29 luglio 2013 – Prima pagina e una voce fuori dal coro + un’altra voce il 30 luglio

La mattina alle 7.15 inizia una storica trasmissione di radio 3. Prima Pagina,  che – dopo 45’ di lettura dei giornali – passa a un filo telefonico diretto con gli ascoltatori.
Oggi è successo qualche cosa di molto importante. Ha telefonato una signora abitante a Pordenone, di cui spero di aver capito il nome e di averlo correttamente trascritto: Gluckman.
Non voglio commentare l’intervento perché è giusto parli da sé.
Alla fine il giornalista di turno – Enrico Fontana, direttore del quotidiano on line Paese sera – evidentemente emozionato (e anch’io lo ero) ha parlato di ‘testimonianza coraggiosa di civiltà’
Sono riuscita a scaricare il podcast della trasmissione e a trascrivere l’intervento della signora Gluckman così come l’ha pronunciato con tutte le caratteristiche di un parlato improvvisato..
Chiunque può risentirlo usando il podcast comunque lo trascrivo perché voglio conservarne memoria.
La trasmissione delle 10, Tutta la città ne parla, si è svolta muovendo da questa telefonata.

Filo diretto di Prima Pagina del 29/07/2014 (giornalista Enrico Fontana)

Mi chiamo Gluckman. Dico quel mio cognome che è il cognome di una famiglia ebrea laica che ha vissuto e vive in Italia dopo tutte le varie vicissitudini della Shoah. Io mi sento profondamente colpita appunto da quello che sta succedendo. Ma soprattutto come persona appartenente a una religione diversa. Perché questo? Perché gli ebrei vogliono la pace. Noi confondiamo sempre, lasciamo che ci sia questa confusione, [qualche parola confusa] fra Israele ed Ebrei.
Anche in Israele ci sono tantissimi ebrei che vogliono la pace.
Quello che mi chiedo è perché bisogna… mi fa paura quello che sta succedendo in Europa ma non voglio farmi prendere dalla paura. Quindi ai cortei pacifisti, pro palestinesi. che si stanno svolgendo e si svolgeranno … io abito in una città piccola, Pordenone ma sabato prossimo è previsto un corteo  organizzato dai giovani mussulmani. La mia paura è che prenderà una piega antisemita ma non importa.
Io ci voglio andare ma ci voglio andare come ebrea, non nascondendomi, così come non si nascondono le bandiere palestinesi o le kefie, vogli andarci con una stella gialla. Io non ho paura di dire che appartengo a una famiglia ebraica. Credo che questa sia la linea da prendere, rifacendomi a quello che lei diceva prima nella risposta che ha dato sui popoli che devono rispondere. Ma devono rispondere senza paura anche gli ebrei europei, gli ebrei del mondo. Non si devono nascondere di nuovo.
Se si rendono conto che questo conflitto è disumano sia da una parte che dall’altra, senza andare a cercare le colpe e senza andare a cercare chi ha iniziato, chi non ha iniziato
Credo che dobbiamo uscire allo scoperto anche noi.
E non avere timore, perché il timore ci ha portato a quello che è stato il disastro dell’Olocausto, a dare adito e ad appoggiare col nostro silenzio molte volte un grido di paura. Mio padre ha vissuto poi tutta la vita nella paura.
Io per avere conoscenza cosa era successo da parte della famiglia  in Polonia sono dovuta andare al centro ebraico di Varsavia perché mio padre non  mi ha mai detto cos’era successo alla nostra famiglia perché lui aveva il senso di colpa del sopravvissuto.
Basta, questo non deve esserci più.
Siamo contro la guerra chi è contro la guerra, chi non appoggia il governo di Israele lo deve poter dire liberamente, poter scendere in piazza vicino agli altri senza vergognarsi, senza timore che succeda nulla perché questo allora sarà veramente l’unione dei popoli.
Se ancora abbiamo paura – e io ne ho – perché so benissimo come potrebbe trasformarsi questo corteo sabato prossimo ma penso che lo farò. Chiaramente non sono più giovanissima, una persona degli anni cinquanta però    comunque.
Credo che dobbiamo farlo per dimostrare effettivamente il nostro sdegno nei confronti di questo conflitto.

mattina del 30 luglio. – Ricopio l’intervento pubblicato da Marco Menin e da Lucia Cuocci

Dviri: “Israele tra violenza e caos, ma io continuo a lavorare per la pace” di Manuela Dviri

Sono orribili giornate. Giornate di disperazione.

Non si sono ancora sbiadite le immagini dei tre adolescenti israeliani rapiti e poi barbaramente uccisi da due giovani palestinesi né quelle del giovane palestinese a sua volta barbaramente arso vivo da tre giovani israeliani, eppure è come se fosse successo in un’altra era, in altri tempi.

Ora è caos, morte, distruzione, sconforto totale, angoscia, guerra. Siamo stati tutti travolti, israeliani e palestinesi, dall’ennesima ondata di violenza.

Non sono una politica, non ho votato per il governo che mi rappresenta e non desidero fare propaganda per il mio Paese. Lascio ad altri il compito. Posso solo dire ciò che sento. E sento intorno a me solo dolore.  Ieri mi ha telefonato una vecchia signora, sopravvissuta alla Shoà, di novantacinque anni . “Non voglio più vivere “ mi ha detto. “Non voglio più vedere la sofferenza del mio paese, non ne voglio più sapere di allarmi, di missili, di paura, di quel terribile reticolo di tunnel da qui escono esseri  umani inferociti che vogliono uccidere e rapire i miei figli e nipoti e bisnipoti. Perché sono ancora viva?”

Non so che dirle. Anch’io, a volte, vorrei sparire, non esistere. E alla sofferenza per la morte di soldati diciottenni che conoscevo (siamo in un piccolo paese ci conosciamo tutti), si aggiungono quella per la sofferenza e la morte di tanti bambini di Gaza che non conosco e di tante donne e madri, vittime non solo del nostro esercito, ma anche di chi li usa come scudi umani, violando sistematicamente ogni diritto. 100000 persone, tra cui amici e persone che conosco bene, sono diventati profughi nella loro stessa terra, senza acqua, cibo e luce, ma Hamas, non vuole fermarsi fino alla vittoria su Israele. E che razza di vittoria sarebbe, alla fine? Prima o poi, si sa, anche questa guerra finirà, e  in Israele i politici dovranno rispondere alle nostre domande e rendere conto dei loro errori . Spero che anche a Gaza succederà la stessa cosa.

Ma il mondo, per il momento, tace. Nessuno dice niente. Nessuno fa niente. Chi ha voglia di sentir parlare, o che Dio non voglia, di cercare  di porre fine all’ennesima guerra mediorientale? O di parlare dei 1000 bambini che muoiono ogni giorno in Siria ? o in Iraq? O in Libia?

Qui almeno  si spera  arriverà, prima o poi, il cessate il fuoco. Fino alla prossima volta, naturalmente. Ho dentro un grumo di dolore che non si scioglie. Le lacrime mi strozzano la gola. Voglio che quest’orrore finisca. Vorrei urlare,  vorrei pregare,  ma non  so come. Ero a Roma  un mese fa a pregare con Peres e Abu Mazen nei giardini del Vaticano, Dov’è finita la nostra preghiera?

No, non  ho il lusso di farmi prendere dalla disperazione e dal pessimismo. Ce n’è già più che a sufficienza, intorno a me, e odio e rancore e morte e distruzione. Da ebrea, da israeliana, madre, donna, da essere umano, la mia preghiera laica è continuare  a dedicarmi, anche e soprattutto in queste stesse ore,  a “Saving Children”  un progetto  gestito dal Centro Peres per la Pace, e finanziato dalla Regione Umbria e Toscana.

Il progetto si occupa di salute per bambini palestinesi, qualora all’interno dell’Autorità Palestinese non possano essere curati per ragioni che non sto ora a elencare e che penso non sia difficile immaginare. A ora ne abbiamo curati,  in Israele, più di diecimila. Una goccia nel mare , ma una goccia importante. 170 medici palestinesi si sono specializzati attraverso un progetto parallelo in vari ospedali israeliani e già lavorano a Gaza e a Ramallah.

Mi auguro quindi che l’Italia ci aiuti almeno in questo, e spero di non vedere partire dall’Italia un aereo che venga a portare i bambini feriti in Italia, in un atto tanto bello e scenografico quanto costoso. Abbiamo bisogno di tornare a ricucire l’umanità e la pietas tra i due popoli. Datecene almeno la possibilità. Pregate in questo modo, insieme con noi.

Manuela Dviri è una giornalista e scrittrice italiana naturalizzata israeliana. Nel 1998 il figlio Yonathan, che prestava servizio nell’esercito israeliano, viene ucciso durante un conflitto a fuoco. Da allora si batte per una soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese.

29 Luglio 2014Permalink