18 Giugno 2012 – Il cammino di Santiago 1

Proverò a descrive il viaggio promosso da Biblia (www.biblia.org) dove avranno uno spazio privilegiato le mie considerazioni: anche se in gruppo il viaggio l’ho fatto io e se non c’è viaggio che non sia un percorso, non c’è un percorso che non costringa a leggersi dentro, facilitati dagli stimoli che vengono dalle novità che si incontrano. Se poi i miei simpatici compagni di viaggio vorranno approfittare dello spazio dei commenti … il discorso sarà più completo e intrigante.
Distribuiti in due pullman eravamo ottantatré e sono certa che altrettanti sono i nostri viaggi.

1 giugno, primo giorno – arrivo a Bilbao – il museo Guggenheim

Purtroppo il tempo limitato, intrecciato con la perversità degli orari spagnoli che ci vorrebbe fermi fino alle dieci del mattino per iniziare le visite, ci impone una corsa serale dall’aeroporto a uno spazio che meriterebbe ben di più. Bilbao mi ha affascinato, forse per me è il ricordo più coinvolgente.
Non proporrò descrizioni del museo (in viaggio ci è stato fornito un libretto edito da Biblia, integrazione delle guide che –sfidando i limiti di peso concessi in aereo- avevamo portato con noi) e inoltre le informazioni fornite dai motori di ricerca sono ampie (purtroppo in buona parte in inglese ma se ne trovano anche in italiano. E’ sufficiente scrivere Guggenheim museum Bilbao e procedere fra i materiali che ci vengono offerti).
Per chi sia sul posto la prima fantastica offerta è l’edificio stesso, integrato in maniera che mi affascina con il territorio in cui è collocato. Ci propone materiali inusuali (il titanio) e soprattutto forme diverse da quelle ovvie; le disparità del territorio non sono appiattite secondo l’uniformità che vuole i palazzi emergenti ma ‘rispettate’ per cui -ad esempio- nel museo si entra scendendo e non salendo .

Attorno al museo

Bilbao è una grossa città (400.000 abitanti) e, come in tutta Europa, ha risentito delle modifiche del mercato del lavoro e dei conseguenti cambiamenti nella produzione (o è l’inverso?).
La zona in cui sorge il museo era un’area industriale abbandonata e perciò degradata (se non mi bastassero quelle di Udine … ricordo il lunghissimo tragitto compiuto fra abbandono e degrado in Armenia, una delle situazioni che, da questo punto di vista, mi ha più impressionato).
La costruzione del museo è frutto di una intelligente e lungimirante scelta dell’amministrazione locale (Giancarla C., con cui spesso mi capita di ritrovarmi in non previamente concordata sintonia, ce lo ha ricordato più volte)

che ha voluto la ristrutturazione di tutta l’area. Oggi canali, strade, edifici, alcuni dei quali caratterizzati da ‘gigantismo’, circondano la splendida piazza che affianca il museo .
Dal selciato, nella zona più bassa, si alzano schizzi d’acqua che vanno e vengono per la gioia di bambine e bambini, ma anche adolescenti che, più o meno vestiti, si impegnano nell’eterno gioco dell’acqua. Strillano e nessuno protesta. Mi vengono in mente gli anziani che dalle mie parti usano il mugugno – lamentoso o astioso che sia – come il più normale mezzo di comunicazione. Più in là vedo un papà che gioca a palla con un figlio piccolissimo. C’è gente che va e viene … non sembra avere, almeno per il momento, altro scopo che quello di star bene in compagnia. Trasmettono una gioia coinvolgente, del tutto estranea alle volgarità che in Italia ci sono state propinate dall’alto. Ho l’impressione di trovarmi dentro un’illustrazione un po’ didattica della decrescita felice di Latouche.
Eppure sono nella ‘capitale’ dei Paesi Baschi (la terra dell’ETA –Euskadi Ta Askatasuna, in basco.  Tradotto fa ‘paese basco e libertà’). L’ultimo giorno della coda del mio viaggio spagnolo a Madrid  tenterò una visita al monumento delle vittime di Atocha (non ci riuscirò: gli orari spagnoli!).  Non posso e non devo dimenticare gli attentati ma devo constatare che c’è molto altro.
In particolare mi colpisce la gioia di vivere che ritrovo persino nella pomposa Madrid nei giorni del codicillo aggiunto al mio Biblia viaggio in un campetto per il gioco delle bocce  non lontano dal monumento a Cervantes.

 

 

 

Il mio pellegrinaggio

Ricordo a me stessa che partecipo a un viaggio che ripercorre l’itinerario dello storico pellegrinaggio a Santiago di Compostela. Che senso ha per me che cerco di capire mentre mi si propone prepotente alla mente la penna dell’agnolo Gabriello immortalata da Boccaccio? Certamente è importante rivisitare l’avventura medievale (e ne avremo occasione!) ma al presente, oggi, cosa mi dice?
La chiave della mia ricerca sta proprio in quel ‘presente’, nel tentativo di identificare su una strada antica quei segni dei tempi che un papa indimenticabile citò nella Pacem in terris e che ritroviamo anche nei testi del Vaticano II (e perché – a questo punto – mi vengono in mente il degrado e la rinascita di Bilbao?).

Nota  Fare clic sopra l’immagine per ingrandirla.

18 Giugno 2012Permalink

16 giugno 2012 – Nuovo Corso 6

 2 giugno – festa della  Repubblica. (nota mia: rileggere l’art. 11 della Costituzione)
 3 giugno 1963  – morte del papa Giovanni XXIII
 4 giugno 1989  – strage di piazza Tien An Men
 7 giugno 1989 –  la città del Vaticano diventa uno stato sovrano
 8 giugno 570 – alla Mecca nasce l’Islam
10 giugno 1924 – assassinio di Giacomo Matteotti
10 giugno 1940 – Mussolini annuncia l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale
                                 (iniziata il primo settembre 1939 con l’invasione della Polonia)
12 giugno 1964– Nelson Mandela è viene condannato all’ergastolo
17 giugno 1991 – fine dell’apartheid in Sudafrica
19 giugno 1945 –nascita di Aug San Suu Kyi
22 giugno 1633 – Galileo Galilei è costretto all’abiura
23 giugno 1858 – papa Pio IX fa rapire il bambino ebreo Edgardo Mortara
25 giugno 1946 – inizio dei lavori dell’Assemblea Costituente
26 giugno 1967 – morte di don Lorenza Milani a Firenze
27 giugno 1980 – strage di Ustica
28 giugno 1919 – trattato di Versailles – fine della prima guerra mondiale
29 giugno 1934 – Germania – notte dei lunghi coltelli
30 giugno 2005 – il parlamento spagnolo ammette i matrimoni gay

Ai miei compagni di viaggio in Spagna

Quanto prima inizierò il mio diario di viaggio (1-11 giugno, cui aggiungerò i miei due giorni a Madrid).
Sarei molto lieta se aggiungeste le vostre note alle mie, approfittando dello spazio per i commenti che si trova alla fine di ogni pezzo pubblicato.
Inserirò il percorso della mia memoria (e, spero, della vostra) nelle categorie Biblia, viaggi e nel tag viaggio Spagna 2012.

16 Giugno 2012Permalink

13 marzo 2011 – Una lettera da Trento

Faccio parte di un’associazione che si chiama BIBLIA (per chi volesse informazioni  biblia.org) e ho ricevuto da uno dei partecipanti a un incontro che si è svolto a Bressanone la scorsa estate una lettera che trascrivo, facendo seguire la mia risposta.
(Per correttezza, dato che se ne riferisce una frase pronunciata in una situazione privata, a meno che non venga a sapere che l’interessata preferisce il contrario, metto al posto di un nominativo le iniziali A.C.)

                 150° dell’Unità d’Italia Da Firenze a Bressanone (passando per Trento)    di Silvano Bert

L’episodio è di vita quotidiana. A. C. è una signora di Firenze presidente di “Biblia”, l’associazione laica di cultura biblica. E’ lei che organizza l’estate scorsa a Bressanone un seminario sulla Lettera di Paolo ai Romani. Siamo in trenta persone, da Bolzano a Napoli, da Udine ad Asti.  Quella di Roma è una comunità nata da poco, alla metà del primo secolo, punta estrema in occidente del movimento di Gesù di Galilea, già diffuso in Palestina, Siria, Asia Minore. La comunità è piccola, di qualche decina di persone, fiduciosa, in crescita. E tuttavia al proprio interno è divisa. Sono uomini e donne, liberi e schiavi, fratelli uniti dalla fede in Cristo, ma diversi per culture di appartenenza. I “giudei” e i “greci” (noi diremmo gli ebrei e i pagani) sono divisi a proposito della legge, cioè sulla circoncisione, i giorni festivi, le regole alimentari, il rapporto con l’autorità politica. La lettera è un arrovellarsi di Paolo attorno a quell’acuto conflitto d’identità. Al rapporto fra “noi” e “loro”.

A.C., a tavola, all’Accademia Nicolò Cusano che ci ospita, un giorno sbotta: “Com’è che io a Trento mi sento italiana, mentre qui a Bressanone, in Alto Adige, mi sento straniera?” Il conflitto di identità in questo caso si rivela interno alla stessa persona. Una fiorentina, di raffinata cultura, si sente italiana e straniera in una stessa regione d’Italia. I trentini sanno forse interagire con i fiorentini meglio dei brissinesi? O la presidente, nel salire da Firenze verso le Alpi, aveva in mente una Bolzano uguale a Trento? O si aspettava, piuttosto, che Trento assomigliasse a Bolzano? Dove sta la sorpresa, l’attesa non corrisposta?

Io le racconto un poco la storia di un Alto Adige che chiamiamo sempre più Sudtirolo, anche in Trentino. Le faccio notare che nel giorno più drammatico della storia d’Italia del Novecento, l’8 settembre 1943, lei a Firenze, erede di Cavour, è spaventata dall’occupazione, mentre a Bolzano i soldati tedeschi, la Wehrmacht di Hitler, e più indietro di Bismarck, sono accolti come liberatori, con entusiasmo.

Ma non può bastare. Chiedo al prof. Martin Lintner, dello Studio teologico di Bressanone, l’intervento tenuto a Trento al convegno internazionale dei teologi morali, come “contributo per la convivenza pacifica dei gruppi etnici in Alto Adige-Sudtirol”. Per A.C., quella relazione sull’identità che muta, ispirata a Levinas, è pubblicata da l’Invito (n.221). Mi colpisce una differenza. Nella mia paginetta di storia la svolta inizia con la Costituzione italiana che nel 1948, sulla scia dell’accordo fra De Gasperi e Gruber, riconosce alla regione l’autonomia. Per Lintner, allievo di vescovi come Gargitter, Egger, Golser, per la svolta devono passare altri vent’anni, fino al cosiddetto “pacchetto” di autonomia a favore della popolazione sudtirolese.

Quando Luis Durnwalder, sommerso di soldi, dichiara di sentirsi in Italia un “austriaco”, alzano in tanti la voce, i professori Rusconi e Pombeni, su fino a Dellai e al Presidente della Repubblica. Che hanno da dire, che abbiamo da dire però, se A. C., fiorentina, dichiara nel 2010 di sentirsi “straniera” in una porzione di stato italiano? Io non avevo mai sentito parlare di Trento così.

Paolo, a suo tempo, al conflitto d’identità esploso nella comunità cristiana di Roma fra giudei e greci, non trovò soluzione. Come trascendere le diversità senza annullarle, e come conservarle senza assolutizzarle? L’apostolo dei popoli, tradizionalmente pensato come il fondatore della “grande chiesa”,  fu in realtà un grande sconfitto. Il nodo sarà tagliato da una guerra romana che distruggerà prima il tempio e poi la stessa città di Gerusalemme. Gli ebrei, dispersi nel mondo, con la loro Bibbia dimezzata, eppure completa, diverranno il prototipo dello straniero. Lo straniero, un fuori luogo, avrà sempre poco da festeggiare. Anzi, costringerà anche quelli del luogo a pensare, a non ubriacarsi, nemmeno nei giorni di festa. E’ Piero Stefani a concludere a Bressanone il seminario frequentato da soli italiani. La relazione più avvincente è di Martin Buergenmeister, pastore tedesco nella comunità luterana di Merano. Letta in presenza di A.C., maestra di cerimonia, che si sente, non so a nome di quanti, italiana e straniera.
[lettera pubblicata nel quotidiano  L’Adige, 10.3.2011]

La mia risposta:

Caro Silvano,

Non voglio entrare in un possibile dibattito sull’identità riferendomi alla battuta di A.C.. Non ero a quel tavolo quindi mi sfuggono il contesto, i modi, gli sguardi: tutto ciò che in una situazione conviviale è presente e darebbe ‘sapore’ alla battuta che hai riferito e che così non so e non posso capire.

Però in questo momento in cui si riparla di identità italiana, cercando di sfuggire al nazionalismo che –almeno per i più vecchi di noi – rappresentava il veicolo con cui ci era stata imposta e ce l’aveva resa difficile se non da accettare, da affermare, voglio provare a mettermici anch’io, estendendo la tua lettera e la mia risposta anche ad altri presenti a Bressanone.

A Bressanone mi sentivo italiana o straniera? Non mi sono posta il problema e allora lo riformulo.

La mia situazione (vedi che non mi è riuscito di scrivere ‘ identità’ !) di cittadina italiana quando e dove si fa consapevolezza identitaria?

Se non ho mal di denti non mi pongo il problema della loro, pur residua, presenza in bocca e così non mi sento dotata di una schiena  finché svolge la sua funzione senza farsi sentire (il che capita quando fa male) … e per l’italianità è lo stesso. Sono nata in Italia, vissuta in Italia (salvo il periodo di occupazione tedesca nel ’43 quando dalle mie parti  diventammo Adriatische Küstenland” , Litorale Adriatico del Reich) e l’avrei detta cosa ovvia finché i fondamenti della Costituzione non sono stati messi in discussione a livello politico ma, soprattutto, di coscienza comune in cui la cultura abilmente promossa dalla Lega Nord ha saputo far lievitare il peggio del peggio del fondo oscuro di cui evidentemente non ci eravamo liberati nel 1948 e la cittadinanza è diventata privilegio.

Io credevo (e credo ancora)  fosse una condizione per affermare, nella chiarezza della continuità –non dell’opposizione-la coscienza dei diritti e dei doveri e invece è diventata occasione per affermarsi come privilegio e mezzo per rifiutare culture altre e diverse che –invece di eccitare la nostra umana curiosità e stimolare la nostra intelligenza-  diventano istigazione all’affermazione del pregiudizio.

E l’esercizio dell’intelligenza si umilia da piacere libero, anche se di faticoso esercizio,  a disciplina governata dal cattivo-buon senso.

E così la questione dell’identità italiana per me è uscita dal silenzio dell’ovvietà e si è fatta consapevolezza per impormi il carico del disagio di un ritorno a una specie di rinnovato feudalesimo, dove la cittadinanza sta trasformandosi in una sorta  di corporazione sempre più chiusa in un palazzo che, per essere fortificato e impenetrabile dal ‘nemico’, chiude anche le vie di fuga proprie dei sistemi di sicurezza.

E qui io mi sento soffocare….

La vie di fuga che assicurano la sicurezza della libertà reciprocamente riconosciuta e fondata sull’uguaglianza sono più praticabili a Trento che a Bolzano (per restare alle collocazioni geografiche che tu proponi )?

Questo non lo so; io so che una delle ragioni che mi rendono ostico un richiamo al periodo risorgimentale, oggi richiamato come valore riferibile all’essere italiani, è che allora io –donna- non esistevo e la mia identità di genere mi impediva la partecipazione alla vita politica sia nell’esercizio attivo dell’eleggere che passivo dell’essere eletta. E questa impossibilità a dirmi, a subire una collocazione di subordinazione a priori –che è rimasta presente come valore  in molti anche dopo il 1948- mi ha turbata fin da bambina, quando famiglia e scuola mi avevano insegnato una regola di prudenza, quella del non far domande (secondo una mia pestifera –presto spenta- abitudine)  perché, per mia sfortuna quando ne ponevo, simile al bambino che diceva  ‘il re è nudo’, non ottenevo consenso ma rimproveri.

E ho dovuto imparare ben preso che vedere i vestiti che non ci sono è comodo ma –per me- ripugnante.

Mi piacerebbe che il dibattito sull’identità continuasse, se invece vi ho annoiato mi scuso e saluto tutti sperando di rivedervi a Trento o Sardegna o… ovunque sia

Augusta – Udine

13 Marzo 2011Permalink