20 novembre 2011 . Occhi e voci di donne

Mentre a Gaza infuria l’orrore voglio segnalare due testi (una lettera e un articolo) pubblicati su facebook da Lucia Cuocci, giornalista che  lavora presso Protestantesimo Raidue.
Per la conoscenza che Lucia ha della situazione israelo palestinese e le sue relazioni con persone nei Territori Palestinesi e nello stato di Israele considero più che affidabile quanto ci segnala e mi piace trasferire i due testi delle donne israeliane che si discostano da molto di ciò che ci viene normalmente offerto dai mezzi di informazione.
 

La lettera di Ruth Garribba 

Grazie a tutti gli amici che ci chiedono come stiamo, che si preoccupano per noi, che ci pensano… Arianna Giorgi, Letizia Tabarrini, Ingeborg Miotti e tanti altri cari amici. Noi stiamo bene, qui nel nord non c’è la guerra, ma vivere in un paese che conosce solo il confronto militare come soluzione dei problemi e’ deprimente, nauseante, terribile. Da molti, troppi anni il processo di pace non viene portato avanti, anzi il governo cerca in tutti i modi di distruggere quel poco che è sopravvissuto di Oslo. Dal 1999 ad oggi ci sono state 5 tornate elettorali – tutte accompagnate pochi mesi prima da un’ impresa militare. Anche questa volta siamo alla vigilia delle elezioni. La destra ci guadagna sempre a fomentare il nazionalismo estremista e l’ odio per il nemico che poi alla fine il nemico è anche chiunque si dichiari contro la guerra, come me.
Come se non bastassero le rivalità politiche della campagna elettorale, ogni “giro” di guerra permette alla violenza (mal repressa) di popoli che vengono alimentati a forza di odio di tirare fuori il peggio di sé, senza nessuna remore – quello che si vede e si sente su facebook, in televisione, sui giornali, è la voce del popolo assetata di sangue. Ovviamente non sono l’ unica a pensarla in un altro modo, e se c’è qualcosa di confortante il questo giro di guerra rispetto ai precedenti, sta nel fatto che anche se flebilmente si sente chi dice che la guerra non risolve nessun problema, che bisogna a tutti costi dialogare, la vera calma si raggiungerà con la pace e non con un confronto armato i cui patti dureranno fino a quando le due parti in conflitto non si saranno armati a sufficienza per dare via al prossimo giro di violenza. Ieri c’è stata una manifestazione di palestinesi e israeliani contro la guerra a Bet Jalla, vicino a Gerusalemme. Anche e Haifa arabi ed ebrei hanno manifestato insieme contro la violenza delle due parti e in solidarietà alle vittime delle due parti. Anche io, per fortuna, posso vivere la solidarietà di arabi ed ebrei contro la guerra e a favore di una soluzione pacifica del conflitto, nel centro in cui lavoro – Il centro di educazione umanistica.
Ghershon Baskin e’ una persona molto seria, non uno di quei pacifisti che non sanno cosa dicono e tanto meno cosa facciano. Ha fondato anni fa un organizzazione di ricerca e di sviluppo di israeliani e palestinesi, che per molti anni ha diretto insieme ad un palestinese. IPCRI si chiama l’ organizzazione, cercateli nel web, si occupano di sviluppo economico, di ricerca, di educazione alla pace. Ghershon Baskin, non li sapevamo, ma ha tenuto i contatti con i dirigenti di Hamas che hanno portato alla liberazione del soldato Ghilad Shalit. Dopo la liberazione di Shalit, ha continuato a mantenere gli stessi contatti, nella speranza di poter promuovere un dialogo che porti ad un accordo tra Hamas e Israele. Baskin era in contatto con Giabari, il capo militare di Hamas che è stato ucciso dall’ esercito israeliano la scorsa settimana, e il giorno in cui e’ stato ucciso aveva ricevuto da Baskin una proposta accordo tra Hamas e Israele. Ovviamente Baskin non lavorava da free- lance, il governo e gli ali ranghi dell’ esercito erano a conoscenza del suo lavoro.
Eppure la logica militare, dalla parte israeliana come da quella palestinese, ha avuto il sopravvento ancora una volta.
C’è sempre più gente che capisce che questa logica soffoca ogni possibilita’ di trattare problemi sociali acuti della societa’ israeliana, che questa logica non da’ vera tranquillità a chi vive vicino a Gaza, che questa logica comporta essenzialmente una deumanizzazione della società in generale, e di chi viene mandato a combattere in particolare. La funzione elettorale di queste guerre e’ ormai chiaro a molti. Ovviamente per ballare questo tango c’e’ bisogno di due ballerini, Hamas e il governo di Netaniahu sono una coppia affiatatissima, spietati nei confronti dei nemici – moltissimi civili – e spietati non meno nei confronti del “loro” popolo.

Un articolo di Manuela Dviri   19 NOVEMBRE 2012

 Se anche i bambini usano le parole di guerra
A Gaza come a Tel Aviv i piccoli stanno imparando parole che non dovrebbero mai conoscere: «allarme», «missile», «rifugio», «stanza sicura»

Un amico con il quale lavoro da anni nell’ambito di un progetto sanitario per la cura di bambini palestinesi, mi telefona da Gaza per sapere se sto bene, se il missile che è esploso a Tel Aviv ha creato danni, se ho preso paura quando ha suonato l’allarme.

Rispondo che per fortuna non ci sono stati danni, che il missile è caduto in mare, intercettato in aria dal sistema di difesa «cupola di ferro», che non ho paura, che sono a casa, che da una settimana sto lavorando a un nuovo libro, un giallo, e che comunque non ho rifugio in cui andare perchè nella mia palazzina Bauhaus, qui a Tel Aviv, il rifugio non c’è.

Lui mi racconta di un’altra palazzina, quella in cui abitava la famiglia Aldalu, a Gaza City. Dice che ne resta solo un enorme cratere. Che delle 13 persone che vi abitavano non è rimasto più niente, tutti uccisi dal missile israeliano che ha centrato in pieno la loro casa. Mi parla delle decine di persone del quartiere che hanno cercato a lungo di scavare tra le macerie nella speranza che fosse rimasto vivo qualcuno e invece hanno trovato solo i corpi senza vita di quattro donne, un uomo anziano e sei bambini. Due intere famiglie.

Non so che dirgli. Non c’è nulla da dire. Tranne che mi dispiace. Che non è giusto. Che non provo quasi più rabbia, solo nausea. Che la violenza mi fa male. Male al cuore, male all’anima, male, male, male. Che mi fa male come israeliana, come ebrea, come donna, come madre di tre figli e nonna di sette nipoti e sopratutto come essere umano.

Che vorrei che le due parti la smettessero di colpirsi come pugili in un ring, entrambi pesti e sanguinanti a tirarsi pugni sperando inutilmente di mettere l’altro k.o. per potere finalmente annunciare la vittoria che mai ci sarà, come Robert De Niro e Sugar Ray Robinson in «Toro Scatenato».

Gli ho raccontato dei miei nipoti, che stanno imparando, per la prima volta nella loro vita, il significato delle parole «allarme», «missile», «rifugio», «stanza sicura». Poi è caduta la linea. Sono tornata al mio giallo. Improvvisamente hanno iniziato a suonare le sirene, sono andata alla finestra per vedere cosa stava succedendo (sarebbe proibitissimo) e ho capito che l’allarme non proveniva da fuori, che era la tivù che mandava in onda un allarme ad Asdod o ad Ashkelon. Dev’essere caduto un razzo nel cortile di una scuola, che per fortuna era chiusa.

Subito dopo hanno ricominciato a parlare i soliti esperti che ormai da una settimana sembrano vivere all’interno degli studi televisivi, tutti maschi, tutti ex (o futuri) capi di Stato Maggiore, generali, colonnelli, capitani. O politici. Ho spento la televisione. E mi son seduta ad attendere il mio missile quotidiano (ieri erano due). Speriamo di no.

(19/11/2012 13:00) 

PROMEMORIA

REGIO DECRETO LEGGE n. 1728 17 Novembre 1938
Provvedimenti per la difesa della razza italiana

REGIO DECRETO LEGGE n. 1779 15 Settembre 1938
Integrazione e coordinamento in testo unico elle norme già emanate per la difesa della razza nella scuola italiana

20 Novembre 2012Permalink