Il 24 febbraio scorso ho ricopiato la notizia della condanna che il tribunale di Milano ha inferto alla Lega Nord per aver usato l’espressione “clandestini” cui riconosce un «carattere discriminatorio e denigratorio». Le parole infatti sono pietre che possono essere gettate per distruggere gli esseri umani inserendoli in categorie che li umiliano, imprigionandoli in una definizione che diventa senso comune fino a una condanna socialmente accettata.
Diceva Nelson Mandela “Disumanizzare l’altro significa inevitabilmente disumanizzare se stessi”
Farsi cura invece dell’altro umanizza anche noi stessi e ci rende capaci di pronunciare parole che danno senso alle relazioni fra umani troppo spesso negate dal prevalere di una discriminazione aggressiva e arrogante. E le parole sono il mezzo potente che abbiamo per comunicare, confrontare, far crescere pensieri che possano essere base di una responsabilità condivisa nel costruire una realtà diversa da quella che ci angoscia. Tante volte ho cercato di testimoniare nel mio blog vicende che dessero il senso di questa umanità consapevolmente viva, solidale e rispettosa. Non è facile perché fanno parte della quotidianità che non fa notizia e purtroppo lo diventa quando si manifesta nella tragedia quando vi siano catapultate persone normali, più indifese di chi – per svolgere un ruolo di potere – può giovarsi di qualche significativa forma di protezione.
A Parigi: non avrete il mio odio
Il 13 novembre 2015 l’attentato terroristico al Bataclan uccideva, tra gli altri, una giovane donna, madre di un bambino di due anni. Il vedovo esprimeva il suo dolore rivolgendosi agli assassini con una espressione straordinaria “non avrete il mio odio”. Originariamente inserita in una lettera, quella frase, diventata il titolo di un libro, è entrata in una specie di vocabolario dell’umanità che non si adegua alla barbarie, fino a dare un senso pieno a un linguaggio completamente alternativo rispetto a quello che sembra dominante dell’odio, della paura, dell’indifferenza. Quella espressione è stata ripresa, sempre a Parigi, da Etienne Cardile per ricordare Xavier Jugelé, il compagno poliziotto ucciso il 20 aprile sugli Champs Elysées: «Soffro ma senza odio. Perché quest’odio non ti somiglia». E infine è riuscito a salutarlo con un «ti amo», evocazione del loro spazio privato, immune dalla malvagità.
In Italia: “Portare pesi impossibili con le spalle dritte”
Lo ha detto il padre di Valeria Solesin, la ragazza italiana uccisa al Bataclan, cui la città di Venezia ha riservato il funerale in piazza San Marco, accogliendo una osservazione del papà di Valeria «Se la mia famiglia ha dato un segno di civiltà vuol dire che non è morta invano». E ancora il richiamo alla negazione dell’odio: «Non sono una persona capace di odiare. Io e Luciana (la moglie e mamma di Valeria n.d.r.) crediamo nel valori che non dividono le persone».
Insieme a loro voglio ricordare anche i genitori di Giulio Regeni che rivendicano il loro diritto a quella giustizia che impone di far conoscere la verità sulla morte del figlio. Chiedono giustizia non vendetta.
In Algeria, più di vent’anni fa
Mi torna alla mente il testamento di padre Christian de Chergé scritto a Tibihrine, il primo gennaio 1994, due anni prima del rapimento suo e dei suoi monaci, di cui furono trovate solo le teste. La conoscenza della violenza del passato coloniale dell’Algeria (non dimentichiamo che le vicende di Tibihrine precedono di più di vent’anni quello appena ricordate dei giorni nostri) fonda le sua capacità di previsione: « Se mi capitasse un giorno – e potrebbe essere oggi – di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese. …Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato .. Venuto il momento, vorrei avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse … di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito».
A Gaza: Restate umani
Lo aveva detto Vittorio Arrigoni, attivista sostenitore della causa palestinese, la sera del 14 aprile 2011 venne rapito da un gruppo terrorista dichiaratosi afferente all’area jihādista salafita, all’uscita dalla palestra di Gaza nella quale era solito recarsi. In un video immediatamente pubblicato su YouTube, Arrigoni venne mostrato bendato e legato, mentre i rapitori accusavano l’Italia di essere uno “stato infedele” e l’attivista di essere entrato a Gaza “per diffondere la corruzione”. Il 15 aprile fu assassinato.
Gabriele Del Grande: la violenza istituzionale
Il giornalista arrestato in Turchia e fortunatamente rientrato in Italia che, ritrovandosi nella sua terra ci ha dato gioia e ci ha regalato una parola, o almeno l’ha regalata a me che ormai la considero una pietra di costruzione: violenza istituzionale. Ha precisato con consapevolezza e dignità di non aver subito violenze fisiche, di essere stato trattato con rispetto ma, dato che il suo non era un rapimento ma un arresto, di aver subito una violenza istituzionale.
Il parlamento italiano e i suoi complici nel perpetrare violenza istituzionale
Dopo che l’intervento della Corte Costituzionale aveva consentito alle coppie ‘ miste’ di chiedere la registrazione delle pubblicazioni di matrimonio senza cadere nella trappola tesa dal pacchetto sicurezza, restavano solo i nuovi nati in Italia da genitori non comunitari privi di permesso di soggiorno, a soddisfare il cannibalismo cartaceo organizzato durante il quarto governo Berlusconi dall’allora Ministro Maroni. Per sanare la situazione furono presentate due proposte di legge ma vennero abbandonate al disinteresse parlamentare (forte dell’indifferenza dell’opinione pubblica) finché l’articolo potenzialmente risolutivo venne inserito nella proposta di legge sulla cittadinanza che, approvata alla Camera, gode non solo del disinteresse ma, a quanto pare, della determinazione della commissione Affari Costituzionali del Senato ad affossarla giocando sulla lentezza. Basterà infatti una mancata approvazione prima delle elezioni per annullare tutto il lavoro svolto. Di recente un gruppo di associazioni, singoli cittadini e alcuni assessori e consiglieri comunali udinesi ha chiesto l’approvazione rapida della norma con un appello che, proposto agli strumenti di informazione, non ha ottenuto nemmeno un riscontro.
Un filo rosso fra le parole
Per fortuna le parole di giustizia, rispetto del diritto e della legalità restano. Chissà se qualcuno vorrà trovare il filo che le colleghi offrendoci la possibilità di costruire il linguaggio della dignità che si diffonda opponendosi alla barbarie che ci insozza?
NOTA
Nel file la cui pubblicazione nel mio blog precede questo testo ho elencato le fonti con i link che permettono di raggiungerle. L’ho fatto per non appesantirne la lettura dove sarà possibile proporla.
https://diariealtro.it/?p=4976