31 dicembre 2012 – E’ morta Rita Levi Montalcini

Vedo che l’interesse per il premio Nobel Rita Levi Montalcini è grande e mi fa piacere,
E’ stata una donna straordinaria per talento, impegno, visione della vita.
Io vorrei che fossero esplicitamente ricordate anche le ragioni per cui, cacciata dalle leggi razziali, dovette andarsene dall’Italia e gli insulti che le furono tirati addosso come pietre quando, senatrice a vita, sostenne il governo Prodi.
Spero che chi commise quell’infamia – e che probabilmente ancora siede in Parlamento – abbia il buon gusto di allontanarsi quando verrà commemorata e che tacciano coloro che accolsero beffe e insulti con indifferenza quando non con compiacimento.
Rita Levi Montalcini non merita di dover subire  i consensi di opportunistici voltagabbana.
A Storace che le aveva beffardamente offerto stampelle per sostenere qualche incertezza del passo di una centenaria rispose (e valga per tutti): “Esprimo il mio profondo sdegno a quanti non possiedono le mie stesse facoltà mentali perché le loro manifestazioni riconducono a sistemi totalitari di triste memoria“.

C’è però un’espressione nel messaggio di cordoglio del Presidente della Repubblica che non posso condividere. Ha scritto Napolitano: “ La fermezza e dignità con cui di fronte alle persecuzioni razziali del fascismo scelse la difficile strada dell’esilio ha rappresentato un esempio straordinario nel movimento per la libertà e la rinascita della democrazia in Italia”.
L’esilio non si sceglie, Presidente, l’esilio si subisce e Rita Levi Montalcini fu costretta a sospendere l’attività accademica a causa delle leggi razziali del 1938 che negavano anche l’insegnamento ai cittadini di razza non ariana. Quindi andò in Belgio (momentaneo rifugio che l’avanzata dell’esercito tedesco rese presto insicuro) e poi dovette trovare precarie sistemazioni segrete fino alla fine della guerra.
Credo che la consegna del Nobel per la pace alla ragazzina pachistana  Malala  Yousufzai, gravemente ferita dai talebani per aver difeso il diritto allo studio delle bambine, potrebbe saldarsi al Nobel per la medicina conferito a Levi Montalcini nel 1986  (per la vicenda di Malala si veda il mio “Una ragazza coraggiosa e intelligente e un parlamento dormiente” dell’11 novembre, leggibile anche da qui).
Aggiungo il link che consente di avere maggiori notizie sul trattamento che fu riservato alla Levi Montalcini ormai senatrice.
http://www.lettera43.it/politica/quelli-che-odiavano-la-montalcini_4367578147.htm

Filippo, il transfrontaliero  

Filippo ha sei anni e già un considerevole passato di lavoratore transfrontaliero se lo studio è, com’è, un lavoro e se lo è anche il gioco che – come tale – i bambini hanno il diritto a rivendicare.
Quando Filippo era piccino i suoi genitori (vivono in un piccolo centro vicino al confine sloveno) dovendo garantirsi la possibilità di lavorare pensarono di inserirlo al nido ma si trovarono scoraggiati da esasperanti liste d’attesa. Spinti dalla necessità – e sapendo che il più vicino centro sloveno era a pochi minuti d’auto- lo inserirono al nido in Slovenia e l’esperienza si rivelò felice oltre le esigenze da cui muoveva.
Finché la Slovenia non entrò a far parte dell’area Schengen il nostro Filippo attraversava giornalmente il confine con il suo bravo permesso di transfrontaliero;  ora i suoi fratellini gemelli lo attraversano liberamente. Vivono l’Europa prima di sapere che stanno dentro un grande processo storico che per loro è ‘solo’ esperienza quotidiana di vita.
Dopo il nido Filippo (e oggi Alessandro ed Enrico) passarono alla scuola dell’infanzia e anche in questa seconda fase l’esperienza slovena si dimostrò felice sia dal punto di vista educativo che didattico.
I bambini mi mostrano con orgoglio il raccoglitore di schede che le educatrici e le maestre predispongono per ognuno: fotografie, rametti ed erbe raccolti durante le passeggiate, trascrizioni di filastrocche naturalmente in sloveno, lingua che i bambini capiscono e parlano insieme all’italiano.
E proprio qui Filippo, terminata la scuola dell’infanzia, ha posto un problema: si è reso conto infatti che i suoi genitori non capiscono lo sloveno e, desiderando condividere in  famiglia le sue esperienze scolastiche,
ha chiesto di frequentare la scuola italiana. Lo sloveno resta per lui la lingua della comunicazione fra amici e della pratica comune degli sport che ancora coltiva oltre quello che un tempo era un confine.
La lingua come comunicazione e ostacolo in aree confinarie è un vecchio problema: i nostri tre transfrontalieri ce lo pongono in concreto. Meritano di essere presi in considerazione: hanno molto da dirci.

(dal n. 214 del mensile Ho un sogno – articolo precedente 29 ottobre 2112. Tracce d’Europa. Leggibile anche da qui).

31 Dicembre 2012Permalink