3 dicembre 2014 – Hanno bruciato un luogo in cui mi ero concessa una speranza

 

Un articolo di Sayed Kashua, scrittore arabo israeliano

Apro la Repubblica e trovo un articolo di Sayed Kashua. Parla di una scuola bruciata e scopro che è proprio quella in cui sono stata e di cui avevo scritto nel 2009. Ritrovo il mio vecchio post che si può leggere anche da qui e provo a scaricare l’articolo di Kashua.  Non si può. E allora decido di copiarlo perché è molto bello anche se tristissimo.

La scuola simbolo bruciata da fanatici contro la pace

Lo scorso sabato sera è andata a fuoco la scuola arabo ebraica “Mano nella Mano”, a Gerusalemme. Due aule di prima elementare sono state completamente distrutte. Ho visto scheletri di seggioline dove bambini ebrei e arabi stavano seduti l’uno accanto all’altro (e dove anche i miei figli erano stati seduti quando frequentavano quella scuola), cappotti semicarbonizzati lasciati in classe dai bambini e libri bruciati in arabo e in  ebraico. «Morte agli arabi» era scritto fra le altre cose sui muri della scuola, «Basta con l’assimilazione» e «Con un cancro non si convive». Chi ha appiccato il fuoco non riesce ad accettare l’idea che alunni arabi ed ebrei possano sedere gli uni di fianco agli altri nella stessa classe, senza distinzioni. Per la prima volta, da quando mi sono trasferito con la mia famiglia in Illinois per una anno sabbatico, mi sono rammaricato di non essere a Gerusalemme. Di non poter insistere, nonostante tutto (e forse proprio a causa di questo incendio) a mandare i miei figli a quella scuola insieme ad altri genitori. Mi sono rammaricato di non essere accanto agli insegnanti nell’accogliere i bambini con un rassicurante sorriso e la promessa che andrà tutto bene, che un giorno lo slogan appeso alle pareti delle aule dopo la guerra di Gaza – «Arabi ed ebrei rifiutano di essere nemici» – diventerà realtà e che, come viene insegnato loro, l’uguaglianza e la convivenza saranno possibili. Ma sarà davvero così? E’ moralmente giusto dare ai nostri figli l’illusione che arabi ed ebrei possano convivere su un piano di parità? Posso davvero guardare miei figli negli occhi e dire loro che un giorno saranno cittadini di Israele a pieno titolo? Era difficile, se non addirittura impossibile, garantire ai nostri figli l’uguaglianza a livello giuridico anche prima della proposta di legge del governo che decreta che Israele è lo Stato della nazione ebraica. Israele, sin dalla sua creazione, si è posto al servizio esclusivo degli ebrei che vi vivono e, di fatto, anche di quelli che non vi vivono. Viceversa lo Stato di Israele non  ha mai voluto essere il mio Paese, non è stato creato per me o per la mia famiglia né per i cittadini arabi che detengono il suo solo passaporto. Io e i miei figli facciamo parte dell’oltre milione e mezzo di cittadini arabi israeliani (da non confondere con i palestinesi di Gerusalemme, della Cisgiordania e della Striscia di Gaza occupate nel 1967) che vive entro la Linea Verde fin  dalla sua fondazione nel 1948, costituisce circa il 20 per cento della popolazione, è discriminato rispetto agli ebrei in tutti i settori della vita e deve sopportare enormi disparità. Nessun nuovo insediamento arabo è sorto dopo la creazione di Israele, a fronte di circa 700 ebraici, e l’area di competenza delle municipalità arabe rappresenta meno del tre per cento dell’intero territorio. L’attuale disegno di legge che stabilisce che “Israele è lo Stato della nazione ebraica” è diretto a garantire che, in caso di conflitto tra il carattere ebraico dello Stato e il principio di uguaglianza, il primo avrà la meglio sul secondo. Dio non voglia che la democrazia garantisca una qualche parità di diritti fra ebrei e non ebrei. «Ancorare per legge» è l’espressione usata dal governo israeliano in riferimento al decerato legge e sta a significare quanto segue: se le cose stanno in ogni caso così, perché non sancirle a livello giuridico? La discriminazione fra arabi ed ebrei in tutti i settori esiste comunque, tanto vale renderla legale. Molti palestinesi con cittadinanza israeliana sono felici di questa proposta di legge. Semplicemente perché, una volta che la legge sarà approvata, l’ineguaglianza non sarà celata dietro alla cortina di fumo di una cosiddetta “democrazia”. Molti pensano che questa legge metterà a nudo “l’etnocrazia” israeliana ( una democrazia solo se sei ebreo). E’ possibile che la fondazione di uno Stato ebraico fosse indispensabile considerata la terribile storia degli ebrei. Ma è davvero necessario che questo rifugio trasformi milioni di persone in rifugiati indifesi, ostaggi del governo israeliano? Che sia solo ed esclusivamente riservato agli ebrei? Che esseri umani vivano in esso separati a causa delle loro etnia? Che scuole che credono nella convivenza vengano bruciate? Avrei voluto moltissimo essere all’ingresso della scuola bilingue di Gerusalemme questa settimana, accanto ad altri genitori arabi ed ebrei che credono nell’uguaglianza. Avrei voluto moltissimo dire ai miei figli che gli autori di questo gesto sono solo un piccolo gruppo di stupidi criminali e che un giorno, vedrete, saremo un  popolo libero e voi potrete vivere e studiare dove vorrete. Ma non posso farlo. Il primo ministro e le sue leggi razziali mi negano la capacità di sognare un futuro migliore.
(traduzione di Alessandra Shomroni)

Nota aggiuntiva  – 5 dicembre

Appena pubblicato questo pezzo ho saputo delle modifiche imposte dal primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu alla composizione del proprio governo. Uno dei due ministri rimossi è Yair Lapid.
Di suo padre, fuggito dall’Europa razzista già prima dell’occupazione nazista avevo scritto il 3 settembre 2010 in un post che si può leggere da qui.
https://diariealtro.it/?p=3096

3 Dicembre 2014Permalink