27 giugno 2018 – Continuare a parlare dei bambini fantasma è inutile offerta all’indifferenza rassegnata, annoiata, incosciente, beffarda che sia

Probabilmente è meglio chiudere.
Cerco di farlo con dignità e rispetto delle piccole vittime che, costruite nel 2009 dal ministro dell’interno Maroni predecessore dell’attuale, non si vogliono prendere in considerazione se non per farsene beffe. In compenso si ascoltano i pianti dei bambini violati dal presidente degli USA: i ‘nostri’ non possono piangere. Farebbero troppo rumore.

Forse fra trent’anni se ne parlerà così come oggi dei bambini nascosti in Svizzera, allora minaccia per i loro genitori lavoratori migranti, oggi … come ieri e anche peggio.
Chiedere in questo momento una modifica di legge, cui si sono sottratte le forza di maggioranza di sedicente sinistra, confortate dalla pietrificata indifferenza dei governi Monti, Letta, Renzi, Gentiloni mi sembra inutile. Potrebbe essere richiesto ai Comuni se c’è interesse a non creare fantasmi. Possono far uso della circolare 19 del 2009 ma, per quel che ho capito e, temo anche verificato, non c’è da contare nemmeno su assessori e consiglieri comunali che pur dovrebbero avere interesse almeno per il corretto funzionamento dei servizi dell’anagrafe..
A testimonianza dello storico precedente dell’occultamento di minori in Svizzera ho copiato e pubblicato l’articolo da la Stampa ritrovando molto di ciò che avevo scritto rifacendomi a un libro che tratta lo stesso argomento, dando voce però ai bambini la cui esperienza di nascondimento era una parte della loro vita recente.
In fondo c’è l’elenco degli articoli e nel post che segue ho inserito tutti i riferimenti se mai qualcuno li volesse ritrovare.
Non mi è possibile fare altrettanto con i riferimenti al famoso articolo del pacchetto sicurezza che nega ai figli dei migranti persino l’identità. Il materiale è troppo ma chi avesse voglia può evidenziare fra i tag la parola anagrafe e potrà percorrere le informazioni via via prodotte.

25/06/2018 I bambini degli italiani in Svizzera come i messicani: “Allora al confine ci strappavano via dai genitori” Luca Bilardo Pierangelo Sapegno [fonte 1]

Dopo decenni quegli ex bambini della Val d’Ossola si sono ritrovati. I loro racconti parlano di un’Italia che sembra lontanissima ma è molto vicina
Gli orfani della frontiera avevano i capelli tagliati tutti uguali, come dei soldatini, senza ciuffi sulla fronte, e avevano dei vestiti che stavano sempre un po’ larghi. Ma gli occhi, erano gli occhi che li rendevano diversi. Avevano gli sguardi della solitudine. Oggi che sono tornati tutti insieme per una volta, non si sa perché quegli sguardi non li abbia portati via il tempo. Forse, non si possono cancellare. Erano i bambini che i genitori italiani erano costretti ad abbandonare di qua dal confine perché era vietato portarli con loro in Svizzera. Li raccoglievano dei frati e li mettevano in un collegio come questa Casa del Fanciullo a Domodossola. Il mondo si indigna per le gabbie di Trump in cui son o rinchiusi i bambini messicani senza permesso, ma appena 30 anni fa altri bambini si ritrovavano come degli orfani perché alla frontiera della Svizzera potevano entrare solo papà e mamma, forza lavoro necessaria alla Confederazione. Ed erano italiani.

Senza genitori e discriminati
Quei piccoli strappati ai genitori, venivano cresciuti in collegi finanziati dalla stato e gestiti da religiosi. Ce n’erano tanti, li avevano aperti a Domodossola, Ripatransone, Ala, Intra, Varese, Osimo e in altri posti ancora, per ospitare questi figli della povertà e del lavoro, che erano migliaia, sguardi appesi nelle foto e righe di lagrime sulle guance, come quelle che tratteneva Fabrizio Di Berardino: « A Domodossola eravamo squadrati come “i bambini di padre Michelangelo” con i pregiudizi della gente. Eravamo riconoscibili dal taglio di capelli, tutti uguali, e dai vestiti. A scuola c’erano due elenchi: uno degli alunni di Domodossola e uno della Casa del Fanciullo».

I vagoni usati come parco
Queste frontiere, di lagrime e di fatica, sono piene di storie come la sua. I genitori arrivati al confine con le loro valigie di speranza scoprivano che il posto c’era solo per chi lavorava e dovevano fare in fretta questa scelta drammatica, in cambio dello stipendio sicuro, perdendo per lunghi periodi i loro figli. Fuori dalle chiese lasciavano i bambini con una borsa. A Domodossola veniva a prenderli padre Michelangelo, che li sfamò, aprì la casa del fanciullo, e poi anche una colonia estiva in un bosco vicino all’Alpe Devero. Il frate chiese pure aiuto all’unico «potente» che conosceva, il novarese Oscar Luigi Scalfaro che era ministro dei Trasporti, che mandò un treno, rimasto qui, oltre la sua memoria, nel parco a Osso di Croveo, a ricordare con i suoi vagoni dismessi quell’aria arrugginita di un passato che abbiamo dimenticato troppo in fretta.
Dicono che il tempo lenisca i dolori. Ma noi facciamo anche di più: cerchiamo di cancellarli.

Nascosti nelle case
Oggi gli orfani della frontiera sono tornati tutti qui per rispettare questa memoria. Walter Busato, 58 anni, dice che ne aveva solo tre, quando sua madre , che era una ragazza madre, cercò di tenerlo con sé, di nascosto, a Friburgo. In tanti facevano così e li nascondevano in casa: centinaia di bambini italiani hanno trascorso la loro infanzia senza vedere la luce del sole, senza frequentare le scuole. Hanno vissuto con la paura che da un momento all’altro potessero denunciarli e allontanarli per sempre dalla loro famiglia. La mamma di Walter si arrese dopo un po’ di tempo e preferì mandarlo a Domodossola, almeno avrebbe studiato. Oggi lui gestisce un negozio di gastronomia in Germania. Alla fine è andata bene così. Ma se ci pensa, gli si strazia ancora il cuore.
Dario Scardarella ricorda che era uno dei più fortunati: «Mio papà in Svizzera faceva il ferroviere e così due volte al mese lo incontravo. C’erano bambini che magari non vedevano i genitori per mesi. Oggi vivo in Svizzera, ho quattro figlie e ho imparato una cosa: se hai dei figli devi sempre tenerli con te, sempre e comunque».
La vicenda dei bambini di padre Michelangelo è iniziata negli anni 60, quando gli italiani cominciavano a correre e scoprivano le distese di spiagge sui mari, la musica del mangiadischi, le code alle autostrade e quella strana aria di festa che arrivava con il sole. E lui giocava di nascosto in quella cucina spartana di Friburgo, ricorda Busato «che faceva un gran freddo», cercando di non far rumore «se no ci scoprono».
Quella legge in Svizzera, che impediva ai lavoratori stranieri con permessi stagionali di portare con sé i loro figli, è rimasta fino al 1996, seconda Repubblica cominciata, Prodi e Berlusconi.- Tempi nostri. Non può essere un ricordo così lontano da averlo già dimenticato.
Eppure, a guardare questo treno della memoria, questo luogo della nostra storia di emigranti, c’è un senso di orgoglio dolente, come dice Germano Bacchetta, «per quello che eravamo e siamo diventati». Oggi i figli della frontiera sono tutti manager, commercianti, operai, casalinghe, insegnanti. E in quella stessa struttura di Domodossola che un tempo ospitava i figli degli immigrati vivono venti richiedenti asilo. Non è solo la storia che cambia . Perché la storia non è vero che cambia: qualche volta si ripete e fa un gran rumore quando ci capita addosso . Ma on c’è mai nessuno che abbia voglia di ascoltarla.

[fonte 1] http://www.lastampa.it/2018/06/25/italia/i-bambini-degli-italiani-in-svizzera-come-i-messicani-allora-al-confine-ci-strappavano-via-dai-genitori-

Elenco degli articoli relativi all’argomento i cui link si trovano nel post successivo

25 aprile 2012 – Quando la memoria non è un rifugio per il letargo
7 febbraio 2013 – Bambini proibiti in Svizzera e non solo.
9 marzo 2013 – Chiamammo braccia e arrivarono uomini
10 febbraio 2014 – Non passi lo straniero
16 febbraio 2014 – La presentazione di un libro e molto di più
29 agosto 2014 – Ragionando su un documento confuso
14 aprile 2015 – Cronache dalla Gran Bretagna
2 maggio 2015 – Bambini invisibili: una relazione integrata
9 giugno 2015 – Bambini ostinatamente invisibili

27 Giugno 2018Permalink