21 agosto 2010 – Chi garantisce il diritto di esistere?

Una notizia da Israele.

Il 16 agosto 2010 Lucia Cuocci (di cui ben conosco la conoscenza profonda della realtà israelo-palestinese) ha pubblicato su facebook un articolo del giornalista israeliano Aviad Glickman. Era in lingua inglese e io ho deciso di tradurlo.
Chi comunque volesse leggerlo nell’originale potrebbe farlo da qui. 

Eccone il testo:
“Lunedì il tribunale distrettuale di Gerusalemme ha deciso che lo Stato é responsabile per la morte avvenuta nel 2007 di Abir Aramin, una ragazzina palestinese di 10 anni e risarcirà la sua famiglia.
Il tribunale ha stabilito che la ragazzina è stata uccisa da un proiettile vagante di gomma sparato da un ufficiale della Guardia Confinaria.
Secondo la sentenza lo sparo fu il risultato di una negligenza dello Stato.
Inoltre con procedura civile la famiglia della ragazzina ha presentato appello all’Alta Corte di Giustizia chiedendo che gli sparatori israeliani siano sottoposti a processo dopo che il Pubblico Ministero avrà chiuso la causa intentata contro di loro.
Il giudice Orit Efal-Gabai ha affermato nella sua sentenza che non c’é dubbio che la sparatoria, avvenuta nel villaggio di Anata nella West Bank, ha violato delle regole di ingaggio.
”La sparatoria non aveva come obiettivo dimostranti o lanciatori di pietre. Abir e i suoi amici camminavano luongo una strada da cui non erano state lanciate pietre contro le Guardie confinarie. Secondo la sentenza  “non c’era un apparente motivo per sparare in quella direzione”.
L’azione legale, promossa nel mese di luglio 2007 dall’avvocato di parte civile Lea Tsemel in rappresentanza dei genitori di Abir, ha richiesto un risarcimento per la famiglia.
Per determinare l’ammontare del danno il giudice Efal-Gabai ha stabilito una successiva udienza che si terrà in ottobre. La sentenza si è basata sulle testimonianze degli amici di Abir. “Hanno vissuto un’esperienza veramente pesante e sono stati testimoni del ferimento di Abir ” ha affermato il giudice, aggiungendo che la versione degli eventi data dallo Stato, secondo la quale Abir sarebbe stata ferita da una pietra e non da una pallottola di gomma, era inattendibile.
In seguito alla morte di Abir la famiglia ha presentato un rapporto di un anatomopatologo che stabiliva che era stata colpita da un proiettile sebbene la Polizia Israeliana affermasse che un’autopsia aveva dimostrato che non era stata uccisa da un proiettile di gomma.
Il gruppo per i diritti umani Yesh Din e Bassan Aramin, padre di Abir, hanno presentato una petizione all’Alta Corte contro il procuratore generale e due ufficiali della Guardia Confinaria, chiedendo che gli stessi fossero processati.
A seguito dell’appello il Pubblico Ministero ha annunciato ulteriori indagini sulla morte della ragazzina.”
 

La notizia non è sorprendente: le morti di bambini palestinesi, colpevoli solo di vivere nei Territori Occupati, sono frequenti e non solo a Gaza, terra terribile di strage infinita, ma anche nella West Bank.
  Nel 2003 la fotografia di una bambina uccisa copriva i muri di Betlemme e così ne scriveva un coraggioso giornalista israeliano, Gideon Levy, in un articolo che il quotidiano Ha’aretz pubblicò con il titolo “Uccidere i bambini non è più una faccenda tanto importante” (Domenica 17 ottobre 2004, Cheshvan 2, 5765 secondo il calendario ebraico) : “Kristen Saada era nell’auto dei genitori, di ritorno a casa dopo una visita di famiglia, quando i soldati colpirono la macchina con una raffica di proiettili. Aveva 12 anni al tempo della sua morte … La pubblica indifferenza che accompagna questo seguito di sofferenze ignorate fa di ogni israeliano il complice di un crimine. Persino i genitori, che capiscono che cosa significa l’angoscia per il destino dei figli, si girano dall’altra parte e non vogliono sentir parlare dell’ansietà dei genitori dall’altra parte della barriera. Chi avrebbe creduto che i soldati di Israele avrebbero ucciso centinaia di bambini e che la maggioranza degli israeliani sarebbe rimasta in silenzio? Persino i bambini palestinesi sono diventati parte della campagna di disumanizzazione: uccidere centinaia di loro non è più una faccenda tanto importante”. 

E poco importante é rimasta, tanto che i casi singoli non fanno più notizia.
E invece l’articolo che ho riportato sopra, segnala un fatto di estremo interesse: l’intervento di un tribunale su un caso specifico, la morte di un’altra bambina per cui il padre e Yesh-Din, un gruppo israeliano impegnato nella difesa dei diritti umani, chiedono giustizia.

I diritti dei bambini: giustizia e politica.

La giustizia può agire caso per caso, diventando forse spia di un disagio, la politica potrebbe produrre indicazioni di ordine generale tali da modificare una situazione.
Questo non accade in Israele e non accade in Italia.
Le leggi balorde che vengono votate avviandoci a un democratico precipizio affondano nella stessa pubblica indifferenza di cui scriveva ormai sette anni fa Gideon Levy.
La nostra Costituzione “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” nel rispetto di quei “diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” che “la Repubblica riconosce e garantisce”.
Non a caso l’art. 2 usa il termine Repubblica e non Stato ad indicare tutti i livelli dell’ordinamento, ognuno dei quali sembra –fra silenzio e consenso – sfuggire alle proprie responsabilità o violare i principi della Carta.

Paradossalmente gli attivissimi sindaci leghisti non esitano a proclamare oscenità,  pronunciandosi nella consapevolezza del loro ruolo, pur violato e umiliato dalle loro stesse affermazioni, mentre quelli che ancora hanno coscienza della dignità di ogni cittadino e cittadina non osano parlare e delegano il rispetto dei diritti ad associazioni certamente meritevoli ma sempre più implose su se stesse e incapaci di stimolare le istituzioni locali a un esercizio pubblico e trasparente del proprio ruolo.
Sindaci, province, regioni sostengono queste associazioni –sfuggendo alle proprie responsabilità istituzionali e coprendosi dietro l’altrui ‘bontà’ per non urtare direttamente il diffuso razzismo del buon senso- e quel rapporto appare materia di voto di scambio.
Non é una bella deriva.

 Sindaci d’Italia fra abiezione e dignità

Propongo di nuovo la fotografia del manifesto del Sindaco di San Martino dall’Argine, che ho già pubblicato il 26 novembre 2009, sperando che qualcuno mi indichi un documento altrettanto esplicito ma promotore dei diritti dei cittadini, forti o deboli che siano, e non della pratica della caccia all’uomo già cara al Ku Klux Klan. 
Ho il dubbio che non esista nulla di altrettanto esplicito e trasparente ma speculare e opposto.
Le scritto precedente riporta il testo di un’interrogazione parlamentare che chiede la revisione di un punto di una legge intollerabile ma, a proposito della registrazione anagrafica dei figli dei sans papier, particolarmente abietta.
Attendo con curiosità di sapere se vi sia almeno un altro parlamentare –comunque collocato – capace di farsi carico del problema e se i sindaci sono disposti a farsi carico del fatto che la legge impone una umiliazione del loro ruolo. Un loro primario obiettivo dovrebbe essere l’evidenza della popolazione che vive sul loro territorio: gli ostacoli costruiti dal nuovo concetto di sicurezza possono renderlo impraticabile

21 Agosto 2010Permalink

19 agosto 2010 – Un parlamentare si occupa della registrazione anagrafica dei figli dei sans papier.

Mentre scrivevo uno dei miei pezzi sui bambini, mi è arrivato (e ringrazio la consigliera provinciale – Udine – dr. Schiratti che me lo ha inviato) il testo dell’interrogazione parlamentare  che pubblico di seguito.
E’ il primo intervento parlamentare che registro dopo quelli in corso di dibattito (inizio 2009) degli on. Bachelet e Capano.
Non so se avrà un seguito: io non ho certo la forza per provocarlo.
Chi volesse ulteriori informazioni sulla questione cui l’on. Orlando, firmatario dell’interrogazione, fa riferimento, può trovarne nel pezzo che ho pubblicato, riprendendolo dalla newsletter Notam, il 10 novembre 2009.Il collegamento è possibile da qui

Seduta n. 363 del 2/8/2010

INTERNO   Interrogazioni a risposta scritta:

LEOLUCA ORLANDO. – Al Ministro dell’interno. – Per sapere – premesso che:

in data 8 agosto 2009 è entrata in vigore la legge 15 luglio 2009, n. 94 «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica»;

alla lettera g del comma 22 dell’articolo 1 della predetta legge si modificava il comma 2 dell’articolo 6 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sostituendone una parte, con la frase «, per quelli inerenti all’accesso alle prestazioni sanitarie di cui ali ‘articolo 35 e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie, »;

questa modifica è stata di fondamentale importanza per la tutela della maternità, della salute e dell’istruzione di tutte le persone extracomunitarie che si trovano, anche illegalmente, nel nostro Paese,

in quanto non obbliga le persone in situazione di bisogno sanitario urgente alla presentazione del permesso di soggiorno per ottenere le giuste cure;

in data 7 agosto 2009 è stata emanata, dal dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell’interno, una circolare (prot. 0008899) con oggetto: «Legge 15 luglio 2009, n. 94, recante »Disposizioni in materia di sicurezza pubblica«. Indicazioni in materia di anagrafe e stato civile», ed è stata inviata a tutti i prefetti della Repubblica italiana;

con questa circolare il Ministero dell’interno andava a sanare una situazione di interpretazione dubbia della suddetta legge, su alcuni temi, tra cui quello importantissimo delle dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione;

al punto 3 della predetta circolare si chiariva che «Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita-stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto. L’atto di stato civile ha natura diversa e non assimilabile a quella dei provvedimenti menzionati nel citato articolo 6»;

a parere dell’interrogante, molti punti della circolare stessa sono fondamentali per la struttura e per la funzionale applicazione della legge n. 94 del 2009, ma il metodo applicato dell’uso della circolare stessa appare di indicazione troppo lieve e sicuramente meno impegnativa dell’uso di una legge nell’applicazione della stessa -:

se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative che attribuiscano valore normativo alla circolare del 7 agosto 2009 prot. 0008899 fornendo così strumenti sicuramente più incisivi a chi la stessa debba applicare.

19 Agosto 2010Permalink

31 dicembre 2009 – Come distruggere la gioia della speranza

Avrei molte cose da dire, ma preferisco tacere di quegli aspetti negativi del sistema sanitario che ho conosciuto e che potrei dire solo appoggiandomi alla mia parola. Temo che il rispetto dell’ascolto mi sarebbe negato da chi ha evidentemente un vantaggio a lasciare che l’assistenza ai malati continui così come l’ho conosciuta. Ma, durante il mio soggiorno ospedaliero, ho osservato alcuni fatti di cui sono testimoni, certi e ineccepibili, tubi e muri. Così ho scritto (19 dicembre) ai più diffusi quotidiani locali la lettera che trascrivo

Una lettera non pubblicata.

10 Dicembre 2009, ospedale civile di Udine, padiglione 5, secondo piano, reparto chirurgia, stanza 4, dove mi trovo ricoverata perché devo subire un intervento chirurgico. In previsione dei limiti all’esercizio della mia autonomia che ne seguiranno, decido di farmi l’ultima doccia. L’impresa (ripeto dicembre 2009) risulta impossibile: l’acqua esce in scarsa quantità ed è fredda. Mi informo. La faccenda va così da anni. Nella normalità (pur questa precaria) il filino di liquido si fa tiepido in mattinata e tale si mantiene fino al pomeriggio; il resto è gelo. Ai malati costretti a letto gli infermieri provvedono con brocche di acqua calda. Cerco di scoprire dove si trova. Magari mi potrò lavare in condizioni confortevoli. Non vengo a capo di nulla. Circolano strane leggende metropolitane: incursione di infermieri, trasformati in acquaioli in altri reparti (ma non si racconta siano pochi? Che ragione c’è per impiegarli in lavori insensati?), perfino uso dell’acqua delle macchinette delle bevande. Chi lo sa! Non è mio compito indagare, sarebbe dovere degli amministratori dell’Azienda, evidentemente garantiti da una qualche certezza che li esime dall’esercizio elementare del proprio dovere. Il reparto è stato rinnovato attorno al 1998 quando già si usava l’acqua corrente calda e fredda. E, concentrandomi sulle date, realizzo un altro aspetto, forse ancora più abietto e crudele della negazione dell’igiene che rappresenta uno dei parametri che consentono di sostenere la propria dignità personale, in particolare quando la malattia costringe ad esibire impietosamente il proprio corpo ad altri. I bagni delle stanze non sono accessibili a disabili in carrozzella e in tutto il reparto non esiste il bagno loro destinato.. Il water infatti è incastrato fra la doccia (con robusto zoccolo) e il muro. Impossibile il necessario accostamento laterale. Chiedo esplicitamente come viene accudita in tal caso la persona disabile e mi viene risposto che sono state riscoperte le comode che vengono accostate al letto. Non credo che l’essere il medesimo oggetto appannaggio della quotidianità dell’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo lenisca l’umiliazione e la sofferenza degli interessati e l’aggravio di lavoro degli infermieri. Nella logica che mi sembra dominare la mente di chi queste perfidie ha voluto probabilmente è scattato un meccanismo aritmetico: se a un non disabile infliggiamo una pena, a una persona che ha l’aggravio della disabilità è coerente infliggerne, specularmente, due. Vorrei sapere, e, come cittadina con diritto di elettorato attivo e passivo probabilmente ne avrei il diritto, chi ha firmato il capitolato dell’appalto per la sistemazione dei bagni in tempi in cui esistevano non solo le leggi sulla rimozione delle barriere architettoniche ma anche i relativi, minuziosi regolamenti. Data l’evidentemente diffusa scarsa competenza di chi –per ragioni quali che siano – è deputato a decidere, la consuetudine al mancato rispetto delle persone cui i sevizi pubblici sono destinati e l’indifferenza diffusa fra i cittadini non lo saprò mai. Art. 2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Augusta De Piero – Udine

Non solo a Udine

Contemporaneamente ho ricevuto, come membro di una mailing list il messaggio che trascrivo. L’autrice è una ginecologa di cui ho un’alta considerazione.

MZ, ti prego di sensibilizzare le donne del tuo indirizzario. Abbiamo bisogno di aiuto! E’ notte e sono di guardia: ho una signora che sta travagliando un feto anencefalo di 28 settimane, nell’altra stanza una giovane straniera spaventata che parla poco l’italiano il cui travaglio procede molto lentamente. Ambedue urlano e si lamentano : partorire è molto doloroso….. Chiamo l’anestesista per l’analgesia epidurale Mi risponde che non viene ha disposizione di metterle solo dalle 9 alle 18 nei giorni feriali. Combatto, rispondo che anche i tedeschi avevano avuto l’ordine di ammazzare tutti gli ebrei ma qualcuno….. Niente da fare. Vi prego di aiutarmi e di aiutarci. Noi stiamo combattendo dall’interno ma con difficoltà e scarsissimi risultati.

Ho immediatamente aderito alla richiesta di scrivere al quotidiano Il Piccolo e, nella stupida convinzione che potesse aprirsi un dibattito sulla dignità delle persone ricoverate in ospedale, ho inviato alla responsabile della mailing list la mia lettera, ricevendone l’inqualificabile risposta che trascrivo. Naturalmente la mia lettera non è stata diffusa e, pur concordanto sull’assoluta priorità dovuta a quelle partorienti, non posso negare una linea di continuità fra gli anestesisti da orario feriale e amministratori che si beffano dei bagni per disabili.

Cara Augusta, ti auguro prima di tutto di superare questo momento e di rimetterti. Per il resto quando si va in ospedale si smette di essere persone autonome e si diventa parte di un sistema che non riusciamo a controllare. A meno di cacciare qualche urlo…se se ne ha la forza. Di solito no e quindi si subisce. Ne riparliamo. Un abbraccio, MZ

Oltre gli urli.

Durante il mio soggiorno ospedaliero e dopo molte persone si sono dichiarate, con generosa disponibilità, pronte ad aiutarmi. Ad aiutarmi certo ma sul piano personale, in un rapporto diretto da cui, chi dopo di me avesse conosciuto le stesse frustrazioni che ho conosciuto io, sarebbe stato escluso e, se privo di amici e parenti, abbandonato o, nel migliore dei casi, ridotto ad oggetto dell’altrui benevolenza. Vorrei aprire un discorso sulle associazione, aggregazioni di varia natura, ma non ne ho la forza perché questa esperienza mi ha sconvolto. Il problema dei ‘tubi e dei muri’ è un problema politico. Chi, a suo tempo, ha governato una necessaria gara d’asta? Chi ha firmato un capitolato da cui erano esclusi i bagni per disabili (anche in situazioni temporanee di difficoltà)? Chi ha taciuto e tace sul restauro mal condotto del reparto privo di acqua calda?
Ora ho capito perché dopo un anno di impegno sul problema dei figli dei sans papier e della loro registrazione anagrafica nessuno, una volta che il ‘pacchetto sicurezza’ è diventato legge, si è fatto carico di sollecitare chi è responsabile di quella registrazione prima negata e poi problematica. Il luogo della registrazione è il comune e quindi i primi responsabili sarebbero i sindaci. La questione è sempre quella degli ‘urli’: in piazza si va, capita che si gridino nobili generalizzazioni ma si ignorano le responsabilità politiche che la Costituzione descrive. E chi non ama la piazza può soddisfarsi dei chiacchiericci di aggregazioni irresponsabili e dei sussurri di chiese e chiesuole, altrettanto appaganti e insieme deresponsabilizzanti.
Alle persone sole può capitare di aver paura, ai partiti, alle associazioni, ai gruppi, comunità, parrocchie no. Perché tacciono? Quale vantaggio traggono dal silenzio? Perché si adoperano a devastare il significato del contratto sociale affidato, per tutti, alla responsabilità di tutti? Fra silenti, addolorati o compiacenti che siano, non è concesso sperare.
Costituzione della Repubblica Italiana. art. 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

31 Dicembre 2009Permalink

10 novembre 2009 – I sans papier d’Italia e i corollari della sicurezza.

Dalla newsletter Notam

28 ottobre 2009

Vivere gomito a gomito con gli altri non è sempre agevole e anche con i vicini nostrani non è sempre possibile evitare beghe e ripicche di eterogenea rilevanza, figuriamoci poi se il coinquilino viene da lontano con usi odori e pelle esoticamente insoliti. Così oggettive difficoltà, regole nebulose per gli stessi autoctoni già poco inclini alla legalità per antico retaggio, nonché flussi oscillanti tra necessità e respingimento hanno alzato barriere di diffidenza, trasformata da un’abile orchestrazione politica in paura. In questo terreno germoglia e ramifica il cosiddetto Pacchetto sicurezza, codificato in legge dello Stato come Disposizioni in materia di sicurezza pubblica (L 94 del 15/7/09), un testo che introduce significative novità in materia di migrazione clandestina, criminalità diffusa e organizzata, sicurezza stradale e decoro urbano, ronde comprese. Contenuti a parte, chi volesse darsi alla consultazione, per civile impegno conoscitivo, si troverebbe però davanti a un insieme di correzioni ad altre norme da collazionare e variare tanto da rendere ardue lettura e comprensione, in barba a ogni ventilata semplificazione legislativa, per la quale esiste addirittura un ministero.
Ma, si sa, nell’incalzare degli eventi, gli Italiani sono ormai in grado di ingoiare senza pudore e senza indignazione il peggio per la degradata e lacera solidarietà socialnazionale! Soltanto per l’impegno civile di medici e operatori sanitari operanti sul campo è stato possibile mantenere l’obbligatorietà del segreto sanitario per i migranti che si rivolgono alle strutture pubbliche e conservare l’accesso a servizi sanitari essenziali, come la tutela della maternità o le vaccinazioni… Fra l’altro, anche solo per egoistica lungimiranza, si può capire che un malato senza cure non giova a nessuno. Microbi e batteri non fanno discriminazioni e lo star bene personale dipende anche dallo star bene degli altri, extra compresi, piaccia o non piaccia. Collettivamente metabolizzato, dunque, il reato di immigrazione clandestina e digerite, nei TG all’ora dei pasti, le immagini filtrate dei respingimenti, si delineano, però, alcuni effetti collaterali come la questione di colf e badanti, subito sanata da un sollecito articolo bis dedicato alla Dichiarazione di attività di assistenza e di sostegno alle famiglie. «Una formula -come dice Il Sole 24ore- per indicare il varo di una sanatoria per quei cittadini, soprattutto extra Ue, che prestano la loro attività in famiglia e che, con l’entrata in vigore della legge sulla sicurezza, si troverebbero in gravi difficoltà. E con loro le tante famiglie nelle quali prestano l’attività di assistenza a familiari o di lavoro domestico». Ovviamente famiglie di elettori che, eventualmente, chissà, potrebbero diversamente orientarsi. E si tenga conto, a margine, che il fenomeno badanti, è frutto quasi esclusivo del faidate italico, per vacanza di adeguate formule di assistenza strutturale per anziani e disabili.
Tra le pieghe del discorso, c’è poi un altro corollario: la questione dei neonati figli di immigrati senza permesso di soggiorno. Una voce senza peso elettorale e perciò questa volta accantonabile senza troppi riguardi. Infatti, gli unici a alzare la voce per loro potrebbero essere i genitori, quelli in flagranza di reato per immigrazione illegale e, quindi, privi del diritto di invocare giustizia per i propri figli.
E qui occorre addentrarsi nella questione. Prima dell’entrata in vigore della legge 94, per gli atti di stato civile -cioè per sposarsi registrare una nascita o presentare una dichiarazione di morte- non occorreva aggiungere ai documenti il permesso di soggiorno, dopo, invece, tale documento diventa necessario (vedi art.1, comma 22, lettera g). Quindi, in maniera linguisticamente un po’ tortuosa, gli atti di stato civile sarebbero spariti dall’elenco di quelli per cui era consentito di non presentare il permesso di soggiorno. Così, se i genitori non possono esibire il permesso di soggiorno per la registrazione anagrafica del neonato, questa non può avvenire e il minore resta formalmente inesistente, privo di identità, senza genitori dichiarati; viene a trovarsi in stato di abbandono, diventando adottabile, se non vendibile, privo di qualsiasi diritto, comprese le cure essenziali e l’istruzione obbligatoria. Il che sarebbe sfacciatamente contrario alle norme internazionali e alla Costituzione italiana, ancora vigente nonostante le vigorose recenti spallate.
Comunque, per ragioni che non contemplano, of course, la mobilitazione nazionale né di popolo né di opposizione, qualcuno, nella pur minimizzante maggioranza, deve aver notato l’enormità della cosa, tanto da intervenire, nella canicola agostana, con una circolare di precisazione, la n. 19 del Ministero dell’interno: «Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto». Sembrerebbe, a questo punto, che il cittadino straniero possa registrare, senza permesso di soggiorno e senza complicazioni, la nascita del figlio e il suo rapporto genitoriale. In seguito potrà richiedere in comune un estratto di nascita, dimostrare il suo rapporto di filiazione, ottenere documenti per lasciare l’Italia con il figlio e via dicendo nel rispetto della legalità.
Eppure i rischi sono dietro l’angolo, perché a un qualunque e zelante ufficiale di stato civile potrebbe girare la voglia di richiedere il permesso di soggiorno a un incerto straniero non consapevole o senza prontezza di risposta che si troverebbe, in tal modo, con un figlio registrato, ma con una denuncia di irregolarità completa di nome e cognome. Infatti, chiunque e per qualunque motivo mostra il proprio stato di clandestino dichiara ipso facto un reato per il quale la legge ora vigente impone l’obbligo della denuncia, determinando una correità per chi lo omette. Va ricordato che il rischio non sussiste nel caso in cui la dichiarazione di nascita sia fatta in ospedale, perché, come già evidenziato, per tutto il personale operante presso una struttura sanitaria continua a valere il divieto di denuncia. Ma che succede se la madre non è in grado di riconoscere il bimbo partorito? Quali diritti può accampare il padre? In ogni caso, potrebbe succedere -e succede- che, nel dubbio sul permesso di soggiorno sì o no, il sans papier d’Italia decida di non registrare il proprio nato, per non essere denunciato e, di conseguenza, espulso, ma facendo del figlio, come si è detto sopra, un apolide senza diritti. E occorre ancora aggiungere che un clandestino non è tale solo per essere entrato nel territorio nazionale in violazione a norme precise, ma tale può essere diventato per la perdita del posto di lavoro, per non essergli stato assicurato il diritto a presentare istanza di rifugio politico o altro motivo non dipendente dalla sua volontà.
E non è finita qui in quanto, dal punto di vista giuridico, una circolare è inferiore a una legge. I contorni delle tutele si profilano labili e i margini di incertezza possono rendere cavillose e disomogenee interpretazioni e applicazioni tanto da arrivare a dover richiedere per favore quello che dovrebbe essere garantito come diritto.
Quando poi i figli extra rientrano nell’età scolastica, il citato art.1, comma 22, lettera g della legge sicurezza ha qualcosa in serbo anche per loro, ma di questo si parlerà nella prossima puntata.
Enrica Brunetti

segue 10 novembre – I SANS PAPIER D’ITALIA E I COROLLARI DELLA SICUREZZA – 2

Si scriveva nella prima parte (Notam 338) di come la legge 94/09, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, abbia determinato nei confronti dei cittadini stranieri senza permesso di soggiorno una serie di effetti collaterali che vanno, fra l’altro, a colpire i loro figli, non per diretta chiamata in causa, ma per una sorta di arcaico ripristino di ricaduta delle colpe dei padri. Infatti, si è detto della possibilità di espulsione per un sans papier che vada all’anagrafe per registrare la nascita di un figlio quando non sia informato del non obbligo di presentare il permesso di soggiorno in tale circostanza; del rischio di fare del piccolo un apolide senza diritti, nel caso prevalesse la paura di accostare l’ufficio pubblico. Ma andiamo avanti.
Quando poi i figli extra rientrano nell’età scolastica, il citato art. 1, comma 22, lettera g della legge sicurezza ha qualcosa in serbo anche per loro: l’inesistenza dell’obbligo di mostrare il permesso di soggiorno vale solo per le prestazioni scolastiche obbligatorie (la cosiddetta scuola dell’obbligo) e non per garantire, una volta eventualmente ottenuta l’iscrizione (l’obbligo scolastico è di 10 anni, legge 296/2006), la possibilità di concludere il percorso di studi nelle scuole di ogni ordine e grado, al compimento del diciottesimo anno di età. Per intenderci, l’esame di maturità non rientra nella definizione di scuola dell’obbligo e neppure il diploma professionale; mentre il ragazzo che compie 18 anni non è più un minore, non è più sottratto all’obbligo di presentare il permesso di soggiorno e si trasforma in clandestino, fuorilegge da espellere. E la scuola per l’infanzia, non obbligatoria, potrebbe rientrare nell’obbligo di esibizione del permesso di soggiorno? E quali possibilità di accoglienza negli asili nido, già insufficienti e di arduo accesso per i nostrani? Se il tutto così fosse, si potrebbe leggervi una perfida vendetta nei confronti dei figli di cittadini irregolari.
Ma forse si tratta di letture troppo restrittive, peraltro insite in aspettative diffuse e spregevoli. L’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, con uno studio specifico (I minori stranieri extracomunitari e il diritto all’istruzione dopo l’entrata in vigore della legge 94/2009, www.asgi.it), tende, invece, a superare queste trappole cavillose attraverso una lettura globale della normativa ancora esistente post legem, come la legge delega 53/2003 (quella della riforma Moratti della scuola) e i successivi passi applicativi. Così facendo, si può argomentare in tutt’altro modo e arrivare addirittura a conclusioni opposte, di tutela piuttosto che di esclusione, ma siamo al duello giuridico dai contendenti incerti. Gli interessati sono l’anello debole della storia e quindi chi, nella quotidianità di una remota scuola, raccoglierà mai il guanto di sfida? Si potrà contare su dirigenti e operatori della scuola usualmente ammollati nel pantano delle ristrettezze normative e finanziarie? Di sicuro ci sarà chi provvederà a intorbidare le acque o ad accendere polemica nei casi di scantonament dalle attese più ignobili.
Comunque, rifacendosi come l’ASGI alle norme sopravvissute, si può sostenere che l’esenzione dall’obbligo di esibizione del permesso di soggiorno vale dall’inizio al completamento dell’intero percorso scolastico/formativo, compreso il 18esimo anno di età, e comunque fino al conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale.
Questo perché in quella legge 53 si viene a ridefinire l’intero sistema educativo di istruzione e formazione, si uniscono concettualmente obbligo scolastico e obbligo formativo, mentre si precisa la sua articolazione a partire dalla scuola dell’infanzia (non obbligatoria, ma in continuità educativa con il complesso dei servizi all’infanzia e con la scuola primaria) arrivando al sistema dei licei nonché dell’istruzione e della formazione professionale.
L’obbligo di istruzione del 2006, sopra ricordato, sarebbe decennale, tuttavia nella legge 53, del 2003 ma non finora soppressa, si parla di diritto all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni; cosa coerentemente sostenuta nelle disposizioni emanate successivamente da quel Ministero dell’Istruzione a cui non è ben chiaro se applicare l’aggettivo di Pubblica. In questa prospettiva la soglia dei 16 anni, andrebbe interpretata come età legale di accesso al lavoro e non come termine ultimo del diritto all’istruzione obbligatoria. Tale diritto potrebbe, invece, protrarsi oltre i 18 anni di età, qualora fosse necessario per completare il percorso scolastico e formativo e conseguire il titolo di studio: non ha senso perdere un diritto prima di aver raggiunto la meta!
E l’ASGI si spinge anche più in là, affermando che ai ragazzi stranieri che accedono al sistema scolastico “si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, di accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica. Ne consegue che, oltre alle istituzioni scolastiche, anche gli Enti Locali sono tenuti ad erogare ai minori stranieri tutte le prestazioni relative al diritto allo studio previste per gli italiani (come i servizi educativi complementari, di sostegno o linguistici, refezione scolastica, trasporti…) e che non potranno pretendere l’esibizione del titolo di soggiorno non solo dai minori stranieri ma neppure dai genitori perché se così fosse si aggirerebbe la tutela prevista dal legislatore, anche dalla legge 94 (quella della sicurezza in questione), di garantire l’effettività dell’istruzione a tutti”.
In sostanza, però, si torna al campo di battaglia dell’interpretazione e alle infinite questioni che non invitano certo alla frequenza scolastica. Eppure non dovrebbe essere difficile da capire che, se la presenza di giovani stranieri in aula rappresenta un indubbio problema, è altrettanto vero che giovani stranieri formati nelle scuole italiane saranno più facilmente inseriti nel sistema paese con vantaggio di tutti.
Per concludere, mi chiedo: se l’opposizione non è interessata a rivolgere le proprie energie, già stentate per la sopravvivenza, a interessi elettoralmente poco produttivi e di scarso consenso come questi, dov’è la voce della chiesa? I cattolici d’Italia, tanto bravi a mobilitarsi su altri versanti, dove sono? Al solito, con poche sporadiche eccezioni, non si preoccupano delle battaglie civili: troppo laiche. Meglio, dunque, la buona assistenza tradizionale: vieni, poverino che ti aiuto io, di persona o in associazione, che forse risolve -e ben venga in assenza di alternative- problemi hic et nunc, ma non produce legalità. La coscienza è a posto, l’anima è salva e le alleanze politiche pure!
Enrica Brunetti

Nota di Augusta
Ringrazio Enrica Brunetti per la sua competente attenzione e ne apprezzo molto il preciso riferimento alla questione di colf e badanti, subito sanata da un sollecito articolo bis dedicato alla Dichiarazione di attività di assistenza e di sostegno alle famiglie.
Così mi sono resa conto che io avevo parlato della questione senza citare la fonte. Ora rimedio
Si tratta della Legge 3 agosto 2009, n. 102. “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1º luglio 2009, n. 78, recante provvedimenti anticrisi, nonchè proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali” – art. 1 ter

10 Novembre 2009Permalink

14 ottobre 2009 – Quando le parole sono pietre e i silenzi pure

Pro mia futura memoria
Volevo scrivere di tante cose in questo mio sito.
Da tempo non scrivo nulla sul problema israelo-palestinese (e la marcia già Perugia-Assisi, ora trasferita a Gerusalemme amaramente mi ricorda la nascita della mia avventura sul web nel 2003. testimoniata nella homepage alla voce betlemme), ho interrotto il diario del viaggio di aprile in Iran (che riprenderò), nemmeno immagino di poter fare un diario del recente viaggio in Egitto. Per tutta l’estate ho seguito lo svolgersi della vicenda collegata a un articolo del pacchetto-sicurezza, quello riguardante la registrazione anagrafica dei neonati prima con meraviglia, poi con indignazione, infine con molto dolore.
Pur inorridita dalla constatazione che un diffuso senso comune è ormai asservito alla cultura leghista, al malgoverno di marca berlusconiana, all’inettitudine dell’opposizione politica, alla sordida pigrizia di una società che in altri momenti ho creduto civile … non immaginavo che tanto orrore cadesse nell’indifferenza.

Tento una sintesi ad, almeno mia, futura memoria.
Nel 2008 inizia il suo cammino parlamentare quello che avremmo poi chiamato ‘pacchetto sicurezza’ e nel dossier n. 69 del mese di novembre dell’Ufficio studi del Senato della Repubblica se ne può leggere un’illustrazione, articolo per articolo, significativa della volontà del legislatore.
Certamente un legislatore pigro, capace solo di immaginarsi modifiche a leggi già esistenti, incapace di costruire un progetto organico ma comunque garantito nei suoi frammentati interventi da un filo rosso in cui razzismo, pregiudizio, ignoranza si intrecciano in una forma che lascerà il segno nella nostra società per molto tempo.
A fronte del Testo Unico sull’immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286) che prevedeva per gli immigrati privi di permesso di soggiorno la possibilità di registrare gli atti di stato civile senza la presentazione di quel documento, che –per definizione- non possiedono, il nuovo provvedimento ne prevedeva (e ne prevede) la presentazione. Nel dossier del senato si può leggere la volontà del legislatore, espressa senza pudore, per cui l’articolo “in esame elimina dalle eccezioni all’obbligo di esibizione gli atti di stato civile”.
Con questa premessa, e fra varie indecenze più o meno pubblicizzate, la legge percorreva il suo iter, fino all’approvazione il 15 luglio (legge n. 94. Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) .

Corpi utili e inutili
Chi non si era dimenticato che in Italia non c’è sistema che garantisca adeguatamente la popolazione bisognosa di assistenza, in maggio aveva levato la sua voce per affermare che «Nell’introduzione del reato di immigrazione clandestina, ha detto Mantovano, il Governo ha ‘saggiamente consegnato’ questa ipotesi di reato nelle mani del Parlamento, che sarà chiamato a valutare la congruità dello strumento con il fine da raggiungere. La disposizione, comunque, colpirà i clandestini che giungeranno nel Belpaese dopo l’entrata in vigore della norma e non chi è già qui. No, dunque, a un giro di vite sulle badanti …».
Così Il sole 24 ore del 23 maggio riportava, con deferente sollecitudine, la dichiarazione Mantovano e, a poca distanza di tempo, il governo si sarebbe inventato la pseudo sanatoria per le badanti e le colf che servono e possono essere utilizzate.

Non voglio però dimenticare che in conseguenza di una lunga, dignitosa campagna della società civile facente capo a medici e operatori sanitari (si veda in proposito il sito della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni) era scomparso l’obbligo di denuncia del sans papier che si presentasse ad un servizio sanitario pubblico, obbligo inizialmente previsto dal diligente legislatore.

Nulla invece veniva detto sui neonati figli di sans papier, soggetti di scarso interesse, privi di voce capace di urlo di piazza (che tale non è il pianto di un neonato affamato), quella voce che viene invece utilizzata, quando non strumentalizzata, se é segno di presenza di eventuali sostenitori.
E l’urlo di piazza – sempre più confuso con l’impegno nelle istituzioni e la verifica del loro operato- non appartiene nemmeno ai poveri genitori di quei piccoli che si ritengono protetti solo dal silenzio e dal nascondimento.
Ma evidentemente qualcuno si era accorto dell’enormità della faccenda e, con uno strano ma provvidenziale giro di parole, il 7 agosto scorso il Ministero dell’Interno (Circolare del Ministero dell’Interno n. 19 che ho illustrato anche nel mio articolo del 12 agosto) precisava che “Le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile) non richiedono l’esibizione di documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto”.
Così ora abbiamo la garanzia di una circolare che prevale sulla legge o, quanto meno, sull’iniziale volontà del legislatore. Da un punto di vista del corretto modo di legiferare mi sembra un pasticcio ma, in ogni caso, è una garanzia?
E’ sufficiente a superare la paura che domina i sans papier?
Certamente no, se coloro che detengono i registri di stato civile –i comuni- tacciono, ignorano il dovere di trasparenza e informazione e, quando fanno qualche cosa, si affidano ad iniziative ignote e ignorate (e rinvio ancora ai miei articoli del 12 agosto e del 4 e 14 settembre).

Quando si cominciano a violare i diritti umani
la deriva è inarrestabile.
Gli esempi sarebbero numerosi e significativi. Mi limito a quello che è successo ieri in parlamento dove è stato bocciato il Ddl 1658 che prevedeva “all’articolo 61 del codice penale è aggiunto, in fine, il seguente numero: «11-quater) l’avere, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la personalità individuale, contro la libertà personale e contro la libertà morale, commesso il fatto per finalità inerenti all’orientamento o alla discriminazione sessuale della persona offesa dal reato».
Una parlamentare ormai famosa per intemperanze che la rendono capace anche di calpestare i diritti umani, l’on. Binetti, ha votato insieme alla maggioranza per non riconoscere aggravanti a chi compia atti di violenza con finalità omofobe,
Ricordo a chi nel Pd protesta per il suo voto che la deputata, come ogni altro parlamentare, non è stata eletta dal popolo italiano ma dalla segreteria del partito che forma le liste elettorali secondo il peso dei voti che costoro portano con sé.
Deve dimettersi la Binetti? Sarebbe meglio ma, prima di tutto, bisognerebbe adoperarsi per far dismettere un costume indecente e per costruire le liste degli eleggibili cercando di non avere a primo, se non unico, criterio la quantità che per sé non fa qualità.
Vorrei però ricordare a tutti i sindaci, assessori, consiglieri comunali e regionali del Pd – soprattutto a quelli con cui ho parlato e che mi hanno risposto con il silenzio, l’indifferenza e persino con l’insulto – che agli adulti consapevoli é riconosciuto il diritto a esprimersi, oltre che con il voto, con la protesta e che è dovere prestare attenzione alle loro parole, sia a livelli di istituzioni che di solidarietà politica.
Poiché ieri sono stati beffate le legittime attese degli omosessuali mi riferisco alla loro situazione per ricordare i tempi non lontanissimi (io ne ho memoria anche per le testimonianze ricevute allora da amici) in cui era loro impossibile dirsi.
Ora che possono farlo, il ‘dirsi’ da momento di liberazione diventa rischio.

Quando i silenzi sono pietre da lapidazione.
Quello che è accaduto ieri in parlamento segna una regressione spaventosa che meglio fa comprendere lo stato dei neonati che possono affidarsi solo alle altrui parole, parole che chiedono di essere pronunciate ma non lo sono.
Particolarmente doloroso per me il silenzio delle consigliere di pari opportunità, indifferenti al fatto della disparità che colpisce alcune mamme per la loro situazione burocratica. Avevo ingenuamente riconosciuto alle donne la capacità di praticare uno spazio politico più ampio di quello tradizionalmente definito e caro agli uomini.
Mi sono definitivamente ricreduta.
In contrastante parallelo con l’on. Binetti voglio segnalare (perché anche questa è notizia di oggi che la contemporaneità rende particolarmente significativa) una senatrice statunitense, Olympia Snowe, che ieri ha votato in favore del progetto di riforma sanitaria proposto dal presidente Obama dichiarando che: “When history calls, history calls”.
Anche l’Europa ha una storia, una lunga storia che ci dovrebbe chiamare ad una coerente, non occulta, responsabilità.
Dice una costituzione beffata e ignorata: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Cosa significa per la signora Binetti solidarietà politica?
E cosa significa per tanti altri che pur votano allineati ma non la praticano?

14 Ottobre 2009Permalink

14 settembre 2009 – Una lettera civile dal Presidente del Tribunale dei minorenni di Genova.

Devo ringraziare ancora una volta il sito ildialogo.org per aver pubblicato un documento importante che potete reperire da qui, nell’edizione in pdf. Arriverete al settore Osservatorio sul Razzismo e sulle migrazioni, dove potrete cercare il documento in data 11 settembre.

Per comodità di chi legge però ho anche ricopiato la lettera, cui faccio seguire alcuni degli articoli di norme internazionali cui il presidente Adriano Sansa fa riferimento.
Il mio commento è il grassetto.

La lettera è intestata: TRIBUNALE PER I MINORENNI DI GENOVA
Viale IV novembre, 4. 16 121 GENOVA e porta il numero di protocollo 878/09

Genova, li 4.09.2009

Al Signor
Comandante della Regione Liguria dei Carabinieri
Viale Brigata Salerno 19
16 147 GENOVA

Al Signor
Comandante del Comando Regionale della Liguria
della Guardia di Finanza
Via Nizza 28
16145 GENOVA

Ai Signori Questori di
GENOVA – SAVONA – LA SPEZIA- IMPERIA- MASSA

Ai Signori Comandanti della Capitaneria di Porto
GENOVA – SAVONA – LA SPEZIA- IMPERIA
Di fronte ai drammatici avvenimenti riguardanti l’immigrazione e i tentativi di ingresso in Italia lungo le coste, sento la necessità, per quanto riguarda questo Tribunale che ha competenza da Ventimiglia a Massa, di ribadire la preminenza della tutela dei minori su ogni altra istanza. Non solo la civiltà e l’onore, ai quali Codesti Corpi da sempre usano attenersi, ma le Leggi nazionali e le Convenzioni Internazionali impongono, anche in presenza di eventuali diverse disposizioni, di salvaguardare l’interesse dei minori, accertando la loro identità e la presenza di genitori o altre persone esercenti la patria potestà, assicurando comunque quando occorra l’asilo o lo status di rifugiato, anche sulla base della Convenzione di Ginevra del 1951, e informando il Tribunale dei Minorenni per ogni intervento di sua competenza.
La considerazione che l’interesse del minore è superiore a ogni altro elemento viene sottolineata dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo adottata a New York il 20.10.1989, ratificata dall’Italia il 27.05.1991 con la legge 176, dalla Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei Diritti del fanciullo adottata il 25.01.1996, ratificata il 4.07.2003 e dalla Convenzione dell’Aja del 29.05.1993 per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozioni internazionali ratificata con Legge 31.12.1998 n. 476.
In particolare l’art. 3 della Convenzione di New York stabilisce che “in tutte le azioni relative ai fanciulli di competenza … delle Autorità Amministrative … l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente ..”.
Grato se le SS. LL. vorranno comunicare la presente ai dipendenti Servizi, ringrazio per la collaborazione e invio distinti saluti.

La lettera è firmata Il Presidente
ALCUNI DIRITTI dei MINORI – COSTITUZIONE e NORME INTERNAZIONALI

Art. 3 Costituzione
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Articolo primo. legge 176/1991 ( LEGGE 27 maggio 1991, n.176 Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989).
Ai sensi della presente Convenzione si intende per fanciullo ogni essere umano avente un’età’ inferiore a diciott’anni, salvo se abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile.

Articolo 3 legge 176/1991
1. In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.
2. Gli Stati parti si impegnano ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei dover dei sui genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la sua responsabilità legale, ed a tal fine essi adottano tutti i provvedimenti legislativi ed amministrativi appropriati.
3. Gli Stati parti vigilano affinché il funzionamento delle istituzioni, servizi ed istituti che hanno la responsabilità dei fanciulli e che provvedono alla loro protezione sia conforme alle norme stabilite dalle Autorità competenti in particolare nell’ambito della sicurezza e della salute e per quanto riguarda il numero e la competenza del loro personale nonché l’esistenza di un adeguato controllo.

Articolo 7 legge 176/1991
1. Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da essi.
2. Gli Stati parti vigilano affinché questi diritti siano attuati in conformità con la loro legislazione nazionale e con gli obblighi che sono imposti loro dagli strumenti internazionali applicabili in materia, in particolare nei casi in cui se ciò non fosse fatto, il fanciullo verrebbe a trovarsi apolide.

Articolo 8 legge 176/1991
1. Gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a perseverare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni famigliari, così come sono riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali.
2. Se un fanciullo è illegalmente privato degli elementi costitutivi della sua identità o di alcuni di essi, gli Stati parti devono concedergli adeguata assistenza e protezione affinché la sua identità sia ristabilita il più rapidamente possibile.

Articolo 9 legge 176/1991
1. Gli Stati parti vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell’interesse preminente del fanciullo.

14 Settembre 2009Permalink

04 settembre 2009 – Ancora sulla registrazione dei neonati figli di migranti senza permesso di soggiorno – 11

Premessa
Ho ricevuto una preziosa memoria da parte di persona competente il cui ruolo non consente di farsi fonte di informazioni ufficiali.
Neppure io posso dare ufficialità a queste informazioni, ma il mio sito può assicurarne la trasparenza e la diffusione.
Comunque trascrivo la nota che mi è stata trasmessa e faccio mio l’appello conclusivo nella tristissima consapevolezza che ciò che si può proporre rappresenta uno schermo fragile e non una certezza per il contenimento della barbarie. Ma ai nuovi nati penalizzati dallo status giuridico dei genitori non possiamo offrire di più.
Alla fine, per chi lo volesse, non mi negherò lo spazio per qualche commento.

Il testo ricevuto

Procedura normale …
– il genitore può dichiarare la nascita del figlio e l’eventuale riconoscimento di paternità/maternità entro tre giorni dalla nascita presso la direzione sanitaria dell’ospedale/casa di cura in cui la nascita è avvenuta (tali dichiarazioni vengono trasmesse, ai fini della trascrizione, dal direttore sanitario all’ufficiale dello stato civile del Comune nel cui territorio è avvenuto il parto, se nessuno dei genitori ha residenza in un comune del territorio italiano, oppure all’ufficiale dello stato civile del Comune di residenza di entrambi i genitori o, se questi hanno residenza diversa, del Comune di residenza della madre); in alternativa sono i genitori stessi a potersi recare, entro 10 giorni dalla nascita, presso l’ufficio di stato civile. In entrambi i casi è necessario esibire, come è avvenuto finora, il solo documento di riconoscimento. Se il genitore non possiede documento di riconoscimento la sua identità viene registrata così come egli stesso la dichiara a voce;

– l’ufficiale di stato civile verifica se i genitori sono iscritti in anagrafe: in questo caso inserisce il figlio nella scheda anagrafica familiare, altrimenti si limita a registrare nascita, maternità e/o paternità (il che attesta che il bambino esiste, che ha quella madre e/o padre ed esclude lo stato di abbandono);

– i genitori possono chiedere in qualunque momento un estratto di nascita da cui risulta appunto il rapporto di filiazione; l’estratto di nascita permette ai genitori di lasciare l’Italia con il figlio, se l’estratto viene legalizzato in prefettura a questo scopo

Gli ufficiali di stato civile, cui il mio interlocutore si è rivolto, hanno assicurato che la circolare (così come l’indicazione sintetica presente sul sito del Ministero Interno e il rinvio presente sul sito dell’Anusca, Associazione Nazionale Ufficiali di Stato Civile ed Anagrafe) non lascia discrezionalità alcuna, e che qualunque ufficiale di stato civile che a partire dall’8 agosto 2009 chieda il permesso di soggiorno o anche solo il passaporto dei genitori per registrare la nascita e la dichiarazione di maternità/paternità si macchia di omissione d’atti d’ufficio.

… e il reato di clandestinità
Quindi l’ufficiale di stato civile non deve chiedere il permesso di soggiorno dei genitori per registrare il figlio
Se comunque, contravvenendo ai suoi doveri, chiede il permesso di soggiorno ai genitori e si rende conto che non ce l’hanno, scopre un reato (il reato di presenza non autorizzata sul territorio nazionale, previsto dall’art. 10 bis T.U. immigrazione così come modificato dalla l. 94/2009)
Gli articoli 361 e 362 del codice penale e 331 del codice di procedura penale affermano l’obbligo di denuncia solo se il pubblico ufficiale scopre il reato nell’esercizio delle sue funzioni, fra cui non si colloca la funzione di registrazione della nascita per cui non deve essere richiesto il permesso di soggiorno. In sintesi scoprire il reato durante la registrazione di nascita non fa sorgere l’obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale.
Ma se l’ufficiale di stato civile – come pubblico ufficiale – non è obbligato a fare denuncia, come cittadino ne ha la facoltà e l’autorità di pubblica sicurezza deve ricevere ogni notizia di reato, pur proveniente da chi non era obbligato a farla.

Questo significa amaramente che ogni straniero non in regola col permesso di soggiorno, se scoperto, è oggi esposto ad una denuncia di reato, da parte di chiunque.
Nel caso ipotizzato, se denunciato e quindi espulso, il cittadino straniero potrà far ricorso contro il decreto di espulsione dicendo che la sua irregolarità è stata scoperta da un ufficiale di stato civile che l’ha ingannato e, abusando del suo ruolo, gli ha fatto credere che fosse necessario esibire il permesso di soggiorno. Il giudice potrà anche dargli ragione su questo punto, condannando il pubblico ufficiale e in questo modo ammonendo tutti i suoi colleghi. Ma nessuna sentenza potrà sanare l’irregolarità del soggiorno dello straniero.
Il soggiorno è regolare solo e soltanto in presenza di determinati requisiti da parte dello straniero.

L’unica reale difesa, per il cittadino straniero che voglia registrare il suo bambino, è quella di sapere bene in quali casi è obbligato ad esibire il permesso (lo è, ad esempio, per chiedere il bonus bebè, o per firmare un contratto di locazione, …) e in quali casi la regolarità o irregolarità del suo soggiorno è totalmente irrilevante (lo è, ad esempio, per iscrivere i figli alla scuola dell’obbligo, o per essere ospitato da altre persone in case private). Perciò prima di chiedere dei servizi, rilasciare dichiarazioni, concludere atti privati, deve informarsi.
E il comune –che abbia a cuore la regolarità della registrazione delle nascite anche nel rispetto del proprio ruolo di governo di un territorio e delle convenzioni internazionali di cui l’Italia è firmataria- non può esimersi dal produrre un chiaro e pubblico regolamento.

Il rischio di denuncia non sussiste comunque nel caso in cui la dichiarazione di nascita venga resa al Direttore Sanitario dell’ospedale, in quanto il divieto a tradire il segreto sanitario non è stato abrogato e da sempre è pacificamente interpretato come avente a destinatari non solo i medici ma tutto il personale operante presso una struttura sanitaria
Leggiamo ancora una volta il comma 5 dell’art. 35 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) – tuttora in vigore- che recita: “L’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità’, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano”.

Rifiutiamo la paura?
Certo nella pratica, anche a causa della poca chiarezza sulla questione, i genitori possono temere di rivolgersi alle istituzioni, credendo di dover presentare il permesso di soggiorno per registrare il figlio e temendo che la mancata esibizione del titolo di soggiorno comporti non solo il mancato ricevimento della dichiarazione di nascita e filiazione ma anche la denuncia per il reato di presenza non autorizzata sul territorio italiano previsto dall’art. 10 bis del T.U. così come modificato dalla legge sicurezza 94/2009 in vigore dall’8 agosto.

È dunque necessario ora adoperarsi in tutti i modi per rimuovere le condizioni che determinano il timore dei genitori privi di permesso di soggiorno, anche sollecitando la nostra Regione a imitare chi si è già mosso a diffondere presso enti locali, ASL, Aziende ospedaliere e strutture sanitarie pubbliche e private operanti sul territorio come centri di nascita, ma anche presso uffici pubblici, scuole, associazioni, … una comunicazione ufficiale che:
– accolga e ribadisca la circolare del 7 agosto, per quanto riguarda le nascite;
– ricordi che il divieto di segnalazione di cui all’art. 35 comma 5, è ancora pienamente valido e, facendo riferimento alla nozione di “accesso alle strutture sanitarie” è ritenuto pacificamente vincolante non solo nei confronti del personale sanitario ma anche nei confronti di tutto il personale amministrativo;
– chiarisca a tutti, cittadini “zelanti”, pubblici ufficiali, incaricati di pubblico servizio, i limiti ben precisi delle norme che prevedono la denuncia di reato.

Commenti non essenziali

Spero che le associazioni che hanno voce forte nella società civile trovino in questo scritto – che volutamente non ha cancellato le perplessità generate da una legge pessima anche nella sua formulazione- un sostegno per chiedere ai comuni un regolamento relativo alle dichiarazioni di nascita, conforme alla circolare ministeriale n. 19 del 7 agosto.
Vorrei poter avere altrettanta speranza negli eletti e nelle elette presenti nelle istituzioni, ad ogni livello dell’ordinamento repubblicano, dai comuni al parlamento italiano ed europeo. I contatti che ho avuto con molti e molte di loro in questi mesi non mi consentono ottimismo, anzi…
Certamente accogliere questo appello non sarà un mezzo per modificare l’impianto generale della legge 94, ma potrà aiutare a contenere (l’onestà intellettuale non mi consente di scrivere evitare, come vorrei) un rischio terribile, che si proietterà anche nel futuro di non pochi esseri umani, quello di rendere inesistenti neonati a seguito dello status giuridico dei loro genitori o di lacerare il legame fondante madre-figlio, padre-figlio.
Non sono più i tempi in cui possiamo dire –con la speranza che sia efficace a cambiare la realtà in cui viviamo- la propria condivisibile indignazione. Occorre ricostruire pezzo a pezzo una civiltà devastata: riconoscere il diritto all’esistenza di neonati altrimenti discriminati, garantirne il diritto ad avere dei genitori può essere uno di questi passi.
E’ l’unico ‘pezzo’ di cui sono riuscita a identificare le tracce possibili: mi ha chiesto mesi di lavoro.
Certamente se a livello di istituzioni e società civile avessi trovato disponibilità al dialogo (come l’ha trovata chi si occupa di assicurarsi la presenza di badanti) avrei potuto fare di più.
Ma i neonati e le loro povere mamme ‘irregolari’ non servono a nessuno.
Se qualcuno vorrà scrivermi argomentazioni contrarie all’ipotesi che di percorso che sono stata aiutata a costruire ben venga. Pubblicherò solo argomentazioni non secchi rifiuti dell’esistenza del problema che già mi sono stati grossolanamente comunicati.

4 Settembre 2009Permalink

01 settembre 2009 – Logica e modelli – 10

Una poesia e i suoi effetti

Una bufera
di notte ha strappato tutte le foglie dell’albero
tranne una fogliolina
lasciata
a dondolarsi in un a solo sul ramo nudo.

Con questo esempio
la Violenza dimostra
che certo –
a volte le piace scherzare un po’.

(Wislawa Szymborska. La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009), Adelphi, Milano 2009, p. 713 – Testo diffuso dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo).

Non è giusto commentare la poesia, ma questa di Wislawa Szymborska, poetessa polacca premio Nobel per la letteratura, mi è stata di stimolo a rivedere ricordi e considerazioni.

Ricordi perché?
Ciò che oggi accade ha precedenti di regola ignorati che fanno parte anche della mia memoria e che mi sono d’aiuto a capire.
Solo a me? Non lo so perché nel luogo in cui vivo trionfa l’abitudine di sottrarsi al dialogo; i colloqui avvengono solo fra persone che si ritengono simili non per modalità di ragionamento e condivisioni di obiettivi ma per appartenenze, … e allora mi limito a scrivere.
Se il tempo che corre mi porterà alla perdita della memoria non voglio trovarmi inchiodata a un presente che ora giudico insensato e che la memoria e il ragionamento mi aiutano ancora a comprendere e giudicare.

Un po’ di storia
Non è la prima volta che in Italia arrivano fuggiaschi: l’arrivo in massa iniziò negli anni ’90 con la fuga degli albanesi. Poco dopo però cominciò la crisi balcanica e l’arrivo degli “sfollati delle Repubbliche sorte nei territori della ex Jugoslavia”, come li chiamò, non senza dibattiti e difficoltà nella scelta dei vocaboli, la legge 390 del 1992.
Quella legge aveva un titolo estremamente lungo che di per sé indica la fatica di comprendere situazioni che era inopportuno dissociare: “Interventi straordinari di carattere umanitario a favore degli sfollati delle repubbliche sorte nei territori della ex Jugoslavia, nonché misure urgenti in materia di rapporti internazionali e di italiani all’estero”.
Nel 1990 la cosiddetta legge Martelli aveva ribadito la convenzione di Ginevra sul rifugio politico negando contestualmente la validità della ‘riserva geografica’ che –fino ad allora- aveva limitato il riconoscimento possibile del rifugio politico a chi venisse dai territorio dell’Unione Sovietica.
Ma –per ragioni che non sto qui ad analizzare- quel rifugio non era estensibile a chi fuggiva minacciato ‘solo’ dalla guerra.
Di qui quel termine vago di ‘sfollati’ in cui, una società civile in rapporto con alcuni validi parlamentari, riuscì a far aggiungere nella legge 390 (e anche questa non fu un’operazione facile, ma funzionò) l’art. 2-bis: “La Repubblica italiana è impegnata a garantire comunque l’ingresso e l’ospitalità ai giovani cittadini delle Repubbliche ex- jugoslave che siano in età di leva o richiamati alle armi, che risultino disertori o obiettori di coscienza”.
Oggi il dibattito sulle possibili conseguenze operative della Convenzione di Ginevra appare devastato e degradato: i barconi vengono cacciati senza porre in atto le operazioni per verificare la possibilità di chiedere e concedere il rifugio politico e la terminologia di quella povera vecchia leggina, così precaria e così voluta, è scomparsa anche dal linguaggio della società civile.
Già perché molte associazioni, allora determinate nella costruzione della pace, sono diventate attente solo alle proprie iniziative che, anche se positive, si propongono come del tutto estranee a un qualsiasi interesse per le istituzioni. In particolare hanno dimenticato che le istituzioni della Repubblica cooperano, secondo il proprio ruolo e nei limiti delle loro funzioni, al raggiungimento della finalità fondamentali che la Costituzione indica.

Neonati e circolari ministeriali
Chi legge le mie segnalazioni avrà già visto in quel settore le informazioni che trascrivo di seguito perché le ritengo di estrema importanza e voglio quindi sottrarle alla volatilità che caratterizza le segnalazioni stesse.
In una sua nota sintetica del 7 agosto il Ministero dell’Interno, a proposito della registrazione anagrafica, precisa che:
“Le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile) non richiedono l’esibizione di documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto”.
Mi sembra che – con una ‘virtuosa’ interpretazione della lettera g del comma 22 dell’art. 1 della legge 94/2009 – la nota sintetica, riprendendo la circolare n. 19 del 7 agosto – apra la strada per la garanzia della pubblica evidenza del rapporto di filiazione di modo che il minore non possa venir sottratto ai suoi genitori non identificati come tali.

I luoghi in cui far chiarezza ad assicurare quanto al minore è dovuto sono, evidentemente, i comuni che possono quindi farsi sedi per il rispetto delle convenzioni internazionali non attraverso occasionali ammucchiate di piazza per protestare contro il governo e il pacchetto sicurezza globalmente inteso (e probabilmente ignoto anche ai protestatari) ma per realizzare al meglio le proprie funzioni.
Nel caso specifico i comuni, regolamentando adeguatamente la circolare che concede –in non definite situazioni di sicurezza- la dichiarazione di nascita dei figli di immigrati privi di permesso di soggiorno, realizzerebbero l’articolo 7 della Convenzione di New York che afferma: “Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da essi”. (Si veda, tra l’altro, il mio articolo del 26 luglio)

Badanti e nuovi nati
Mi è già capitato, in una disperata ricerca di informazioni presso autorità comunali sulle modalità di riconoscimento dei nuovi nati, figli di immigrati irregolari, di riceverne silenzio quando non insulti.
Appena avrò, se ne avrò, informazioni attendibili in merito a proposte competenti e ragionevoli ne scriverò.
Voglio però segnalare che la circolare che consente l’emersione delle badanti e colf ha un regolamento attuativo, diffuso anche dai maggiori organi di stampa, del tutto assente invece per ciò che concerne il riconoscimento anagrafico dei neonati figli di immigrati senza permesso di soggiorno. (sono le foglioline di Wislawa Szymborska. Ne ho scritto nel mio articolo del 1 giugno).
Per ora mi limito a ragionare su un caso esemplare che le cronache internazionali ci offrono a proposito di bambine nate ma inesistenti.

Modelli d’oltre oceano
I modelli sono sempre stati importanti nel fornire il supporto dell’analogia alla conoscenza tramite la trasmissione di indirizzi di comportamento d’altri, ritenuti degni d’essere imitati e perciò rassicuranti. (Proprio in questi giorni ne abbiamo un esempio illustre: l’operazione Feltri anti quotidiano vescovi, speculare all’operazione Repubblica anti costumi sessuali berlusconiani. L’esempio si conclude qui perché non mi piace rimestare nel pattume da qualsiasi parte prodotto).

Per la questione della possibile mancata registrazione di nascita per i nati da genitori privi di permesso di soggiorno un recente significativo modello viene dagli Stati Uniti.

Diciotto anni fa, in California, un uomo ha rapito una bambina. L’ha tenuta in stato di schiavitù con la complicità della moglie, l’ha messa incinta facendola partorire due volte di nascosto e evitando quindi alle nuove nate la registrazione anagrafica, comunque si chiami oltre Atlantico.
Le figlie – che oggi hanno 15 e 11 anni – non sono mai andate a scuola, evidentemente non sono mai state visitate da un medico (a meno che non si trattasse di complice del signore di cui sopra), nessuno – né vicini di casa, né autorità locali – le ha mai viste.
Per maggiori informazioni indico alcuni link, dalla BBC e dal Corriere della sera
Se i sindaci italiani, sceriffi, organizzatori di ronde, – o semplicemente sciattoni che ignorano il loro ruolo di garanti della popolazione del territorio di cui sono responsabili- hanno nel Far West un modello, ora possono aggiungere ai loro riferimenti internazionali anche la eventuale mancata registrazione dei neonati, se a tanto arriveranno.

NOTA: Forse questa parte del mio scritto subirà qualche modifica e integrazione se riuscirò ad avere le informazioni che sto cercando sulla registrazione anagrafica e l’obbligo scolastico in California. Per ora mi limito a segnalare ciò che so.

1 Settembre 2009Permalink

12 agosto 2009 – Qualche aggiustamento per l’infamia? Non basta – 9

Di seguito le informazioni, ma voglio aprire questa (che vorrei potesse essere l’ultima puntata di una delle vicende più squallide della nostra storia) con qualche mia considerazione.
Il pacchetto sicurezza non ha retto alla prova dei fatti dimostrando che il governo è stato incapace di proposte che non siano sommari e imprecisi giochi di propaganda di questo o quel partito che si sforza di identificarsi anche con la promozione dell’infamia. L’opposizione parlamentare non ha forze sufficienti per contrastare una maggioranza ignorante e arrogante, incapace anche di decorosamente legiferare.
Ritengo comunque doveroso segnalare:

– il buon lavoro dei medici e degli operatori sanitari, le uniche categorie che, focalizzato un problema (la violazione del segreto sanitario), si sono impegnate con serietà ad opporsi alla devastazione di uno dei fondamenti della loro etica professionale;

– la paura per il rischio di perdere la badante che, probabilmente estesa anche a ministerial famiglie o qualche cosa del genere, ha creato lo stimolo efficace per una specifica sanatoria mascherata (si veda il Sole 24 ore del 23 maggio da me più volte citato; ricordo in particolare l’articolo del 1 giugno);

– il contorcimento linguistico escogitato per affermare (vedi sotto *) che è possibile, anche per gli immigrati irregolari registrare la nascita dei propri figli.

Possiamo dire che almeno da questo punto di vista siamo tranquilli?

Certamente no.
Infatti sarà necessaria una vigilanza continua per evitare abusi ed eccessi di diligenza, e tanto più assidua dovrà essere questa vigilanza se si tiene conto che i luoghi della registrazione sono i comuni che, nella stragrande maggioranza, hanno atteso le indicazioni della circolare di cui riporto di seguito gli estremi.
E mi aspetto anche le necessarie circolari regionali, anzi è meglio che non me le aspetti perché immagino che – almeno in Friuli Venezia Giulia- ci sarà più interesse per i dictat grossolani, urlati dalla Lega Nord Padania che per la correttezza amministrativa.
Speravo soprattutto in un movimento di sindaci a tutela del loro ruolo di responsabili di un territorio: non c’é stato. Meschini podestà di un nuovo corso aberrante hanno taciuto. Inconsapevolezza? Volontà di discriminare i nuovi nati non autoctoni, quelli che ormai possiamo chiamare militarmente “effetti collaterali” di un processo violento, finalizzato a spaventare i loro genitori e a soddisfare diffusi appetiti a sfondo razzista?
Non lo so: so con certezza, per aver seguito le miserevoli vicende del comune di Udine dove vivo e voto, che nessuno (e nessuna: donne silenti, occupate non a onorare le funzioni per cui sono state elette, ma a smentire la tradizione che le vuole ciarliere!) degli assessori, dei consiglieri comunali di maggioranza e opposizione e avanti fino al sindaco se si ripresenterà alle prossime elezioni (nella veste attuale o in altra veste) avrà il mio voto. Non posso e non potrò mai più esprimere fiducia a persone che si sono fatte beffe – o almeno si sono disinteressate – di neonati solo perché non autoctoni, violandone il rispetto dei diritti e beffandosi delle leggi che li garantiscono.
Decisione che estendo ai consiglieri regionali e ai parlamentari.
Quanto alla società civile (salvo eccezioni che ho via via segnalato in questo mio sito) si é compiaciuta – insieme alle chiese- di avvoltolarsi nel voyerismo provocato dalle gesta (vere o millantate che fossero) del presidente del consiglio e –strenuamente impegnata a guardare e osservare ogni più pruriginoso particolare – non ha trovato il tempo per occuparsi di neonati: quelli minacciati sono pochi, non si dedicano a sguaiate proteste di piazza, non si accoppiano con mediatico clamore. Che farsene?

E ora qualche informazione
Riporto le indicazioni per risalire all’ultima pagina del sito dell’Associazione Studi Giuridici Immigrazione, che pubblica il testo integrale della legge 15 luglio 2009, n. 94, recante ‘Disposizioni in materia di sicurezza pubblica’ è stata pubblicata sul supplemento della Gazzetta Ufficiale del 24 luglio 2009 ed e’ entrata in vigore l’8 agosto 2009

Al testo della legge fanno seguito le circolari applicative:

– Circolare del Ministero dell’Interno – Capo di Gabinetto – del 5 agosto 2009
Legge 15 luglio 2009, n. 94, recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”.

– Circolare del Ministero dell’Interno del 6 agosto 2009
Legge 15 luglio 2009, n. 94, recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”. Modifiche in materia di cittadinanza.

– Circolare del Ministero dell’Interno n. 19 del 7 agosto 2009
Legge 15 luglio 2009, n .94, recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”. Indicazioni in materia di anagrafe e di stato civile.

e le disposizioni relative alla regolarizzazione dei cittadini extracomunitari addetti a servizi domestici o di assistenza alla persona (colf o badanti) che erano alle loro dipendenze almeno dal 1 aprile 2009

Per la registrazione della nascita dei figli di immigrati privi di permesso di soggiorno, di cui mi sono ripetutamente occupata in questo mio sito, la circolare applicativa del 7 agosto dice:

* “Il comma 22, lett. g), dell’articolo 1 modifica l’articolo 6, comma 2, del d.lgs. n. 286/1998 rubricato “Facoltà ed obblighi inerenti al soggiorno”.
Di seguito si riporta il testo del citato comma 2, con le modifiche introdotte,
evidenziando in corsivo la parte aggiunta dalla nuova norma: “Fatta eccezione per i
provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo, per quelli inerenti all’accesso alle prestazioni sanitarie di cui all’articolo 35 e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie, i documenti inerenti al soggiorno di cui all’articolo 5, comma 8, devono essere esibiti agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati”.
Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto. L’atto di stato civile ha natura diversa e non assimilabile a quella dei provvedimenti menzionati nel citato art. 6”.

Altra documentazione di trova nel sito della Società Italiana di medicina delle migrazioni. www.simmweb.it

12 Agosto 2009Permalink

05 agosto 2009 – L’ultima sicurezza: l’infamia fa cucu – 8

 I dubbi di un funzionario della prefettura di Prato …..
Mi trovo fuori casa e apro un giornale locale: è l’Alto Adige del 29 luglio che a pag. 7 titola: Per i clandestini ‘figli invisibili’ (Annalisa D’Aprile), poi cita una analisti proposta dal sito ‘meltingpot’ (che potete leggere qui) e un’intervista all’attrice Pamela Villoresi che esprime le sue preoccupazioni per gli ostacoli opposti all’esperienza della maternità per immigrate non regolari.
Pamela Villoresi è di Prato e il riferimento geografico non è casuale perché in contemporanea possiamo leggere su Repubblica (29 luglio – ‘Neonati fantasma se figli di clandestine’ – Vladimiro Polchi. Notizie riportate dal quotidiano Il Tirreno) precise dichiarazioni di Giovanni Daveti, funzionario della prefettura di Prato:
“Il pacchetto sicurezza obbliga i clandestini a mostrare il permesso di soggiorno negli atti di stato civile. Non abbiamo alcuna circolare che ci spieghi come comportarci dall’8 agosto, quando entrerà in vigore la legge, avremo neonati che non potrann0o essere riconosciuti dai genitori”.
Continua Repubblica: “Non è tutto: in Friuli Venezia Giulia, la Lega è pronta a presentare esposti alle procure per la chiusura di tutti gli ambulatori che curano gli immigrati irregolari”. Tralascio questo aspetto che, per fortuna, è considerato anche dove io vivo da quel mondo associativo che viene ascoltato dalle cd. autorità, avendo a suo vantaggio non tanto la validità delle ragioni quanto il numero di chi le sostiene.
Avrei voluto sentir pronunciare la domanda del funzionario di Prato anche dai responsabili del comune di Udine, cui mi sono rivolta in più occasioni.
Così non è stato.

…. e i comunicati confusi del Comune di Udine
Il 26 luglio, in previsione di una partecipazione del Sindaco a una manifestazione di associazioni, l’Ufficio Stampa del comune ha pubblicato un comunicato stampa di cui, se si trattasse di un elaborato scolastico, potrei scrivere: “Nonostante alcuni errori evidenti nel testo, l’elaborazione rivela buona volontà da parte dell’alunno…”.
Ma non posso e non devo essere pietosa verso un documento del comune quando scrive (e chi voglia verificare può farlo da qui):

“L’art. 45 del ddl “Disposizione in materia di sicurezza”, infatti, introduce l’obbligo per il cittadino straniero di esibire il permesso di soggiorno in sede di richiesta di provvedimenti riguardanti gli atti di stato civile, tra i quali sono inclusi anche gli atti di nascita. Una norma che di fatto impedisce la registrazione della nascita e si configura come una misura che oggettivamente scoraggia una protezione del minore e della maternità. Senza contare che molte delle donne prive di permesso di soggiorno, temendo che il figlio venga loro tolto, decidano di non partorire in ospedale, con il conseguente ed elevatissimo rischio che aumentino le morti per parto o di quelle dei neonati.
I minori non registrati, infatti, secondo quanto denunciato, resterebbero privi di qualsiasi documento e totalmente sconosciuti alle istituzioni. In mancanza di un’attestazione da cui risulti il rapporto di filiazione, molti di questi bambini non potranno acquisire la cittadinanza dei genitori e diventeranno apolidi di fatto. In secondo luogo c’è il forte rischio che i neonati partoriti in ospedale non vengano consegnati ai genitori privi di permesso di soggiorno, visto che a quest’ultimi è impedito il riconoscimento del figlio, e che in tali casi venga aperto un procedimento per la dichiarazione dello stato d’abbandono.
“Più in generale – spiega l’assessore con delega ai Diritti di Cittadinanza Kristian Franzil – condividiamo con il Tavolo Unico la preoccupazione per tutto il quadro delineato dal pacchetto sicurezza, che di fatto rischia di creare discriminazioni, basti vedere l’idea di introdurre l’anzianità di residenza in regione, e soprattutto ulteriori ostacoli all’integrazione degli immigrati.
Tra le azioni che ci proponiamo di intraprendere per appoggiare l’iniziativa della Rete per i Diritti di Cittadinanza e del Centro Balducci c’è la possibilità di convocare la presidenza dell’Ordine dei Medici e delle Ostetriche alla presenza dei responsabili dei servizi anagrafici per esplorare, qualora il comma relativo al segreto sanitario diventasse legge, la possibilità di misure di contrasto alla creazione di apolidi”.

Per favorire di una lettura consapevole devo precisare che:
1) l’articolo del Testo Unico sull’immigrazione (D.lgs. 286/1998), che impegna i medici al rispetto del segreto sanitario, è presente nel cd pacchetto sicurezza (ora legge 94/2009) e il 26 luglio si sapeva benissimo che sarebbe stato votato e che il problema era –ed è- quello dell’interpretazione, che il comunicato stampa udinese non cita.
2) il segreto sanitario è questione diversa dalla registrazione dei neonati figli di immigrati irregolari, su cui il comune di Udine non prende alcun impegno, né esprime alcun onesto dubbio come ha fatto il funzionario della prefettura di Prato, di cui persino il locale Messaggero Veneto ha riportato le dichiarazioni (29 luglio. Pg. 4).

Una parrocchia domanda.
In tanta confusione sulla bacheca di una parrocchia udinese è possibile leggere finalmente una domanda onesta, evidentemente sfuggita agli amministratori locali:

“Il pacchetto sicurezza è diventato legge dello stato.
In una delle nuove norme è scritto che il permesso di soggiorno diventa obbligatorio per qualsiasi atto: registrazione nuovi nati, matrimonio, etc. Quindi quando nasce un bambino una mamma senza permesso di soggiorno (anche se ha fatto domanda per ottenerlo e ne è in attesa) non può registrarlo, né può farlo il suo papà, se privo del permesso (ad esempio in seguito alla perdita del posto di lavoro).
Il pacchetto non prevede, come in un primo momento si temeva, che il medico che assiste al parto debba denunciare la mamma in quanto ‘clandestina’, ma quel bambino non può essere registrato all’anagrafe a meno che non venga abbandonato per essere dato in adozione e quindi registrato come figlio adottivo altrui.
Se alla mamma sarà concesso tenere il piccolo, potrà restare in Italia per sei mesi, ma, trascorso il periodo di protezione dopo il parto che non risulta soppresso, se non avrà sanato la sua posizione verrà espulsa e non è possibile sapere che ne sarà di quel piccolo al passaggio del confine.
Infatti il neonato non risulterà in nessun modo figlio della sua mamma, che potrebbe essere praticamente assimilata a un rapitore di bambini e il piccolo potrebbe esserle sottratto.
Se poi la mamma morisse di parto o di malattia il papà non avrebbe modo alcuno di poter riconoscere il piccolo neppure nel periodo immediatamente successivo alla nascita.
Chiediamo al sindaco di dirci come si comporterà il nostro comune quando dovrà affrontare il rifiuto di registrazione di una nascita, come la nuova legge impone”.

Equivoci in regione: ignoranza o malafede?
Un amico mi ha mostrato il Gazzettino del 30 luglio in cui un consigliere regionale della Lega Nord, dopo aver dichiarato che l’impossibilità di registrazione dei neonati figli di immigrati irregolari ‘è una panzana’ (per me è impossibile sostituire alle argomentazioni e alla citazioni delle fonti il tono assertorio e arrogante di questi signori, ma so che piace e genera consenso), afferma: “Qualcuno fa finta di non sapere che la legge fa un’eccezione per le donne in gravidanza durante quel periodo e per sei mesi dopo il parto hanno diritto a un permesso di soggiorno temporaneo, a tutela del bambino”.
Ciò è vero per le donne sposate ma il fatto che non vengano cacciate non sostituisce la registrazione anagrafica negata e, se la donna non è sposata, il permesso semestrale non è estensibile al compagno, mentre lo è al marito. Quindi se la donna muore, il bambino è immediatamente suscettibile di venir penalizzato da una procedura di abbandono perché il padre naturale non può riconoscerlo.
E’ cosa che ho scritto tante volte, chiaramente espressa anche nella domanda della parrocchia udinese.

Pareri autorevoli o no?
A conclusione di questa mia serie sull’infamia governativa e non solo che ora, nel polverone sollevato può permettersi il lusso di ammiccare, anziché dichiararsi, riporto alcuni passi di recenti pareri autorevoli.
Non so se i vari esponenti politici locali, che si sono dichiarati e che ho consultato, li riterranno tali. Io ritengo corretto diffonderli con i mezzi di cui dispongo.

UNO.
Innanzitutto faccio notare che la mia ricostruzione (proposta nelle puntate precedenti) dell’art. 6, comma 2 del testo unico delle leggi sull’immigrazione approvato con d. lgs. n. 286/1998, come modificato dall’art. 1 della legge 15 luglio 2009, n. 94 – Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, corrisponde a quanto scrive l’ASGI:

“Fatta eccezione per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo, per quelli inerenti all’accesso alle prestazioni sanitarie di cui all’articolo 35 e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie, i documenti inerenti al soggiorno di cui all’articolo 5, comma 8, devono essere esibiti agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati”.

Ricopio il collegamento a due lettere che l’Asgi ha predisposto per un eventuale invio, da parte delle associazioni al Presidente del consiglio e ai Presidenti delle regioni.

DUE
Sempre nel sito dell’ASGI è possibile reperire il testo integrale di un parere della Sesta Commissione del Consiglio superiore della Magistratura, come proposto all’approvazione del plenum del Consiglio stesso il 10 giugno 2009.
Ne riporto soltanto il passo che riguarda la questione del riconoscimento:

5.3. Parallelamente va rilevato che l’art. 6, comma 2, t.u. immigrazione, come modificato dall’art. 45, lett. f (ora art. 1, comma 20, lett. f, d.d.l.), richiede, ai fini della dichiarazione di nascita, la esibizione all’ufficio dello stato civile del permesso di soggiorno di chi la opera.
Ciò, come segnalato in una nota 30 aprile 2009 della Associazione magistrati per i minorenni e la famiglia, si pone “in contrasto con il diritto della persona minore di età alla propria identità personale e alla cittadinanza da riconoscersi immediatamente al momento della sua nascita (art. 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo approvata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con legge del 27 maggio 1991 n. 176)”, “determinando una iniqua condizione del figlio di genitori stranieri non regolari nel nostro territorio”, con la conseguenza che lo stesso non solo “verrebbe privato della propria identità ma potrebbe essere più facilmente esposto ad azioni volte a falsi riconoscimenti da parte di terzi, per fini illeciti e in violazione della legge sull’adozione”.

Perché l’arroganza del consigliere regionale del Friuli Venezia Giulia – onorata dalla sciatteria dei mezzi di (dis)informazione che non si fanno carico di indagare autonomamente su una questione di estremo interesse e delicatezza- dovrebbe essere più credibile del ragionevole (e documentato) dubbio dei magistrati?

TRE.
Sempre l’Asgi ci offre la lettura di una ordinanza del Tribunale di Brescia che, a seguito di un ricorso presentato congiuntamente da un rifugiato politico liberiano e dall’ASGI stessa, ha ordinato al Comune di Ospitaletto (BS) di rimuovere le ordinanze del Sindaco datate 11.02.2009 e 8.03.2009, con le quale veniva subordinata l’iscrizione anagrafica dei cittadini stranieri nei registri della popolazione residente in quel Comune al requisito del possesso della carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti e alla presentazione di certificati relativi alle eventuali pendenze giudiziarie nel paese di origine.
Il Tribunale civile di Brescia ha riconosciuto che tali due ordinanze sindacali sono discriminatorie in quanto prevedono dei requisiti e delle prescrizioni ai fini dell’iscrizione anagrafica degli stranieri non previsti dalla legislazione anagrafica, così come difformi e aggiuntivi rispetto a quanto richiesto per i cittadini italiani. Il Tribunale inoltre ha affermato che il Sindaco non poteva adottare un comportamento difforme da quanto stabilito dalla legislazione anagrafica sulla base di presunte giustificazioni e finalità di sicurezza e ordine pubblico. Tali motivazioni addotte dal Sindaco sono apparse inconsistenti alla Corte, perché, in ogni caso, alla luce della legislazione, il Sindaco non potrebbe mai rigettare una richiesta di iscrizione anagrafica da parte di un soggetto, sia esso italiano o straniero, che avesse precedenti penali, così come appare palesemente discriminatorio il comportamento del Sindaco che si arroga il diritto di conoscere gli eventuali carichi penali degli stranieri all’estero, senza fare altrettanto per i cittadini italiani.

Una richiesta al Sindaco.
Dice l’antico proverbio: “Quando il saggio indica la luna, l’idiota guarda il dito”.
E questo sarebbe ancora poco se quel dito non fosse abbastanza grande per oscurare la realtà, provocando un disturbo visivo, ora significativamente diffuso fra i sindaci.
Potremmo chiamarlo ‘Oscuramento visivo temporaneo da permesso di soggiorno’. Capita infatti che questi signori siano così indifferenti al governo della realtà in cui vivono da accettare che nel loro territorio nascano bambini di cui verrà cancellata l’esistenza.
Tale cancellazione non avverrà a seguito di un rito di magia nera o bianca che sia, ma semplicemente perché allo sportello degli uffici comunali qualcuno dirà di non poter accettare la domanda di registrazione di un atto di nascita in quanto il genitore che ne farà domanda non sarà in grado di esibire il permesso di soggiorno.
Io chiedo ad ogni sindaco che accetti questo scempio nel suo comune (per immarcescibile fede leghista, per ignoranza, per indifferenza ) di non consentire a quel dito di oscurare anche la presenza di un impiegato che allo sportello dovrà pronunciare la sentenza.
Vuol distruggere la vita di relazione di un bambino?
Lo faccia assumendosene la responsabilità, nello spirito d’obbedienza dei podestà d’epoca.
Vada allo sportello e, rispettando almeno la coscienza dell’impiegato, ultimo anello della catena, pronunci lui quel “no” infame; si renda responsabile almeno di questo.

5 Agosto 2009Permalink