3 febbraio 2024 – Dalla pagina del pastore Ferrario

Domenica 3 marzo 2014: Luca 9: 57-62  traduzione NR 2006  riferimento  MT 8: 19-22

Mentre camminavano per la via, qualcuno  gli disse: “Io ti seguirò dovunque andrai”. 58E Gesù gli rispose: “Le volpi hanno delle loro tane e gli uccelli del cielo  dei nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. 59A un altro disse: “Seguimi”. Ed egli  rispose: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. 60 Ma Gesù gli disse: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu và ad annunciare il regno di Dio”. 61Un altro ancora gli disse: “Ti seguirò, Signore; ma lasciami  prima salutare quelli di casa mia”. 62Ma Gesù gli disse: “Nessuno che abbia messo la mano all’aratro e poi  volga lo sguardo indietro è adatto per il regno di Dio”.

Se seguire Gesù è così impegnativo, forse è meglio lasciar perdere!

Una reazione del genere non è fuori luogo: anzi, essa potrebbe derivare da un atteggiamento serio nei confronti del testo, che cioè rinuncia ad “addomesticarlo” mediante qualche elucubrazione teologica e pastorale, accettandone invece la durezza. C’è poco da spiegare, Gesù è fin troppo chiaro; ma appunto, se non voglio giocare con le parole, devo ammettere che io non sono il soldato scelto dell’evangelo che Gesù delinea, bensì una persona normale, il che significa anche abbastanza mediocre.

Forse però le parole di Gesù dovrebbero essere ascoltate partendo non da ciò che egli chiede, bensì da ciò che dona e che viene nominato nel secondo e nel terzo di questi brevi dialoghi: Gesù chiama all’annuncio del Regno di Dio. E che cos’è mai il regno di Dio? È un tipo di vita, uno spazio spirituale, una relazione affettuosa, che Dio stabilisce con noi. Gesù, altrove, lo paragona a una perla preziosa, o a un tesoro nascosto nel campo: è vero, per acquistare la perla, o il campo dove c’è il tesoro, bisogna vendere tutto, acquisire il capitale. Ma lo scopo non è una vita misera, bensì l’acquisto del campo, una ricchezza più grande.

E’ così anche in questi dialoghi: Gesù offre qualcosa di grande e bello, la sua chiamata costituisce, in primo luogo, una grande occasione. La prima domanda che docciamo porci, dunque, non è se siamo abbastanza bravi, abbastanza forti, abbastanza generosi da far passare in secondo piano persino i legami familiari più significativi. Se partiamo da noi e dalla nostra disponibilità, siamo perduti. La vera domanda è: abbiamo ascoltato la buona notizia del Regno di Dio? Gesù, la sua persona, il suo messaggio, ci parlano?

Scoprirlo non è difficile. L’evangelo si manifesta come una grande passione, come una realtà carica di fascino. È come l’amore per una persona: naturalmente è impegnativo, si tratta di condividere tutto, dai soldi al bagno, la poesia dell’eros, ma anche la prosa delle pulizie e di tante altre cose molto terra terra. Nessuna persona innamorata, però, si spaventa di condividere il bagno. La partita, dunque, non si decide su ciò che lascio, ma su ciò che trovo, una vita con Gesù, una relazione con il suo Padre celeste, relazione che Gesù chiama “Regno di Dio”. Pensa a ciò che dici, dunque, quando affermi di voler essere cristiana/o, pensa a Gesù e chiediti se davvero egli è la passione della tua vita, che tiene insieme tutte le altre.

Per vivere questa passione, certamente, devi sapere che non tutto è sempre facile e che non si può essere indecisi per tutta la vita. Quando incontro pastori o pastore che sembrano sempre schiacciate dal peso del loro ministero, vorrei chiedere: ma la passione di leggere e spiegare la Bibbia non basta a donarti entusiasmo? So anch’io che a volte è difficile, per mille e mille ragioni, ma la difficoltà non può impedire di vivere la passione. Ma lo stesso discorso vale anche per il membro di chiesa che gestisce con avarizia il proprio tempo e il proprio denaro: oggi non posso e domani nemmeno; e certo, c’è la contribuzione, ma devo cambiare la macchina e pagare il mutuo… Io non posso né voglio analizzare la tua giornata né farti i conti in tasca: le esortazioni da sole restano inesorabilmente moralistiche, ognuno di noi sa trovare una ragione per dire che, in fondo, facciamo più di quanto fanno altri, contribuiamo più di altri eccetera. L’esortazione da sola lascia il tempo che trova. Gesù, invece, ci chiede: sei sicuro di avere ascoltato la buona notizia dell’evangelo? Certo, oggi lo sappiamo bene (cinquant’anni fa, era meno chiaro): non ci si può innamorare di un’ideologia e infatti la fede cristiana non lo è. La fede cristiana è una specie di innamoramento nei confronti di Gesù, così come ce lo testimonia il Nuovo Testamento. Se non sai che cos’è, non c’è raccomandazione né minaccia che tenga, sarai sempre lì a tirare sul prezzo a tenere la contabilità del tuo impegno e a sospettare che non ne valga la pena. Se invece Gesù ti parla, stai tranquilla che si fa capire: pensaci un attimo e valuta quello che devi affrontare, esattamente come quando costruisci un’esistenza con un uomo o una donna: dopodiché, vai, e vivi in pienezza la relazione, senza superficialità e al tempo stesso senza paura.

La vita cristiana non è per eroi della fede, ma per persone che vivono la passione dell’incontro con colui che ci introduce nel Regno di Dio.

3 Marzo 2024Permalink

7 gennaio 2024_ Grazie a Giancarla Codrignani che mi ha permesso di salvare un testo importante

Approfondimento
BERGMAN: IL FILM SU GESU’ (che non fece)
Sull’Osservatore Romano (31 agosto 2023) p. Virgilio Fantuzzi ricordò in un articolo il film su Gesù per il quale la televisione italiana nel 1974 aveva contrattato Ingmar Bergman, anche se – racconta il regista svedese stesso nell’autobiografia Lanterna Magica – l’incarico fu poi affidato a Zeffirelli (che realizzò “una vita e morte di Gesù come in un libro illustrato, una  vera  e  propria biblia pauperum”). In realtà Bergman aveva inviato un “piano dettagliato… sulla ultime quarantotto ore della vita del Salvatore”, profondamente coinvolto in un’opera che avrebbe voluto girare nella sua isola di Fàrö in cui i personaggi che vivono nel paesaggio spiazzante rappresentano uno dei drammi più straordinari dell’umanità a cui “sono inconsapevoli di prendere parte” e non sanno quanto sia destinato “a toccare profondamente le loro vite e a trasformarle”. Gli italiani “impallidirono”. Forse preoccupati “Io non sono un credente. Qualsiasi forma di salvezza ultra-terrena mi sembra blasfema.  La mia vita è priva di significato”. A p. Fantuzzi eventuali preoccupazioni degli italiani “impalliditi” – che hanno portato alla perdita del regista (risarcito generosamente) – sono state paradossali: basta un solo film di Bergman a capire che il  Gesù di Bergman sarebbe stato fortemente umano: persino  la “santità avviene dentro  gli esseri  umani e  nelle relazioni che intrattengono”. La  “luce” di Gesù,  per Bergman è brillante, «è quella di un essere umano….un  concentrato  di vita  che  non  può  essere  distrutto” e commenta che la ricerca esistenziale inquieta e profonda di Bergman avrebbe reso il suo Gesù un’opera di valore. Dalle parole di Bergman si colgono note di grande suggestione sui personaggi: la morte “spaventosa e bella”, Maria – che è vedova e vive con uno dei figli – che quando sa che il figlio è stato arrestato va a “vedere di persona… e nulla le sfugge”, Rufo il centurione “che sovrintende la crocefissione…con crescente angoscia”, il gelido Caifa che considera Gesù “un pericolo per il paese e l’ordine pubblico”, la cui collera non riesce più a controllarsi”, la moglie di Pilato che lo implora dopo avergli descritto un sogno sulla “disperazione e il vuoto delle loro vita, il giovane Giacomo minore incaricato della preparazione dell’agnello pasquale e che durante la cena cade in ginocchio “Padre perdonaci, perché non sappiamo quello che facciamo”; e la Maddalena incinta che “è fatta della stessa materia di cui sono. Fatti i veri santi” e che, dopo le morte di Gesù, celebra “una funzione religiosa” e, dopo averlo ritrovato vivo e riceve l’incarico di “informare i discepoli che presto sarà con loro”. Infine Pietro che, superato lo smarrimento, sente svanire lo sconforto parlando con i discepoli a cui ricorda “i doveri che Gesù ha assegnato loro “ verso “chi vive nell’oscurità e nella mortificazione… non devono sperperare l’eredità, altrimenti le loro vite perderanno significato”.
I timidi funzionari Rai ci hanno privato probabilmente di un’occasione di fede laica.
7 Gennaio 2024Permalink

8 dicembre 2023 _ Un tentativo di ecumenismo il giorno della festa dell’Immacolata

8 dicembre 2023

Dal Vangelo secondo Luca – Lc 1,39-45 (Lezionario di Bose)

39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto»


Il testo evangelico che è stato scelto dalla nostra comunità nel tentativo di rendere un po’ più ecumenica questa festa, vuole celebrare Maria quale dimora di Dio, Arca dell’alleanza che reca in sé, nel proprio corpo, la presenza di Dio, e che fa visita alla sua parente e con essa a tutto il popolo di Israele. Come un tempo il passaggio dell’Arca dell’alleanza, luogo sacramentale della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, portò benedizione e suscitò gioia ed esultanza, ora la presenza di Dio, grazie al “sì” di Maria, abita nella carne umana, nel corpo di una donna, e suscita la gioia e porta la benedizione dello Spirito santo a Elisabetta e al bambino – Giovanni – che ha nel ventre.

Meditando dunque questo testo, e scremando questa festa da un certo devozionalismo, ci appare una verità difficilissima da credere nel nostro quotidiano. La verità che Dio non disdegna il corpo umano come sua dimora. Maria è diventata madre del Signore nostro Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio. Ma poi via via nel corso della storia lo Spirito santo, che è Signore e procede dal Padre, ha preso dimora in tanti uomini e donne conosciuti e sconosciuti – i santi – che nella loro vita si sono fatti portatori di Dio ai loro fratelli e sorelle. Ma questa in fondo è la caratteristica dei “teofori”, dei portatori di Dio: essi non lo tengono per sé, ma diventano, in modi sempre diversi, degli illuminatori per gli esseri umani.

Così anche Maria; appena ricevuto l’annuncio delle grandi cose che ha operato il lei l’Onnipotente, ecco che si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa della Giudea nella casa di Elisabetta (v. 39). Nel suo viaggio Maria porta Cristo e l’incontro con Elisabetta diviene una pentecoste, una discesa dello Spirito in cui l’una riconosce l’altra nel mistero della propria vocazione. Riconoscere l’altro significa riconoscere ciò che Dio opera nell’altro e accettarlo con gioia, senza gelosie e rivalità.

E lo straordinario che Dio ha operato in Maria non l’ha isolata nell’orgoglio, ma l’ha sollecitata alla carità, spingendola a recarsi da Elisabetta, a vivere la propria maternità come apertura all’altra, come a una sorella più anziana: è un incontro autentico perché non si riduce a un faccia a faccia tra due persone, non è puramente orizzontale, ma si apre alla presenza del Terzo che regna tra le due donne, del Dio che in loro ha compiuto meraviglie. Così l’incontro diventa eucaristia e benedizione. Elisabetta benedice Maria per la sua fede nella parola di Dio, e nel seguito del brano Maria benedice Dio per quello che ha fatto in lei. Maria dunque è colei che non tiene per sé il dono di Dio, ma lo porta agli altri. E in questo modo Dio, che non disdegna di abitare nel nostro corpo, raggiunge gli umani ed è benedizione per tutti.

fratel Raffaele

 

8 Dicembre 2023Permalink

3 dicembre 2023_ anno liturgico 23-24_ Bose1 avvento

3 dicembre 2023

Mc 13,33-37
I Domenica di Avvento
di Sabino Chialà

In quel tempo Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «33Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. 34È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 35Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 36fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. 37Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!»


Un nuovo anno liturgico inizia con il tempo di Avvento. Tempo di ricominciamento che, come ogni anno, ci viene incontro con il suo invito alla vigilanza. Ci raggiunge come un invito e come un dono: darsi e accogliere la possibilità di ricominciare.

Ricominciare guardando al compimento, piuttosto che alle nostre prestazioni e ai nostri fallimenti. Guardando al futuro, non per misconoscere il passato o fuggire il presente, ma per ricomprendere tutto a partire dal compimento: il ritorno del Signore, alla fine dei tempi, e da lui ricevere senso e orientamento per il nostro impegno quotidiano.

Orientare la vita verso la venuta del Signore potrebbe sembrare una fuga da questo tempo carico di pena e incertezza. Si tratta invece di un atto di coraggio che si sostanzia di quella vigilanza cui invita con forza il brano evangelico di questa prima domenica. A questo sono orientati gli imperativi che ritmano il brano: “Guardate (blépete)” (v. 33), “restate svegli (agrypnéite)” (v. 33), “vegliate (gregoréite)” (vv. 35 e 37), in un crescendo che chiede sempre più presenza e capacità di penetrazione delle sfide del nostro tempo.

Ma seguiamo il racconto di questa breve parabola posta a conclusione del capitolo tredicesimo di Marco, il cosiddetto “discorso escatologico”, in cui, provocato dai discepoli sulla fine del tempo (v. 4), Gesù articola il suo annuncio distinguendo tra quelli che sono segni della fine e quelli che non lo sono. Quindi, al termine – ed è il nostro brano – offre alcune indicazioni su come vivere questo nostro tempo intermedio.

Ne parla ricorrendo a una parabola, tra le più concise, che inizia in modo brusco: “È come un uomo…” (v. 34). Marco non esplicita il primo termine di paragone. Cos’è “come un uomo”? Possiamo intendere che parli della vita, del nostro presente. Un tempo caratterizzato da un’assenza, quella di “un uomo che è partito” (v. 34), la cui identità non è precisata. Intuiamo che si tratti di Gesù, del quale curiosamente dice che “ha lasciato la propria casa” (v. 34). Sì, perché ormai, dopo l’incarnazione, la terra è anch’essa casa del Signore. Anche se ritarda, sembra dire Marco, ci ha lasciato la sua dimora: una casa da abitare.

Ma oltre alla casa, ha anche dato “ai suoi servi l’autorità (exouisía), a ciascuno la sua opera (érgon)” (v. 34), con cui abitare questo spazio e le relazioni che vi si intrattengono. In questo tempo di attesa ciascuno è affidatario di un’autorità e nessuno ne è privo. Si tratta di una responsabilità che si concretizza in un’opera concreta da svolgere. Perché in ciò consiste l’autorità: un’opera da svolgere, una responsabilità cui non venire meno, anche quando sembra troppo piccola rispetto alla pressura e ai bisogni del momento.

Ecco il senso della nostra vita e di questo tempo di attesa, che ci separa dal ritorno del Signore: vegliare per restare fedeli abitatori della casa del Signore, esercitando la responsabilità affidata a ciascuno. A qualcuno poi, detto “portinaio” (v. 34), è affidato il compito particolare di “vegliare”, indicando così una diversificazione nell’esercizio dell’autorità.

In un tempo in cui si torna a parlare di corresponsabilità, soprattutto nella Chiesa, questo brano ricorda che, pur nella diversità dei carismi, nessuno è senza autorità, ed è necessario che ciascuno riconosca quella altrui. Solo così è possibile restare fedeli discepoli del Maestro, nell’attesa del suo ritorno. L’autorità vera è quella che si esercita vivendo la propria vita con responsabilità, mettendo a frutto il dono ricevuto, al servizio gli uni degli altri.

Questo renderà attenti e non addormentati. Dunque capaci di scorgere il momento in cui il Signore viene, anche nell’ora più impensata, “all’improvviso” (v. 36). L’indeterminatezza del ritorno impone la vigilanza, il cui invito è rivolto a tutti, come dice il testo a conclusione: “Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!” (v. 37)

Siamo chiamati a vegliare sulla vita, perché è con la vita, vissuta in modo responsabile, che si attende o no il Signore. Lo si attende con la cura messa nell’opera affidata a ciascuno. Soprattutto nei momenti critici della storia, della nostra vita, della vita delle nostre comunità. Quando lo scoraggiamento rischia di vanificare anche le poche forse rimaste, questo testo ricorda che tutti abbiamo un’autorità, nessuno escluso, e a tutti è chiesto di vegliare, di non farsi prendere dal sonno.

L’Avvento è il momento favorevole per reimparare ad abitare consapevolmente, restando svegli, facendo ciascuno la propria parte, con coraggio e con dolcezza. Il coraggio e la dolcezza di chi sa che il Signore gli è già accanto e che il Signore gli viene incontro.


Lasciare tracce, seguire le orme

 

Danh Vo, Christmas (Rome), 2012, 2013, Pinault Collection. Installation view, Icônes, 2023, Punta della Dogana, Venezia. Ph. Marco Cappelletti © Palazzo Grassi, Pinault Collection

Danh Vo, Christmas (Rome), 2012, 2013, Pinault Collection. Installation view, Icônes, 2023, Punta della Dogana, Venezia. Ph. Marco Cappelletti © Palazzo Grassi, Pinault Collection

Cosa hanno in comune i drappi appesi di Danh Vo e il vangelo che apre questo tempo di Avvento?
La capacità di saper cogliere i segni del tempo che passa per scorgere qualcosa di nuovo ed inedito: questo anche è il senso dell’attesa vigilante.

 

Danh Vo è un artista danese di origine vietnamita. il 23 dicembre 2012, per questo il titolo dell’opera è Christmas (Natale), molti membri della famiglia allargata di Danh Vo si sono recati dalla loro casa di Copenaghen a Roma, dove l’artista stava preparando una mostra. Durante la visita, la famiglia ha visitato insieme i musei Vaticani. Lì, l’artista rimase colpito dall’aspetto di alcune teche per oggetti liturgici e reliquie e in seguito riuscì ad acquistare il tessuto di velluto utilizzato per rivestire queste vetrine. Vo ha riutilizzato il materiale per creare quest’opera.

L’occhio attento e vigilante dell’artista ha colto un segno che gli altri non avevano intuito: il passaggio del tempo aveva scolorito i tessuti lasciandone le forme impresse lì dove gli oggetti erano appoggiati. Vo ci invita a guardare il nostro presente con vigilanza, con attenzione, proprio nel passare del tempo restano delle tracce delle orme del passaggio del Signore che si imprimono nelle nostre vite.

Guardando con attenzione i drappi riconosciamo le forme: piccole ampolle, icone, croci…piccoli segni di un passaggio nelle nostre vite, piccoli segni della responsabilità che il Signore ci lascia in attesa del suo ritorno.

Questo lavoro ha anche un significato biografico per Vo. Il cattolicesimo ha fatto parte della vita dell’artista fin dalla più tenera età, prima della fuga della sua famiglia dal Vietnam nel 1979, quando Vo aveva solo quattro anni. Questa educazione religiosa è direttamente collegata a un evento storico più ampio: l’assassinio di Ngô Đình Diệm, il primo presidente del Vietnam del Sud, nel 1963. Phung Vo, il padre dell’artista, sosteneva ferventemente questo leader cattolico vietnamita. Dopo l’assassinio di Diệm, Phung si convertì dal confucianesimo al cattolicesimo, un atto di protesta politica che alla fine si trasformò in una fede sincera e viva.

Un grande ringraziamento alla Pinault Collection della sede di Punta della Dogana a Venezia per averci concesso l’utilizzo delle immagini della mostra “Icônes” che si è conclusa il 26 novembre di quest’anno.

3 Dicembre 2023Permalink

28 novembre 2023 _ Fra un mese il Natale 2023 sarà già passato

Dibattito tra gli storici. Gesù è nato a Betlemme. O a Nazareth?      Roberto Beretta mercoledì 22 novembre 2023

Alcuni studiosi stanno mettendo in dubbio i Vangeli, che hanno sempre accreditato la Giudea (oggi in Cisgiordania) e non la Galilea (in territorio israeliano), come patria natale del Messia

Betlemme o Nazareth? Palestina o Israele? La spaccatura creata dalla guerra non può che riflettersi anche sul Natale che viene, e non solo per le primarie, dolorose considerazioni sul tragico destino che investe la terra di Gesù.

Tra gli specialisti della materia si rafforza anche un dilemma prettamente storico relativo alla nascita di Cristo e va ad aggiungersi ai molti altri – ormai decisamente più acquisiti – che turbano le tranquille certezze delle tradizioni natalizie: il Messia non è nato nell’anno 1 (tanto meno nell’inesistente anno 0), non vide la luce in una grotta, ovviamente non era il 25 dicembre e non è detto che nacque di notte, così via elencando le precisazioni fino ad arrivare all’Epifania (la stella non era una cometa, i magi non erano tre e non erano nemmeno re…).

Si fa sempre più strada tra gli esegeti, infatti, l’ipotesi che persino il luogo della nascita del Nazareno sia da rivedere, in quanto non sarebbe il notissimo villaggio di Betlemme di Giudea – oggi in Cisgiordania, ovvero in territorio sottoposto all’Autorità palestinese – bensì la galilea Nazareth, che si trova in pieno suolo israeliano. La teoria non è certa nuova, data da oltre un secolo, tuttavia da un trentennio miete crescenti consensi e almeno in ambito anglosassone ormai si gioca alla pari la plausibilità con la versione tradizionale.

Ma è davvero possibile mettere in dubbio i Vangeli, Matteo e Luca, che per due millenni hanno accreditato Betlemme come patria del Messia?

Beh, le ragioni non mancano. La prima è senza dubbio l’appellativo di Gesù, unanimemente detto Nazareno ovvero (anche se non mancano ipotesi diverse) originario di Nazareth. Il Vangelo di Giovanni sembra darlo per pacifico allorché il saggio Natanaele, all’entusiasta neo-apostolo Filippo che l’invita a incontrare «il figlio di Giuseppe di Nazaret», replica: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?» (Gv 1,46). Scetticismo ribadito da alcuni farisei al capitolo 7, quando notano che «dalla Galilea non sorge profeta» e che secondo le Scritture il Cristo doveva piuttosto venire «da Betlemme, il villaggio di Davide». Gli stessi sinottici, del resto, alludono alla medesima conclusione quando narrano la visita di Gesù alla sinagoga di Nazareth, «sua patria», «dove era stato allevato».

Di solito all’obiezione si risponde grazie al racconto del medesimo Matteo, secondo cui la Sacra Famiglia «andò ad abitare in una città chiamata Nazareth» ma solo dopo la fuga in Egitto (Mt. 2,23). Per Luca invece quello stesso villaggio sarebbe stato il vero luogo d’origine di Giuseppe e Maria, la vergine che abitava appunto «in una città della Galilea, chiamata Nazareth» (Lc 1,26); da cui però la necessità per l’evangelista di spiegare l’occasione affinché il Messia nascesse invece a Betlemme, luogo d’origine della casata di Davide, così come aveva annunciato il profeta Michea.

Ed ecco la seconda forte perplessità degli studiosi, divisa in due corni. Anzitutto: come poteva una donna in avanzato stato di gravidanza affrontare un viaggio di circa 140 chilometri e più giornate tra Nazareth e Betlemme a dorso d’asino? E poi per quale motivo, visto che sarebbe potuta rimanere a casa assistita nel parto da amiche e vicine mentre il marito si recava nella città originaria ad adempiere i supposti doveri del censimento (che per i romani erano essenzialmente fiscali, non certo demografici)? Formalità decretata da Cesare Augusto, della cui storicità del resto non esiste prova; o meglio: un censimento venne sì effettuato in Palestina, però intorno al 6 dopo Cristo, in epoca cioè che costringerebbe a rivedere drasticamente tutta la cronologia accreditata sulla nascita di Gesù, abitualmente fissata tra il 6 e il 4 avanti Cristo.

Insomma, obiezioni e controdeduzioni si affastellano e non le evita nemmeno Joseph Ratzinger nel suo libro su «L’infanzia di Gesù» (2012). Benedetto XVI ammette appunto che secondo «autorevoli rappresentanti dell’esegesi moderna» l’indicazione di Betlemme «sarebbe un’affermazione teologica, non storica», dovuta cioè al desiderio degli evangelisti di accreditare il Nazareno come colui che compiva letteralmente le promesse delle Scritture. Tuttavia il giudizio finale del papa emerito non si discostava dalla tradizione: «Io non vedo come si possano addurre vere fonti a sostegno di tale teoria… Se ci atteniamo alle fonti, rimane chiaro che Gesù è nato a Betlemme ed è cresciuto a Nazareth».

L’autorevole posizione non è tuttavia condivisa da gran parte degli studiosi, e ciò proprio in quanto le fonti stesse danno indicazioni contrapposte: se per Luca è Nazareth la città di residenza della Sacra Famiglia (e dunque si presuppone il viaggio a Betlemme in occasione del parto), secondo Matteo i due sposi abitavano invece a Betlemme e si trasferirono in Galilea soltanto in seguito (ma allora non si capisce la collocazione dell’annunciazione a Nazareth)…

Raymond Brown, sacerdote cattolico ed esegeta ritenuto fra i maggiori esperti dei Vangeli dell’infanzia, nel suo ponderoso saggio su «La nascita del Messia» (1993) torna più volte sulla questione, soppesando tutti i dati contrastanti; ma neppure lui sembra in grado di dirimerla con certezza, limitandosi a un giudizio finale solo comparativo ancorché eloquente: «Le prove a favore della nascita a Betlemme sono molto più deboli che le prove a favore della discendenza davidica o perfino di quelle a favore del concepimento verginale». Il dibattito continua, anche se la tradizione non sembra essersene accorta.

https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/betlemme-o-nazareth?fbclid

Matteo 1,1-16

Genealogia di Gesù Cristo
1 Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abraamo.
2 Abraamo generò Isacco; Isacco generò Giacobbe; Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli; 3 Giuda generò Fares e Zara da Tamar; Fares generò Esrom; Esrom generò Aram; 4 Aram generò Aminadab; Aminadab generò Naasson; Naasson generò Salmon; 5 Salmon generò Boos da Raab; Boos generò Obed da Rut; Obed generò Iesse, 6 e Iesse generò Davide, il re.
Davide generò Salomone da quella che era stata moglie di Uria; 7 Salomone generò Roboamo; Roboamo generò Abia; Abia generò Asa; 8 Asa generò Giosafat; Giosafat generò Ioram; Ioram generò Uzzia; 9 Uzzia generò Ioatam; Ioatam generò Acaz; Acaz generò Ezechia; 10 Ezechia generò Manasse; Manasse generò Amon; Amon generò Giosia; 11 Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli al tempo della deportazione in Babilonia.
12 Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel; Salatiel generò Zorobabele; 13 Zorobabele generò Abiud; Abiud generò Eliachim; Eliachim generò Azor; 14 Azor generò Sadoc; Sadoc generò Achim; Achim generò Eliud; 15 Eliud generò Eleàzaro; Eleàzaro generò Mattan; Mattan generò Giacobbe; 16 Giacobbe generò Giuseppe, il marito di Maria, dalla quale nacque Gesù, che è chiamato Cristo.

LUCA 3, 23–38

Gesù, quando cominciò il suo ministero, aveva circa trent’anni ed era figlio, come si riteneva, di Giuseppe, figlio di Eli, 24figlio di Mattat, figlio di Levi, figlio di Melchi, figlio di Innai, figlio di Giuseppe, 25figlio di Mattatia, figlio di Amos, figlio di Naum, figlio di Esli, figlio di Naggai, 26figlio di Maat, figlio di Mattatia, figlio di Semein, figlio di Iosec, figlio di Ioda, 27figlio di Ioanàn, figlio di Resa, figlio di Zorobabele, figlio di Salatièl, figlio di Neri, 28figlio di Melchi, figlio di Addi, figlio di Cosam, figlio di Elmadàm, figlio di Er, 29figlio di Gesù, figlio di Elièzer, figlio di Iorim, figlio di Mattat, figlio di Levi, 30figlio di Simeone, figlio di Giuda, figlio di Giuseppe, figlio di Ionam, figlio di Eliachìm, 31figlio di Melea, figlio di Menna, figlio di Mattatà, figlio di Natam, figlio di Davide, 32figlio di Iesse, figlio di Obed, figlio di Booz, figlio di Sala, figlio di Naassòn, 33figlio di Aminadàb, figlio di Admin, figlio di Arni, figlio di Esrom, figlio di Fares, figlio di Giuda, 34figlio di Giacobbe, figlio di Isacco, figlio di Abramo, figlio di Tare, figlio di Nacor, 35figlio di Seruc, figlio di Ragàu, figlio di Falek, figlio di Eber, figlio di Sala, 36figlio di Cainam, figlio di Arfacsàd, figlio di Sem, figlio di Noè, figlio di Lamec, 37figlio di Matusalemme, figlio di Enoc, figlio di Iaret, figlio di Maleleèl, figlio di Cainam, 38figlio di Enos, figlio di Set, figlio di Adamo, figlio di Dio.

29 Novembre 2023Permalink