Marina Frigerio Martina BAMBINI PROIBITI – Storie di famiglie italiane in Svizzera tra clandestinità e separazione COLLANA Orizzonti pp. 208 Casa editrice IL MARGINE Via Taramelli n.8 – 38122 Trento € 16,00
Il 7 febbraio avevo pubblicato una parziale recensione del volume che ho citato in premessa, riprendendola dal numero di gennaio del mensile Ho un sogno (chi volesse conoscere quel mensile lo trova – a Udine – alle librerie CLUF e Pecora Nera in via Gemona).
In quel primo intervento mi ero soffermata sulla postfazione in cui un ‘bambino nascosto’ – diventato adulto- ragionava sulla sua esperienza.
Nel numero di febbraio ho analizzato, nello stesso mensile e sempre facendo riferimento al lavoro della Frigerio, la situazione generale dei ‘bambini nascosti’, figli di emigranti in Svizzera.
CHIAMAMMO BRACCIA E ARRIVARONO UOMINI
Lo scrittore svizzero tedesco Max Frisch (morto nel 1991) aveva scritto «chiamammo braccia e arrivarono uomini». Infatti per ammettere i migranti nel proprio territorio «…la Svizzera aveva scelto la politica dell’emigrazione basata sul principio della rotazione: gli stranieri non andavano integrati ma chiamati in base ai bisogni dell’economia. Erano gli stagionali».
E gli affetti non dovevano far parte della vita degli stagionali, la vita familiare poteva affidarsi al massimo allo scritto, non era consentito si facesse normale quotidianità.
Molto spesso i migranti lasciavano e lasciano i loro figli al paese d’origine ma è capitato e capita che non sempre ci sia chi può accudirli e la ricomposizione di una famiglia in terra straniera può essere fonte di problemi drammatici, a volte insolubili.
Dei figli degli stagionali nella Confederazione Elvetica si occupa una importante ricerca di Marina Frigerio, i cui dati arrivano fino alla soglia del nostro secolo e si accompagnano a significative testimonianze che danno voce a bambini costretti al silenzio nella segregazione.
«Per Francisco la Svizzera consisteva in due letti, un armadio , un comò, un tavolo con quattro sedie e un televisore. Quest’unica stanza rappresentava il suo mondo. Questo bambino di cinque anni trascorreva tutto il giorno con sua madre e sua sorella rinchiuso in trenta metri quadrati, la sua infanzia consisteva nello stare seduto fermo e in silenzio. Nessuno doveva accorgersi della sua esistenza».
E la clandestinità, imposta per legge d’altro paese, produceva i suoi effetti anche dopo il ritorno. «Maria ha otto anni e disegna mostri enormi che minacciano una bambina minuscola “Due anni fa – racconta la madre– mio marito era ancora lavoratore stagionale, eravamo clandestini e vivevamo costantemente nel terrore di venire scoperti ed espulsi”».
Scriveva nel 1992 la sociologa Elsbeth Müller : «I bambini che vivono illegalmente in Svizzera soffrono le conseguenze del conflitto tra diversi livelli giuridici. Il diritto universale all’istruzione deve fare i conti con il divieto di soggiorno nazionale e i bambini ne portano le conseguenze».
Nello stesso anno l’Unicef documentava «Esistono davvero i bambini che vivono chiusi in mansarde e appartamenti restando soli tutto il giorno. I bambini cui si impedisce di frequentare gruppi di gioco e scuola materna , e per i quali incontrare altri bambini al parco giochi resta solo un sogno».
L’Unicef documentava undici anni fa in Svizzera.
Se volesse guardare a ciò che accade oggi nel nostro paese potrebbe leggere nel 5° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia (anno 2011-2012 – cap 3.1 www.gruppocrc.net) che «il timore … di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto, con la conseguente mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato, in violazione del diritto all’identità».
Tutto deriva dal fatto che una legge (che, con sarcasmo forse involontario, abbiamo chiamato ‘pacchetto sicurezza’) nega ai figli dei migranti irregolari la registrazione anagrafica e non basta la rassicurazione di una circolare che contraddice la norma (ma le circolari sono per loro natura volatili!) a cancellare la paura.
E così potrebbe capitare che le mamme dicano ai loro bambini, oggi in Italia come ieri in Svizzera: «Se non fai silenzio e non stai buona la polizia ti verrà a prendere e ti caccerà via» (Frigerio pag.51).
Una rivisitata modalità di integrazione?
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