25 aprile 2015 – 1 dicembre 1943: Il rettore Concetto Marchesi si conceda dagli studenti

Oggi Giampaolo Borghello nel discorso ufficiale all’evento del 25 aprile ha ricordato il saluto di Marchesi agli studenti dell’Università di Padova, congedandosi da loro come rettore prima di entrare in clandestinità.

Studenti dell’Università di Padova!
Sono rimasto a capo della vostra Università finché speravo di mantenerla immune dall’offesa fascista e dalla minaccia germanica; fino a che speravo di difendervi da servitù politiche e militari e di proteggere con la mia fede pubblicamente professata la vostra fede costretta al silenzio e al segreto. Tale proposito mi ha fatto resistere, contro il malessere che sempre più mi invadeva nel restare a un posto che ai lontani e agli estranei poteva apparire di pacifica convivenza mentre era un posto di ininterrotto combattimento.
Oggi il dovere mi chiama altrove.

Oggi non è più possibile sperare che l’Università resti asilo indisturbato di libere coscienze operose, mentre lo straniero preme alle porte dei nostri istituti e l’ordine di un governo che – per la defezione di un vecchio complice – ardisce chiamarsi repubblicano vorrebbe convertire la gioventù universitaria in una milizia di mercenari e di sgherri massacratori.

Nel giorno inaugurale dell’anno accademico avete veduto un manipolo di questi sciagurati, violatori dell’Aula Magna, travolti sotto la immensa ondata del vostro irrefrenabile sdegno. Ed io, o giovani studenti, ho atteso questo giorno in cui avreste riconsacrato il vostro tempio per più di vent’anni profanato; e benedico il destino di avermi dato la gioia di una così solenne comunione con l’anima vostra. Ma quelli, che per un ventennio hanno vilipeso ogni onorevole cosa e mentito e calunniato, hanno tramutato in vanteria la disfatta e nei loro annunci mendaci hanno soffocato il vostro grido e si sono appropriata la vostra parola.

Studenti: non posso lasciare l’ufficio del Rettore dell’Università di Padova senza rivolgervi un ultimo appello. Una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra patria. Traditi dalla frode, dalla violenza, dall’ignavia, dalla servilità criminosa, voi insieme con la gioventù operaia e contadina, dovete rifare la storia dell’Italia e costituire il popolo italiano.

Non frugate nelle memorie o nei nascondigli del passato i soli responsabili di episodi delittuosi; dietro ai sicari c’è tutta una moltitudine che quei delitti ha voluto e ha coperto con il silenzio e la codarda rassegnazione; c’è tutta la classe dirigente italiana sospinta dalla inettitudine e dalla colpa verso la sua totale rovina.
Studenti: mi allontano da voi con la speranza di ritornare a voi maestro e compagno, dopo la fraternità di una lotta assieme combattuta. Per la fede che vi illumina, per lo sdegno che vi accende, non lasciate che l’oppressore disponga della vostra vita, fate risorgere i vostri battaglioni, liberate l’Italia dalla schiavitù e dall’ignominia, aggiungete al labaro della vostra Università la gloria di una nuova più grande decorazione in questa battaglia suprema per la giustizia e per la pace nel mondo.
Il Rettore: Concetto Marchesi
(1° dicembre 1943)

CONCETTO MARCHESI biografia
Concetto Marchesi nacque a Catania nel 1878 e frequentò in questa città il prestigioso liceo classico “Nicola Spedalieri”. All’università di Catania fu discepolo di Mario Rapisardi e da costui derivò non solo il primo interesse per la poesia (vedi il libro di versi “Battaglie”) e per i classici latini, ma anche quello spirito ribelle e polemico che lo portò anche in prigione per qualche mese. Infatti, prendendo il titolo del poema rapisardiano “Lucifero”, fondò e diresse per breve tempo l’omonimo giornale “Lucifero”, avendo dei guai con la polizia, che lo censurò e soppresse, anche perchè il Marchesi già a 16 anni aveva cominciato a prendere le difese di operai, contadini e detenuti miserabili o politici.
Si laureò a Firenze nel 1899 col latinista Sabbadini, discutendo una tesi su Bartolomeo della Fonte, lavoro a carattere filologico-erudito come il successivo sull’Etica Nicomachea (1904).Cominciò ad insegnare nei ginnasi inferiori di Nicosia (EN) e Siracusa e nei licei di Verona e Messina. Ottenuta poi una cattedra nel liceo di Pisa, cominciò a prepararsi per la docenza universitaria e vinse anche il concorso per provveditore agli studi, venendo assegnato a Grosseto. A Pisa si sposò con la figlia del Sabbadini, Ada, avendone la figlia Lidia. Divenuto titolare di letteratura latina all’università di Messina, insegnando studiava per una seconda laurea; e così i suoi stessi colleghi lo proclamarono dottore in giurisprudenza con una tesi sul pensiero politico di Tacito Il Marchesi passò poi all’università di Padova, ricoprendone la carica di Rettore nel difficile periodo della Repubblica Sociale. A Padova visse per 30 anni.
Intanto curava le edizioni di Apuleio, Ovidio, Amobio e Sallustio, e fra l’altro uscivano sue monografie su Marziale (1914), Seneca (1921), Giovenale (1922), Fedro (1923), Tacito (1924), Petronio (1940) e soprattutto la sua Storia della letteratura latina (1924-27), che ebbe anche un’edizione minore intitolata Disegno storico della letteratura latina.
Socialista dall’età di 15 -16 anni, nel 1921 a Livorno partecipò alla fondazione del Partito Comunista, rimanendo fedele a questa ideologia (sia pure con differenziazioni personali) fino alla morte. Nel periodo del rettorato padovano rivolse un celebre e nobile appello agli studenti, invitandoli a liberare l’Italia dall’ignominia e a farne uno Stato democratico.
Quindi partecipò attivamente alla Resistenza, operando a Milano e nel bellunese e poi riparando in Svizzera. Nel 1944 avvenne a Firenze l’assassinio di Giovanni Gentile, e il Marchesi fu accusato d’esserne il mandante morale, essendo quell’anno uscita una sua lettera aperta in cui s’annunciava un’imminente sentenza di morte. In realtà il suo scritto era stato manomesso dai capi partigiani e il primo a dolersene fu lo stesso Marchesi.
Dopo la guerra, fu deputato alla Costituente e svolse un elevato ruolo d’intellettuale e di maestro. Come costituente, violando la disciplina del suo partito, votò contro l’inclusione dell’art. 7 (patti lateranensi) nella Costituzione, della quale fu uno dei più attivi artefici.
Scrisse anche saggi di profonda umanità, come il libro di Tersite (1920-1951), “Divagazioni” (1953) e il “Cane di terracotta” (1954). Sebbene non credente e in polemica con le gerarchie ecclesiastiche, amò lo studio della letteratura cristiana, dichiarò di preferire Sant’Agostino e coltivò amicizie con sacerdoti dotti, con cui discuteva di cultura classica: notevoli i suoi soggiorni all’eremo di Rua di Feletto (TV) e l’amicizia con don Primo Mazzolari. Qualcuno ha anche affermato che alla fine si sia convertito.
Morì nel 1957, e la sua commemorazione alla Camera fu fatta da Palmiro Togliatti, in un clima di generale commozione e ammirazione. Una testimonianza su di lui ha lasciato Norberto Bobbio, mentre suoi biografi sono stati Ezio Franceschini (autore del libro Concetto Marchesi), Luciano Canfora e Sebastiano Saglimbeni. Canfora lo ha definito “un latinista e un intellettuale di singolare e solitario profilo, che affondava le sue radici nella tradizione risorgimentale meridionale”; mentre il Saglimbeni ha curato la pubblicazione in volume dei discorsi parlamentari, degli articoli di giornali e di altre opere del Marchesi.
Concetto Marchesi Partigiano
Interruppe, comunque, la sua attività di pubblicista politico poco dopo il trasferimento a Padova: fino all’agosto 1924 aveva collaborato (con lo pseudonimo di Aper) al Prometeo di Bordiga; l’ultimo scritto politico fu una dura requisitoria contro i cattolici apparsa ne l’Unità in data 17 genn. 1925 (Giubileo). Poi, dopo gli anni di apparente inerzia del periodo fascista, nella primavera del 1943 Marchesi, contattato da Amendola, rappresentante del centro estero del Partito comunista italiano (PCI), riacquistò un ruolo politico.
Nella prima fase della cospirazione antifascista, precedente il 25 luglio, tenne un atteggiamento duttile, di moderata apertura nei confronti della monarchia. In maggio, come altri esponenti dell’antifascismo, incontrò clandestinamente il generale Cadorna, appena giunto a Ferrara al comando della divisione Ariete, per sondare l’atteggiamento dell’esercito nel caso di eventuali iniziative contro il regime. Partecipò a riunioni clandestine dei partiti antifascisti e fu in tali circostanze che Amendola lo definì “collegato con l’organizzazione comunista”. Tramite Antoni, fece pervenire alla principessa Maria José di Savoia un messaggio del PCI di appoggio all’azione della monarchia nel caso il re avesse preso l’iniziativa di congedare Mussolini.
Dopo la caduta di Mussolini, il 12 agosto, con Roveda e Amendola, Marchesi rappresentò il PCI nel Comitato centrale delle opposizioni, costituito dai partiti antifascisti, e il successivo 10 settembre, insieme con Trentin ed Meneghetti, fondò il Comitato di liberazione nazionale (CLN) veneto. Intanto, dal 1° settembre, era stato nominato dal governo Badoglio rettore dell’Università di Padova; le sue dimissioni da quella carica, presentate dopo la nascita, sempre in settembre, della Repubblica sociale italiana (RSI) furono respinte dal ministro dell’Educazione nazionale “repubblichino”, Biggini; Marchesi, nonostante le pressioni del PCI in senso contrario, decise di rimanere rettore in cambio dell’impegno, da parte di Biggini, che fosse garantita “l’immunità dell’Università”.
Suo proposito era quello di fare del rettorato una sede “protetta” e insospettabile per organizzare la resistenza e “coprire gli studenti attivisti”. Il discorso da lui pronunciato il 9 novembre per l’inaugurazione dell’anno accademico, pur essendo, in realtà, una sorta di sfida alla faccia “socializzatrice” del neofascismo ottenne, forse strumentalmente, una eco positiva nella stampa repubblichina e gli procurò, da parte del centro romano del PCI, una “grave misura disciplinare” (forse sospensione, non espulsione dal partito) a causa della sua ostinazione a permanere nel rettorato.
Probabilmente per evitare l’arresto già meditato dalle autorità tedesche, il 15 novembre, mentre si riproponevano incidenti tra studenti e milizia repubblichina, Marchesi si spostò a Firenze e rientrò però dopo poco a Padova dove, nascosto in casa di Turra, scrisse il celebre appello agli studenti che incitava alla resistenza armata (datato 1° dicembre, fu diffuso il 5 dello stesso mese). Il 29 novembre, sotto falso nome, era trasferito da Padova a Milano; infine, il 9 febbr. 1944, nonostante il centro milanese del PCI lo volesse a Roma, passò in Svizzera, con l’appoggio dalla rete partigiana facente capo al suo allievo Franceschini.
L’attività di Marchesi in Svizzera, nel corso del 1944, fu intensa: dal 22 febbraio, attraverso i servizi di informazione anglo-americani, Radio Londra e la stampa locale, provvide a diffondere l’appello agli studenti e la “lettera aperta”, replica all’iniziativa “pacificatrice” di Giovanni Gentile; dal 9 febbraio al 4 dicembre costituì il “capolinea” svizzero della formazione clandestina FRAMA (Franceschini-Marchesi) connessa al CLN veneto e al Partito d’azione (Pd’A). Dopo aver stabilito, sempre grazie alla FRAMA, rapporti con Dulles e MacCaffery, dei servizi di informazione alleati, recuperò il contatto con il PCI, cui comunicò le ipotesi di collaborazione militare che venivano dagli alleati; da aprile a novembre diresse una nuova via di aviorifornimenti per i partigiani combattenti nel Nord-Italia, mentre in settembre, nel breve periodo della Repubblica partigiana della Val d’Ossola, si era recato a Domodossola.
Rientrato a Roma il 10 dic. 1944, Marchesi proseguì l’attività politica all’interno del PCI. Il 23 genn. 1945, fu nominato capo dell’ufficio stampa del ministero dell’Italia occupata (ministro Marchesi Scoccimarro) nel II governo Bonomi; in febbraio, membro dell’Alta Corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo, poi del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, nonché della Consulta nazionale. L’8 genn. 1946 entrò a far parte del nuovo comitato centrale del PCI; eletto in giugno alla Costituente, per la circoscrizione di Verona, vi pronunciò un memorabile discorso a sostegno della sua scelta personale di non votare, rompendo la disciplina di partito, l’articolo 7 della Costituzione, inglobante i Patti lateranensi nella nuova carta repubblicana. Nell’aprile 1948, fu eletto alla Camera dei deputati per la circoscrizione di Venezia.
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25 Aprile 2019Permalink

5 febbraio 2019 La politica determina le modalita’ di esercizio della professione medica

Mentre qualche centinaio di medici si preoccupava delle condizioni dei migranti sulla Sea Watch il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia rilasciava dichiarazioni di cui mi sembra sufficiente riportare il passo che trascrivo:
«Dal personale medico mi aspetto proposte in campo sanitario e, pertanto, li invito a concentrare sforzi ed energie al fine di offrire ai pazienti servizi sempre più puntuali ed efficienti, lasciando alla politica il compito di occuparsi del fenomeno immigrazione».

Oggi 800 psicoanalisti scrivono al Presidente Mattarella
«Ci rivolgiamo a Lei, Signor Presidente della Repubblica, nella Sua qualità di Garante dei diritti umani e civili sui quali Essa è stata fondata, affinché questo appello, nato dalla nostra esperienza professionale, sostenuto dal nostro ruolo di cittadini e dalla nostra identità di esseri umani, abbia ascolto». (testo completo dal link in calce – NOTA 1)

Qualche tempo fa il Movimento di Cooperazione educativa ha espresso la sua preoccupazione per la negazione del certificato di nascita a nati in Italia, presente in legge dal 2009.
Ha sottolineato anche il ruolo dei comuni nel salvarne l’esistenza giuridica che la legge 94/2009 mette a rischio.
Data l’ampia notorietà dei due casi sopra citati sopra, scelgo di ricopiare il testo del MCE che ha minor visibilità

Bambini invisibili in Italia – 19 Gennaio 2019 – Tavolo Saltamuri
(link in calce NOTA 2)
Il diritto alla registrazione alla nascita
La norma introdotta nel cd. ‘Pacchetto sicurezza’ (legge 94/2009 art. 1 comma 22 lettera g) impone la presentazione del permesso di soggiorno per chi chieda di registrare la nascita in Italia del proprio figlio, come registrato nel Testo unico sull’Immigrazione, (decreto legislativo 286/1998, testo coordinato).
Tanto ha imposto una modifica della precedente Legge 40/1998 (cd. Turco Napolitano) che invece all’art. 6 escludeva tale esibizione.
La medesima legge vuole che l’assenza del permesso di soggiorno nota a un Pubblico Ufficiale (quale l’impiegato dell’Ufficio Anagrafe del Comune di competenza) condanni il genitore all’espulsione o, con una variante successiva, al pagamento di una multa che sembra essere molto alta.
Ne deriva che il genitore migrante di un bambino appena nato in Italia, se privo di permesso di soggiorno, di fronte alla condanna dell’espulsione, non denunci la nascita del figlio.
Il risultato è che in Italia potrebbero esserci bambini invisibili che, per essere tali, non sono quantificabili.
Il Terzo Rapporto Supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia (novembre 2017. cap.3.1):
«Rispetto … al diritto di registrazione alla nascita, si fa presente che l’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello stato, avvenuta con la legge 15 luglio 2009 n.94 in combinato disposto con gli artt. 316-362 c.p., obbliga alla denuncia i pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio che vengano a conoscenza delle irregolarità di un migrante. Tale prescrizione condiziona i genitori stranieri che, trovandosi in situazione irregolare, spesso non si presentano agli uffici anagrafici, proprio per timore di essere eventualmente espulsi».
E il rapporto ancora raccomanda «di intraprendere una campagna di sensibilizzazione sul diritto di tutti i bambini ad essere registrati alla nascita, indipendentemente dall’estrazione sociale ed etnica e dallo status soggiornante dei genitori».

Il diritto al certificato di nascita (quale che sia la posizione giuridica del genitore) è affermato anche dalla Legge 176/1991 “Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo” ( New York il 20 novembre 1989) che all’art. 7 così recita : “ il fanciullo è registrato immediatamente al momento della nascita a da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi”.

Di recente il presidente Mattarella, in relazione alla presentazione del cd decreto sicurezza, ha opportunamente ricordato l’art. 10 della Costituzione, che dovrebbe essere garanzia del rispetto delle norme internazionali, il che, per ciò che riguarda anche questa particolare categoria di neonati discriminati, non è.
L’ampio schieramento non interessato alla legge di ratifica né all’obbligo di rispettare le norme internazionali potrebbe confrontarsi con il Terzo Rapporto Supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia (dicembre 2017) facente capo al Gruppo CRC * (Convention on the Rights of the Child) Gruppo di Lavoro coordinato da Save the Chldren Italia. www.gruppocrc.net
Al Cap.3.1 si legge che «Rispetto … al diritto di registrazione alla nascita, si fa presente che l’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello stato, avvenuta con la legge 15 luglio 2009 n.94 in combinato disposto con gli artt. 316-362 c.p., obbliga alla denuncia i pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio che vengano a conoscenza delle irregolarità di un migrante. Tale prescrizione condiziona i genitori stranieri che, trovandosi in situazione irregolare, spesso non si presentano agli uffici anagrafici, proprio per timore di essere eventualmente espulsi».
E il rapporto ancora raccomanda «di intraprendere una campagna di sensibilizzazione sul diritto di tutti i bambini ad essere registrati alla nascita, indipendentemente dall’estrazione sociale ed etnica e dallo status soggiornante dei genitori».

Contestualmente alla legge n. 94 era stata però emanata la Circolare n.19 del 7 agosto 2009 del Ministero dell’Interno (Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali) che afferma: « Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto».

La Circolare quindi rende possibile ciò che la legge nega, assicurando ad ogni nuovo nato in Italia quello che gli è dovuto: il diritto ad avere un’identità, un nome, una cittadinanza, diritto assoluto (secondo il significato del termine latino ab solutus, sciolto da ogni vincolo).
Non dimentichiamo però che una circolare è atto di rango inferiore alla legge e che potrebbe venir cancellata senza neppure darne notizia al Parlamento, così come per atto unilaterale del ministero è stata emanata.
Nell’attesa di un’urgente modifica legislativa, l’esercizio dei principi costituzionali è ora affidato ai Comuni, titolari dell’applicazione della circolare n.19/2009.
La circolare non garantisce naturalmente la cittadinanza italiana perché in Italia vige lo ius sanguinis non lo ius soli e la cittadinanza può essere concessa solo a particolari condizioni previste dalla legge n.91/1992 (Nuove norme sulla cittadinanza).

NOTE

(NOTA 1)
https://www.huffingtonpost.it/2019/02/04/seicento-psicoanalisti-si-appellano-a-mattarella-contro-il-decreto-
sicurezza_a_23661094/?ncid=other_facebook_eucluwzme5k&utm_campaign=share_facebook&fbclid=IwAR3QAv5X4BQauQ_tWyoNUE6h99Pyi88hsMAPBI71YB18HrGa-RE1ZnEru8E

(NOTA 2)
http://www.saltamuri.it/2019/01/19/bambini-apolidi-in-italia/ 

5 Febbraio 2019Permalink

25 gennaio 2019 – Fra storia ed educazione civica il governo Conte costruisce il presente

Storia ed educazione civica: il ricordo e l’elaborazione delle memoria …
Forse non servono più

25 gennaio 2019  La lezione del prof sulla shoah: “Chi non è di Ravenna si tolga occhiali e scarpe: non verrà più a scuola”

Un docente di Lettere simula la deportazione coi suoi studenti: “Partendo da una emozione hanno capito e così abbiamo cominciato la settimana della Memoria” di ILARIA VENTURI

RAVENNA – Il prof entra in aula: “Chi non è di Ravenna si metta da questa parte”. Gli studenti lo guardano con sospetto, chi non è nato nella città romagnola, e sono poco meno della metà, si sposta ciondolando senza capirne il motivo. “Bene, volevo dirvi che d’ora in poi non potrete più fare lezione in questa classe, non potrete più venire a scuola”. Facce allibite, “prof, ma è serio?”, “dai, è uno scherzo”. Per la Giornata della memoria Diego Baroncini, insegnante di Lettere, laureato in Filologia classica e in Scienze filosofiche, è salito in cattedra così, l’altro giorno, nella sua classe di seconda media all’istituto paritario San Vincenzo de’ Paoli di Ravenna.
Una lezione particolare che ha portato i ragazzi a vivere “ciò che è stato”. Il docente li ha incalzati: “Sono serissimo, ora toglietevi orologi, braccialetti, collanine e appoggiateli su quel banco. Voi che avete gli occhiali, via anche quelli”. “Ma non ci vediamo!”. “È così. Le cinture anche, ragazzi. E le scarpe, non vi servono più. Ragazze, tiratevi indietro i capelli, legateli, nascondeteli come se non li aveste più”. Una ragazza tornando verso il gruppo dei “non nati a Ravenna” senza scarpe dice: “Non mi sento più io”. Chi ammette di essere in imbarazzo, chi sogghigna. Poi cala il silenzio. Gli studenti ravennati, a bassa voce, uno con l’altro commentano: “Ma dai, ma perché?”. Quelli che non sono nati a Ravenna vengono spostati verso le finestre, fa freddo dagli spifferi, gli altri possono stare al caldo accanto ai termosifoni. Il professore si ferma: “Chi di voi ha capito?”. Tutti hanno capito: “Ci ha fatto vivere cosa hanno provato gli ebrei quando sono stati separati dai loro compagni, quando sono stati deportati”. E voi come vi siete sentiti? “A disagio, gli altri mi vedevano come io non voglio essere vista”. E ancora: “Ma senza occhiali non vedevo nulla”. Tutti concordano: non è giusto, ovvio. Eppure è stato.
L’insegnante ha continuato, rivolgendosi al gruppo dei nati a Ravenna: “E voi, perché siete stati zitti?”. “Perché lei è il prof”. “Ma se l’autorità commette qualcosa di atroce voi non dovete tacere. Succedeva cosi anche con le leggi razziali: alcuni avevano paura di esporsi pur riconoscendo che non erano giuste, altri hanno reagito con un atteggiamento superficiale”. Lezione conclusa.
“Ho potuto farlo perché c’è un rapporto di fiducia con questi alunni, ho chiesto prima se se la sentivano di affrontare un esperimento. Due studentesse non hanno voluto e hanno solo assistito – spiega Diego Baroncini, 30 anni – Lo scopo era quello di introdurre il Giorno della Memoria, di arrivare a parlare della Shoah. Ma volevo che ci fosse un’emozione da cui partire per far seguire riflessioni profonde, non retoriche. Da questo senso di estraniamento, spogliandosi alcuni di ciò che li fa riconoscere in se stessi e gli altri guardando gli amici privarsi di quanto li rende riconoscibili, abbiamo così cominciato il nostro lavoro sulla memoria”.

https://bologna.repubblica.it/cronaca/2019/01/25/news/la_lezione_del_prof_per_il_giorno_della_memoria_chi_e_di_ravenna_si_tolga_occhiali_e_scarpe_non_verra_piu_a_scuola_-217418179/?ref=fbpr

25 Gennaio 2019Permalink

18 novembre 2018 Moni Ovadia incontra Liliana Segre

 L’indecenza della moderazione  (parola il cui significato appartiene a una specie di neolingua vile)

Vorrei che questa intervista, la più straordinaria fra quelle di Liliana Segre che ho ascoltato e che continuerò ad ascoltare per quanto facciano male, arrivasse anche a chi ha deciso che, per avere consenso politico, si debba essere moderati.
Moderati una parola che da neutra per me è diventata indecente.
Moderati è la progettualità del non vedere, del non sentire per sostenere la scelta di vivere nel tepore dell’ignoranza millantata per semplicità, ostentata come diritto di parlare senza essere infastiditi dal proporsi di una conoscenza critica.
E’ un atteggiamento antico che potrebbe entrare anche nelle parole da dirsi in chiesa – un luogo che fra poco più di un mese sarà affollato perché così è il Natale della tradizione – quando non si volesse affogare tutto nella melensaggine dei buoni sentimenti: “Non sanno nulla, non capiscono nulla; hanno impiastrato loro gli occhi perché non vedano, e il cuore perché non comprendano”. (Is 44, 18)

Dalle leggi razziali al lager
Un elemento fondamentale che Moni Ovadia riesce a far dire a Liliana Segre è la continuità dalle leggi razziali – l’inizio necessario – alla deportazione.
Io non so quale sarà il punto d’arrivo dell’inizio che sto osservando: frammenti di razzismo declinato attraverso episodi che però convergono in norme fino alla legge, che valuto un banco di prova della praticabilità di ogni orrore. Quando ci sono adulti, tranquilli nelle loro case (come ci aveva ricordato Primo Levi) che si uniscono per dire a un neonato “Tu non esisti”, tu non esisti perché ai tuoi genitori manca un pezzo di carta che si chiama permesso di soggiorno, allora tutto è possibile.
E non dimentico che quella legge, voluta nel 2009 dall’allora ministro Maroni, ha resistito per tutto il tempo dei governi Berlusconi quarto, che ne ha promosso l’approvazione, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni oggi patrimonio del governo Conte (legge 94/2009 art. 1, comma 22, lettera g).
In un primo tempo fu ignorata, poi ha aperto le porte alla costruzione di un lungo sentiero che porterà a qualche cosa che non so pensare ma a qualche cosa di definitivamente orribile.
Sarà il male – quale che sia il modo della sua espressione – come collante di una società che sopravvive unita dall’odio, dalla malvagità che si fa sempre più operativa.
Chi ascolti quella intervista penso avrà un brivido di fronte al ricordo preciso della senatrice Segre delle camice nere che aiutavano le camice brune a spingere i prigionieri dentro i carri bestiame che li avrebbero portati ad Auschwitz.

I leader e gli schiavi, due facce della stessa medaglia
La camicia può cambiare colore certo, se quella nera non risulta più utile al lavoro in corso o il tessuto nero non si vende più, la meta può essere altro da un campo di concentramento. Quel che è certo che il sentiero è in costruzione e chi vi lavora deve essere così schiavo della paura indotta dall’affidarsi fiducioso a un leader.
Con abile prudenza (ed è un elemento che in altre interviste Segre ben sottolinea) l’insegnamento della storia viene annullato, scompare per aiutare la costruzione di un presente senza confronti che si rinnova ogni giorno sui resti di chi si è voluto non ci sia più.

https://www.youtube.com/watch?v=VmbtjQZQ1aE

18 Novembre 2018Permalink

28 settembre 2018 – E’ uscito Ho un sogno

Il piccolo bollettino pubblicato a cura della Associazione Proiezione Peters è al suo XXVII anno.   

In apertura c’è l’editoriale: SEGNALI e in seconda pagina un articolo, PRIMO GIORNO DI SCUOLA: UN DIRITTO PER TUTTI, che riguarda, a inizio anno scolastico, il rapporto bambini – scuola con qualche altra considerazione
Di entrambi riporto il testo e trascrivo in calce due link al mio blog dove si trova la documentazione sul caso di Trieste (le pesanti riserve del Sindaco sulla mostra fotografica organizzata dal Liceo Petrarca) che in forma sintetica si può leggere anche nel Bollettino.

SEGNALI
Con il decreto legislativo 104/2018, il Governo ha deciso di far aumentare le armi nelle mani dei cittadini. Lo ha fatto allargando la platea di coloro che possono detenere legalmente anche armi da guerra come fucili d’assalto o kalashnikov, rendendo più blandi i controlli sulle condizioni psico-fisiche dei loro detentori e abbassando le limitazioni.
Entro l’autunno saranno eliminate “le zone d’ombra che rendono difficile e complicato dimostrare che si è agito per legittima difesa”. La proposta proveniente dalle file della maggioranza introduce la presunzione ex lege di legittima difesa.
La Regione Veneto chiede la reintroduzione della leva obbligatoria per tutti gli italiani.
Il reddito di cittadinanza sarà limitato ai soli cittadini italiani.
Dai primi di settembre e per i prossimi tre mesi, una settantina di agenti in dodici città – per fortuna, nessuna nella nostra regione – avranno in dotazione una pistola che spara scariche elettriche. La pistola è comunemente chiamata Taser. Da un’indagine della Reuters negli Stati Uniti, vi sarebbero almeno 153 casi nei quali il medico legale ha indicato la Taser come causa di morte.
La Regione Friuli Venezia Giulia sta utilizzando le guardie forestali per il controllo delle frontiere allo scopo di arrestare i flussi migratori sulla rotta balcanica.
La sindaca di Monfalcone ha tolto le panchine dagli spazi pubblici per evitare che vi seggano gli immigrati, ha bloccato la ristrutturazione di un immobile per utilizzarlo come centro islamico, ha messo una soglia alla presenza dei figli di stranieri nella scuola dell’infanzia.
A breve, una sola persona fisica farà da Garante regionale per i bambini e gli adolescenti, per le persone private della libertà personale e per le persone a rischio di discriminazione, andando a sostituire i tre componenti con specifiche competenze che costituivano l’attuale organo collegiale.
Il 3 novembre Casa Pound ha organizzato una manifestazione a Trieste, città che proprio 80 anni fa ospitò quella mussoliniana con la proclamazione delle leggi razziali.
NOTA: Le guerre si combattono altrove, le grandi calamità sono riservate ad altri. La nostra vita rifugge dagli estremi. Eppure, uno degli insegnamenti del nostro recente passato è appunto che non esiste rottura tra estremi e centro, bensì una serie di impercettibili transizioni. Se nel 1933 Hitler avesse procla¬mato ai tedeschi che dieci anni dopo avrebbe sterminato tutti gli ebrei d’Europa, non avrebbe mai vinto le elezioni, come invece accadde. Ogni concessione accettata da una popolazione assolutamente non estremista è di per sé insignificante: prese insieme portano all’orrore.
T. Todorov, Di fronte all’estremo, Garzanti, 1992

PRIMO GIORNO DI SCUOLA: UN DIRITTO PER TUTTI
Il 5 settembre 1938 il primo decreto legge razzista si caricò della firma di un re che la appose nella tenuta di San Rossore in cui la sua famiglia trascorreva i mesi più caldi dell’anno. Le leggi organiche sarebbero venute più tardi, in novembre, ma intanto quel decreto sciagurato garantiva una scuola ‘ripulita’ in ogni ordine e grado dalla presenza di ebrei, studenti e insegnanti. In dicembre Enrico Fermi si sarebbe recato a Stoccolma per ricevere il premio Nobel. Con lui c’era tutta la famiglia e tutti alla fine delle cerimonie partirono per gli Stati Uniti senza rientrare in Italia: era la garanzia di salvezza per Laura Capon Fermi, ebrea, moglie dello scienziato e per Nella e Giulio Fermi, figli di una madre così pericolosa.
E oggi, 80 anni dopo, la campanella suona per tutti?
Una norma di legge dal 2009 stabilisce la necessità per i migranti non comunitari di presentare il permesso di soggiorno per la registrazione della dichiarazione di nascita dei figli in Italia, una prescrizione che preoccupa le Nazioni Unite perché «condiziona i genitori stranieri che, trovandosi in situazione irregolare, spesso non si presentano agli uffici anagrafici, proprio per timore di essere eventualmente espulsi» negando quindi al figlio il certificato di nascita. Come potrà andare alla scuola dell’infanzia e alle successive scuole dell’obbligo un bimbo che “non esiste”?
Con la legge del 2009, che nega l’esistenza legale di questi bambini, è stata approvata una circolare, un semplice atto amministrativo, che contraddicendola indica la possibilità di iscrizione alla scuola dell’obbligo. Quel bimbo potrà essere iscritto alla scuola primaria (atto che non richiede la presentazione del permesso di soggiorno dei genitori), ma vi arriverà senza aver potuto fruire del vantaggio garantitogli dall’uso della lingua italiana al nido e alla scuola dell’infanzia. Alla fine del percorso obbligatorio, se ancora minorenne, gli sarà negato l’iter scolastico successivo sempre a causa della condizione amministrativa dei genitori. Come vivrà il suo percorso formativo?
Altri fattori da considerare sono le scelte amministrative e delle istituzioni scolastiche locali. Ne abbiamo avuto riscontro nelle recenti vicende monfalconesi, oggetto il 19 luglio scorso di una interrogazione della senatrice Rojc. La sindaca di Monfalcone aveva siglato un accordo con due istituti comprensivi limitando al 45% il tetto della presenza dei bambini extracomunitari nelle classi per constatare poi che la preiscrizione alla scuola dell’infanzia aveva rilevato 60 figli di stranieri oltre il tetto stabilito. È opportuno notare che la consistente presenza straniera a Monfalcone non dipende da arrivi imprevisti di migranti ma dalla presenza della numerosa comunità straniera, soprattutto bengalese, occupata in quei cantieri navali che rappresentano ricchezza per la città e per l’ampio indotto.
L’applicazione del principio del 45% veniva affrontata con una metodologia piuttosto rozza: non si era pensato a una rimodulazione delle classi ma semplicemente a collocare i 60 piccoli esuberi in altri comuni senza verificarne il luogo di nascita. Quindi anche se nati a Monfalcone, se registrati all’anagrafe di Monfalcone, questi piccoli vengono discriminati in base alla nazionalità dei loro genitori.
Il principio fondamentale del superiore interesse del minore?

15 settembre https://diariealtro.it/?p=6110
18 settembre diariealtro.it/?p=6126

28 Settembre 2018Permalink

18 settembre 2018 – LEGGI RAZZIALI, 1938-2018.

LEGGI RAZZIALI, 1938-2018: 80 ANNI FA IL DISCORSO DI MUSSOLINI A TRIESTE   Emanuele Forlivesi                                        (Link in calce)

Mattarella ricorda: «una delle pagine più brutte e tristi della nostra storia». Conte ammonisce: «ricordare per non dimenticare»; ma il caso della mostra contro il razzismo di un Liceo triestino accusata dal sindaco di centrodestra ci riporta a quel passato e fa riflettere.

Trieste – Sono passati 80 anni da quel 18 settembre 1938, quando Benito Mussolini, in una piazza dell’Unità gremita da 150mila persone annunciò la promulgazione delle leggi razziali, una serie di decreti regi e dichiarazioni che miravano a discriminare gli ebrei e limitarne la libertà. Fino alla fine della guerra l’Italia conobbe così una serie di provvedimenti legislativi e amministrativi applicati dal regime fascista contro gli ebrei e in difesa della “razza”. Oggi allora è una vigilia importante, poiché da quel giorno il destino di molti italiani venne segnato per sempre; circa 40mila ebrei italiani, avviata una spirale micidiale di violenza cui seguirono le deportazioni di massa, furono perseguitati. Le Leggi razziali in Italia sarebbero effettivamente entrate in vigore il 17 novembre 1938 a seguito dell’approvazione del Regio Decreto n. 1728, con l’appellativo provvedimenti per la difesa della “Razza italiana”.
A Trieste, questa mattina, si sono tenute le celebrazioni ufficiali, davanti alla targa in ricordo dell’evento di 80 anni fa, sul pavimento di piazza Unità. Erano presenti diverse autorità, tra le quali l’assessore alla Cultura Giorgio Rossi, lo storico Roberto Spazzali, il vicario generale della Diocesi monsignor Pier Emilio Salvadè e il rabbino capo di Trieste Alexander Meloni. Venerdì 21 settembre invece, si terrà una cerimonia commemorativa organizzata dalla Comunità ebraica di Trieste con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e con il Comune di Trieste, in risposta al discorso tenuto nel medesimo luogo nel 1938 da Mussolini. Una cerimonia di commemorazione si svolgerà anche alla Risiera di San Sabba, l’unico campo di sterminio in terra italiana, con la lettura dei messaggi inviati dalla senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz-Birkenau alla Shoa, e dalla presidente delle Comunità Ebraiche italiane Noemi Di Segni. In questi appuntamenti per la memoria del passato degli italiani più nero ma ancora negato da molti, l’Associazione Nazionale ex Deportati nei campi nazisti (Aned) e l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (Anpi) di Udine ritengono «doveroso chiamare i cittadini a un incontro di riflessione; sui rischi derivanti dal diffondersi in Italia e in Europa di idee e movimenti di ispirazione nazifascista, di fenomeni di violenza legati al razzismo e per riaffermare con forza e convinzione la propria ispirazione ai valori democratici sanciti dalla Costituzione repubblicana e l’opposizione ad ogni forma di fascismo, di violenza e di razzismo». Tutta la stampa nazionale si unisce al ricordo e al valore di questo anniversario: sull’edizione cartacea del quotidiano Il Piccolo di Trieste di questo martedì così significativo campeggia il titolo “No al razzismo 80 anni dopo”, con uno speciale che ricorda l’annuncio delle leggi razziali.

Molte la parole per ricordare di non dimenticare la nostra storia, soprattutto in un clima pericoloso di discordia e miseria tra popoli di una stessa Terra; molte anche le polemiche, in particolare a Trieste: il pomo della discordia sono state la mostra e il manifesto dei ragazzi del liceo Petrarca per ricordare le leggi razziali, co un botta e risposta tra Comune di Trieste e la dirigente scolastica dell’istituto. Oggi più che mai la cronaca nazionale e l’opinione pubblica devono affrontare un dibattito, per riflettere sulle sfide del futuro, insieme a quelle perse nel passato.

Le parole per non dimenticare
A ricordare le leggi razziali è intervenuto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ieri, durante l’inaugurazione dell’anno scolastico a Portoferraio (Livorno), ha sottolineato che si è trattato di «una delle pagine più brutte e tristi della nostra storia». E ha aggiunto rivolgendosi agli studenti: «Ottanta anni fa la stagione scolastica si apriva con l’espulsione dalla scuola pubblica di tutte le ragazze e i ragazzi, le bambine e i bambini ebrei e con il licenziamento dei professori di origine ebraica». Il Capo dello Stato ha poi citato Liliana Segre, senatrice a vita nominata proprio da Mattarella, che «ha ricordato in questi giorni il suo trauma di bambina esclusa dalla scuola che era e sentiva propria». «Questa è una lezione che non dobbiamo mai dimenticare. La scuola deve unire e non dividere o segregare», ha concluso il Presidente.
Il premier Giuseppe Conte su twitter ha scritto: «una pagina buia per il nostro paese. Mussolini, a Trieste, annunciò l’imminente promulgazione delle leggi razziali. L’inizio di una persecuzione di tantissimi innocenti. A 80 anni dall’accaduto dobbiamo serbare memoria di questa ferita. Ricordare per non dimenticare».
Il segretario regionale del Pd del Friuli Venezia Giulia Salvatore Spitaleri ha lanciato un grido e un invito con le sue parole: «Non ci si deve stancare di fare memoria, anche quando è sgradevole e ci inchioda come popolo a responsabilità che non abbiamo mai riconosciuto fino in fondo come nostre. Gli 80 anni che ci separano dall’annuncio delle Leggi razziali sono un soffio nel respiro della storia: guai a chi finge di non sapere che il male cova sotto le ceneri».
«Il 18 settembre Trieste diventa la città simbolo di una storia scomoda e rimossa, che abbiamo il dovere morale e politico di guardare in faccia e raccontare tutta senza riserve. Mussolini è stato applaudito mentre annunciava che gli ebrei italiani non sarebbero stati più uguali agli altri cittadini, per forza di legge. Lo Stato si è piegato a un’ideologia perversa, accompagnato dal consenso» ha continuato; concludendo con un messaggio rivolto al PD: «Il Partito democratico si assume in pieno il peso di essere memoria e monito di quell’apice della vergogna che rese l’Italia complice della Shoah, abbraccia tutte le vittime mietute dall’intolleranza variamente colorata, si inchina a una terra di convivenza che è stata costretta a divenire crocevia di sangue e dittature. Lotteremo per difendere pace, diritti e verità».
Su Facebook il governatore del Friuli Massimiliano Fedriga ha postato: «Sulle leggi razziali, sulla loro infamia, su ciò che hanno prodotto, è già stato detto tutto, eppure non è mai stato detto abbastanza. In questo 80° anniversario del loro annuncio, voglio ricordare quell’indelebile sfregio sul volto del Paese e di una città, Trieste, da quasi mille anni profondamente legata alla comunità ebraica, con le parole senza tempo di “Se questo è un uomo” di Primo Levi».
Infine il commento dell’eurodeputata del Pd Isabella De Monte, che nomina anche la mostra del Liceo Petrarca screditata dal Comune: «Guai a tacere, oggi più che mai, davanti a chi osa imbrattare la storia e davanti ai rigurgiti fascisti. E non ci suggeriscano di parlare a voce bassa, perché davanti alle fascinazioni neofasciste bisogna dire le cose forte e chiaro. Proprio in una città simbolo come Trieste oggi assistiamo alle ronde di Forza Nuova e si annunciano manifestazioni di Casa Pound, per non parlare di amministratori pubblici che si fanno i filmini mentre cacciano i profughi. Una città come Trieste, che purtroppo ha visto e patito tutti gli orrori del Novecento, non si merita questo. Il caso della mostra del liceo Petrarca non sostenuta dal Comune di Trieste, che ha gettato discredito sulla città ancora una volta a livello nazionale è la ciliegina sulla torta. E la cosa incredibile è che, in Comune, più parlano e peggio fanno».

Le leggi razziali e il discorso a Trieste
Il primo decreto legge fu autorizzato il 5 settembre 1938 e ordinò l’esclusione degli ebrei dalle scuole. Il re Vittorio Emanuele lo firmò nella sua villa nella tenuta di San Rossore in Toscana, dopo una colazione e una passeggiata fino al mare. Mussolini non subì la scelta, la preparò, la propose e la sostenne. Le leggi razziali furono una decisione deliberata, sostenuta e accettata da tutti gli apparati dello Stato, fin dai suoi vertici, compreso il capo di Casa Savoia.
Nell’agosto del 1938 era già nata la “Difesa della Razza”, un quindicinale sostenuto economicamente dal fascismo e diretto da uno dei giornalisti più attivi nella polemica antisemita, Telesio Interlandi. È lì che venne pubblicato per la seconda volta in due settimane il Manifesto della razza, firmato da 10 scienziati, due dei quali zoologi; la prima era stata sul Giornale d’Italia. Galeazzo Ciano, genero e ministro di Mussolini, poi scrisse sul suo diario: «Il Duce mi dice che in realtà, il manifesto, l’ha quasi completamente redatto lui».
Poi ecco il discorso a Trieste, il 18 settembre: «Nei riguardi della politica interna il problema di scottante attualità è quello razziale. Anche in questo campo noi adotteremo le soluzioni necessarie. Coloro i quali fanno credere che noi abbiamo obbedito ad imitazioni, o peggio, a suggestioni (di Hitler), sono dei poveri deficienti, ai quali non sappiamo se dirigere il nostro disprezzo o la nostra pietà. Il problema razziale non è scoppiato all’improvviso, come pensano coloro i quali sono abituati ai bruschi risvegli, perché sono abituati ai lunghi sonni poltroni. È in relazione con la conquista dell’Impero, poiché la storia ci insegna che gli Imperi si conquistano con le armi, ma si tengono col prestigio. E per il prestigio occorre una chiara, severa coscienza razziale, che stabilisca non soltanto delle differenze, ma delle superiorità nettissime. Il problema ebraico non è dunque che un aspetto di questo fenomeno».
Poche settimane dopo, il 6 ottobre, il Gran Consiglio del fascismo, approvò la “Dichiarazione sulla razza”. In 5 anni i decreti razziali saranno circa 180. I primi furono più vessatori di quelli in Germania: gli studenti ebrei in Italia furono espulsi dalle scuole prima di quelli in Germania. Nel novembre del ’38, si bandirono i matrimoni misti e si vietò agli ebrei di possedere aziende, terreni e immobili di un certo valore, di essere impiegati nell’amministrazione pubblica, enti, istituti e banche, prestare il servizio militare e svolgere professioni di carattere intellettuale.
L’ultimo caso scoppiato a Trieste

Sarebbe dovuta partire proprio in questi giorni a Trieste la mostra “Razzismo in cattedra”, a 80 anni esatti dal Regio Decreto che varò i provvedimenti contro gli ebrei italiani. Un tributo per ricordare una pagina infame della nostra storia, scritta da Benito Mussolini con l’avallo di re Vittorio Emanuele III. Ma la mostra organizzata dal liceo Petrarca di Trieste in collaborazione con l’Università cittadina, il Museo della Comunità ebraica e l’Archivio di Stato, non avrà luogo, a causa delle polemiche scoppiate tra gli organizzatori e il sindaco Roberto Dipiazza. Motivo dello scontro la locandina dell’evento, un immagine d’epoca che ritrae tre ragazze sorridenti in grembiule scolastico e i libri sotto braccio a cui è sovrapposta la prima pagina de “Il Piccolo” del settembre 1938 con il titolo “Completa eliminazione dalla scuola fascista degli insegnanti e degli alunni ebrei”. Ma Dipiazza non ha apprezzato quel riferimento preciso ed esplicito a una delle leggi più inique del fascismo, dichiarando: «Quando ho visto quel titolo del Piccolo dell’epoca, così estremamente pesante, e quella scritta sul razzismo mi è sembrato esagerato. Dico io, dobbiamo ancora sollevare quelle cose?». Una frase choc, che ha scatenato polemiche, ma che non è stata messa molto in discussione dall’opinione pubblica e dai discorsi politico-mediatici. Da qui la convocazione della dirigente scolastica del Petrarca e la revoca delle sale comunali che avrebbero dovuto ospitare la mostra, con uno strascico amaro in cui si è inserito anche Enrico Mentana, con un post in risposta alle parole di Dipiazza: «Sì sindaco, oggi più che mai, e quelle sue parole feriscono. Non solo, ma non smetto di guardare quel manifesto, e non capisco con che cuore, con che animo e con che raziocinio lei lo abbia potuto definire esagerato. È storia, purtroppo. La nostra». Una storia che non può essere rimossa e che per la gravità delle sue conseguenze deve anzi esser ricordata e trasmessa alle nuove generazioni, anche con una mostra.

Emanuele Forlivesi
http://ilkim.it/leggi-razziali-1938-2018-80-anni-fa-il-discorso-di-mussolini-a-trieste/

20 Settembre 2018Permalink

15 gennaio 2017 – Invito a firmare un appello

 Appello   Fuori l’esercito dalle scuole! di Franco Ferrario

Sono frequenti gli episodi in cui alunni, anche della scuola primaria (6-10 anni), vengono invitati a visitare caserme delle Forze Armate ed effettuare prove di tiro a mano armata.

Gentile Redazione del sito www.ildialogo.org,

vorrei invitarvi a sottoscrivere la petizione scaturita da una vicenda che mi ha coinvolto direttamente essendo accaduta alla scuola frequentata da mio figlio (ma, purtroppo, non solo lì).

Lo scopo è quello di tentare di STIMOLARE SERI – quantomeno meno ipocriti – PERCORSI DI EDUCAZIONE ALLA PACE nelle scuole primarie e medie E ABBANDONARE LA PRASSI PEDAGOGICAMENTE SCONCERTANTE DI ARMARE LA MANO DI BAMBINI come purtroppo spesso ancora accade in particolare nel corso delle “gite” delle scolaresche nelle caserme in occasione della festa dalle Forze Armate (potrete leggere l’articolo pubblicato a proposito dal periodico dei Padri Saveriani “Missione Oggi” nel febbraio 2014 inserendo il mio nome nel “cerca” del sito della rivista).

Vi chiedo anche di “fare eco”, se ne condividete il contenuto… di chiedere esplicitamente a vostri amici di firmare e di diffondere… ecco il link, al cui interno – nella sezione “aggiornamenti” – troverete anche rimandi sia all’interrogazione parlamentare al Ministro della Difesa con relativa sconcertante ed “imprecisa” risposta (nessun genitore fu preventivamente informato del fatto che avrebbero fatto il “tiro al bersaglio” con armi ad aria compressa) sia alla vigente normativa in materia di armi (tra cui quelle ad aria compressa utilizzate) e minori.

Per firmare andate su change.org
Franco Ferrario

Trovate il collegamento anche nel sito ildialogo.org, di cui riporto il link

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/appelli/indice_1484480091.htm

 

15 Gennaio 2017Permalink

25 settembre 2016 – La guerra del panino e i suoi effetti collaterali.

Scuole che hanno dichiarato guerra ai bambini con l’arma della fame.

Non so come altrimenti riassumere questa notizia sorprendente di cui porto alcune testimonianze fra quelle che ho raccolto e che cito punto per punto con la data degli articoli che ho ricopiato e trascritto di seguito  perché, scrivendo, dubito anche di me. Il costo delle mense scolastiche per alcuni genitori è insostenibile e quindi hanno pensato di rimediare inserendo nello zainetto dei figli un panino confezionato a casa. Altri hanno fornito il panino perché insoddisfatti del cibo della mensa. Ma restiamo ai primi.

Varie scuole hanno quindi aperto la guerra al panino infiltrato (il danno imposto ai bambini come in ogni evento militare che si rispetti rappresenta un effetto collaterale evidentemente irrilevante) con considerazioni igienico-sanitarie e altre finezze burocratiche che testimoniano se non altro il tempo  di cui dispongono alcuni dirigenti scolastici perché per certe elaborazioni ci vuole attenzione a ogni virgola delle circolari e non solo. Una preside, particolarmente meditativa, teorizza ad esempio la ‘ filosofia del pasto’ (23 settembre)

9 settembre – A Torino è intervenuto un ‘verdetto del tribunale’ a sostegno non è chiaro se di alcuni o di tutti i bambini al cibo. Condividendo e radicalizzando la meditata perplessità tribunalizia alcune scuole hanno pensato di allontanare dalla mensa i digiunatori, altre scuole invece hanno promosso il digiuno in mensa.

25 settembre, In Liguria  “i genitori si sono organizzati e hanno inviato diffide ai dirigenti per consentire ai propri figli di portare il cibo da casa” il diritto al panino è stato concesso ma, si precisa, si tratta di una “Una “concessione” che rischia, di far saltare gli equilibri legati ai costi”.

Le colpe dei padri ricadano sui figli
Tuo padre e tua madre non guadagnano abbastanza per pagarti la mensa, quindi …

21 settembre Milano Scoppia il caso: una bimba finisce in lacrime perché isolata, come un bambino in un altro istituto cittadino

22 settembre   –  In  Friuli Venezia Giulia un bambino resta a digiuno (non è chiaro se in mensa o in locale adibito all’assenza di pasto), ad Aosta invece digiunano in quattro nel locale della mensa (24 settembre)

Come ti cresco il figlio del ‘padrone’

Se il danno morale oltre che materiale per i bambini costretti al digiuno (e in taluni casi costretti a digiunare davanti ai mangiatori) è evidente, non voglio che ignorare anche quello dei bambini costretti a mangiare davanti ai digiunatori. Penso si possano dividere in due categorie: quelli educati alla solidarietà, che avranno provato un disagio non piccolo in una situazione a dir poco surreale, e quelli, educati a perseguire il successo e a riconoscerne come prova la ricchezza, che potrebbero aver gioito dell’umiliazione inferta ai loro compagni. Capita … anche nella buona scuola.

Testo degli articoli citati

9 settembre  –  A scuola con il panino portato da casa, dal tribunale un verdetto decisivo
I giudici si pronunciano sul ricorso del Miur che ha esteso a tutti il diritto di mangiare in classe il cibo della mamma  di JACOPO RICCA

Attesa per la nuova sentenza sul pasto cucinato a casa e mangiato a scuola. Questa mattina in tribunale a Torino si sono discussi i reclami del ministero dell’Istruzione contro l’ordinanza di agosto che estende ad altre famiglie oltre alle 58 che a giugno si sono viste dare ragione dalla corte d’Appello. L’Avvocatura dello Stato ha presentato la posizione del ministero, mentre le famiglie sono difese dagli avvocati Roberto e Giorgio Vecchione. La discussione è avvenuta davanti allo stesso giudice che già ad agosto aveva dato ragione ad alcune famiglie, ma anche a quella che invece più di anno fa aveva respinto la prima richiesta delle 58 famiglie, ribaltata poi dalla sentenza d’appello. Se verranno riconosciute le ragioni del ministero si torna indietro a giugno quando la Corte d’Appello sentenzio l’obbligo di poter consumare il panino in classe solo per i figli dei 58 genitori che avevano presentato ricorso. Se, invece, il ricorso del ministero viene cassato, passa il principio che il diritto vale per tutti e quindi tutte le scuole dovranno organizzarsi, pur tra le polemiche dei presidi.

23 settembre –  Tutti i presidi d’accordo, niente panino in classe

Genova – I pasti preparati a casa non entreranno in classe, tanto meno a mensa. Alla fine sono i presidi a chiudere con un secco no la partita del panino a scuola a Genova.  «Attualmente non ci sono le condizioni per consentire il consumo di pasti portati da casa», si legge nel documento diramato dopo l’incontro di ieri al Matitone, dai dirigenti scolastici della Conferenza cittadina di Genova. In pratica tutti i presidi degli istituti comprensivi della città. E, questo, per una serie di motivi, su tutti la mancanza di norme e regolamenti per organizzare il servizio. Nel documento, i presidi elencano i rischi sotto il profilo igienico – sanitario, con la presenza a scuola di bambini allergici e a rischio di shock anafilattico. Poi la modalità di conservazione e somministrazione dei cibi. E, ancora, sul piano logistico e organizzativo, la necessità di adeguare i locali e dedicare personale alla somministrazione.

«Va rispettata anche la filosofia di fondo del pasto uguale per tutti – dice Iris Alemanno, dirigente del Comprensivo di Pegli – la ristorazione può certamente essere migliorata, deve esserlo ma, questa campagna per il panino per com’è stata condotta e per quello che chiede, non fa altro e non farebbe altro che togliere risorse a tanti altri settori della scuola». La preside Alemanno non si ferma qui e aggiunge: «Dobbiamo aggiustare i soffitti, incrementare l’utilizzo dei supporti informatici e tecnologici che, certo, non sostituiranno i libri ma devono essere sempre più presenti come strumento didattico. Dobbiamo migliorare anche la didattica, i livelli di apprendimento. Basta dire che siamo alle prese con la mancata copertura degli insegnanti di sostegno, e dobbiamo perdere tempo per mettere in discussione il sistema della mensa, messo a punto negli anni, quando oltretutto la legge è chiara e dice che non si può?».

La presa di posizione di fronte alle prime richieste di rinuncia delle famiglie alla mensa comunale era già nell’aria, ma ieri è stata formalizzata nel corso dell’incontro al Matitone. Il documento, approvato all’unanimità da tutti i dirigenti, cita anche la sentenza di Torino, il grimaldello utilizzato dalla Rete per fare entrare in tutte le scuole d’Italia quel che le famiglie reputano sia meglio dar da mangiare ai propri figli. «La sentenza della Corte d’Appello di Torino non modifica gli ordinamenti e ha competenza limitata alla circoscrizione di riferimento», si legge ancora nella nota. Che si chiude con un appello: «I dirigenti auspicano che una comune riflessione eviti derive conflittuali dannose per la serenità della comunità scolastica, in particolare degli studenti». Prosegui la lettura nell’edizione cartacea o in edicola digitale

21 settembre Mense scolastiche, “a Milano bimbi allontanati dai compagni perché muniti di pasto da casa”. Scontro Comune-Regione

Dopo il via libera alla ‘schiscetta’ dei giudici torinesi, anche alcune famiglie lombarde decidono di rinunciare al servizio mensa. Ma scoppia il caso: una bimba finisce in lacrime perché isolata, come un bambino in un altro istituto cittadino. Palazzo Marino: “Non si può pretendere di consumare un pasto portato da casa all’interno dei locali della refezione”. L’assessore regionale Aprea: “Il Comune chieda scusa” di F. Q. |

Isolati a scuola e fuori dal refettorio perché hanno portato il pranzo da casa. Succede a Milano, in due elementari: alle Pirelli in zona Niguarda e a quelle in via Palermo. Dopo la sentenza di Torino che ha respinto il reclamo del Miur e dato il via libera al panino, anche alcuni genitori in Lombardia hanno deciso di rinunciare alla refezione per i loro bambini. Una scelta sfociata nell’esclusione dei piccoli. In una delle due scuole una bimba munita di cibo da casa, scrive il Corriere, “il primo giorno entra in mensa, il secondo la mandano in un’aula con la bidella, il terzo la preside la porta in mensa ma in un tavolo separato. Poi interviene il Comune e niente più refettorio”. Quindi mangia da sola e finisce in lacrime. Nell’altro caso, anche il bimbo è stato allontanato dai compagni. La conseguenza spiegata dai genitori: “Non ha toccato cibo e si è sentito male”.

Una procedura che deriva dalla comunicazione netta inviata venerdì dal Comune di Milano a tutti i presidi: “Nessuno a Milano può pretendere di consumare un pasto portato da casa all’interno dei locali della refezione“. Dunque, se i bimbi vengono isolati dai compagni all’ora di pranzo come è accaduto in questi giorni, non c’è nulla di strano. Ma l’opinione della Regione è diametralmente opposta. “Il Comune chieda scusa”, è stato il commento oggi dell’assessore all’Istruzione della Regione Lombardia Valentina Aprea. “L’ordinanza del tribunale di Torino del 9 settembre con cui è stato riconosciuto il diritto di consumare un pasto portato da casa – ha aggiunto – non vale solo per le 58 famiglie che hanno intrapreso l’azione legale avverso il ministero a Torino, ma per tutte le famiglie che dovessero decidere di non avvalersi più del servizio mensa”.

Ma per il vice sindaco di Milano Anna Scavuzzo non è così: “L’ordinanza del tribunale di Torino non è resa nell’ambito di un giudizio a cognizione piena, quindi non ha l’efficacia di una sentenza passata in giudicato, comunque valida solo per i ricorrenti – replica il vice sindaco e assessore all’Educazione del Comune di Milano Anna Scavuzzo – Insomma, nessuno a Milano può pretendere di consumare un qualsiasi pasto portato da casa all’interno dei locali adibiti alla refezione scolastica”. E mentre Comune e Regione continuano a scontrarsi, la Aprea ha annunciato un tavolo per stabilire le regole sulla schiscetta il prossimo 4 ottobre.

22 settembre  –  Panino a scuola, bimbo resta a digiuno

Vietato l’ingresso nell’aula di refezione. L’istituto si scusa. Il dirigente regionale: allo studio nuove regole per chi porta cibo da casa   di Michela Zanutto

UDINE. Non può mangiare a scuola il cibo portato da casa. E così uno studente di 10 anni resta digiuno fino al termine delle lezioni. È successo in una scuola del Friuli, dove l’insegnante che aveva il compito di sorvegliare il momento del pranzo, ha impedito al bambino di consumare il panino con la cotoletta preparato dalla mamma. Il motivo? Avrebbe potuto contaminare il pasto dei suoi compagni.

A stabilire la regola è la scuola. E così il bambino è rimasto a stomaco vuoto fino alle 16, quando i genitori sono andati a riprenderlo. «Mamma non preoccuparti, mi ha brontolato la pancia soltanto un paio di volte», ha poi raccontato ai genitori. Per fortuna un insegnante che ha fatto lezione nel pomeriggio aveva con sé un pacchetto di cracker che ha dato al bambino in attesa del ritorno a casa.

22 settembre   A Sacile liberalizzato il pasto della mamma

Da oggi consentito portarselo da casa. Una scelta legata anche alla crisi economica

«Sai mamma, mentre i miei compagni mangiavano, io sono andato a sedermi in un tavolino isolato perché avevo un po’ di acquolina».

E il disappunto dei genitori non si è fatto attendere: «Questo digiuno mi sta indigesto – attacca la mamma -. La mensa non è obbligatoria, pertanto deve essere concesso a mio figlio di portare il pasto da casa. Visto quanto accaduto d’ora in poi andrò a prenderlo al termine delle lezioni del mattino e lo riporterò nel pomeriggio. Ma non credo sia giusto.

Mio figlio ha un rapporto particolare con il cibo e non posso pretendere che la scuola vada incontro alle sue esigenze, cerco di sopperire io. Ma non mi sarei mai aspettata un comportamento simile: lasciare digiuno un bambino mentre i suoi compagni pranzano tutt’intorno».

La scuola ammette l’errore: «L’insegnante avrebbe dovuto contattare la dirigenza che a sua volta avrebbe convocato i genitori – spiegano dall’istituto friulano -. Perché al momento, sebbene il servizio mensa non sia obbligatorio per i bambini, non sia obbligatorio per i bambini, non è possibile consumare pasti portati da casa. E la mamma sapeva che doveva chiedere il consenso della dirigenza, ha forzato di proposito la procedura. In questa fase stiamo ragionando sulla sentenza di Torino e cerchiamo di capire come andrà a finire, ma bisogna stare un pochino attenti».

Il regolamento che vieta di portare cibi diversi da quelli forniti dal servizio mensa punta a garantire la salubrità dei pasti. «È un divieto sacrosanto – sottolinea il coordinatore dell’Ufficio scolastico regionale, Pietro Biasiol -. L’insegnante non avrebbe mai potuto autorizzare il bimbo a magiare in mensa.

In questa fase stiamo predisponendo una commissione per affrontare la faccenda perché le richieste di portare il cibo da casa sono molte. Abbiamo pregato le persone di non forzare il regolamento anche perché le mense rispondono in modo puntuale a tutte le esigenze presentate dalle famiglie. Ma vorrei capire se in questo caso la responsabilità è dell’insegnante che applica una norma a tutela della collettività o della mamma che vuole forzare la regola».

24 settembre  –  Aosta, quattro bambini lasciati a digiuno nella mensa della scuola

Li hanno fatto sedere nel refettorio ma senza pasto. Il motivo? I genitori non erano in regola con il pagamento e l’iscrizione.  Quattro bambini della scuola elementare  di Gignod , in provincia di Aosta sono stati lasciati a digiuno dal servizio di mensa scolastica. La vicenda risale al primo giorno di scuola in Val d’Aosta.  Pare che la causa sia legati a problemi di iscrizione al servizio. Così gli assistenti hanno deciso di lasciare i piccoli senza pasto, in attesa della ripresa delle lezione del pomeriggio.  I quattro bambini, due della classe seconda e due della quarta, sono stati fatti sedere nel refettorio e lasciati a digiuno mentre gli altri alunni consumavano regolarmente il pranzo. Al ritorno in aula, le insegnanti hanno dato da mangiare ai bimbi.  Anche ad altri due bambini è stato negato il pranzo, ma i loro genitori hanno fatto in tempo ad andarli a prendere e a portarli a casa.  L’appalto per il servizio di mensa scolastica nella scuola di Gignod è affidato alla cooperativa Noi e gli Altri di Aosta.  Pare che le famiglie dei quattro bambini non avessero ancora regolarizzato l’iscrizione alla mensa, una situazione  che per il Comune di Aosta non sarebbe stata un problema: “Chiunque viene in refezione è preso in carico dalla ditta che gestisce il servizio, poi in qualche modo si cerca di sanare l’iscrizione”, sottolinea l’assessore Paron.  “I nostri uffici avevano fornito tutta la documentazione, non si è capito chi ha dato l’ordine di non far mangiare i bambini. Mi sembra una misura un pò rigida”, commenta l’assessore comunale di Aosta

25 settembre  – Mense, dirigenti scolastici contro la libertà di portare il cibo da casa. Contrari anche alcuni deputati PD  di redazione

Secondo quanto scrive il Secolo XIX di oggi, alcuni dirigenti scolastici hanno firmato una petizione a favore del cibo da mensa. La petizione è stata lanciata su internet dai genitori favorevoli alle mense che temono un aumento dei costi a seguito della sentenza che ha decretato la possibilità per le famiglie di preparare il pasto da portare a scuola. La sentenza è stata emanata dal Tar Piemonte e sta influenzando tutto il Nord Italia, dalla Lombardia alla Liguria. In quest’ultima regione, i genitori si sono organizzati e hanno inviato diffide ai dirigenti per consentire ai propri figli di portare il cibo da casa. Una “concessione” che rischia, però, di far saltare gli equilibri legati ai costi. Anche la politica si è mossa in contrapposizione alla libertà concessa ai genitori dai tribunali. Così, ad esempio, la parlamentare del PD Mara Carocci ha chiesto al Ministero di prendere iniziative per consentire ai dirigenti di intervenire e addirittura di legiferare per impedire alle famiglie di far portare il panino da casa ai propri figli.

FONTI

9 settembre – verdetto tribunale di Torino http://torino.repubblica.it/cronaca/2016/09/09/news/a_scuola_con_il_panino_portato_da_casa_dal_tribunale_un_verdetto_decisivo-147448365/

23 settembre  – posizione unanime presidi di Genova http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2016/09/23/AS9XaSQE-niente_presidi_accordo.shtml

21 settembre Milano – scolari a digiuno http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/09/21/mense-scolastiche-a-milano-bimbi-allontanati-dai-compagni-perche-muniti-di-pasto-da-casa-scontro-tra-comune-e-regione/3047285/

22 settembre Messaggero Veneto: uno scolaro a digiuno http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2016/09/22/news/panino-a-scuola-bimbo-resta-a-digiuno-1.14132692

http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2016/09/22/news/a-sacile-liberalizzato-il-pasto-della-mamma-1.14132701

24 settembre – Aosta quattro scolari a digiuno http://torino.repubblica.it/cronaca/2016/09/24/news/aosta_quattro_bambini_lasciati_a_a_digiuno_nella_mensa_della_scuola-148445470/?ref=HREC1-18

25 settembre – A digiuno con sostegno deputati PD http://www.orizzontescuola.it/mense-dirigenti-scolastici-contro-la-liberta-di-portare-il-cibo-da-casa-contrari-anche-alcuni-deputati-pd/

25 Settembre 2016Permalink

19 settembre 2014 – Due date da ricordare

Ogni primo giorno del mese inserisco un calendario che, se il caso, modifico quando intervengano nuovi eventi.
Fra le date che ho ricordato in agosto e settembre di due abbiamo scritto nel n. 230 del mensile Ho un sogno
Trascrivo

5 agosto. Jerry Masslo 1989

25 agosto 1989. A Villa Literno (Caserta) venne assassinato Jerry Masslo che era fuggito dal Sudafrica dell’apartheid. Nelson Mandela sarebbe uscito dal carcere nel 1990 ed eletto Presidente del Sudafrica nel 1994.Masslo fu ucciso da quattro balordi bianchi mentre fuggiva dall’edificio fatiscente dove dormiva, cercando di difendere il suo salario dalla rapina. Faceva il raccoglitore di pomodori. Non aveva ottenuto il riconoscimento della sua condizione di rifugiato politico perché era ancora in vigore la “riserva geografica” che la riconosceva possibile solo per chi venisse dall’Unione Sovietica e dai paesi satelliti.

La sua morte fu probabilmente determinante per assicurare l’anno successivo l’approvazione della legge Martelli che cancellò quella riserva.

Quando Masslo morì nulla accadde a Villa Literno mentre a Roma sfilarono 200.000 persone per una manifestazione cui partecipò anche Tommie Smith, medaglia d’oro per i 200 metri nel 1968 a Città del Messico, che assieme a Lee Evans era salito sul podio olimpico senza scarpe e aveva alzato al cielo il pugno con il guanto nero. Sei mesi prima a Memphis era stato assassinato Martin Luther King.

5 settembre 1938 – Gli ebrei non vanno a scuola!

Il Gran Consiglio del Fascismo approvò il Regio Decreto Legge 5 settembre 1938-XVI, n. 1390, Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista, successivamente convertito in legge senza modifiche (L. 99/1939). I provvedimenti complessivi per la difesa della razza sarebbero intervenuti due mesi dopo (Decreto Legge 17 novembre 1938-XVII, n. 1728), ma prima dell’inizio dell’anno scolastico ci si preoccupò che “all’’ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e grado e nelle scuole non governative, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere ammesse persone di razza ebraica” e che alle stesse scuole non potessero “essere iscritti alunni di razza ebraica”. Chi ha memoria di quell’orrore non poteva non essere turbato dalle “Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri” emesse dal Miur (Ministero per l’istruzione, università e ricerca) nel febbraio 2014, con cui (al paragrafo 2.2) si chiedeva l’esibizione del permesso di soggiorno ai fini dell’iscrizione scolastica.Fortunatamente in questo caso è bastata una lettera-segnalazione, inviata il 7 maggio scorso dal presidente dell’Associazioni per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI), a indurre il Miur alla pubblica precisazione per cui “tale indicazione deve considerarsi mero errore materiale di trascrizione”.Per l’iscrizione alle scuole il permesso di soggiorno non deve quindi essere richiesto mentre resta in vigore la norma che lo prevede per la registrazione degli atti di nascita di chi, figlio di sans papier, nasca in Italia (legge 94/2009, art. 1, comma 22, lettera g).

19 Settembre 2014Permalink

13 giugno 2014 – Forse qualche volta segnalare è utile [Quinta puntata]

Il 16 maggio avevo scritto della lettera inviata il 13 maggio dall’ASGI al MIUR a proposito della richiesta del permesso di soggiorno per l’iscrizione alla scuola dell’obbligo presente nelle linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri dello stesso  ministero. Drasticamente l’Asgi affermava “le linee guida vanno modificate” e ancor più drasticamente la lettera di accompagnamento firmata dal suo presidente concludeva: «in mancanza di sollecito riscontro ci attiveremo in sede giudiziale al fine di ottenere  la rimozione dalle linee guida della richiesta del permesso di soggiorno ai fini dell’iscrizione scolastica».
Il 23 maggio l’Asgi informava che «tale indicazione deve considerarsi mero errore materiale di trascrizione, essendo più volte ribadito nel corpo delle stesse Linee Guida come l’irregolarità dei genitori riguardo al possesso del permesso di soggiorno non possa in alcun modo compromettere il diritto degli alunni all’iscrizione scolastica».

L’esonero del permesso di soggiorno per l’iscrizione alla scuola dell’obbligo – una storia.

Soddisfatta del risultato della richiesta dell’ASGI non posso però impedirmi di giudicare ridicola la giustificazione dell’errore perché l’inserimento della dizione ‘iscrizione alla scuola dell’obbligo’ ha una non onorevole storia, raccontata molto bene in un articolo di Paolo Citran (CIDI) di cui ho dato notizia con il relativo link il 9 giugno

Scrive Paolo: « L’aureo provvedimento esonera però il cittadino straniero che chiede l’iscrizione del proprio figlio a scuola dall’obbligo di esibire il permesso di soggiorno per quanto concerne le “prestazioni scolastiche obbligatorie”. Il carattere buonista (!) di questa disposizione si avverte tenendo conto del fatto che genitori privi del permesso di soggiorno, richiesti della presentazione di tale documento, tenderebbero a non iscrivere i loro figli a scuola per evitare di autodenunciarsi come irregolari. Tuttavia la faccenda sembra valere per la sola scuola dell’obbligo. Ma prima della scuola dell’obbligo esistono l’asilo nido e la scuola dell’infanzia».
Tanto per la cronaca l’intento di escludere la scuola dell’obbligo dalla presentazione del permesso di soggiorno era stato espresso dall’allora presidente della Camera on. Fini e realizzato con un emendamento – accolto dalla maggioranza – dell’on. Alessandra Mussolini (era il 2009 e si discuteva del ‘pacchetto sicurezza’. Persino la legge Bossi Fini non era intervenuta nel merito).

Scrive il Movimento di Cooperazione Educativa

Il 12 giugno di prima mattina trovo copia di una lettera che il gruppo di Udine del MCE ha scritto alla propria segreteria nazionale.
Tralascio la prima parte dove l’MCE udinese segnala le riserve dell’Asgi e chiede alla segreteria nazionale di intervenire in proposito.
Come ho scritto sopra è superata.
Ne riporto invece la seconda parte:
«Rileviamo d’altra parte come, in base all’articolo del Decreto legislativo sopra citato, l’esenzione dalla presentazione del permesso di soggiorno riguardi solo l’iscrizione alla scuola dell’obbligo e non alle altre istituzioni educative e scolastiche, la cui frequenza viene quindi di fatto ostacolata per i figli di immigrati “irregolari”. Pensiamo in particolare agli asili-nido e alle scuole dell’infanzia, che rappresentano per il bambino un’ occasione di crescita e di arricchimento, nonché di precoce apprendimento della lingua italiana, necessario ai fini di un’effettiva integrazione sociale e culturale nel nostro Paese.

Ciò è in evidente contrasto con la Legge n. 176/1991 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione dei diritti del fanciullo, pubblicata a New York il 20.11.1989) e con l’insieme della legislazione riguardante i minori, che afferma come la condizione di irregolarità dei genitori non possa ostacolare in alcun modo il rispetto dei diritti dei minori, compreso quello all’educazione e all’istruzione.

Riteniamo perciò che sia urgente una revisione complessiva della legislazione in materia.

 Vogliamo ricordare, in particolare, che la Legge n. 94 del 15 luglio 2009 stabilisce l’obbligo di presentare il permesso di soggiorno anche per gli atti di stato civile quali la dichiarazione di nascita (art.1 comma 22, lettera g). Questo crea il rischio che genitori immigrati irregolari non denuncino la nascita di un figlio per paura di essere espulsi. Precisiamo che il 7 agosto dello stesso 2009, il Ministero dell’Interno ha cercato con una circolare  di porre rimedio a questa situazione, chiarendo che non è necessario esibire documenti inerenti al soggiorno per dichiarazioni  di nascita e di riconoscimento di filiazione. Ma, non essendo una Circolare Ministeriale una fonte primaria del diritto, permane l’urgenza di una revisione della legislazione in materia, da approvarsi da parte del Parlamento. (Esiste a riguardo una proposta di legge, la  n.740, presentata  il 13 aprile 2013 e assegnata alla Commissione Affari Costituzionali, che ancora giace ignorata).

L’MCE, che nei suoi principi di fondo annovera l’attenzione e l’impegno al  riconoscimento dei diritti dei minori, a nostro parere dovrebbe impegnarsi per un cambiamento dell’attuale  legislazione
».

Una speranza, come altre forse inutile, ma non illegittima.

L’MCE nazionale è organizzazione stimata e autorevole. Mi ostino a sperare che faccia buon uso della lettera udinese e si attivi presso il ministero per  arrivare a una norma che ponga fine a questi continui riferimenti al Permesso di soggiorno.
Probabilmente il coinvolgimento responsabile del Ministero faciliterebbe la revisione parlamentare della norma che l’MCE correttamente auspica.
Risolvendo la questione in radice – come anche l’MCE udinese suggerisce – si semplificherebbe la situazione.
Ma di ciò a una prossima puntata   –  continua

La documentazione specifica a questo punto si infittisce.
Per ora segnalo le quattro puntate precedenti:

6 maggio 2014 –https://diariealtro.it/?p=3051;
8 maggio 2014 –https://diariealtro.it/?p=3056
16 maggio 2014 – https://diariealtro.it/?p=3070
11 giugno 2014  –  https://diariealtro.it/?p=3110

A queste aggiungo, oltre i documenti citati nel testo, quelli pubblicati  il 25 maggio
https://diariealtro.it/?p=3081 e il 7 giugno   https://diariealtro.it/?p=3090 .

13 Giugno 2014Permalink