27 dicembre 2018 – Un bambino muore solo. Ha fatto paura al presidente degli USA

Ho tirato fuori il Presepio
Ho rimosso Ebrei, Arabi e stranieri
Sono rimasta con un asino
e una manciata di pecore.
[Nota 1]

 

 

Usa, bimbo di 8 anni muore in un centro per l’immigrazione al confine col Messico       [Nota 2]

Ignote le cause del decesso del bambino proveniente dal Guatemala, il secondo morto sotto custodia americana nel giro di un mese di Redazione Online
Morto in un centro per l’immigrazione la Vigilia di Natale al confine con il Messico.
Aveva la febbre, questo si sa, ma ignote ancora sono le cause della morte di un bambino di otto anni, un piccolo migrante proveniente dal Guatemala che era stato preso in custodia dalle autorità americane.
Ed è la seconda morte nel giro di un mese: l’8 dicembre si era spenta per disidratazione e fame una bambina, sempre del Guatemala, di sette anni, Jakelin Caal.

Pro memoria

I bambini ‘sotto custodia americana’ furono strappati ai loro genitori arrestati
(e imprigionati) per aver varcato illegalmente con i loro figli la frontiera che separa gli USA dal Messico.
Così un piccolo bambino è stato condannato a morire solo mentre i suoi genitori si trovavano in carcere.
“ Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Il grido di Cristo in croce gli appartiene di diritto se a Dio mio sostituiamo ‘papà”.
Chi in un simile momento potrebbe spiegare a un piccolo sofferente fino alla morte che il suo papà non l’ha abbandonato ma che è stato rapito un tizio di nome Trump?
La registrazione dei pianti dei bambini, strappati ai genitori, si può ascoltare inserendo in un motore di ricerca il link in nota
(TG 2000)                      [Nota 3]
In Italia credo non ci sia consentito rifugiarci nella condanna a Trump (la sua decisione di sottrarre i bambini ai genitori risulterebbe riconducibile a un’iniziativa personale) dimenticando che in Italia abbiamo costruito con legge  una analoga possibilità.

Il diritto ad avere dei diritti.

La legge 94/2009, condannando nati in Italia a non avere un certificato di nascita e quindi a non avere identità, nome, famiglia, li colloca in un limbo di inesistenza dove ogni p0ssibilità di avere dei diritti è loro negata.
Non ci è concesso rifugiarci dietro alla convinzione – diffusa probabilmente per creare paura di questa minaccia insostenibile – che quei bambini avrebbero automaticamente la cittadinanza italiana: non è così.
Sul loro certificato di nascita sarebbe registrata la cittadinanza dei genitori. [Nota 4]
Queste piccole persone così minacciose non ci vengono imposte come concittadini.
Ci viene imposta la violenza che loro facciamo negando il certificato di nascita, una misura condivisa anche da rispettabili persone e associazioni pur queste rispettabili.
Molti si riconoscono nel diritto a donare ma non vogliono impegnarsi per il diritto ad esistere legalmente di chi il dono riceve, quando tale diritto sia negato per legge.
E’ comprensibile: questi piccoli e i loro terrorizzati genitori non costituirebbero massa di consenso elettorale né sono capaci di garantire pubblico onore a chi per propria solidale ‘bontà’ è notoriamente capace di benefiche azioni positive anche reali.

Però i bambini invisibili per democratica volontà espressa nelle istituzioni comunque esistono (siano figli di migranti irregolari o di coppie riconosciute nelle Unioni Civili con il riconoscimento di diritti che non si estendono ai figli – un esempio soltanto: l’adozione del figlio del partner nota come stepchild adoption. Ricordo ancora gli interventi volgari di chi in Parlamento riuscì a bloccare questa norma necessaria e rispettosa di persone che da sé non possono tutelarsi).

Che ci siano bambini nascosti ce lo ricorda il Terzo Rapporto Supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia (novembre 2017. cap.3.1):
«Rispetto … al diritto di registrazione alla nascita, si fa presente che l’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello stato, avvenuta con la legge 15 luglio 2009 n.94 in combinato disposto con gli artt. 316-362 c.p., obbliga alla denuncia i pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio che vengano a conoscenza delle irregolarità di un migrante.
Tale prescrizione condiziona i genitori stranieri che, trovandosi in situazione irregolare, spesso non si presentano agli uffici anagrafici, proprio per timore di essere eventualmente espulsi».

E infine non vanno dimenticate le navi che percorrono il Mediterraneo per soccorrere chi fugge come può e con una precarietà di mezzi la cui scarsa affidabilità è pur sempre meno rischiosa della permanenza del paese da cui provengono.
C’è chi si adopera perché dondolino affollate e al freddo. Il mangiatore di nutella non è solo: è uno fra parecchi irresponsabili della chiusura di approdi sicuri, ma è uno che conta

Nessuno lascia la propria casa
a meno che casa sua non siano le mandibole di uno squalo
verso il confine ci corri solo
quando vedi tutta la città correre
i tuoi vicini che corrono più veloci di te
il fiato insanguinato nelle loro gola
(Warsan Shire)

[Nota 1] Ringrazio l’amica Alessandra Missana che mi ha regalato l’immagine – da lei stessa pubblicata su facebook.

[Nota 2] https://www.corriere.it/esteri/18_dicembre_25/usa-bimbo-8-anni-muore-un-centro-l-immigrazione-confine-col-messico-e9d57040-0874-11e9-9efd-ce3c5bf3dd59.shtml

[Nota 3] https://www.youtube.com/watch?v=y05743HMrWM
La registrazione dei pianti dei bambini, strappati ai genitori, si può ascoltare inserendo in un motore di ricerca il link che precede (TG 2000)

[Nota 4] Disposizioni in materia di sicurezza pubblica (nota come pacchetto sicurezza)  Legge 94/2009 art. 1 comma 22 lettera g
Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” ( art. 6/2)

27 Dicembre 2018Permalink

18 dicembre 2018 – Monza la senatrice a vita Liliana Segre, 88 anni, al Teatro Manzoni

Non riesco a riportare la relazione dello straordinario incontro fra la senatrice Segre e gli studenti di Monza e Brianza senza premettere un mio appello che so  inutile. Non posso tacere perché sono in grado di capire  cosa significhi non  esistere in relazioni riconosciute, conosco l’indifferenza che tante volte ho sperimentato nella richiesta – sostenuta da pochi – di dire quel no che nel mio appello pronuncio.
Non si tratta di bilanciare un intervento con un altro in un momento di difficoltà finanziarie ma di affermare il diritto di chi non  può tutelarsi da sé. Non costa nulla a nessuno.

Personalmente penso a questa indifferenza come spregio alla Costituzione che nell’art 10 afferma
“L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”.

Vorrei che la lettura del passo che segue desse agli italiani – nelle istituzioni e nella società che si presenta civile – la dignità di dire il loro NO alla negazione del certificato di nascita imposta nel 2009 con la legge chiamata ‘pacchetto sicurezza’.Sono ormai certa che non  sarà così: in parlamentari eletti e quelli che sperano di continuare ad esserlo, coloro che si candideranno per le elezioni europee, i responsabili di associazioni che pretendono di far cultura, le associazioni di donne che si ostinano a non  voler prendere responsabile coscienza dell’esistenza di madri loro simili cui non è concesso dire ‘questo è mio figlio’, davanti al loro bambino.
Ricordo che anche i vescovi italiani – pur promuovendo il proprio ruolo di difensori delle persone più fragili e dei gruppi a rischio – a questi piccoli fantasmi hanno voltato spietatamente le spalle.

L’incontro di Liliana Segre con gli studenti di Monza e Brianza: «Impegno contro intolleranza e istigazione all’odio»

La senatrice a vita Liliana Segre ha incontrato 800 studenti di Monza e Brianza. Sopravvissuta ad Auschwitz, ha raccontato la persecuzione e l’indifferenza vissuta dopo l’emanazione delle leggi razziali. Ha presentato una proposta di legge in Senato contro gli hate speech. Monza le ha detto: “Grazie”.
Alla fine di un’ora di racconto di una vita, in un silenzio assoluto, tra gli ottocento studenti delle scuole di Monza e Brianza si leva un “grazie”, squillante e solitario. Un grazie a Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, senatrice della Repubblica dal gennaio di quest’anno, tornata a Monza, per parlare ai ragazzi a 80 anni dall’emanazione delle leggi razziali.
Sul palco, sono tantissimi a voler stringere la mano, dirle personalmente grazie, per il dono della sua testimonianza di sopravvissuta ad Auschwitz.
“Cosa vuole chiedermi ancora che non abbia già raccontato?”, mi domanda sorridendo e accarezzandomi il viso.
Parliamo di oggi, dell’attualità del suo messaggio, di quello che prova davanti alla violenza che pervade discorsi politici, la vita quotidiana.
“In Senato – dice – ho presentato un disegno di legge contro gli hate speech, i discorsi di odio. Vorrei che si istituisse una commissione parlamentare d’indirizzo e controllo sui fenomeni dell’intolleranza, razzismo e istigazione all’odio sociale. C’è violenza non solo in politica, ma anche nelle riunioni condominiali, in auto durante un sorpasso…”.
Liliana Segre parla volentieri soprattutto dei giovani: “Mi sento la loro nonna, ho tre nipoti maschi, i miei gioielli che hanno la stessa età di questi ragazzi. Quando sono diventata nonna del primo, Edoardo, ho capito che era arrivato il momento di iniziare a parlare, raccontare la mia storia.
Lo faccio per quei sei milioni di persone che non hanno potuto tornare e raccontare”.
“Non posso avere la certezza che tutti recepiscano il mio messaggio, ma qualche volta vedo i risultati. Non mi illudo che siano tutti candele della memoria, ma se anche solo uno porterà questa testimonianza con sé sarà valsa la pena”.

Il racconto di Liliana Segre del resto è partito con una richiesta: “Toglietemi per favore questa luce dagli occhi, perché voglio vedere i volti di questi ragazzi, voglio raccontarvi una storia che è la mia, personale e vera”.

Così, quasi guardandoli uno per uno racconta di Liliana bambina: “Perché anche quando diventerete tanto vecchi come me, voi resterete i ragazzi che siete oggi, ognuno resta quello che è stato”.
La memoria torna a quell’estate del 1938, a lei orfana di mamma, cresciuta in una famiglia ebrea della piccola borghesia milanese, non religiosa. La “principessa” di papà Alberto. È proprio lui a doverle dire che è stata espulsa da scuola. “Ma perché? Cosa ho fatto di male?”. Una domanda che ancora la agita, a cui non ha trovato una risposta.
Subito ricorda anche l’indifferenza, parola che ricorre spesso nei suoi discorsi e campeggia a caratteri cubitali sul palco del Manzoni. “Ricordo l’indifferenza del maggior parte degli italiani, in pochi hanno continuato ad invitarci e a parlarci. Della maestra e delle ex compagne mi indicavano sghignazzando mentre passavo davanti al cortile di quella che non era più la mia scuola”.

Tra le famiglie ebree di Milano c’è chi inizia a pensare di partire, lasciare l’Italia per gli Stati Uniti: “Si salvarono tutti. Genitori, figli, nonni persino il servizio dei bicchieri”. Ma per il papà di Liliana la decisione di partire arriva troppo tardi, frenato dalla preoccupazione di lasciare soli gli anziani genitori malati.

Per scappare dalle bombe su Milano anche Liliana come molti milanesi trova rifugio in Brianza, a Inverigo, poi inizia a nascondersi da amici “eroici” quelli veri che rischiano la propria vita nella speranza di salvare lei.

“A caro prezzo mio padre ottiene documenti falsi, ricordo contrabbandieri truci, interessati al denaro – dice – li ho paragonati ai trafficanti di uomini di oggi, a chi organizza i barconi dalla Libia”.

La felicità di essere quasi salvi dopo una notte in montagna per arrivare al confine svizzero dura poco e si scontra con il ghigno di un gendarme svizzero: “Ci guardò con disprezzo enorme, ci disse che eravamo imbroglioni che non era vero che eravamo perseguitati, che volevamo solo fuggire dalla guerra. Mi buttai ai suoi piedi, gli stringevo le gambe, piangevo. Non ci fu nulla da fare”.
Liliana Segre racconta questo episodio e la recente visita a Lugano dieci giorni fa quando il consigliere cantonale ha voluto chiederle scusa. “È stupefacente che ci siano voluti 75 anni per queste scuse e solo ora che sono diventata senatrice”.

Quel gendarme svizzero cambia il corso della sua vita. Sarà arrestata con il padre portata al carcere di Varese, poi Como e San Vittore, mentre i nonni furono deportati e gasati dopo che qualcuno ne denunciò la presenza in cambio di 5mila lire.
Chiusa a San Vittore a 13 anni senza aver fatto nulla di male, Liliana Segre attende il padre che era sottoposti ad interrogatori violenti. “Abbracciavo quel padre che era diventato anche fratello, figlio. Un padre che si sentiva perdente, che non poteva darmi risposte, che aveva il rimorso di non avermi portato via prima”.

Segue il lungo racconto del viaggio dal binario 21, quello delle merci e degli animali, ma prima di lasciare San Vittore Liliana Segre capisce cosa sia la pietà umana. “I detenuti comuni che ci videro uscire in fila ebbero gesti straordinari. Ci gridavano che Dio vi benedica, qualcuno ci diede un frutto”.
I sette giorni di viaggio furono gli ultimi trascorsi con il padre: “Un vagone promiscuo, con un secchio per i bisogni che si riempi subito, 600 persone stipate, senza acqua . I treni per Auschwitz avevano la precedenza su tutti, nessun macchinista si fermò, nessun capostazione intimò l’alt”. Indifferenza appunto.

Arrivati ad Auschwitz lasciò per sempre la mano del padre che non rivide più.

“Sono sopravvissuta per caso – dice – non sapevo le lingue, ero una bambina tredicenne, ma fui scelta per fare l’operaia- schiava, fu la mia salvezza perché lavoravo al coperto”.
Rasata, tatuata, con un corpo che non era più il suo, lavora in una fabbrica di munizioni. È quiche incontra un professore di storia belga.
“Avevo l’età di sua figlia che non c’era più. Io gli portavo il materiale e lui mi dava brevi lezioni di storia. Era il momento in cui ci sentivamo ancora liberi: lui professore, io studentessa di seconda media”.

L’altro incontro che segna la sua vita è quello con Janine , l’operaia francese a cui la macchina aveva troncato due falangi. “Alla selezione io passai , lei fu bloccata. Ero così felice di essere ancora viva che non fui capace di pietà, non mi voltai. Ero diventata una lupa, affamata ed egoista. Fui vigliacca. Non le dissi nemmeno “Coraggio””.
Il 27 gennaio 1945 arrivano i russi ad Auschwitz e per Liliana Segre inizia la marcia della morte. Settecento chilometri dalla Polonia alla Germania, un passo davanti all’altro, senza cadere, senza potersi appoggiare a nessuno”.

Un gruppo di soldati francesi le dicono di resistere: “La guerra sta per finire, i tedeschi perdono su due fronti”. Lei e altre due italiane sopravvissute, sono ormai degli ectoplasmi. Alla fine di aprile vedono aprire il cancello del campo, dopo il grigiore del lager c’è il miracolo di calpestare un prato di primavera.

“I soldati tedeschi abbandonano le divise, si mettono in borghese davanti a noi. Ho l’immagine di un generale che si toglie la divisa davanti a me, getta la sua pistola per terra. Sta scappando dalla sua famiglia, dai suoi bambini. In quel momento ho avuto forte la tentazione di prendere quella pistola e ucciderlo”.

“Stavo per chinarmi, ma per fortuna non lo feci. Capii la differenza tra me e il mio nemico, io avevo scelto la vita ero diversa da lui e in quel momento sono diventata quella donna libera e di pace che sono anche adesso”.

Rosella Redaelli

https://www.ilcittadinomb.it/stories/cultura-e-spettacoli/lincontro-di-liliana-segre-con-gli-studenti-nel mio blogdi-monza-e-brianza-vorrei-una-com_1297329_11/

Ho presentato la proposta di legge cui la senatrice Segre fa riferimento  il 29 ottobre scorso nel mio blog
S. 362  Istituzione di una Commissione parlamentare di indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza.

18 Dicembre 2018Permalink

14 dicembre 2018 – Integrazione precoce a Codroipo, provincia di Udine

Poco più di una settimana fa su facebook (il social che frequento per cercar di sapere cosa accade e cosa si racconta a proposito di notizie  che non compaiono sui mezzi di informazione)  si sono resi visibili bambolotti di pelle chiara e di pelle scura, che si diceva fossero vietati  all’asilo nido comunale di Codroipo.
Ho cercato di capirne di più e prima di tutto ho stabilito alcuni  punti fermi per orientarmi:

  • Il nido pur facendo parte del  sistema educativo non appartiene al MIUR ma al comune.  In base a questo è legittimo che sia il comune a misurarsi con i regolamenti dei nidi;
  • Considerando la  comunicazione bianco/nera era ben chiaro che le notizie si riferivano ai bambini figli di non comunitari, nati in Italia o portati piccolissimi dai loro genitori, dato che il nido offre un  servizio dai 3 mesi ai tre anni;
  • Se parlare di integrazione non è una presa in giro, il nido sarebbe un servizio da considerare con attenzione se non altro per facilitare l’uso precoce della lingua italiana (ed eventualmente del friulano) come strumento di comunicazione e perciò di integrazione (l’uso del condizionale non è casuale: siamo nell’era dei condizionali dato che molte certezze che credevamo acquisite ci ballano sotto i piedi);
  • Per ciò che concerne l’iscrizione di minori ai servizi scolastici ed educativi l’esibizione del permesso di soggiorno è  esclusa solo per la scuola dell’obbligo.  Quindi i piccoli che vengano iscritti ad asili nido e scuole dell’infanzia per frequentare i servizi educativi loro spettanti, se figli di non comunitari, devono reggere e superare il giogo del permesso di soggiorno dei genitori per cui rischiano di farsi spie della loro irregolarità. 
    Mantenere la norma che spie li vuole a me sembra una abuso grave quanto l’esercizio attivo della pedofilia, una scelta da vigliacchi ignoranti.

Purtroppo il superiore interesse del minore, principio ormai fermo nella legislazione, viene  eluso con la complicità silente dell’opinione pubblica.   

E’ tempo di tornare ai bambolotti  bicolore … anzi no perché nulla se ne dice nei documenti ufficiali del comune.

Prima di tutto trascrivo  i testi di due degli emendamenti al regolamento in vigore, proposti dalla maggioranza e approvati, se ho ben capito, con voto in aula

Articolo 1 secondo capoverso; testo originario

Opera in stretta collaborazione con la famiglia e non in alternativa ad essa, sostenendo le capacità educative dei genitori, favorendo la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, concorrendo alla prevenzione delle situazioni di svantaggio psicofisico e sociale e contribuendo ad integrare le differenze ambientali e socio-culturali anche assicurando la presenza di materiali ludico-didattici che fanno riferimento alle diverse culture.

Articolo 1 secondo capoverso; testo modificato

Opera in stretta collaborazione con la famiglia e non in alternativa ad essa, sostenendo le capacità educative dei genitori, favorendo la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, concorrendo alla prevenzione delle situazioni di svantaggio psicofisico e sociale con lo scopo di favorire in ogni bimbo la possibilità di svilupparsi e d esprimersi liberamente, contando su interventi educativi che gli consentano, senza inibirlo, di orientare le proprie energie verso comportamenti in cui egli riesca a stabilire proficue relazioni e a manifestare in modo costruttivo la propria iniziativa e inventiva, supportato da adeguati materiali ludico-didattici.

Articolo 2 primo capoverso; testo originario

Al nido ogni azione è svolta nel rispetto delle diverse fasi di crescita, dei personali ritmi di sviluppo di ciascun bambino e alla cultura di provenienza.

Articolo 2 primo capoverso; testo modificato

Al nido ogni azione è svolta nel rispetto delle diverse fasi di crescita, dei personali ritmi di sviluppo di ciascun bambino garantendo a tutti i piccoli uguali possibilità di sviluppo e di mezzi espressivi e contribuendo a superare i dislivelli dovuti a differenze di stimolazioni ambientali e culturali.

Da dove sbucano i bambolotti?
Si tratta di testi piuttosto anodini e, se bambolotti ne sono schizzati fuori, deve esserci stato qualche indicatore specifico.
Può essere guida all’interpretazione l’espressione soppressa  “culture di provenienza” che carica di un sapore particolare ogni altra modifica (testo originario art. 2 primo comma).
Con giri di parole insomma il piccolo utente del nido non deve sentirsi africano, asiatico o che so io .

E qui la faccenda si fa un po’ ridicola.
I piccoli che si avvalgono del nido possono (evidentemente per i nativi italiani la possibilità di iscrizione è ovvia):

  1. essere nati in Italia da genitori stranieri (nella speranza che costoro abbiano il permesso di soggiorno con cui possono iscrivere al nido i loro piccoli e che soprattutto l’avessero al momento di registrarne la dichiarazione di nascita perché, se così non fosse, quei piccoli avrebbero alte opportunità di venir nascosti per non essere spie dell’irregolarità dei loro genitori);
  2. possono essere stati portati dal paese d’origine (o meglio dalla costa libica del Mediterraneo) in ogni caso immemori del loro passato ma probabilmente legati al proprio  oggetto transizionale, rassicurante compagnia al nido quando al primo ingresso la novità dall’ambiente segnerà un distacco;
  3. potrebbero essere adottati e in tal caso la situazione sarebbe diversa dato che si tratterebbe di italiani, figli di italiani, a meno che anime identitarie fino alle colorazioni non trovino il modo di penalizzarli. E’ già accaduto.

E a questo punto anche i bambolotti possono entrare in scena, come ogni altro elemento di rassicurazione che accompagni i piccoli nel mondo dell’educazione.
Potranno tenerli con sé anche quando insorgesse il sospetto che provengano dei paesi d’origine (e se nati in Italia qual è il paese d’origine)?
O saranno loro sottratti in omaggio  alla certezza del diktat che vedremo fra poco?
E se i piccoli –chiaramente non originari dalla Cina – avessero con sé un oggetto made in China che accadrà?

L’aver cercato di capire non mi tranquillizza.
La genericità scivolosa degli emendamenti approvati  riportati sopra potrebbe suggerire anche preoccupanti interpretazioni.
Mentre mi arrovello ho la risposta da un esegeta che parla da un luogo dominante.
La traggo  da una intervista concessa da Massimiliano Fedriga,  presidente della Giunta regionale, a  Viviana Zamarian del Messaggero Veneto (8 dicembre pag. 15).
Ricopio segnalando le virgolette della citazione originale e mentre scrivo non riesco a trattenere una solitaria, amara  risata.
Il presidente ha affermato che «per integrare bambini che vengono da paesi lontani non bisogna dar loro materiale ludico-didattico del paese d’origine. Questi bambini devono conoscere tradizione e cultura del territorio in cui si sono trasferiti a vivere. Questo è fare integrazione»

Dalle dichiarazioni presidenziali si deduce che

  1. i bambini da 3 mesi a tre anni possono elaborare i loro ricordi in modo da farne  un patrimonio atto a stabilire una consapevole identità;
  2. tale identità deve essere cancellata per assicurare la conoscenza del territorio in cui sono capitati precocemente a vivere;
  3. l’integrazione consiste nel cancellare la memoria e ogni possibile influenza del loro breve passato;
  4. pragmaticamente ciò si ottiene (parola di presidente della Giunta Regionale) negando ai piccoli gli oggetti transizionali anche nel momento critico del distacco dalla mamma.

Appena mi immagino una persona deputata alla pulizia etno-ludico-didattica, da svolgersi in un quadro culturale di integrazione che sottrae a un piccolo l’oggetto ostacolo all’integrazione stessa vengo fulminata da un’immagine orrenda.

Giocattoli vintage a Majdanek

Majdanek è una località situata a circa quattro chilometri ad est di Lublino in Polonia.
Sarebbe restrittivo definirlo un museo, è un campo di concentramento praticamente rimasto com’era dai tempi del nazismo. I pannelli esplicativi e gli oggetti esibiti all’interno delle baracche sono più che sufficienti per rivivere l’orrore di questo campo. Sono visibili anche i forni crematori, nonché le camere a gas in cui veniva usato il famigerato Zyclon B.
In quel campo, che visitai qualche anno fa, vidi ordinati in una bacheca  i bambolotti di ‘celluloide’  (ai miei tempo si chiamava così)  li conoscevo bene perché ci giocavo anch’io come i miei piccoli coetanei cui furono sottratti prima che fossero  gasati e bruciati, ceneri nel vento.
Per far memoria della malvagità idiota quei bambolotti furono trattati come bottino di guerra e conservati tanto da poter essere esibiti anche oggi all’orrore di chi pensa a quali abissi di disvalore aggiunto possa arrivare la crudeltà, specialmente se organizzata.
Ma non è il punto di partenza: una visitazione delle piccole crepe nella condotta umana aiuta … almeno a capire la storia

14 Dicembre 2018Permalink

7 dicembre 2018 _ La morte della pietà e di ogni rispetto della dignità dovuto a tutti i cittadini

Scrivo senza meraviglia alcuna la notizia che segue relativa al pestaggio di una donna rom vista durante un borseggio e della violenza esercitata sulla sua piccola bambina.
Ed è una violenza imposta a tutti noi che siamo costretti ad assistere a una violenza privata là dove si sarebbe dovuto garantire la presenza della polizia (che i ‘vigilantes’ avrebbero potuto chiamare consegnando la mamma, senza separarla dalla piccola, perché venisse attuata la procedura prevista per i borseggi nel rispetto della legge).
La presenza della piccola aggrava significativamente la situazione.
Il principio del superiore interesse del minore (the best interest of the child) trova solenne proclamazione nell’art. 3 dalla Convenzione sui Diritti del fanciullo, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 a New York (ratificata dall’Italia con Legge 27.05.1991, n. 176), che testualmente recita: “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”.

Aveva dichiarato la senatrice Segre nel suo discorso di insediamento, accogliendo un appello dello storico prof. Melloni : “Mi rifiuto di pensare che oggi la nostra civiltà democratica possa essere sporcata da progetti di leggi speciali contro i popoli nomadi. Se dovesse accadere, mi opporrò con tutte le energie che mi restano”
Il testo integrale del discorso nel mio blog. https://diariealtro.it/?p=5830

Alla voce della senatrice Segre unisco quella del presidente della Repubblica che recentemente ha ricordato l’art. 10 della Costituzione di cui ricordo i primi due capoversi “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”

L’episodio che riporterò più avanti è peggio delle leggi speciali che la senatrice ha evocato. Indica che nella nostra società è penetrata una modalità di ‘giustizia fai da te’ che possiamo paragonare a barbare modalità del ku klux klan per non parlare nella storia nostra delle reazioni di condivisa violenza e di atteggiamenti omissori seguiti alle leggi razziali del 1938, soprattutto nell’applicazione durante il periodo bellico nella Repubblica di Salò e nel Litorale Adriatico (Risiera di san Sabba).

Non posso esimermi dal ricordare un punto preciso in questo processo ripugnante presente nell’Italia democratica ma che sembra essere accettato da molti e che muove dalla legge 94 del 2009 (art. 1 comma 22 lettera g) quando fu imposto ai migranti non comunitari di presentare il permesso di soggiorno all’atto di richiesta di registrazione della nascita di un figlio in Italia.
Poiché ho lottato per anni (e non ho intenzione di smettere) contro questa infamia ricordo che uno strappo di civiltà così pesante non poteva non creare uno spazio per la penetrazione di infamie altre (di cui tutti diventiamo vittime nella umiliazione della nostra dignità) e, poiché so di non essere creduta , riporto per l’ennesima volta richiamo al testo del Terzo Rapporto Supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia (novembre 2017. cap.3.1):
«Rispetto … al diritto di registrazione alla nascita, si fa presente che l’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello stato, avvenuta con la legge 15 luglio 2009 n.94 in combinato disposto con gli artt. 316-362 c.p., obbliga alla denuncia i pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio che vengano a conoscenza delle irregolarità di un migrante. Tale prescrizione condiziona i genitori stranieri che, trovandosi in situazione irregolare, spesso non si presentano agli uffici anagrafici, proprio per timore di essere eventualmente espulsi».
La notizia di ciò che è accaduto a Roma pochi giorni fa ci apre alla possibile (ma non inarrestabile) deriva:

Roma, linea A della metro ore 14,30: questo è successo a me (di Giorgia Rombolà)
Giorgia Rombolà è una giornalista calabrese che da tempo vive e lavora a Roma, alla Rai. Ha lavorato al TgR e adesso fa parte del gruppo di RaiNews24. In particolare, è una cronista politico-parlamentare

QUESTO È SUCCESSO A ME di Giorgia Rombolà
Questo è successo a me, e non a qualcun altro. È successo alle 14.30 su un treno della linea A della metro di Roma. Fermi a una fermata, trambusto, urla e il pianto disperato di una bimba. Una giovane, credo rom, tenta di rubare il portafoglio a qualcuno. La acciuffano e ne nasce un parapiglia, la strattonano, la bimba che tiene per mano (3/4 anni) cade sulla banchina, sbatte sul vagone. Ci sono già i vigilantes a immobilizzare la giovane (e non in modo tenero), ma a quest’uomo alto mezzo metro più di lei, robusto (la vittima del tentato furto?) non basta. Vuole punirla. La picchia violentemente, anche in testa. Cerca di strapparla ai vigilantes tirandola per i capelli. Ha la meglio. La strattona fina a sbatterla contro il muro, due, tre, quattro volte. La bimba piange, lui la scaraventa a terra. Io urlo dal vagone: “Non puoi picchiarla, non puoi picchiarla”. Ma non si ferma.
Io urlo ancora più forte, sembro una pazza. Esco dal vagone, mi avvicino e cerco di fermarlo. Solo ora penso che con quella rabbia mi avrebbe potuto ammazzare, colpendomi con un pugno. “Basta, basta”, urlo. I vigilantes riescono a portare via la ragazza. Lui se ne va urlando, io risalgo sul treno. E lì vengo circondata. Un tizio che mi insulta dandomi anche della puttana dice che l’uomo ha fatto bene, che così quella stronza impara. Due donne (tra cui una straniera) dicono che così bisogna fare, che evidentemente a me non hanno mai rubato nulla. Argomento che c’erano già i vigilantes, che non sono per l’impunità, ma per il rispetto, soprattutto davanti a una bambina.
Dicono che chissenefrega della bambina, tanto rubano anche loro, anzi ai piccoli menargli e ai grandi bruciarli. Un ragazzetto dice se c’ero io quante mazzate. Dicono così. Io litigo, ma sono circondata. Mi urlano anche dai vagoni vicini. E mi chiamano comunista di merda, radical chic, perché non vai a guadagnarti i soldi buonista del cazzo. Intorno a me, nessuno che difenda non dico me, ma i miei argomenti. Mi guardo intorno, alla ricerca di uno sguardo che seppur in silenzio mi mostri vicinanza. Niente. Chi non mi insulta, appare divertito dal fuori programma o ha lo sguardo a terra. Mi hanno lasciato il posto, mi siedo impietrita. C’è un tizio che continua a insultarmi. Dice che è fiero di essere volgare. E dice che forse ci rivedremo, chissà, magari scendiamo alla stessa fermata. Cammino verso casa, mi accorgo di avere paura, mi guardo le spalle. E scoppio a piangere. Perché finora questa ferocia l’avevo letta, questa Italia l’avevo raccontata. E questo, invece, è successo a me.

http://www.iacchite.com/roma-linea-a-della-metro-ore-1430-questo-e-successo-a-me-di-giorgia-rombola/

https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/rom-picchiata-in-metro-dopo-tentato-furto-insultata-la-giornalista-intervenuta-in-sua-difesa_3179157-201802a.shtml

https://roma.repubblica.it/cronaca/2018/12/06/news/roma_quel_razzismo_che_viaggia_anche_in_metro-213541724/?ref=RHPPBT-BH-I0-C4-P4-S1.4-T1

http://www.ilgiornale.it/news/roma/passeggero-metro-pesta-ladra-rom-presa-i-capelli-e-sbattuta-1612239.html

Anche il Corriere della sera ne scrive in più di un articolo (compreso il caffè di Gramellini) ma i file che avevo trovato non consentono l’intera lettura degli articoli

 

7 Dicembre 2018Permalink

30 novembre 2018 – La storia di Fara, eritrea, mamma di un fagottino

La solidarietà batte il razzismo: siamo tutti con Fara di Alessandro Puglia

Ondata di solidarietà nei confronti della ragazza eritrea diciannovenne sbarcata nella notte tra sabato e domenica a Pozzallo e aggredita verbalmente da alcune mamme italiane in ospedale mentre andava a trovare la figlia di soli 15 giorni, partorita in un centro di detenzione in Libia.
Il sindaco e l’ex direttrice dell’hotspot di Pozzallo le hanno fatto visita, portando un’orchidea alla madre e giocattoli per la neonata. E sul Web tra donazioni di ovetti e passeggini c’è chi le vorrebbe adottare

A quelle mamme che nel reparto di neonatologia dell’ospedale Maria Paternò Arezzo di Ragusa le hanno urlato frasi del tipo: “vattene via”, “porti malattie”, “tua figlia ha un virus è inaccettabile che stia qui”, verrebbe da dire guarda con chi te la stai prendendo. Perché la giovane A., nota come Fara, giovane eritrea di soli 19 anni sbarcata sabato scorso a Pozzallo, quel “fagottino gracile” di soli 15 giorni l’ha partorito non in una clinica o in un letto di ospedale, ma in una prigione in Libia, senza medici o infermieri, e con altre donne che quel parto non sono riuscite a portarlo a termine. La piccola M. non è stata infatti la sola neonata nello sbarco dei 263, in gran parte eritrei, di sabato scorso. C’era anche un’altra neonata, orfana, arrivata con lo zio o un cugino perché la madre pare proprio che sia morta proprio nello stesso lager libico dove ha partorito Fara.
Basterebbe soltanto il racconto di questa nascita difficile alla giovane eritrea per meritarsi una carezza o una parola di conforto dalle altre mamme italiane che invece l’hanno aggredita, allontanata, spaventata tanto da aver reso necessario l’intervento dei carabinieri per placare gli animi. «Quando abbiamo soccorso la piccola abbiamo notato delle crosticine di sangue e che la neonata non era ancora stata lavata. Abbiamo chiesto alla madre da quanto tempo avesse partorito e lei in inglese ha risposto “15 days”, 15 giorni, e così abbiamo capito che la bimba era nata pochi giorni prima della partenza in Libia», racconta Angelo Gugliotta, responsabile della Misericordia di Modica. Prima dell’episodio di razzismo l’associazione di volontariato cattolica tramite la sua pagina Facebook aveva lanciato una gara di solidarietà nei confronti del “fagottino” appena sbarcato, come ama ripetere Gugliotta.

Nota inutile di Augusta – I paradossi
Se il” fagottino”, figlia di Fara, fosse nato da una mamma, irregolarmente presente in Italia (per esempio una badante che avesse perso il lavoro e conseguentemente il permesso di soggiorno per la morte della persona italiana assistita), e avesse poi concepito la sua piccola e l’avesse partorita in Italia, la piccola potrebbe essere nata in un comune dove si applichi – con eroico rigore – la legge che a questa tipologia di piccoli invasori nega il certificato di nascita.
Oppure potrebbe esser stata indotta a non presentarsi allo sportello dell’ufficio anagrafe dello stesso comune perché, come ci spiega il 3° Rapporto Supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, anno 2016-2017 “il timore dei genitori privi di permesso di soggiorno di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto, con la conseguente mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato, in violazione del diritto all’identità (art. 7 CRC), nonché dell’art. 9 CRC contro gli allontanamenti arbitrari dei figli dai propri genitori.”.

Ieri nel mio blog c’era un ottimo articolo del giornalista Fabio Folisi  (Il Friuli  e Paper) che consente di collocare questo testo in un razionale – quanto istituzionalmente ignorato – quadro di riferimento https://diariealtro.it/?p=6250

La storia di Fara, mamma di un “fagottino”

http://www.vita.it/it/article/2018/11/29/la-solidarieta-batte-il-razzismo-siamo-tutti-con-fara/149948/

https://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/norazzismo/notizie_1543555305.htm

Per sapere cos’è la “misericordia” di Modica: http://www.misericordiamodica.it/

30 Novembre 2018Permalink

29 novembre 2018 – …eppur ci sono!

Friuli Sera e Paper

Ufficialmente mai nati. Il diritto negato ai bimbi partoriti in Italia da genitori senza permesso di soggiorno
DI FABIO FOLISI · 29 NOVEMBRE 2018

Le nefandezze del nuovo “decreto sicurezza” in tema di migranti si sommano ad alcune “chicche” già presenti nella legislazione italiana e che, anche se da quando furono emanate sono passati quasi due lustri, hanno superato indenni svariati governi. Governi, intendiamoci, non solo di destra come l’odierno, ma anche di centro-sinistra, rei non solo di non aver messo mano alla “Bossi-Fini” madre di molti problemi, ma anche di non aver sanato una questione forse piccola nella considerazione della politica, ma enorme per chi la vive da invisibile e senza voce. Ma spieghiamo meglio, erano i tempi del IV governo Berlusconi (7 maggio 2008 al 16 novembre 201) e l’on. Roberto Maroni era Ministro degli Interni, predecessore nella funzione ministeriale di Matteo Salvini, ma come è noto della stessa “pasta” politica. Fu Maroni infatti a far approvare con voto di fiducia, la storia curiosamente si ripete, il cosiddetto pacchetto sicurezza di allora che, fra le altre cose, stabiliva doversi presentare per gli stranieri non comunitari il permesso di soggiorno per ottenere la registrazione della dichiarazione di nascita di un partorito in Italia (lettera G del comma 22 art. 1 della legge 94/2009). Questo per tutti questi anni ha significato un caos dato che, in assenza di registrazione perché magari i genitori non erano ancora in possesso del permesso, il nuovo nato nonostante il primo respiro fosse italiaco, non solo non meritava neppure la classificazione di “clandestino” ma addirittura era un invisibile. A scanso di equivoci tutto questo non c’entra nulla con lo jus soli che indica l’acquisizione della cittadinanza di un dato paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori, parliamo solo di certificare la nascita. Non farlo vuol dire che per lo stato italiano, ma anche per il resto del mondo, semplicemente la persona non esiste. Privo del certificato di nascita, suo diritto personale, che ne garantisce l’identità, l’appartenenza familiare, la cittadinanza (non necessariamente quella italiana ma quella dei suoi genitori) il piccolo diventa insomma un paradosso burocratico, un abominio legale. Fra l’altro il problema si ripercuote sul neonato anche al suo eventuale rientro nel paese di origine perché, di fatto, risulta “non nato”. Insomma dal 2009 una legge dello stato italiano ha aperto le ostilità contro i neonati, altro che “prima gli italiani”, qui si vuole addirittura negare l’esistenza di persone, che se pur piccole ed indifese, dovrebbero possedere tutti i diritti garantiti almeno dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e scusate se è poco.
E’ una condanna, comminata a bambini che provoca a catena la negazione di diritti basilari come la salute, l’istruzione e la stessa esistenza, anche se parliamo per fortuna solo di esistenza giuridica. Andando indietro nella storia, passando per l’annullamento dell’individuo praticato nei campi di sterminio nazisti, troviamo altri esempi di inesistenza di registrazione anagrafica solo come caratteristica degli schiavi di un tempo, sia negli USA che in Europa, tanto che per alcuni soggetti, magari poi liberati, non è nota la data di nascita ma solo quella di morte.
Ma in questi 10 anni cosa è effettivamente accaduto? Forse rendendosi conto dell’abominio della norma e dei combinati disposti multipli che si producevano con l’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello stato (sempre nella legge 15 luglio 2009 n.94) che obbliga alla denuncia i pubblici ufficiali o che vengano a conoscenza delle irregolarità di un migrante, si materializza una circolare dello stesso Ministero degli interni, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali. Si tratta della circolare n.19 del 7 agosto 2009 che cercò di mettere una pezza, non al problema in se, ma alla contraddizione e ai rischi per i funzionari dei Comuni. Recita infatti la circolare: « Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto».
Problema risolto? Ma manco per niente, visto che la circolare ministeriale è un provvedimento di natura amministrativa e potrebbe essere disapplicata dagli Uffici di Stato Civile dei Comuni che vedono comunque dei rischi, se non altro perché il contenuto della circolare di fatto è modificativo della norma di legge e soprattutto del suo spirito vessatorio. Fra l’altro la circolare, anche quando conosciuta, non rassicura i genitori stranieri che, trovandosi loro malgrado e da oggi per volontà politica in situazione largamente più irregolare, manco si presentavano e presenteranno agli uffici anagrafici. Il timore è ovvio, quello di essere fermati, internati e forse espulsi. Fra l’altro il “vezzo” ministeriale di scaricare le responsabilità di tutti i problemi sui Comuni, che addirittura viene propagandata come una scelta di democrazia diffusa, in realtà nasconde proprio la volontà di non far funzionare le cose perché saranno molto pochi, sia i politici locali, che gli apparati burocratici che si prenderanno una qualsivoglia responsabilità. Insomma siamo all’uso pianificato della burocrazia come strumento di vessazione razziale. Ed allora non ci rimane che citare la Costituzione, la legge delle leggi, quella alla quale ogni provvedimento politico e giuridico dovrebbe far riferimento ed attenersi. Ma è evidente che a determinate parti politiche, e non solo di destra, quella “Carta” va stretta e non riuscendo a cambiarla fanno spallucce e la ignorano. Non fosse così anche il nuovo decreto sicurezza di Salvini, come quello del suo predecessore Maroni, non avrebbero dovuto, quelli sì, avere un certificato di nascita. Dice infatti l’art. 3 della Carta Costituzionale: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso , di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana …» e badate bene si parla di “cittadini” non di “italiani”.

Ufficialmente mai nati. Il diritto negato ai bimbi partoriti in Italia da genitori senza permesso di soggiorno

https://friulisera.it/ufficialmente-mai-nati-il-diritto-negato-ai-bimbi-partoriti-in-italia-da-genitori-senza-permesso-di-soggiorno/?fbclid=IwAR0cjQEE31CSpQHkHXrrqA0-ZsZInKFgr7uL-2wJ-Bk18fVneIdIVfElUOE

 

29 Novembre 2018Permalink

25 novembre 2018 – Uno spray anti neonati? Attenzione: sono pericolosi.

Per chi avrà la pazienza di leggere trascrivo due mie annotazione suggerite dalla
giornata della violenza contro le donne.
1. Silenzio su alcune donne minacciate ma di cui non si deve parlare e di cui invece parlo.
2. Una pregevole interrogazione dell’on Giuditta Pini con una mia annotazione finale.

1

Ancora una volta la giornalista che conduceva Prima Pagina (questa volta era de Il Manifesto ma, se fosse stata de Il Giornale o simili, sarebbe stato lo stesso) non mi ha passato al colloquio, anzi non ha letto il messaggio che avevo inviato pur citandolo con nome e cognome ma ben guardandosi dall’accennarne al contenuto: dei nati in Italia che la legge vuole senza nome perché figli di migranti non comunitari senza permesso di soggiorno non si deve parlare.
Sono la minaccia che prova a insinuarsi nel nostro territorio attraverso la nascita. Di loro non si deve parlare anzi non devono esistere. Se ne era accorto il ministro Maroni, predecessore dell’attuale a lui consono nel ruolo e nell’ideologia.
Le convenzioni internazionali, che dovremmo rispettare – Costituzione art. 10 – ratificate in legge (176/1991, tanto per citare) dicono il contrario.

Non ha importanza
La prassi ormai decennale (dalla approvazione del cd ‘pacchetto sicurezza’ – L. 94/2009) ha promosso il consenso del silenzio che, praticato fermamente e quasi totalmente, assicura che così si può fare e si fa. Una occulta conventio ad excludendum vuole così e zitti tutti, zitte tutte.
Le persone perbene tacciono. Ma io non sono perbene e trascrivo quanto avevo scritto e che la professionista di turno a Prima Pagina oggi ha taciuto.

La violenza del silenzio coatto.
Dal 2009 il ‘pacchetto sicurezza’ (legge 94) impone la presentazione del permesso di soggiorno per registrare la dichiarazione di nascita di un figlio.
I non comunitari che non ne dispongono per evitare il rischio dell’espulsione possono non provvedere e il nuovo nato in Italia resta senza certificato di nascita su cui sarebbero scritti, insieme al suo nome, quelli dei genitori.
Oggi vorrei si ricordassero le mamme che non possono dire “questo è mio figlio”. Anche questa è violenza (legale) alle donne (e all’uomo se c’è un papà)”.

2
La deputata Giuditta Pini ha rivolto un’interrogazione al ministro Salvini del che la ringrazio.

Ricopio per intero il testo dal sito ufficiale della on. Pini
Atto Camera
Interrogazione a risposta orale 3-00339
presentato da PINI Giuditta
testo di Mercoledì 21 novembre 2018, seduta n. 88

PINI. — Al Ministro dell’interno. — Per sapere – premesso che:
il 19 novembre 2018 alle 09,47 il Ministro interrogato, sulle proprie pagine ufficiali di Facebook e Twitter ha postato una foto di tre ragazze con la didascalia «Poverette, e ridono pure…»; le ragazze nella foto sulla pagina pubblica di Facebook del Ministro interrogato sono ritratte senza nessun tipo di forma grafica che ne tuteli la privacy, e sono delle studentesse minorenni; la foto sulla pagina pubblica di Facebook del Ministro interrogato è stata oggetto di numerosi commenti, oltre 12 mila;

nei commenti le tre ragazze sono state bersagliate da minacce e innumerevoli insulti, anche e direttamente nella pagina ufficiale del Ministro dell’interno, senza che questi fossero cancellati o moderati; secondo gli ultimi dati dell’Istat il 31,5 per cento delle 16-70enni (6 milioni e 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Ha subìto minacce il 12,3 per cento delle donne;

sul sito del Ministero dell’interno nella sezione «Violenza di genere» è riportata la dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne che è stata adottata da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 48/104 del 20 dicembre 1993. Si legge: «È violenza contro le donne ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà. Così recita l’articolo 1 della dichiarazione Onu sull’eliminazione della violenza contro le donne»; il 25 novembre cade la Giornata internazionale per eliminazione violenza contro donne proclamata dalle Nazioni Unite. L’Onu promuove iniziative e convegni dedicati alle donne che hanno subìto o subiscono ancora una violenza fisica o psicologica;

la prima sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza n. 42727, pubblicata il 23 ottobre 2015 stabilisce, tra l’altro, che «Facebook è una gigantesca piazza immateriale con oltre cento milioni di utenti nel mondo, che comunicano in settanta lingue diverse: la community internet, dunque, ben può rientrare nella nozione di “luogo pubblico” ex articolo 660 Cp»;

la quinta sezione della Corte di cassazione con la sentenza n. 4873 del 1° febbraio 2017 ha stabilito che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca «Facebook» integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’articolo 595, comma 3, codice penale, poiché questa modalità di comunicazione di un contenuto informativo suscettibile di arrecare discredito alla reputazione altrui, ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone; attraverso tale piattaforma virtuale, invero, gruppi di soggetti valorizzano il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un numero indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione;
tra i compiti del Ministero dell’interno c’è la sicurezza del cittadino, la tutela dell’incolumità e delle libertà individuali garantite dalla Costituzione;
l’11 ottobre 2018 Luca Morisi, responsabile social network del Ministro interrogato ha dichiarato che esiste un solo spin doctor di Salvini ed è Salvini stesso –:

se il Ministro interrogato abbia pubblicato direttamente la foto delle tre ragazze minorenni;
per quale motivo non abbia operato per cancellare e limitare le minacce e gli insulti nei confronti delle tre minorenni;

se non ritenga opportuno, per quanto tardivo, adottare iniziative per rimuovere gli insulti e le minacce alle ragazze dalla sua pagina;

se non ritenga, come Ministro dell’interno, di dover adottare iniziative per tutelare l’incolumità delle tre ragazze minorenni nelle forme e nelle modalità previste dalla legge.
(3-00339)

Da parte mia ricordo che il superiore interesse del minore (best interests of the child nelle norme internazionali che l’Italia ha ratificato) rappresenta il principio informatore di tutta la normativa a tutela del minore.
Quindi ogni pronuncia giurisdizionale deve essere finalizzata a promuovere il benessere psicofisico del minore e a privilegiare l’assetto di interessi più favorevole a una sua crescita e maturazione equilibrata e sana.
A me il cartello esibito dalle ragazze non piace. Il testo è violento.
Ma la scelta fatta dal Ministro – che quando parla non può permettersi di sfuggire al suo ruolo – di esporre tre ragazzine alla gogna mediatica, gli assicura un protagonismo inaccettabile, l’opzione di un metodo che, a mio parere, appartiene a una mancanza di discernimento che gli sarebbe imposta dal ruolo e dall’età
Mi sembra il caso di citare il filosofo Kant, presenza forte in quell’Europa di cui c’è chi ostenta la scelta di non sapere nulla,
agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo”.

25 Novembre 2018Permalink

17 novembre 2018 Un episodio che leggo su facebook mi spinge a riprendere parola

Leggo su facebook che cinque anni fa l’avv. A. K. durante un processo fu appellato da un collega come ‘ebreo querelante’. Dopo cinque anni il Tribunale ha deciso che il comportamento di quel collega fu lecito.
Al di là del caso, la cui notizia circola su facebook, ripresa da molti e anche da me come segno di solidarietà, ciò che mi preoccupa – oltre il fatto specifico -è il clima in cui quella sentenza è caduta.
L’uso della parola ‘ebreo’ per rivolgersi a una persona ha suscitato comprensibile fastidio semplicemente per il fatto di essere usata in un modo che mi sembra di capire arrogante e percepito come carico di intenti denigratori.
Era necessaria? nessuno che mi saluti si sognerebbe di dirmi ‘buon giorno signora bianca’ o ‘buongiorno signora italiana’.
Perché quella parola è stata usata? In quale clima è caduta?

Il richiamo a un’origine con particolari caratteri culturali o somatici che la distinguano sta assumendo caratteristiche denigratorie e pericolose. E io ho paura.
I negozi spesso mettono cartelli del tipo: prodotti provenienti dall’Italia, alimenti esenti da glutine, tessuti di prodotti naturali o che so io per indicare la positività di quei prodotti, suggerendo nel contempo che altri prodotti, privi di quelle caratteristiche, abbiano un sentore di negatività.
Immaginiamo il trasferimento di quelle cose alle persone.

Durante il fascismo i negozi esponevano cartelli che ne indicavano la non appartenenza ebraica o il divieto di     ingresso ad ebrei.
Al tempo dell’aggressione alla Libia (1911) il ‘mite’ poeta Pascoli pronunciò il famoso discorso “la Grande Proletaria si è mossa”. Nazionalista e interventista affermava che l’espansione coloniale costituiva per l’Italia l’opportunità di mostrare alle altre nazioni il proprio valore e la capacità di saper proteggere i propri figli non più costretti a una emigrazione necessaria per salvarli dalla fame ma, essendosi mossa la grande proletaria «ha trovato luogo per loro: una vasta regione bagnata dal nostro mare, verso la quale guardano, come sentinelle avanzate, piccole isole nostre; verso la quale si protende impaziente la nostra isola grande; una vasta regione che già per opera dei nostri progenitori fu abbondevole d’acque e di messi, e verdeggiante d’alberi e giardini; e ora, da un pezzo, per l’inerzia di popolazioni nomadi e neghittose, è per gran parte un deserto».
Dall’Italia alla Libia … e se invertissimo la direzione del movimento?
E, a proposito di guerre coloniali, arriviamo alla aggressione all’Etiopia (1935) di cui solo molto tardi furono rivelati gli orrori a un’Italia distratta.
Credo che sarebbe opportuno fare attenzione a quanto fu fatto per trasformare la guerra coloniale in un fatto positivo, quasi privo di violenza. Un esempio interessante: la canzone (ancora ben nota) “faccetta nera”.
Ho recuperato l’immagine di una cartolina che veniva inviata dai ‘conquistatori’ alle famiglie a casa. Ho scoperto che queste cartoline sono ancora in vendita come oggetti da collezione. Solo per il pregevole disegno o il messaggio che contengono o anche per altro?
Non mancò la propaganda riservata ai bambini, moderata da indicazioni benefiche, dove la beneficenza indica un rapporto univoco dall’alto in basso, estraneo alla possibilità di costruire rapporti umanamente reciproci.
Mi accorgo che ho usato il termine ‘moderare’ che spesso mi viene indicato per stimolare un mio miglior comportamento almeno verbale da chi ritiene sia bene non disturbare chi condivide la cultura diffusa dalla Lega, direttamente o tramite adepti variamente distribuiti. E quando me lo dicono spunta la parola ‘consenso’ da assicurarsi non irritando. Però mi irrito io e continuo.
Mi spiace ma l’idea che ognuno stia al suo posto, cacciato se invade quello altrui o, se il consenso tanto suggerisce, tollerato con la concessione di una carezza – o da una insolita pratica di benvenuto – non mi va.
C’è un posto, tranquilli italici benpensanti, che nella nostra confortante inciviltà resta sempre ben fermo:  c’è chi deve nascere fantasma a norma di legge e le cui mamme e papà non potranno mai dirsi tali. Nel linguaggio della legalità non esistono, possono rifugiarsi nei buoni sentimenti molto nascosti perché quel bambino nato in Italia ma figlio di migranti irregolari, se esibito potrebbe condannarli all’espulsione .
Chiedo: quel bambino legalmente ignoto potrebbe essere sottratto ai genitori non essendoci documento che registri il rapporto di filiazione (legge 94/2009 art. 1 comma 22 lettera g)?
Cominciamo ad attrezzarci per un Natale nuova maniera assicurando i fedeli turbati dalle indicazioni della cultura che si va affermando che Gesù aveva un nome legale, glielo aveva assicurato suo padre Giuseppe se , prima di rifugiarsi in Egitto, aveva fatto in tempo a registrarlo come dovuto.
Se non ne aveva avuto il tempo la sua omissione rientra in una sicura prescrizione o no?

17 Novembre 2018Permalink

14 novembre 2018 – Odio il pressapoco e la ‘pancia’ come luogo delle scelte politiche

Trovo su facebook una notizia interessante e diffusa con entusiasmo
Verifico secondo la mia abitudine (link in calce) e ricopio il testo richiamato con il solo titolo che, secondo me, è importante conoscere per intero (e perciò ricopio – Fonte: Europa today – Redazione Bruxelles)

Il testo della notizia

L’Ue vuole bypassare Salvini: fondi direttamente agli enti locali che accolgono migranti

Al Parlamento europeo passa un emendamento del Pd che stabilisce che le amministrazioni che offrono sostegno umanitario potranno chiedere finanziamenti comunitari senza passare per i ministeri
All’indomani dell’approvazione all’unanimità del Decreto sicurezza presentato da Matteo Salvini in Consiglio dei ministri, il gruppo del Partito democratico in Parlamento europeo esulta per il passaggio in commissione Bilancio di una loro proposta che punta a mitigare gli effetti del decreto. I deputati europei vogliono permettere a Comuni e Regioni che accolgono migranti di ricevere fondi europei senza dover fare domanda ai ministeri. Si tratta dei fondi gestiti dal Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) che finanzia interventi di “accoglienza mirata” che vanno oltre la semplice distribuzione di vitto e alloggio.

Regioni e Comuni diventano autonomi
“Fino ad oggi i fondi per lo Sprar venivano richiesti dagli Stati”, ha spiegato l’eurodeputato Pd Daniele Viotti, che ha presentato l’emendamento, “ma visto che Salvini vuole abolire la protezione, cosa che considero anticostituzionale, daremo possibilità alle regioni e ai comuni di chiedere direttamente le risorse per progetti specifici”. Nel solo mese di luglio lo Sprar ha finanziato 877 progetti in Italia coinvolgendo oltre 1.200 amministrazioni comunali nell’accoglienza di 35.881 migranti tra cui vi sono 734 persone con disagio mentale o disabilità e 3.500 minori non accompagnati. L’emendamento presentato da Viotti, che è anche relatore dell’intero bilancio europeo per il 2019, è stato votato a larga maggioranza.

Gli altri provvedimenti
Tra gli altri provvedimenti presi in materia di immigrazione, la commissione dell’Eurocamera ha aumentato di 147,5 milioni i fondi per la cooperazione e lo sviluppo, di 146 milioni le spese per paesi “vicini” dell’Ue, di 53 milioni il supporto per i Balcani occidentali e di 33 milioni i fondi per la migrazione e l’integrazione. La votazione finale in Parlamento europeo della bozza di bilancio è prevista per 24 ottobre. Nelle tre settimane successive, si dovrà trovare un accordo col Consiglio, che rappresenta la volontà dei singoli Paesi membri. L’approvazione definitiva del bilancio 2019 arriverà solo a fine novembre.

Fino qui la notizia – Le mie domande

(La forma dell’interrogazione è dovuta al fatto che le ho scritte in commenti a singole persone su Facebook)

L’idea è interessante ma vorrei capirne le modalità di realizzazione oltre il principio che certamente depone a favore di chi ha proposto l’emendamento.
Che io sappia infatti i finanziamenti europei su progetti richiedono un impegno finanziario anche di chi attua il progetto e una serie di passaggi burocratici di non facile applicazione.
Almeno io ricordo così da quando mi occupavo di più di queste faccende.
Quindi, per quel che ne so e ammettendo la possibilità di un totale errore da parte mia (chi può verifichi per favore):

1. il proponente dell’emendamento ha proposto un principio che per essere attuato deve essere elaborato e comunicato agli interessati;

2. gli interessati devono esserne informati. Come possono essere identificati per venir informati?
Con quale mezzo verrebbero informati (mi sembra un ruolo dei partiti politici ampiamente ormai disatteso. Ma le associazioni che pur potrebbero diffondere le informazioni hanno strumenti certi e affidabili per procurarsele?)

3. Altra fonte sarebbe la stampa e ci sono giornalisti in grado di farlo.
Purtroppo prevalgono non troppo acculturate (non so se per scelta o carenza originaria) e antistoriche voci antieuropee che, non a caso, con determinazione espressa con linguaggio particolarmente rozzo, denigrano chi al loro antieuropeismo si oppone informando con competenza e correttezza

4. La proposta di “fondi diretti agli enti locali” non può ridursi a bypassare Salvini.
Vorrei saperne di più, ma come?

http://europa.today.it/attualita/salvini-fondi-migranti.html?fbclid=IwAR2WjP47i9zYMuBlMKZoVsclyWpP0RFkJeeazJ1ZqHbbJArrhg79C0TH1s0

14 Novembre 2018Permalink

17 ottobre 2018 – Sindaci, sindache e presidi, rabbini, vescovi, iman, e patriarchi, pastori e una monaca buddista

Sperare è troppo ma un po’ di consolazione forse è possibile.

La sindaca di Monfalcone, trovando anche l’accordo di due istituti comprensivi, aveva definito il numero massimo di allievi stranieri nelle classi della scuola dell’infanzia per rimodularle poi secondo la percentuale concordata ma – oh guarda caso! –  quelli da trasferire fuori comune erano tutti stranieri.
Occorre commentare. Meglio di no [fonte 1]

La sindaca di Lodi, assunta all’onore delle cronache nazionali e confortata dal consenso del Ministro dell’Interno, aveva chiesto agli stranieri genitori di alunni delle scuole lodigiane (ammetto la frase è un po’ contorta ma scrivere stranieri vicino alla parola bambino è grottesco) un documento del paese d’origine per attestare il livello del loro reddito.
La richiesta della Croce Rossa e delle Nazioni Unite per qualche ora di tregua in cui gli uffici catastali degli stati in guerra potessero inviare i documenti richiesti con giusto rigore dell’indomita signora non era stata accolta anche perché – oh meraviglia – risultava che molti uffici erano stati bombardati.
La sindaca, scandalizzata dalla scortese disattenzione non cambia parere perché Lodi è comune che tira dritto.
Ergo ‘mensa diversificata’ per insegnare agli esclusi che quando si scappa da un paese in guerra è buona norma portare con sé una visura catastale e nello stesso tempo per insegnare ai figli di autoctoni a diversificare il loro stomaco da quello dei loro compagni con genitori così imprevidenti.
Ma risulta che un dirigente scolastico di una scuola di Lodi abbia però affermato:
«Ho capito che questi bambini dovevano restare fuori. Allora sì, ho sfondato. Non so se ho agito nel giusto ma so che sono andato incontro a delle famiglie in difficoltà. Famiglie straniere che con la nuova norma sono entrate automaticamente in fascia alta e che non potevano più permettersi di pagare i servizi scolastici a cui prima avevano accesso perché in fascia Isee più bassa». L’aggiramento della norma è stato possibile grazie ad una sentenza del consiglio di stato che prevede il diritto dei bambini di restare a scuola 8 ore: «E quindi perché non tenerceli? – commenta Merli – magari mangiavano il panino, ma almeno nella stessa sala mensa degli altri». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
Per quel che io ricordo dei miei figli alle scuole elementari, in tempi ben lontani, mi viene il sospetto di baratti perché di solito i bambini preferiscono il panino alla mensa. [fonte 2]
A Trieste, in occasione della ormai famosa mostra ‘Razzismo in cattedra’ la Preside del Liceo Petrarca si rifiuta di modificare il manifesto con cui la mostra veniva proposta, mantenendo quindi il testo come uscito dal Progetto Alternanza Scuola Lavoro del Liceo Petrarca, in collaborazione con Dipartimento Studi Umanistici dell’Università di Trieste, del Museo Ebraico “Carlo e Vera Wagner”, dell’Archivio di stato. Dopodiché il successo della mostra (esibita in un museo civico) diventa inarrestabile [fonte 3]

San Giusto unisce le confessioni religiose
E infine il NO di rabbini, vescovi, iman, e patriarchi, pastori e una monaca buddista alla manifestazione di Casa Pound. Insieme recepiscono il fastidio del patrono a che nel giorno del suo ricordo si faccia il corteo di casa Pound [ fonte 4]
Ad oggi, 17 ottobre .14.12) firmano Eliahu Alexander Meloni, il Rabbino della Comunità Ebraica di Trieste; monsignor Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste; Nader Akkad, Imam di Trieste – Centro culturale islamico di Trieste; Aleksander Erniša, Pastore della Comunità Evangelica Luterana di Confessione Augustana; Dieter Kampen, Pastore delle Comunità Evangeliche Elvetica, Metodista e Valdese; Michele Gaudio, Ministro di Culto Chiesa Cristiana Avventista del 7° Giorno; Padre Gregorios Miliaris, Archimandrita Greco Ortodosso; Padre Raško Radović, Protopresbitero Serbo Ortodosso; Padre Constantin Eusebia Negrea, Parroco della Parrocchia e Comunità Ortodossa Romena di Trieste; monaca ani Sherab Choden (Malvina Savio), presidente Centro Dharma Buddhista Tibetano Sakya Kunga Choling; Claudio Caramia, Membro del Comitato Direttivo Nazionale Religioni per la Pace Italia; si associano Alessandro Salonichio, Presidente della Comunità Ebraica di Trieste, Raul Matta, Presidente della Comunità Evangelica Metodista, Gianfranco Hofer della Chiesa valdese di Trieste e Dea Moscarda, del Centro Studi evangelico Albert Schweitzer.

E infine i nemici irrinunciabili: i neonati.
Di tante cose ci si è occupati in queste giornate un po’ frenetiche ma, con singolare unità di intenti, non una parola sui neonati cui è negato il certificato di nascita.
Come hanno fatto ad essere criminali incalliti appena nati tanto da non volerli parte del nostro consorzio (in)civile?
La prudenza insegna che è bene prevenire quindi … accontentiamoci di quanto ci disse Jannacci a Canzonissima 1968: Vengo anch’io! No, tu no…ma perché? Perché no!

[ fonte 1] https://diariealtro.it/?p=6131 sindaca Monfalcone 28 settembre
[fonte 2] http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2018/10/16/Lodi-bambini-di-nuovo-in-mensa-raccolti-60mila-euro-Scontro-a-distanza-fra-Salvini-e-Fico/844409/
[fonte 3] https://diariealtro.it/?p=6135 – annuncio della mostra
[fonte 4] San Giusto – 3 novembre
https://www.triesteprima.it/cronaca/rabbino-trieste-raduno-casa-pound-no-manifestazioni-ideologiche-16-ottobre-2018.html
http://www.ilfriuli.it/articolo/Politica/Trieste-points-_no_fermo_al_raduno_di_CasaPound/3/187542

17 Ottobre 2018Permalink