Dopo qualche giorno di assenza torno a casa. Mai mi era capitato di desiderare un tablet che non ho per restare collegata alla mia posta e ai siti poco noti, ma di cui mi fido, che pratico.
A Torino, dove mi ero fermata, non mi è capitato di trovare nemmeno un internet point.
Oggi i giornali riferiscono del messaggio di domenica scorsa del papa: un tentativo di costruire unità sulla richiesta di pace con il più nonviolento dei mezzi, il digiuno. Una richiesta che vorrebbe farsi planetaria.
Ci riuscirà? Intanto si segnala il successo dei parlamento inglese nei confronti della decisione di appoggio agli USA nell’iniziativa militare del primo ministro Cameron e i mezzi di informazione analizzano il no (eventuale ma, sembra, improbabile) del Congresso americano come un insuccesso personale del presidente Obama.
A questo punto l’iniziativa di più ampio respiro politico sembra essere quella del papa ed è buffo vedere tante persone che ne sono coinvolte ma, preoccupate dal respiro religioso che la cosa può assumere, dichiarano (il mio riferimento è facebook) il proprio consenso con un ‘sì, ma … io sono laico’ ‘e tuttavia..’.
Il vaticano ha pubblicato il testo del discorso del papa di domenica scorsa anche in arabo.
Ho visto con piacere che il parroco della parrocchia della mia zona lo ha appeso nell’atrio della chiesa accanto al testo italiano.
Cerco di farlo sapere agli amici arabi e soprattutto siriani. Ancora una volta … vedremo
Intanto ne metto il link. Non si sa mai che qualcuno lo legga e se ne serva.
http://www.vatican.va/holy_father/francesco/angelus/2013/documents/papa-francesco_angelus_20130901_ar.html
I tetti di Gradisca
Ne ho scritto il 13, 14, 15, 17, 18, 26 agosto. Oggi riprendo il comunicato che l’on Serena Pellegrino ha pubblicato nel suo sito. Mi avvalgo delle notizia diffuse da lei perché la so attendibile e soprattutto è entrata al CIE e si spesa in una difficile mediazione e ha coinvolto il sen. Luigi Manconi, Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani.
Per oggi non posso che riportare il comunicato di Serena del 31 agosto.
GRADISCA. Clandestini nuovamente sui tetti, è ancora bagarre al Cie di Gradisca. L’allarme è scattato mercoledì sera, quando un gruppo di una ventina di trattenuti all’ex Polonio ha forzato le barriere, riuscendo a uscire dalle vasche di contenimento e a salire nella zona già teatro delle proteste dei giorni scorsi.
Almeno in due hanno tentato senza successo la fuga: uno di loro si è ferito in maniera non grave cadendo a terra nel tentativo di raggiungere il muro di cinta aggrappato a una sorta di fune rudimentale che ha cercato di agganciare alle sbarre. L’uomo non ha voluto desistere dal suo proposito (con gli agenti che avevano piazzato una scala per farlo scendere) quando la corda improvvisata ha ceduto facendogli compiere un volo di 4 metri. È stato soccorso dagli uomini del 118 e ricoverato al nosocomio di Gorizia, dal quale è stato dimesso facendo ritorno al Cie già durante la notte.
Rovinosa caduta anche per un secondo straniero che non è riuscito a scavalcare le barriere per questione di centimetri. Non vi sono stati comunque scontri fra gli “ospiti” e le forze dell’ordine. Fonti interne alla polizia smentiscono con decisione, fra l’altro, la notizia secondo cui anche gli agenti sarebbero saliti sui tetti nel tentativo di riportare nelle camerate i “rivoltosi”. L’ordine della Questura al contrario è quello di controllare la situazione evitando il contatto fisico.
I trattenuti hanno continuato a occupare il tetto per tutta la giornata di ieri, dichiarando di volervi rimanere a oltranza. Il “casus belli” della nuova protesta sono state le convalide di fermo per altri due mesi comminate dal giudice di pace nei confronti di 4 delle persone trattenute al Cie, una delle quali si trova all’ex Polonio da ormai 14 mesi.
Altre persone colpite dal provvedimento hanno moglie e figli nel nostro Paese. Altri due avrebbero inoltrato senza successo richiesta di rimpatrio volontario.
Torna quindi d’attualità il tema dei tempi di “detenzione” nei Cie, tempi che sono acuiti anche dalla lentezza e a volte negligenza con cui i Paesi d’origine di queste persone colpite da decreto di espulsione avviano le procedure di rimpatrio. «Non abbiamo prospettive», «La vita qui non conta più niente», «Siamo come cani, molto meglio il carcere».
Altri ospiti hanno persino chiesto il trasferimento in altri Cie. Nel frattempo il trattenuto algerino che aveva spaccato il naso a un operatore con un pugno al volto è stato processato per direttissima e condannato a sei mesi di reclusione. È stato tradotto a Gorizia, nella casa circondariale via Barzellini.
Ieri sera l’onorevole Serena Pellegrino (Sel) ha svolto una nuova visita al Cie per proporre eventuali mediazioni. La nuova protesta è andata in scena proprio quando a Roma si è svolto un incontro fra i funzionari del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione e le Questure il cui territorio ospita un Cie. Sul tavolo le criticità di questi giorni e le possibili soluzioni operative.
CIE di carne
Rappresentano l’impegno più importante che mi sono data e che fallirà come molti altri miei impegni, ma non voglio tralasciarlo: ci sono cose che si devono fare anche se destinate al fallimento.
Ne scriverò i prossimi giorni raccogliendo brandelli di informazioni che, negli anni, hanno costruito un dossier. Forse inutile ma ci tengo che resti.
Per ora solo una considerazione. I neonati per la cui registrazione alla nascita è prevista l’esibizione del permesso di soggiorno dei genitori svolgono la funzione dei CIE: servono ad identificare i genitori al fine di espellerli.
Che poi vi siano misure burocratiche che rendono difficile, o almeno rallentano, il processo nulla toglie alla vergogna di una legge che ci teniamo quasi con indifferenza.