Oggi l’Osservatore Romano ha pubblicato un lungo articolo finalizzato a far conoscere l’istituzione della giornata di preghiera contro la tratta (8 febbraio 2015)
Ne riporto il testo nella sua forma breve, quale appare in rete, raggiungibile anche da qui.
«Un terzo delle vittime della tratta di esseri umani è rappresentato da bambini. Lo rivela un rapporto pubblicato ieri a Vienna dall’Unodoc, l’agenzia dell’Onu contro la droga e il crimine e riferito al triennio 2010-2012., precisando che si tratta di una quota è in aumento del cinque per cento rispetto al 2007-2009. Il rapporto sottolinea che questo aspetto è particolarmente accentuato in Africa e in Medio Oriente dove i bambini sono il 62 delle vittime della tratta. Ma nessun Paese è immune: sono almeno 152 quelli di origine quelli di destinazione del traffico di esseri umani. La tratta si verifica soprattutto all’interno dei confini nazionali o della stessa regione, mentre il traffico transcontinentale si dirige soprattutto verso i Paesi ricchi. «Purtroppo, non c’è posto al mondo nel quale i bambini, le donne e gli uomini siano al sicuro da questo pericolo», ha detto il direttore esecutivo dell’Unodc, Yury Fedotov, presentando il rapporto. «I dati ufficiali riferiti dalle autorità nazionali rappresentano solo ciò che è rilevabile. Ma è chiaro che si tratta solo della parte emersa dell’iceberg», ha aggiunto. L’Unodoc parla di 21 milioni di vittime, che ogni anno aumentano di due milioni e mezzo. In Asia orientale e nel Pacifico la destinazione delle vittime è invece soprattutto il mercato del lavoro forzato. A questo si aggiungono arte forme di sfruttamento, dalla servitù domestica, al matrimonio forzato, alle adozioni illegali, fino a quella atroce dell’espianto di organi per i trapianti.»
Se la scelta delle argomentazioni è sincera (ma non ne sono sicura) è comunque incompleta. Infatti a fronte dei dati abbondanti, a fronte della chiarezza nell’uso del termine crimine (cui, nella più ampia edizione a stampa si aggiunge anche il problema della impunità) nulla si dice della prevenzione. Un caso? Dopo cinque anni che me ne occupo non sono più disposta a ritenerlo tale.
Prevenire, reprimere o rimandare la responsabilità altrove?
Tanto più grave appare il silenzio sulla prevenzione se andiamo a leggere (Avvenire – 11 novembre 2014) quanto disse il card. Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, nella sua prolusione all’Assemblea della Conferenza stessa il 10 novembre ad Assisi. Ne riporto il passo relativo alla famiglia dove le espressioni in grassetto non sono mie ma si trovano alla fonte: «Per questo è irresponsabile indebolire la famiglia, creando nuove figure – seppure con distinguo pretestuosi che hanno l’unico scopo di confondere la gente e di essere una specie di cavallo di troia di classica memoria – per scalzare culturalmente e socialmente il nucleo portante della persona e dell’umano. L’amore non è solo sentimento – è risuonato nell’Aula sinodale – è decisione; i figli non sono oggetti né da produrre né da pretendere o contendere, non sono a servizio dei desideri degli adulti: sono i soggetti più deboli e delicati, hanno diritto a un papà e a una mamma.»
Non si dica che il cardinale si occupa di sommi principi e non di legislazione italiana. Anche senza l’indicazione delle fonti precise (anno, numero della legge, eventuale indicazione di altra fonte) il giochetto di Sua Eminenza è chiaro. Il richiamo al diritto del bambino “a un papà e a una mamma” è un modo obliquo per indicare come scelta univoca quella della famiglia tradizionale su cui la Lega Nord sta sprecando le sue confuse e populistiche, ma coincidenti, energie. Il cardinale si chiude quindi a quelle che lui stesso chiama ‘nuove figure’ ma non solo. E dei bambini che hanno un papà e una mamma ma cui è negato farsi famiglia che ne facciamo? Lasciamo che Sua Eminenza ci chiuda gli occhi e intorpidisca la mente? Io non ci sto e per l’ennesima volta riporto un passo dal Rapporto 5 (2011-12) del gruppo CRC, di cui fanno parte anche la Caritas italiana, l’AGESCI e altre organizzazioni gradite nell’ambito cattolico: «Il timore di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto, con la conseguente mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato, in violazione del diritto all’identità (art. 7 CRC), nonché dell’art. 9 CRC contro gli allontanamenti arbitrari dei figli dai propri genitori.
Pur non esistendo dati certi sull’entità del fenomeno, le ultime stime evidenziano la presenza di 544 mila migranti privi di permesso di soggiorno Questo può far supporre che vi sia un numero significativo di gestanti in situazione irregolare».
(per verificare i rapporti CRC trasferire su un motore di ricerca l’indirizzo che segue: http://www.gruppocrc.net/-documenti-)
Al di là dell’analisi della lettera g del comma 22 dell’art. 1 della legge 94/2009 (che l’ONU ci chiede esplicitamente di modificare come ci informa il 7mo rapporto CRC) ci viene testimoniata l’esistenza del problema che unisce molti nell’indifferenza creando legami insospettabili. Chi avrebbe detto di veder insieme, uniti nell’intento di voltare la testa dall’altra parte, le loro eminenze e i gruppi di sostegno alle donne che mai del problema delle gestanti costrette – vuoi dalla paura vuoi da minacce percepite nell’ambiente in cui vivono – a nascondersi, a partorire di nascosto e a nascondere il proprio nato?
Nel memorabile recente discorso di Strasburgo il papa ha detto, probabilmente invano, ignaro forse o impotente di fronte al vescovil disinteresse ben forte nella base cattolica sempre unita dal legame razzista a molti laici (questa volta il grassetto è mio)
«Nel mondo politico attuale dell’Europa risulta sterile il dialogo solamente interno agli organismi (politici, religiosi, culturali) della propria appartenenza. La storia oggi chiede la capacità di uscire per l’incontro dalle strutture che “contengono” la propria identità al fine di renderla più forte e più feconda nel confronto fraterno della trasversalità. Un’Europa che dialoghi solamente entro i gruppi chiusi di appartenenza rimane a metà strada; c’è bisogno dello spirito giovanile che accetti la sfida della trasversalità. < omissis> Parimenti sono numerose le sfide del mondo contemporaneo che necessitano di studio e di un impegno comune, a partire dall’accoglienza dei migranti, i quali hanno bisogno anzitutto dell’essenziale per vivere, ma principalmente che venga riconosciuta la loro dignità di persone.»
Aggiungo:” e quale maggior ferita alla dignità della negazione dei legami fondamentali dell’esistenza umana?”.
Tornando al punto di partenza Se un bambino che non esiste sarà rapito da bande pedofile come potranno denunciarne la scomparsa i suoi genitori che non possono nemmeno dimostrare di essere tali se non c’è documento che lo certifichi? So che nessuno vorrà rispondermi ma io la domanda la pongo lo stesso come un messaggio in una bottiglia.