14 ottobre 2013 – Nell’anniversario del rastrellamento del ghetto di Roma

Alle Ardeatine
Mi chiedo perché si faccia giusta attenzione al boia delle Ardeatine e quasi mai, con altrettanta enfasi, a chi ‘non obbedì’, seppe discernere il crimine e quasi sempre pagò con la vita.
Perché mentre giustamente molto si parla della Resistenza nulla si dice dei singoli, che nella loro quotidianità, seppero dire ‘no’?
Forse perché siamo imbarazzati dai troppi sì che ancora si dicono? Sono i piccoli ‘sì’ di tutti i giorni ognuno dei quali implica un passo successivo.

Riporto il messaggio che ho scritto al giornalista che conduce Prima Pagina  (Rai 3), aggiungendo questa nota:
Perché non ricordare mai i nomi di chi non obbedì?
Fra i morti nelle Ardeatine c’erano persone che si trovavano in carcere per non aver obbedito ed essersi rifiutati al crimine.

A  Milano
Aggiungo un nome: Andrea Schivo, secondino a San Vittore, che aiutò gli ebrei imprigionati a San Vittore, fu scoperto, deportato e morì in un lager.
Oggi è giusto fra le nazioni, ignorato fra tanti in Italia.
Gli è dedicato un libro scritto da tre sorelle: Giuliana, Marisa, Gabriella Cardosi. La giustizia negata.
La mamma di queste tre donne (allora avevano fra i 18 e i 3 anni)  fu deportata e uccisa perché nata da famiglia di origine ebraica di cui solerti funzionari dello stato italiano avevano identificato il nome.
Nel 1938, era maestra elementare nella scuola pubblica, fu irrimediabilmente licenziata.
Nel conteggio della pensione (dopo la guerra) non fu riconosciuto il periodo trascorso in carcere e nel lager e la pensione di reversibilità non fu concessa.
A fronte del dipendente del carcere che disse alla 18enne Giuliana che portava qualche soccorso alla mamma ‘Ebrea? allora è nessuno’. Andrea Schivo assicurò, finché la signora Cardosi restò a San Vittore, lo scambio di notizie fra la donna e la famiglia”.

Segnalo l’ottimo perché problematico (a mio parere) articolo di Barbara Spinelli
 

 

16 Ottobre 2013Permalink