18 marzo 2013 – Il nuovo vescovo di Roma

I care

Ieri ho sentito la necessità di trascrivere i due discorsi di insediamento della Presidente della Camera e del presidente del Senato. Ne ho inviato il testo a parecchie persone e ho ricevuto entusiastici riscontri, ‘un regalo’ mi ha scritto un’amica.

Sono due discorsi brevi ma intensi che ci  danno la possibilità di fare esperienza di un linguaggio politico autentico, pulito, condivisibile. Spostano il centro di gravità dalla conta di sedie e dalla blandizie alle varie lobbies che sembrano aver oscurato la società civile e ne occupano il palcoscenico per lasciarci sperare in un’etica per cui la politica sia competente e responsabile servizio. E non  parlo del becerume straripante e della volgarità del linguaggio che riconduce implacabilmente alla volgarità della mente di chi lo pratica e che vorremmo definitivamente cancellare.
L’incipit dei due interventi ha rotto le formalità protocollari.
“Care deputate e cari deputati”, ha detto la neo presidente della camera.
“Care senatrici e cari senatori”, le ha fatto eco il neo presidente del Senato.
Avrebbero dovuto dire ‘Onorevoli colleghi’, ma per fortuna non lo hanno fatto e sono certa che intendevano assumersi tutta la pregnanza della parola care e cari.
‘Mi state a cuore’, ‘I care’ insegnava don Milani ai ragazzi della scuola di Barbiana.
E non voglio dimenticare il mio apprezzamento ai senatori del Movimento 5 stelle che, entrati in Senato al seguito di urla spesso sguaiate di chi si presenta loro  leader, hanno capito il significato alto dell’art. 67 della Costituzione “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” e a quello hanno obbedito, con difficile esercizio di dignità, non a un carisma autoritario.
I ‘no’ possono essere faticosi, ma necessari.

Fratelli, non signori

La rottura protocollare  dei due presidenti me ne ha richiamato un’altra, forse anche più dirompente: “Fratelli cardinali” ha esordito Francesco I° nella sua prima allocuzione ai cardinali, poco dopo quell’elezione per cui Dio (lo ha detto il papa, non io) dovrebbe perdonarli. Avrebbe dovuto dire ‘signori cardinali’.
E poi si è presentato al balcone di S. Pietro, parlando di sé come vescovo di Roma e, se qualcuno non avesse capito, ha onorato il suo predecessore con il titolo di vescovo emerito.
Vescovo quindi di una precisa diocesi. Per questo e tanti altri motivi è una parola che apre alla collegialità. Si riparla di Vaticano II°. Non posso che sperarlo.
E poi ha fatto un gesto che a me ha dato un’impressione profonda: ha chiesto al popolo di cui è vescovo un favore. Ha detto, e voglio trascrivere esattamente  le sue parole “E adesso vorrei dare la Benedizione, ma prima – prima, vi chiedo un favore; prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me”.
Chiedo scusa per questi riferimenti di natura religiosa che so essere per qualcuno  irritanti, ma il papa è papa e va considerato non solo perché i suoi gesti piacciono ma anche per la sua fede.
Mi permetto quindi di sottolineare che ha chiesto una preghiera ‘SU di me’, non ‘PER me’. E ha ottenuto il silenzio di una piazza normalmente chiassosa mentre si inchinava a chi pregava SU di lui.
L’ho vissuto come il silenzio richiamato in un passo di un antico testo della Bibbia, quando Dio parla al profeta Elia: “11Gli disse: “Esci e férmati sul monte alla presenza del Signore”. Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. 12 Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. 13Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna”. (1Re, 19).

Gesti e simpatia
Non occorre che scriva dei gesti di Francesco I° che, in pochi giorni gli hanno suscitato la simpatia del mondo.
Voglio sottolineare una speranza, anzi due.
Certamente, anche se potessi parlargli non chiederei al papa di rinunciare a quello che, in scienza e coscienza, ritiene il suo magistero (anche se non nascondo la speranza di cambiamenti nello spirito del Vaticano II°), ma di non fare di questo magistero un oggetto per un mercato di potere, questo sì glielo chiederei. Quando decidesse di entrare nella coscienza di chi ha un ruolo politico nelle istituzioni, nelle decisioni dei cittadini in quanto tali, si fermi, eviti un ingresso a gamba tesa (un solo esempio: l’esercizio spregiudicato di potere fatto dal card. Ruini a proposito del referendum sulla fecondazione assistita) .
L’esercizio di questo magistero può arrivare a decisioni irritanti, non condivisibili nell’esercizio – eticamente sostenibile – delle attività istituzionale.?
La risposta non appartiene alla sudditanza ma alla libertà di coscienza.
Se ne facciano carico i politici cattolici e non usino la religione come un comodo passepartout.
E la seconda speranza è ancora più urgente e pressante.

La patata bollente

Ho visto la foto del papa che, durante i riti del giovedì santo,  bacia il piede di un malato di Aids. E’ un gesto significativo, importante, ammirevole.
Ma non voglio dimenticare che questo papa ha ricevuto dal predecessore la patata bollente della ‘relatio’ di tre cardinali (Julian Herranz, Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi)  che hanno indagato su politiche di curia i cui segni che appaiono all’esterno sono sconvolgenti. I segni che ho potuto intuire riguardano le politiche dello IOR e la pedofilia.
Saprà papa Francesco agire nei confronti della società civile con la stessa umiltà dimostrata verso il malato cui bacia il piede e rendere quella relatio (si prenda il tempo necessario per meditarla!) trasparente e pubblica, chiedendo perdono a coloro che da scelte curiali improprie siano stati offesi?
Voglio sottolineare che l’abuso sui minori, anche se apparentemente non violento, è violenza, e questa consapevolezza appartiene alla società civile e in questa società ha trovato norme anche sanzionatorie e a questa società –tutta- non solo al mondo cattolico – è dovere rispondere.

18 Marzo 2013Permalink