4 marzo 2025 _ Informazioni aggiunte a quelle di ieri – da conservare

Scrivevo ieri  3 marzo _ un  testo  che conservo nel  mio blog (la mia imperdibile , personale memoria storica )  che ho intitolato:
“Scorrettamente ricopio e conservo con ammirazione”
Si può leggere con il  link che trascrivo di seguito.
Dopo il link troverete l’articolo pubblicato su Il fatto quotidiano di oggi e ripreso da Manuela Dwiri che lo offre alla lettura nel  nel suo sito

3 marzo 2025 — Scorrettamente copio e conservo con ammirazione

4 marzo     Da Il fatto quotidiano di oggi

Per chi non è riuscito a leggere l’articolo del fatto, eccolo qui

Ieri, domenica, ho iniziato a recarmi alla dimostrazione per la fine della guerra e il ritorno degli ostaggi anche durante la settimana e non solo il sabato sera. è l’unico modo che ho trovato per dare a me stessa un po’ di pace nello sfondo del fragilissimo cessate il fuoco, il blocco degli aiuti umanitari e ritorno degli ostaggi, vivi o morti, che è iniziato questa settimana.

In questi giorni l’esercito, esattamente come aveva promesso, ha iniziato a studiare gli errori compiuti il sette ottobre che hanno portato alla tragedia del sabato nero.

Difficile ascoltare. La verità fa male.

Ti viene voglia di tapparti le orecchie e spegnere la televisione, non vedere non ascoltare.

Per le famiglie che hanno perso i loro cari, per le famiglie che hanno i loro figli ancora nella prigionia dei tunnel di Gaza, è una tortura senza fine.

E perciò non deve stupire se oggi un buon numero di queste famiglie si è presentata alla Knesset, il parlamento israeliano, con la richiesta di una commissione d’inchiesta statale, e sebbene fossimo ormai abituati al trattamento a dir poco inappropriato da parte dei politici al governo , questa volta sono stati superati tutti i limiti. Non è stato loro permesso di entrare nella tribuna dei visitatori e sono stati fermati con la forza dalle guardie della knesset fino ad arrivare alla violenza fisica. Due dei padri si sono sentiti male. Solo dopo un’ora sono riusciti ad entrare sotto stretta sorveglianza di dozzine di agenti di sicurezza Il parlamentare Hili Tropper ha infine letto una lettera scritta da Yarden Bibas, il padre dei bambini coi capelli rossi e marito di Shir. Nella lettera ha invitato il premier a tornare con lui a casa, al kibbutz Nir Oz, il kibbutz che Netanyahu si è sempre rifiutato di visitare e dove oggi c’è stato il funerale di uno degli ostaggi. “tanti semplici cittadini – ha scritto Yarden-hanno chiesto perdono e così pochi politici. dopo che saranno tornati gli ostaggi, sarò il primo a sostenere qualsiasi azione volta a distruggere Hamas. Ma non ora” Ha poi richiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta statale “perché altrimenti non potremo riuscire a riabilitarci e a rinascere “

Quando alla fine Netanyahu ha parlato, furibondo, ha promesso che nessuna commissione d’inchiesta verrà creata se non creata da lui stesso.

I parenti dei caduti in guerra e degli ostaggi gli hanno voltato le spalle. Altri hanno letto la preghiera per i morti, il Kaddish

Sanno bene che la tregua è fragilissima e il ritorno alla guerra potrebbe essere la morte dei loro cari.

Un altro gruppo è partito per Washington, per cercare di incontrare Trump e implorare il suo aiuto.

Come possiamo essere arrivati a questo punto?

Domani sarò di nuovo a protestare.

 

Gli articoli di Manuela Dwiri si possono leggere nel sito(italiano in italiano)  Gariwo, di cui metto una breve nota qui di seguito

  • Gariwo è l’acronimo di Gardens of the Righteous Worldwide.
    Siamo una ONLUS con sede a Milano e collaborazioni internazionali.
    Dal 1999 lavoriamo per far conoscere i Giusti: pensiamo che la memoria del Bene sia un potente strumento educativo e serva a prevenire genocidi e crimini contro l’Umanità.
    Per questo creiamo Giardini dei Giusti in tutto il mondo e usiamo i mezzi di comunicazione, i social network e le iniziative pubbliche per diffondere il messaggio della responsabilità. Dal Parlamento europeo abbiamo ottenuto la Giornata dei Giusti, che ogni anno celebriamo il 6 marzo.
4 Marzo 2025Permalink

3 marzo 2025 — Scorrettamente copio e conservo con ammirazione

Illustrissimo presidente Donald Trump

uomo tricologicamente confuso
47esimo presidente degli Stati Uniti sperando che ce ne sia un 48esimo.

Chi le scrive è una “donna” “non americana”, due attributi che so che per lei rappresentano i gradini più bassi della scala evolutiva, subito sotto le rane anfibie e i messicani senza documenti.
Le scrivo dall’Europa, un continente che secondo lei è stato creato apposta per truffare l’America. Volevo tranquillizzarla, io non ricordo a memoria il Manifesto di Ventotene, ma credo che Altiero Spinelli non avesse come primo obiettivo quello di fregarvi… poi ricontrollo…
Se volevano fregare qualcuno, quelli erano i fascisti. Quindi se si sente tirato in causa, mi dispiace ma non è così.

Le scrivo per chiederle una grazia.No, non sono in una vostra galera… per fortuna sono bianca… ma la grazia di andarci più piano.

Non dico di diventare serio come Mario Monti ma nemmeno di spararne una al giorno. Troviamo un accordo: tre sparate alla settimana? Due offese all’Europa e una a un paese a sua scelta? Un’offesa all’Europa, una minoranza derisa e magari, se ci sta ancora, quattro insulti a Zelensky?
Vede, presidente dalla chioma inverosimile, lei ci turba. Un giorno trasforma l’invasione Russa in Ucraina con l’invasione Ucraina in Russia, poi dice che non rispetterà gli accordi di Parigi sul clima, poi che ci stenderà coi dazi… ecco, tanti sorridono o alzano le spalle dicendo “non lo farà mai”, ma secondo me sì.

Questa settimana ha anche pubblicato un video che mostra Gaza trasformarsi in una specie di Copa Cabana con lei, Netanyahu e Musk a bere drink in spiaggia come pensionati a Viserbella… Un video pieno di sue statue d’oro, di edifici con il suo nome e di palloncini dorati con la sua faccia.

Molti trovano il suo video divertente, altri ironico, altri come l’ex governatore della Liguria Toti, lo trova addirittura uno spunto di riflessione e qui su Toti mi fermo perché c’è la pietà umana…

Se lei crede che il sogno dei palestinesi sia di diventare come lei, liberissimo di farlo.

Io però mi sento in diritto di dirle che io e tanti altri non vogliamo essere come lei.
Io non voglio essere come lei. Io sono una comica, prendo in giro, rido delle assurdità della vita, non sfotto le tragedie.

Noi non siamo come lei.
Noi usiamo l’intelligenza artificiale per fare video scemi non per irridere migliaia di morti.
Noi pensiamo che l’Unione Europea sia un successo, non una fregatura ai danni degli americani.
Crediamo nella libertà, nella democrazia, nello Stato di diritto, nel rispetto della dignità umana.

E soprattutto noi sappiamo che se un presidente PUÒ FARE TANTO, NON SIGNIFICA CHE POSSA FARE TUTTO.”

Luciana Littizzetto a Che Tempo Che Fa

3 Marzo 2025Permalink

14 dicembre 2024 – Conclusione dell’ultimo blog di Giancarla Codrignani

 LE GUERRIERE                                                  

La Scala ha inaugurato con la Forza del Destino, un’opera di Verdi che dimostra come la guerra, la vendetta, il pregiudizio dell’onore siano lombrosionamente fisiologici negli uomini. Ma la protagonista, vittima dell’odio del fratello per il fidanzato, figlio di re precolombiani ma ritenuto “un meticcio”, è una donna che reagisce alla violenza non solo ribellandosi al padre e diventando eremita quando il destino la condanna, ma letteralmente “combatte” con l’esercito in cui si è intruppata per ritrovare l’uomo che ama e che insegue nonostante la presunta uccisione di suo padre, vestita da soldato per potersi muovere in sicurezza. La stupenda Anna Netrebko impersona una donna che è donna, ma che sa comportarsi “come un uomo” in mezzo alle truppe o ai frati che non l’accettano in quanto femmina a cui una donna impone la sua sofferta autonomia.
Non si sa com’è, ma in questa stagione di guerre la pubblicistica racconta qua e là storie di donne “guerriere”, come se le storiche che vanno per archivi in cui giacciono i documenti “di genere” lasciati ignorati non ce ne avessero presentate parecchie. O come se le donne fossero “per natura” esenti da aggressività e da ricerca di parità pericolose come fare le soldate non solo per carriera ma “passione”. Kamala Harris si vanta di possedere una pistola e di saperla usare se incontrasse un aggressore.
I problemi – in tempo di guerre – sono di altro genere. E’ che le donne, proprio per essere state emarginate, hanno conosciuto il potere molto da vicino. E lo ritengono inadeguato alle loro esigenze biologiche, psicologiche, morali e politiche: sanno che fa male anche all’uomo che sceglie sempre la guerra anche contro di loro. Ma non hanno ancora elaborato una politica che non solo cambi il potere, ma ne cambi così tanto i connotati da doverlo chiamare in altro modo, forse “convivenza”. O, vedendo l’orizzonte attuale, “sopravvivenza”. Il veterofemminismo anni Settanta/Ottanta aveva fatto analisi diverse e non superficiali sulla pace, che oggi sono irrecuperabili e senza particolari innovazioni o proposte nelle attuali denunce online.
Comunque, a conclusione, una notizia sul solito clima regressivo che non solo questo governo (che se ne avvale alla grande) ci propone. In Lombardia un regolamento regionale del 2007, modificato nel 2022, ordinava il seppellimento o la cremazione degli esiti di aborti (spontanei o volontari) che hanno prodotto convenzioni con le aziende ospedaliere per “funerali” che dovrebbe essere comunicati alle interessate e non sempre lo sono. Il quotidiano Domani pubblicizza il podcast “Venti settimane”, uno strumento prodotto da un’inchiesta sostenuta dai lettori. Ci vogliono madri o – perché no? È sempre un posto di lavoro – soldate.
A proposito: forse in Siria sono arrivati dei “talebani”: c’è stata una domanda, una sola relativa a come tratteranno le donne? Eppure sarebbe stato il più valido strumento esplorativo di un futuro incerto (comodo far conto di niente).

Giancarla Codrignani  Noi Donne, 11 dic. 2024

14 Dicembre 2024Permalink

25 agosto 2024 Predicazione di apertura del Sinodo della pastora Sophie Langeneck

Quando fu vicino alla città, alla discesa del monte degli Ulivi, tutta la folla dei discepoli, con gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutte le opere potenti che avevano viste, dicendo: «Benedetto il Re che viene nel nome del Signore; pace in cielo e gloria nei luoghi altissimi!»

Alcuni farisei, tra la folla, gli dissero: «Maestro, sgrida i tuoi discepoli!» Ma egli rispose: «Vi dico che se costoro tacciono, le pietre grideranno».

(Luca 19: 37-40)

Care sorelle e cari fratelli,

quante volte ci è stato detto di stare zitti, che fosse meglio tacere, che non c’erano parole adeguate, anzi…ogni parola era inopportuna, fastidiosa, stucchevole, di troppo, perché la nostra parola può essere scomoda, creare dissenso, seminare dubbio ed essere divisiva.

Ecco, questo deve essere ciò che hanno pensato i farisei, quando hanno chiesto a Gesù di sgridare e far tacere i suoi discepoli.

Ma Gesù risponde loro con una frase che è la pietra miliare di ogni confessione di fede, e può diventare un motore per la nostra testimonianza: “se anche questi tacciono, le pietre grideranno!”. Quando anche i discepoli non potessero parlare di Gesù, non testimoniassero del Regno dei cieli, lo farebbero le pietre del selciato dell’ingresso di Gerusalemme.

Per i farisei sentire acclamare Gesù come re, assistere alla folla che lo loda con canti di festa, lui che è re di un regno senza confini, fa proprio rabbia.

Alla rabbia dei farisei Gesù risponde con una frase quasi incendiaria, con una provocazione: “se anche questi tacciono, le pietre grideranno!”.

Questa frase però è anche una dimostrazione del potere nuovo e diverso di Gesù rispetto all’autorità che zittisce e condanna al silenzio. Gesù invita a prendere la parola, non per piacere agli altri o per mettersi in mostra ma per dare un messaggio rivoluzionario, pericoloso, scandaloso in ogni tempo: Gesù è il re di un regno inimmaginabile, un regno dove non c’è sopraffazione, dove non c’è chi controlla e chi è controllato, chi abusa e chi è abusato, chi combatte e chi si difende, chi si vendica e chi è vendicato.

La provocazione resta tale anche per i lettori del Vangelo di ogni tempo, è un balsamo per tutti coloro che si sentono dei credenti imperfetti e impacciati: a prescindere dall’efficacia della loro testimonianza i fatti diranno che Gesù è il re della storia.

È una sfida per ogni credente, quella di cogliere i segni della salvezza ed esprimere anche il giudizio di Dio sulla storia umana con la propria voce che è più udibile di quella di una pietra. Ma spesso rimaniamo assordati nel silenzio dei nostri pensieri e diventiamo complici del “non voler disturbare”, ci nascondiamo dietro il tanto altro che abbiamo da fare.

Eppure dobbiamo ripartire dalla vocazione che abbiamo ricevuto, non solo chi tra noi è pastore, teologo, predicatrice, ma tutti e tutte noi credenti siamo chiamati ad annunciare l’Evangelo, anche quando questo compito si fa irriverente, scomodo!

Le pietre del selciato di Gerusalemme, vicino al monte degli ulivi, avrebbero gridato tutta la regalità di Gesù di Nazareth, il figlio di Dio venuto dalla Galilea, avrebbero acclamato il messia della periferia.

Il fatto che Gesù sia re di un regno senza confini e senza corona rivela tutta la fragilità e la disumanità dei regni di cui è stata costellata la storia, regni che spesso hanno usato proprio Gesù e Dio per legittimare il loro potere. Gesù è re dei giudei ma non in alternativa all’impero romano; è re del Regno di Dio, suo Padre, un regno i cui sudditi sono chiamati ad annunciare, a collaborare e costruire, in cui non c’è un potere oppressivo e un confine territoriale, neppure temporale, ma si vive l’utopia dell’amore di Dio per ognuno e ciascuna.

Se Gesù è re, allora nessun regno di questo mondo è veramente legittimo, vorrei dire: nessun potere di questo mondo ha autorità.

La teologia luterana ortodossa certo non sarebbe d’accordo con questa mia affermazione, ma ritengo vero per noi oggi che nessun potere può sentirsi tutelato dal Deus vult, Dio lo vuole.

Nessun potere al mondo può credersi assoluto ma deve permettere alla “voce che disturba”, al dissenso, di elevarsi.

La voce che afferma che Gesù è il Re esprime la relatività di ogni potere umano esistente. Questa parola diventa scomoda e urticante per ogni potere e per ogni autorità: la regalità di Gesù si esercita nella potenza che si dimostra nella debolezza (2 Cor 12). La regalità di Gesù rimane così “spina nella carne” di ogni potere umano.

Possiamo dire che Dio è re per regnare in un regno che sfida e surclassa ogni potere umano perché è un regno di pace, di giustizia e di amore, un regno il cui re non ha scettro né corona, non ha cioè il potere esercitato con controllo e oppressione.

Un regno che non ha tempo perché è in ogni tempo, in ogni pagina della storia.

Nel Medioevo il teologo hussita Nicola da Dresda usa l’immagine forte delle pietre che gridano la testimonianza che mancava in quel tempo della storia, per difendere la parola pubblica e la predicazione delle donne in un tempo in cui, a qualche centinaio di chilometri, le donne che osavano un ruolo pubblico nella società erano accusate di stregoneria e qualche volta condannate al rogo.

Una pagina della storia del cristianesimo e del movimento valdese su cui spesso sorvoliamo; eppure il nesso tra le donne e le pietre è un nesso che nella storia valdese della testimonianza ritorna prepotente così come nel dibattito sinodale sul ministero pastorale e l’accesso alla Facoltà delle donne negli anni ’50: se l’Evangelo può essere annunciato da elementi inerti, tanto più lo possono fare le donne, se preparate.

Altri credenti hanno sentito le pietre gridare ancora novanta anni fa mentre i cristiano-tedeschi si piegavano al culto della persona del Führer; poco dopo anche in Casa valdese si discuteva la posizione della chiesa durante il fascismo. È stato necessario ritornare a Gesù Cristo, per la chiesa confessante, per la teologia della chiesa valdese.

E oggi che cosa grideranno le pietre?

Potremmo dire banalmente che gridano contro ogni guerra e ogni sopraffazione.

Eppure credo che ancora oggi grideranno di Gesù Cristo, il fondamento della nostra esistenza come chiesa e come comunità di credenti: se guardassimo a Gesù Cristo non ci pronunceremmo solo contro la guerra ma ci impegneremmo per costruire pace a partire dal nostro contesto prossimo, di relazioni personali e comunitarie.

Le pietre grideranno l’ingiustizia ma noi discepoli e discepole potremmo certamente metterci all’opera per una società che impari nuovamente a confrontarsi e discutere in un pluralismo di idee e opinioni, per una chiesa che non tema la secolarizzazione o l’estinzione.

A noi, care sorelle e cari fratelli,

questa promessa di un’evangelizzazione dal basso del selciato giunga come un antidoto allo scoraggiamento dei nostri piccoli numeri, della stabile decrescita.

Sia piuttosto un incoraggiamento a continuare a tessere rete e costruire legami per moltiplicare l’amore di Dio.

L’Evangelo di Gesù Cristo viene proclamato ogni volta che una squadra di Breakfast Time, un gruppo di volontari di ogni comunità distribuiscele colazioni ai senza tetto, ogni volta che come comunità locali cerchiamo di superare l’ingiusto svantaggio economico di chi è sempre più povero; ogni volta che ci impegniamo per la legalità non solo a parole; ogni volta che apriamo attività nuove per dire chi è il Dio di Gesù Cristo a persone che forse in chiesa e ad uno studio biblico non verrebbero mai.

E se persino le pietre, che sono gli esseri più immobili e inerti che possiamo immaginare, potranno testimoniare di Gesù, allora noi che potremmo mai dire di più?

Certamente potremo confessare il nostro peccato: l’ingiustizia, il conflitto, l’odio che abbiamo visto e taciuto, che abbiamo persino disseminato nel mondo, che non siamo riusciti ad arginare e allora sì che avremo parlato del regno di Dio, che Gesù Cristo ci ha annunciato.

La buona notizia che questa parola di Gesù ci offre è ancora una volta tutta la sua radicalità, e tutta la sua scomodità; eppure senza questa fatica, vana è la nostra fede.

Perché abbiamo avuto tutti e tutte almeno una volta la tentazione di ergerci noi personalmente a sovrani e governanti del nostro mondo anche solo per un minuto e invece è venuto il tempo di riconoscere il nostro peccato e annunciare al mondo una cosa che questi 850 anni di storia della chiesa valdese ci hanno mostrato in maniera chiara: la parola pubblica della chiesa si distingue dal brusio delle epoche storiche perché annuncia Gesù Cristo, un re senza corona con un potere diverso da quello del mondo.

Questa verità non diventerà mai relativa, e non verrà mai meno.

Amen.

26 Agosto 2024Permalink

12 giugno 2024 – Ho trovato e copiato.

Da la rivista Il Regno
BLOG

In memoria di Jürgen Moltmann: io mi domando…

La teologia, ormai, o è ecumenica o non è. Questa consapevolezza è l’eredità che molti teologi e teologhe riconoscono di aver ricevuto da Jürgen Moltmann, che ci ha lasciato il 3 giugno. Il suo lavoro è stato tutto a favore di un’unità nella pluralità: lo stesso desiderio che muove anche il pensiero delle donne. Perciò anche le teologhe fanno memoria grata della vita di questo studioso cristiano.

Per chi, come me, ha studiato teologia negli anni ’70 del secolo scorso, la morte di Jürgen Moltmann rappresenta un vero e proprio lutto. Perché Jürgen Moltmann è entrato a far parte della mia vita. Certo, non la concreta vita di tutti i giorni, ma la vita del pensiero, e del pensiero teologico. La sua teologia della croce, la sua teologia della speranza ci hanno insegnato a ragionare, cioè a mettere in questione e al contempo a cercare soluzioni, per rispondere alle domande teologiche che qualsiasi generazione si porta dentro. A partire dal confronto con le generazioni dei Padri, ma pensando anche alla generazione dei Figli e delle Figlie.
Un lascito testamentario

Un pensiero di Moltmann gira in rete in questi giorni, forse perché sentiamo che rappresenta una sorta di lascito testamentario. Soprattutto per noi teologi europei, cattolici protestanti ortodossi:

“Il protestantesimo è solo la mia provenienza, l’ecumenismo è il mio futuro. Per questo non mi interessa se uno è cattolico, ortodosso o metodista: voglio formulare una teologia cristiana, perciò traggo volentieri spunto anche dal mondo cattolico e ortodosso”.

Perché lo considero un lascito testamentario di Moltmann alla mia generazione, a noi che siamo stati i suoi discepoli virtuali, a quelli che hanno recepito tutto il suo sforzo di ripensare i nodi fondamentali della teologia protestante? In questo momento noi – la generazione dell’ecumenismo, quella che ci ha creduto, quella che è stata educata a riconoscere che la teologia ormai era diventata ecumenica e non poteva che essere così – noi viviamo con grande dolore lo stallo dell’ecumenismo che dura ormai da molti anni. In Europa le chiese, tutte, non hanno più la capacità di trovare i punti di incontro, di far risaltare, come diceva Papa Giovanni e come il Concilio ha provato ad assumere nella filigrana delle proprie decisioni, quello che le unisce più che quello che le divide. Per noi, scoprire quello che ci unisce aveva rappresentato poter contare su una pista di lancio; insistere, soprattutto nei gesti e nelle pratiche, su quello che ci divide rappresenta invece la palude dello status quo. Le parole di Moltmann diventano allora un giudizio. E, anche, una provocazione.

Mi domando per esempio – ed è un pensiero che non mi lascia dal giorno in cui noi cattolici abbiamo celebrato la festa del Corpus Domini – quando finalmente la festa del Corpo di Cristo non sarà legata soltanto alla tradizione cattolica, con tutto il retaggio che secoli e secoli di devozione si portano dietro; quando non sarà una festa solo cattolico-romana, ma sarà finalmente il riconoscimento condiviso di tutto ciò che l’espressione “corpo di Cristo” comporta. E sarà quindi la festa dell’ospitalità eucaristica, almeno lì dove la compresenza di comunità di diverse tradizioni cristiane dovrebbe ormai imporre di ospitarsi reciprocamente alla mensa eucaristica. Perché si può ma, soprattutto, si deve.

Aprirsi a un futuro comune

E, vedendo qual è la situazione in cui versano le nostre chiese storiche in Europa, nell’Europa cosiddetta unita, mi domando ancora se la separazione tra le diverse tradizioni cristiane non contribuisce, oltre che al loro declino e alla loro difficoltà per riuscire a presentarsi ancora come un punto di riferimento soprattutto per le generazioni più giovani, anche a ostacolare la crescita di un’Europa finalmente  viva, finalmente forte, forte della sua storia, del suo pensiero, dei suoi errori, del faticoso cammino di purificazione a cui l’hanno costretta i suoi stessi errori. Mi domando se anche l’ecumenismo, cioè la capacità delle chiese di mettersi in discussione e di aprirsi a un futuro comune, non possa rappresentare un elemento in grado di contribuire a far crescere la consapevolezza delle proprie possibilità e delle proprie responsabilità. Ben sapendo che molto ancora c’è da lavorare per fare veramente dell’Europa la realizzazione del sogno che l’ha fatta nascere.

Jürgen Moltmann ha ragione: la nostra generazione non può dirsi né protestante, né cattolica né ortodossa. Può dirsi soltanto cristiana e, proprio per questo, ecumenica. Perché lui, Hans Küng, Karl Rahner, Edward Schillebeeckx, Luigi Sartori, Germano Pattaro e tanti altri ce lo hanno insegnato. Il loro sforzo di uscire dai recinti confessionali e di accettare il confronto è stato per noi il lievito che ha fatto fermentare la nostra riflessione teologica. Ha reso anche più salda la nostra opzione di fede e la nostra appartenenza ecclesiale.

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12 Giugno 2024Permalink

15 maggio 2024 – Il testo integrale del discorso della Senatrice Liliana Segre 14 maggio 2024 e anche altro

 

“Signor Presidente, Care Colleghe, Cari Colleghi,

continuo a ritenere che riformare la Costituzione non sia una vera necessità del nostro Paese. E le drastiche bocciature che gli elettori espressero nei referendum costituzionali del 2006 e del 2016 lasciano supporre che il mio convincimento non sia poi così singolare.

Continuo anche a ritenere che occorrerebbe impegnarsi per attuare la Costituzione esistente. E innanzitutto per rispettarla.

Confesso, ad esempio, che mi stupisce che gli eletti dal popolo – di ogni colore – non reagiscano al sistematico e inveterato abuso della potestà legislativa da parte dei Governi, in casi che non hanno nulla di straordinariamente necessario e urgente.

Ed a maggior ragione mi colpisce il fatto che oggi, di fronte alla palese mortificazione del potere legislativo, si proponga invece di riformare la Carta per rafforzare il già debordante potere esecutivo.

In ogni caso, se proprio si vuole riformare, occorre farlo con estrema attenzione. Il legislatore che si fa costituente è chiamato a cimentarsi in un’impresa ardua: elevarsi, librarsi al di sopra di tutto ciò che – per usare le parole del Leopardi – “dall’ultimo orizzonte il guardo esclude”. Sollevarsi dunque idealmente tanto in alto da perdere di vista l’equilibrio politico dell’oggi, le convenienze, le discipline di partito, tutto ciò che sta nella realtà contingente, per tentare di scrutare quell’ “Infinito” nel quale devono collocarsi le Costituzioni. Solo da quest’altezza si potrà vedere come meglio garantire una convivenza libera e sicura ai cittadini di domani, anche in scenari ignoti e imprevedibili.

Dunque occorrono, non prove di forza o sperimentazioni temerarie, ma generosità, lungimiranza, grande cultura costituzionale e rispetto scrupoloso del principio di precauzione.

Non dubito delle buone intenzioni dell’amica Elisabetta Casellati, alla quale posso solo esprimere gratitudine per la vicinanza che mi ha sempre dimostrato. Poiché però, a mio giudizio, il disegno di riforma costituzionale proposto dal governo presenta vari aspetti allarmanti, non posso e non voglio tacere.

Il tentativo di forzare un sistema di democrazia parlamentare introducendo l’elezione diretta del capo del governo, che è tipica dei sistemi presidenziali, comporta, a mio avviso, due rischi opposti.

Il primo è quello di produrre una stabilità fittizia, nella quale un presidente del consiglio cementato dall’elezione diretta deve convivere con un parlamento riottoso, in un clima di conflittualità istituzionale senza uscita. Il secondo è il rischio di produrre un’abnorme lesione della rappresentatività del parlamento, ove si pretenda di creare a qualunque costo una maggioranza al servizio del Presidente eletto, attraverso artifici maggioritari tali da stravolgere al di là di ogni ragionevolezza le libere scelte del corpo elettorale.

La proposta governativa è tale da non scongiurare il primo rischio (penso a coalizioni eterogenee messe insieme pur di prevalere) e da esporci con altissima probabilità al secondo. Infatti, l’inedito inserimento in Costituzione della prescrizione di una legge elettorale che deve tassativamente garantire, sempre, mediante un premio, una maggioranza dei seggi a sostegno del capo del governo, fa sì che nessuna legge ordinaria potrà mai prevedere una soglia minima al di sotto della quale il premio non venga assegnato.

Paradossalmente, con una simile previsione la legge Acerbo del 1923 sarebbe risultata incostituzionale perché troppo democratica, visto che l’attribuzione del premio non scattava qualora nessuno avesse raggiunto la soglia del 25%.

Trattando questa materia è inevitabile ricordare l’Avvocato Felice Besostri, scomparso all’inizio di quest’anno, che fece della difesa del diritto degli elettori di poter votare secondo Costituzione la battaglia della vita. Per ben due volte la Corte Costituzionale gli ha dato ragione, cassando prima il Porcellum e poi l’Italicum perché lesivi del principio dell’uguaglianza del voto, scolpito nell’art. 48 della Costituzione. E dunque, mi chiedo, come è possibile perseverare nell’errore, creando per la terza volta una legge elettorale destina compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare” ?

Ulteriore motivo di allarme è provocato dal drastico declassamento che la riforma produce a danno del Presidente della Repubblica. Il Capo dello Stato infatti non solo viene privato di alcune fondamentali prerogative, ma sarebbe fatalmente costretto a guardare dal basso in alto un Presidente del Consiglio forte di una diretta investitura popolare.

E la preoccupazione aumenta per il fatto che anche la carica di Presidente della Repubblica può rientrare nel bottino che il partito o la coalizione che vince le elezioni politiche ottiene, in un colpo solo, grazie al premio di maggioranza.

Anzi, è addirittura verosimile che, in caso di scadenza del settennato posteriore alla competizione elettorale, le coalizioni possano essere indotte a presentare un ticket, con il n° 1 candidato a fare il capo del governo ed il n° 2 candidato a insediarsi al Quirinale, avendo la certezza matematica che – sia pure dopo il sesto scrutinio (stando all’emendamento del Sen. Borghi) – la maggioranza avrà i numeri per conquistare successivamente anche il Colle più alto.

Ciò significa che il partito o la coalizione vincente – che come si è visto potrebbe essere espressione di una porzione anche assai ridotta dell’elettorato (nel caso in cui competessero tre o quattro coalizioni, come è già avvenuto in un recente passato grado di conquistare in un unico appuntamento elettorale il Presidente del Consiglio e il governo, la maggioranza assoluta dei senatori e dei deputati, il Presidente della Repubblica e, di conseguenza, anche il controllo della Corte Costituzionale e degli altri organismi di garanzia. Il tutto sotto il dominio assoluto di un capo del governo dotato di fatto di un potere di vita e di morte sul Parlamento.

Nessun sistema presidenziale o semi-presidenziale consentirebbe una siffatta concentrazione del potere; anzi, l’autonomia del Parlamento in quei modelli è tutelata al massimo grado. Non è dunque possibile ravvisare nella deviazione dal programma elettorale della coalizione di governo – che proponeva il presidenzialismo – un gesto di buona volontà verso una più ampia condivisione. Al contrario, siamo di fronte ad uno stravolgimento ancora più profondo e che ci espone a pericoli ancora maggiori.

Aggiungo che il motivo ispiratore di questa scelta avventurosa non è facilmente comprensibile, perché sia l’obiettivo di aumentare la stabilità dei governi sia quello di far eleggere direttamente l’esecutivo si potevano perseguire adottando strumenti e modelli ampiamente sperimentati nelle democrazie occidentali, che non ci esporrebbero a regressioni e squilibri paragonabili a quelli connessi al cosiddetto “premierato”.

Non tutto può essere sacrificato in nome dello slogan “scegliete voi il capo del governo!” Anche le tribù della preistoria costituzionali hanno separazione dei poteri, controlli e bilanciamenti, cioè gli argini per evitare di ricadere in quelle autocrazie contro le quali tutte le Costituzioni sono nate.”

E neppure Elena Cattaneo tace

Riforme, il giorno delle senatrici a vita. “Non posso tacere” (agi.it)

Ma io  voglio ricordare  le due senatrici  anche per un gesto nobile di rispetto della professionalità di una professoressa palermitana, Rosa Maria Dell’Aria  e del  lavoro, dei suoi studenti svillaneggiato  con una denuncia  proveniente da persona presente nelle istituzioni .
Se ne tacessi il mio blog non mi perdonerebbe
Le senatrici i allora dichiararono: “l 31 maggio del 2019, quando il «caso» dei ragazzi di Palermo e della loro professoressa conquistò i titoli dei giornali, trascinato nel dibattito politico, abbiamo voluto accoglierli in Senato, per offrire loro un’occasione di riconciliazione con le istituzioni e di riflessione sui valori fondanti della nostra Costituzione”.  Ne scrissi molto nel mio blog e più volte.  Il link che trascrivo  contiene anche qualche riferimento ad altre   pagine
28 dicembre 2020 — Una storia finita come deve essere. Diari e altro non dimentica

15 Maggio 2024Permalink

17 aprile 2024 – Ho scritto su Facebook (escluso il riferimento all’Ordinariato militare e conseguenti cappellani).

  1. Spero che il testo di Canfora sia letto e meditato nell’oggi pigro , asservito spesso al ‘male ‘ , non percepito della sua violenza armata di parole che ne hanno fatto banalità

15 aprile 2024   ·

“Mi capita di ripetere sempre che lo studio del mondo classico in cui la schiavitù era la base dell’economia e della ricchezza è al massimo attuale, perché la schiavitù riappare sempre in altre forme, dall’estremo Oriente alla Daunia. Non è mai finita purtroppo e quindi studiare le rivolte degli schiavi di Sicilia non è un giuoco, ma è parlare di noi stessi. È il problema della libertà, che è una parola che tutti usano senza chiedersi cos’è, quali sono le sue potenzialità e i suoi limiti. Se uno dovesse raccogliere tutto il pensiero filosofico in un’unica parola si ricondurrebbe tutto alla libertà: Dante dice che va cercando libertà all’inizio del Purgatorio, perché è la summa dei nostri desideri e pensieri della vita morale.”

Luciano Canfora, intervista 7 luglio 2023, Quotidiano di Puglia

  1. Non è solo il doveroso ricordo di Margherita Hack grande donna ma il riconoscimento di una voce che è quella di molte è molti di noi e a cui voglio (vogliamo ? ) dar suono.

23 gennaio 2024

“Dio mi sta bene, e anche la patria e la famiglia; ma il trilogismo Dio-Patria-Famiglia non mi sta più bene.

Dico no a quel dio usato come cemento nazionale, a quella patria spesso usata per distruggere altre patrie, a quella famiglia chiusa nel proprio egoismo di sangue.

Non mi riconosco tra quei cittadini ligi e osservanti che vanno in chiesa senza fede, che esaltano la famiglia senza amore, che osannano alla patria senza senso civico”.

 

Su quanto segue sto ragionando da tempo. Metto i link che forse servono ad altri che vogliano seguire un analogo percorso:  aug

L’Ordinariato militare per l’Italia venne eretto il 06/03/1925 con Decreto della Sacra Congregazione Concistoriale e approvato dallo Stato Italiano con L. 417/1926 che istituiva un contingente permanente di cappellani in tempo di pace.

Vedi

https://it.cathopedia.org/wiki/Ordinariato_militare

Il Cappellano Militare – Ordinariato Militare per l’Italia

 

 

17 Aprile 2024Permalink

14 dicembre 2023 _ Parla il nuovo Presidente Corte Costituzionale, Augusto Barbera

Sono riuscita ad inserire nel mio blog questo  video con le dichiarazioni del nuovo Presidente della Corte Costituzionale  (resterà in carica, a quanto ho capito, fino al mese di dicembre  2024).
Mi è  molto piaciuto anche un  precedente video in cui stigmatizzava pesantemente il  voto di fiducia, “segno di debolezza”
Dal 2009  quel segno di debolezza è diventato forza nello stimolare l’indifferenza e plumbei silenzi  tombali.
Qui  in un discorso evidentemente improvvisato (lo ha proposto 2 giorni dopo la sua elezione) lascia trasparire tutta la sua sapiente professionalità,  ripercorrendo strade del passato che, conosciute, potrebbero  aprire a nuovi obiettivi da raggiungere nel futuro.  .
Lo invierò ad alcun i amici e, se  avrò risposte , le  trascriverò.
Mi ha molto emozionato leggere in tanti momento di quel percorso che il Presidente Barbera delinea  la mia partecipazione a movimenti della società civile attivi ed efficaci almeno nel promuovere conoscenza , movimenti che oggi sembrano spenti in un atteggiamento di annoiata indifferenza per molti, di pigra  rassegnazione per altri
Penso ai piccoli nati in Italia destinati per legge ad  essere senza nome, senza identità , senza famiglia .
Non posso immaginare un  soprassalto di decenza  in un parlamento neghittoso  capace di schiamazzi. ma non di risoluzioni attente al problema dei diritti come proclamati nei primi articoli della Costituzione
Se ne parlasse almeno nella società civile ….

14 Dicembre 2023Permalink

19 novembre 2023. Ieri era l’anniversario della morte di Adriana Zarri

In memoria di Adriana ZARRI, morta a 91 anni alle Crotte di Strambino, nella campagna piemontese, il 18 novembre 2010. Aveva vissuto gli ultimi trent’anni della sua esistenza in cascine solitarie, in cui conduceva, per scelta, una vita eremitica. Ma era, ed era sempre stata, impegnatissima sul fronte pubblico, come teologa progressista, scrittrice, giornalista (teneva una rubrica settimanale sul “Manifesto), militante delle cause civili (a favore della legge 194 sull’aborto) e politiche (nel 2004, alle elezioni europee, era stata candidata nelle liste di Rifondazione Comunista).
Scrisse la sua epigrafe in forma di poesia:
«Non mi vestite di nero:/è triste e funebre./Non mi vestite di bianco:/è superbo e retorico./Vestitemi/a fiori gialli e rossi/e con ali di uccelli./E tu, Signore, guarda le mie mani./Forse c’è una corona./Forse/ci hanno messo una croce./Hanno sbagliato./In mano ho foglie verdi/e sulla croce,/la tua resurrezione./E, sulla tomba,/non mi mettete marmo freddo/con sopra le solite bugie/che consolano i vivi./Lasciate solo la terra/che scriva, a primavera,/un’epigrafe d’erba./E dirà/che ho vissuto,/che attendo./E scriverà il mio nome e il tuo,/uniti come due bocche di papaveri».
Altre sue citazioni, per capire il modo in cui viveva la sua fede cristiana:
«Un amico auspicava il momento (quanto lontano non si sa ma temo – ahimé – lontanissimo) in cui, alla loggia di San Pietro, si sarebbe affacciato un papa con consorte al seguito annunciando: “questa è mia moglie”. Ma io vado più avanti: quando si affaccerà un papa donna col principe consorte al seguito, annunciando: “questo è mio marito”?».
«Non credo nell’inferno perché mi sembra un insulto alla bontà di Dio. Anche la nostra cultura laica non ammette più la giustizia puramente punitiva. E la concepisce solo come capacità di riscatto, di reinserimento. In una pena che dura per sempre come quella dell’inferno questo riscatto non c’è. Penso sia difficile ritenere che gli uomini sono più buoni di Dio. Quindi all’inferno non credo”.
Ho copiato questo testo, che condivido totalmente  dal post nella pagine facebook di Alberto Panaro
19 Novembre 2023Permalink

17 novembre 2023 _ Storia di un olocausto strisciante: i bambini vittime in pace e in guerra_ 2

16 novembre 2023      Nuovo pacchetto sicurezza: tutte le novità del decreto

La premier ha incontrato a Palazzo Chigi le organizzazioni sindacali e le rappresentanze del personale di Forze Armate, Forze di Polizia e Vigili del Fuoco.

Dai punti chiave elencati e visibili a chi legge il testo linkato accessibile anche audio
 copio il passaggio che segue e associo  alla norma , più volte descritta in questo mio blog, che  dal 2009 nega con un raggiro la registrazione anagrafica ai figli dei sans papier

Esecuzione della pena in caso di detenute madri

Previsto un regime più articolato per l’esecuzione della pena per le donne condannate quando sono in stato di gravidanza o sono madri di figli fino a tre anni. Non è più obbligatorio il rinvio dell’esecuzione della pena, ma è mantenuta tale facoltà in presenza dei requisiti di legge. Tra gli elementi che possono influire nella valutazione del giudice ci sarà, per esempio, la recidiva. È stata poi prevista la possibilità che la pena sia scontata presso gli istituti a custodia attenuata per detenute madri, fermo restando il divieto del carcere per le donne incinte e le madri dei bambini più piccoli (fino a un anno di età).

Una nota personale che sembra chiudere il cerchio della mia vita politica:
da consigliera comunale ignara ma non prostrata all’innocenza fasulla del consueto “non lo sapevo, non avevo capito ” il primo caso di cui mi occupai  (era il 1976 o 1977) fu quello delle madri in  carcere con i minori a Udine.  Ne ricevetti una robusta sberla da personaggi tanto istituzionali quanto vili per cui capii l’importanza che avevano  per  ‘lor signori’  i minori sgraditi  a causa della loro origine e fu il primo incoraggiamento a proseguire come ho fatto in varie circostanze. Perciò continuai  fino ad approdare  al beffato e negletto provvedimento che ostacola  con un raggiro la registrazione anagrafica ai figli dei sans papier , un  provvedimento che piace a politici, società civile e persino ai vescovi  italiani che nel loro sinodo sulla famiglia (CEI 2015) hanno consapevolmente scelto il silenzio sulla criticità della negata registrazione anagrafica ai nati in Italia , figli di migranti non  comunitari irregolari.
I primi senza nome per legge,  un’abile beffa all’articolo 3 della Costituzione

Nuovo pacchetto sicurezza: tutte le novità del decreto – Il Sole 24 ORE

17 Novembre 2023Permalink