che probabilmente durerà pochi mesi. E nel frattempo nessuno escluderà la persona che hanno conosciuto come genitore dall’accompagnamento a scuola e dalle normali attività del bambino”, commenta Roccella.

Commento di Augusta 1: Nessuno escluderà!  Chi lo assicura.
Sarebbe opportuno che la ministra lasciasse un suo numero di cell per poterla chiamare  in  caso di sopraffazioni. Per esempio se un bambino entra per una urgenza in ospedale… che , tra l’altro non è sua  ‘normale attività’ e fosse vietato alla mamma/non mamma al papà /non papà di assisterlo

22 giugno 2023   Maternità surrogata, Roccella lancia la “sanatoria per i bambini nati fino a oggi”

“Dovremo   pensare a una soluzione legale per i bambini nati fin qui”. Eugenia Roccella, ministra della Famiglia, Natalità e Pari opportunità, ha lanciato la proposta di una sanatoria per i figli nati da coppie che hanno fatto ricorso alla gestazione per altri. Una soluzione “pensata per quando sarà entrata in vigore la nuova legge che renderà la maternità surrogata un ‘reato universale'”, ha detto Roccella durante la registrazione de ‘La Confessione’ di Peter Gomez, in onda sul Nove venerdì 23 giugno alle 22.45,

Commento di Augusta 2 : dal che deduciamo che oggi non  vuol dire oggi, ma  è  parola  che si riferisce a un indefinito futuro, una specie di terminus ad quem che penso sarà di diffide definizione anche per le menti eccelse che popolano i ministeri.

e infine i link ai due articoli

https://www.iltempo.it/politica/2023/06/22/news/maternita-surrogata-proposta-ministra-roccella-sanatoria-bambini-nati-legge-reato-universale-36177853/

La ministra Roccella sulle mamme gay: “Non si diventa genitori per contratto, la strada corretta è la stepchild adoption” – la Repubblica

23 Giugno 2023Permalink

20 gennaio 2022 – Il mio blog riprende fiato e ricorda il 17 maggio 1990.

15 luglio 2021 Svolta della Chiesa, l’omosessualità non è una malattia di Redazione
Per la prima volta la Chiesa cattolica ha preso ufficialmente posizione contro le cosiddette «terapie riparative», cioè i trattamenti per «guarire» dall’omosessualità.

“Il Vaticano blocca le terapie di guarigione per gli omosessuali”, così titola la copertina e un lungo editoriale pubblicato in questi giorni sul settimanale cattolico spagnolo Vita Nueva (n.3231, del 10-16 luglio 2021), dopo che è emerso che la Congregazione Vaticana per il Clero, al termine di una lunga indagine sollecitata nella chiesa spagnola, ha fermamente condannato le cosiddette “terapie riparative” proposte ai fedeli cattolici da una discussa organizzazione spagnola.

“La realtà è che l’omosessualità non può essere curata, perché non è una malattia, come ha stabilito l’Organizzazione Mondiale della Sanità ben 31 anni fa”, ricorda nel suo editoriale il settimanale cattolico e “la presa di posizione del Vaticano spinge a una maggiore fermezza da parte dei responsabili della formazione delle persone consacrate e di coloro che sono in prima linea nei processi di accompagnamento e direzione spirituale, al fine di agire per segnalare e soccorrere coloro che possono essere coinvolti in queste dinamiche. Allo stesso modo, come sostiene l’indagine del Vaticano, è urgente sradicare questa iniziativa prima che il problema si aggravi. … Una Chiesa che è madre non può permetterlo. Educare all’affettività e alla sessualità non è indottrinare o prescrivere, è accompagnare e discernere, per vivere la verità di ciò che si è. Ma, soprattutto, implica accogliere senza giudicare, partendo da una misericordia che si fonda sul fatto che ogni persona è figlia di Dio…”.

Il reportage di Vita Nueva continua con una lunga indagine di Miguel Ángel Malavia e José Beltrán che ripercorre tutta la spiacevole vicenda spagnola che ha portato la Santa Sede a prende le distanze con grande chiarezza da quelle che sono comunemente conosciute come “terapie di conversione” o “riparative”, attraverso una nota della Congregazione Vaticana per il Clero.

Mentre in una lunga intervista il giovane gay cattolico spagnolo Alberto Pérez racconta la sua terribile esperienza all’interno di questa realtà, che lo ha portato ad avere “ una fede e una vita distrutte da chi mi voleva curare perché gay”

Nella chiesa cattolica le persone omosessuali non devono essere curate ma accompagnate

Editoriale pubblicato sul settimanale cattolico Vita Nueva (Spagna), n.3231 del 10-16 luglio 2021, liberamente tradotto da Innocenzo Pontillo
La Congregazione Vaticana per il Clero condanna le terapie riparative proposte ai cattolici spagnoli

Articolo di Miguel Ángel Malavia e José Beltrán pubblicato sul sito del settimanale cattolico Vida Nueva (Spagna) il 9 luglio 2021, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro

http://www.vita.it/it/article/2021/07/15/svolta-della-chiesa-lomosessualita-non-e-una-malattia/160040/

Il 17 maggio del 1990, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) cancellava l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali. Fu un momento storico, che portò nel 2004 a scegliere proprio il 17 maggio come data per l’istituzione della Giornata internazionale contro l’omobitransfobia (International Day Against Homophobia, Biphobia and Transphobia – IDAHOBIT).
Eppure, a distanza di trent’anni dalla risoluzione dell’OMS, in molti Paesi esistono ancora pratiche quali le terapie riparative e solo recentemente alcuni governi si stanno adoperando per bandirle.

L’omosessualità come malattia mentale
La decisione del 1990 costituì il culmine di un processo iniziato circa 20 anni prima e che ha radici ancora più profonde. Infatti, fin dall’Ottocento, la medicina e la psichiatria fecero propria la percezione dell’omosessualità tipica della Chiesa cattolica, evitando di definirla un “peccato” ma classificandola come disturbo mentale.
In quanto tale, i comportamenti omosessuali erano soggetti a interventi riparativi, le cosiddette aversion o conversion therapies. Soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta, queste terapie consistevano nella somministrazione di droghe che inducevano il vomito oppure nell’utilizzo dell’elettroshock mentre venivano mostrate al “paziente” (generalmente di genere maschile) immagini di uomini, per poi mostrargli immagini di donne una volta terminati i trattamenti. In questo modo, si pensava di poter indurre la persona ad associare alla sofferenza l’attrazione per persone dello stesso sesso, mentre al sollievo persone del sesso opposto.

Oltre al proprio carattere profondamente degradante e nocivo, queste pratiche mettono in evidenza due elementi importanti. Il primo è la pressoché totale assenza della donna come soggetto di tali interventi “riparativi”. Se a prima vista potrebbe essere visto come qualcosa di positivo, ciò in realtà mostra come al tempo la donna non fosse considerata capace di poter “trasgredire” alle norme sociali che la vedevano relegata alla sfera domestica e non fosse dotata di una propria identità sessuale indipendente e non eteronormata. A ciò si collega il secondo elemento, ossia la completa percezione dell’omosessualità come devianza dalla “normale” mascolinità, da cui non era accettabile che un uomo potesse allontanarsi.

Dal punto di vista legislativo, l’omosessualità era criminalizzata con le cosiddette sodomy laws, le quali definivano gli atti omosessuali “crimini contro natura”. Tipiche degli ordinamenti di tradizione anglosassone o di derivazione post-coloniale britannica, le sodomy laws prevedevano che chi era accusato di comportamenti omosessuali poteva andare incontro a sanzioni molto severe, dell’incarcerazione o multe ingenti alla sterilizzazione forzata, oppure doveva sottoporsi a una terapia riparativa. Per quanto leggi simili possano sembrare appartenere al passato, è bene ricordare che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha dichiarato la sodomy law incostituzionale a livello federale solo nel 2003, con la storica sentenza Lawrence v. Texas.
L’avvento delle sodomy laws nella maggior parte degli Stati Uniti nel corso degli anni Sessanta creò il terreno per la pubblicazione della seconda edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-II) nel 1968, in cui si riconosceva ufficialmente l’omosessualità tra le malattie mentali.

La decisione del 1990
Parallelamente, la fine degli anni Sessanta segnò un primo cambio di rotta, anche se il panorama si presentava piuttosto frammentato. Infatti, sia il movimento LGBT+ sia medici e psichiatri si presentavano spaccati. Da un lato, alcuni gruppi di attivisti LGBT+ accettavano le teorie che consideravano l’omosessualità una patologia pur di allontanarla dalla sfera dell’immoralità ed erano disposti a lavorare con i medici alle terapie che avrebbero dovuto curare l’omosessualità.

Dall’altro, soprattutto dopo i moti di Stonewall del 1969, altri attivisti del movimento LGBT+ statunitense portarono all’attenzione dell’American Psychiatric Association (APA) alcuni studi sulla sessualità che dimostravano scientificamente come l’omosessualità non potesse essere considerata un comportamento deviante. Questa parte del movimento era anche fermamente convinta che gli studi che invece la definivano come un disturbo mentale fossero tra i principali fattori che contribuivano allo stigma sociale legato all’omosessualità. Per questo motivo, alcuni gruppi di attivisti statunitensi fecero incursione ai meeting annuali dell’APA nel 1970 e 1971.

D’altro canto, gli psichiatri e gli psicologi che iniziarono a studiare teorie alternative a quella dominante, come fece per esempio Alfred Kinsey ed Evelyn Hooker, dovevano far fronte alla netta ostilità della maggioranza della comunità scientifica. Nonostante gli studi di Kinsey e Hooker presentassero solide basi scientifiche, la stessa APA ha a lungo ignorato i risultati delle indagini che confutavano la teoria dell’omosessualità quale malattia mentale. Solo all’inizio degli anni Settanta, quando una giovane generazione di psichiatri si avvicinava alla guida dell’organizzazione, l’APA iniziò ad assumere una maggiore sensibilità riguardo a questioni di forte impatto sociale. Pertanto, nel 1971 e nel 1972, l’APA organizzò dei panel in cui attivisti LGBT+ e studiosi venivano invitati a formare gli psichiatri, in particolare sullo stigma sociale creato dalla “diagnosi di omosessualità”.

Al meeting annuale del 1973, si tenne un simposio in cui i membri dell’APA si interrogarono se l’omosessualità dovesse continuare a essere considerata una patologia o meno. Il dibattito si concluse con la decisione del Board of Trustees di rimuovere l’omosessualità dal DSM. Alcuni si opposero e si arrivò al punto per cui i membri furono chiamati a esprimersi sulla decisione del Board, la quale fu infine approvata con il 58% di voti favorevoli.

Pertanto, la sesta ristampa del DSM-II del 1974 non presentava più il termine “omosessualità” tra le patologie, ma un generico “sexual orientation disturbance” (SOD). Con questo termine si andava a indicare un comportamento omosessuale che causava sofferenza alla persona, la quale intendeva cambiarlo, andando di conseguenza a legittimare le terapie riparative. Con la pubblicazione del DSM-III nel 1980, la sexual orientation disturbance diventava “ego-dystonic homosexuality” (EDH), un’altra formula di compromesso che fu eliminata solo nel 1987, con la revisione dell’ultimo DSM (DSM-III-R).

I progressi fatti dall’associazione di psichiatria più grande e conosciuta al mondo ebbero un’influenza sostanziale nel contesto internazionale. Fu proprio sulla scia della decisione dell’organizzazione statunitense che il 17 maggio del 1990, durante i lavori della 44ª assemblea, l’OMS cancellò l’omosessualità dall’International Classification of Diseases (ICD-10). Il fatto che l’OMS, un’organizzazione di carattere internazionale, assumesse una posizione del genere ha mosso il dibattito dalla sfera della medicina e della psichiatria a quella della politica, portando istituzioni e governi ad adottare misure che decriminalizzassero l’omosessualità e tutelassero i diritti delle persone LGBT+.

Trent’anni dopo
Anche se sono passati trent’anni dalla decisione dell’OMS, il 2020 ha visto una crescente attenzione sulle terapie riparative. Il fatto che sulla carta l’omosessualità non sia più considerata una malattia non ha fermato le conversion therapies. Ancora oggi, esistono terapie che vanno a intervenire non più solo sull’orientamento sessuale, ma anche sull’identità di genere. Infatti, la concezione per cui l’orientamento sessuale e l’identità di genere possano essere cambiati e riportati “alla normalità” è purtroppo ancora diffusa, nonostante non abbia alcuna base scientifica.

Un recente report delle Nazioni Unite ha evidenziato che i promotori delle terapie tutt’oggi esistenti appartengono a una vasta gamma di attori, statali e non statali (come le comunità religiose e l’ambiente familiare). Il report mette anche in luce come si siano trasformate in attività molto lucrative, molto spesso a danno di minori o giovani adulti i quali riportano danni psicologici profondi.

Presentando i risultati del report, Victor Madrigal-Borloz, l’Esperto Indipendente sull’Orientamento Sessuale e l’Identità di Genere dell’ONU, ha chiamato le Nazioni Unite a una messa a bando internazionale delle terapie riparative.

Alcuni Paesi hanno preso provvedimenti. La Germania, per esempio, a maggio scorso ha approvato una legge che vietava il ricorso a terapie riparative sui minori. Nonostante sia stato considerato un primo passo avanti, in molti hanno contestato che non sia stato sufficiente e che le terapie riparative dovrebbero essere bandite in qualsiasi circostanza. Altri Paesi, come la Svizzera, gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia, hanno invece adottato delle misure che rendevano illegali tali pratiche.
A trent’anni dal momento in cui la comunità internazionale ha riconosciuto come l’omosessualità non fosse una malattia, la strada da fare verso la piena consapevolezza che l’orientamento sessuale e l’identità di genere non sono sfere dell’identità sessuale su cui si possa intervenire è ancora tanta e piena di ostacoli, primo fra tutti la disinformazione. In questo, lo Stato può fare molto, agendo dal punto di vista non solo legislativo ma anche sociale, adottando politiche che promuovano una corretta informazione.

https://lospiegone.com/2020/08/26/ricorda-1990-leliminazione-dellomosessualita-dalle-lista-delle-malattie-mentali/

20 Gennaio 2022Permalink