Blind Tom, pianista cieco e schiavo. Storia crudele dell’America di ieri

Era nato in Georgia a metà ’800 con forti ritardi cognitivi, ma un innato talento musicale. Che rese ricchi i suoi padroni. Mark Twain lo ascoltò tre sere di seguito
di GIAN ANTONIO STELLA

Quando se ne andò un grande giornalista che l’aveva conosciuto bene, Henry Watterson, scrisse: «Cos’era? Da dove veniva? Perché? Quel che è certo è che lì dentro c’era un’anima, imprigionata, incatenata in quel piccolo petto nero, finalmente liberata». Ed era così grande la sua fama, ha scritto la vaporosa biografa Deirdre O’Connell nel libro The Ballad of Blind Tom, Slave Pianist, che per anni «almeno tre o quattro Blind Tom» seguitarono a girare l’America con «spettacoli circensi da dieci centesimi. Inciampando verso il pianoforte, gli occhi roteati all’indietro, la lingua penzoloni, le braccia tese come un enorme orso…». Orrende caricature truffaldine di un genio diverso che fu «il pianista più remunerato del diciannovesimo secolo». E il diversamente abile più ammirato dal vivo, in centinaia di concerti, di tutti i tempi.

C’è di più: Thomas Green Wiggins, che a lungo portò il marchio del cognome del suo padrone schiavista, è la prova di quanto avesse ragione giorni fa Joe Biden a dire agli americani che «finalmente» è ora di fare i conti con «il peccato originale di questo Paese, vecchio di 400 anni: la schiavitù e tutte le sue vestigia». Nel senso di strascichi. Proprio un secolo e mezzo fa, nel 1870, il giovane pianista cieco teoricamente liberato dopo la guerra civile e l’abolizione della schiavitù del 1865, veniva infatti dichiarato «non compos mentis» e affidato da un tribunale della Virginia al suo vecchio padrone. Era una gallina dalle uova d’oro: perché mai restituirlo alla madre? Di fatto fu l’ultimo schiavo nero della storia americana. «Liberato» solo nel 1908 da un ictus che gli rubò l’uso delle mani e lo portò alla morte.

Ma partiamo dall’inizio. È la vigilia di Natale del 1850 e il «Columbus Times & Sentential» pubblica l’annuncio della vendita di una casa padronale con relativa tenuta di venti acri (8 ettari) appena fuori Columbus, Georgia, al confine con l’Alabama. Il proprietario, Wiley F. Jones, coperto di debiti, aggiunge che alla casa d’aste Harrison’s mette in vendita anche «una decina o dozzina di schiavi negri allevati in Georgia» (tradotto: tirati su come si deve) tra i quali un cocchiere di prim’ordine e una brava cucitrice. Uomini-merce. Senza manco la precisazione, diffusa tra i sedicenti gentiluomini del Sud, che la vendita sarà «per famiglie». Per non separare padri, madri, figli.

Alla famiglia di Mingo e Charity Wiggins, sotto questo profilo, va bene. Vengono comprati insieme, lui, lei e due figli «sani» dal proprietario terriero James Neil Bethune, generale con barba e baffi che noi diremmo risorgimentali, teorico dello schiavismo, editore di un giornale ostile alla emancipazione. Anzi, l’uomo accetta, come regalo, anche il terzo bambino della coppia. Si chiama Thomas, ha otto mesi e gli occhi bianchi, vuoti, senza luce. Col tempo si scoprirà che la disabilità è doppia: «La sua imbecillità e impotenza gli assicurarono la simpatia e la cura della famiglia nella sua infanzia», dice un libretto promozionale (The Marvelous musical prodigy) del 1868, «Quando cominciò a camminare e correre per il cortile, le sue divertenti peculiarità lo rendevano un animale domestico».

Fatta la tara a tutto il razzismo che trasuda a partire dal racconto dell’iniziazione del piccolo alla tastiera, nata da una sfida in famiglia di Mary, una dei sette figli del padrone («A un cavallo o a un cane può essere insegnato quasi tutto… Tom ha tanto buonsenso quanto un cavallo o un cane, e vi mostrerò che gli si può insegnare. “Tom, siediti!”. “Tom, alzati!”»), alcune cose sono certe. A cinque anni il bambino nero, schiavo, cieco e «idiota» lasciò tutti ipnotizzati piazzandosi al pianoforte mentre i padroni cenavano e suonando quanto aveva imparato orecchiando il maestro di musica. Mica canzoncine infantili: musica classica. Un prodigio. Mai visto nella storia. E destinato per decenni a rimanere inspiegabile (le mille teorie avanzate sarebbero spassose se non fossero tragiche e immonde) fino alla definizione della «sindrome dell’idiot savant» introdotta da John Langdon Down nel 1887 e alla successiva messa a fuoco dell’autismo in tutte le sue varianti, compresa quella di persone colpite da gravi ritardi mentali ma dotate di altissime potenzialità. Un esempio? Kim Peek, il giovane di Salt Lake City che un secolo più tardi ispirerà il film Rain Man con Tom Cruise e Dustin Hoffman: non sapeva allacciarsi i bottoni di una camicia, ma ricordava a memoria circa dodicimila libri.

Così appare Tom quando Bethune scopre d’aver comprato un fenomeno. Dice la leggenda che, fiutato l’affare, lasci al bimbo libero accesso al piano e cerchi maestri di musica per dargli una base. «Impossibile — rispondono —, fa tutto da solo». Fatto è che nel ’57, a otto anni, debutta già alla Columbus Temperance Hall. Per cominciare subito dopo a girare l’America, al seguito di un impresario-custode che arriverà a farlo esibire fino a quattro volte in un solo giorno. Più che un concerto è uno show sul modello delle «Curiosity» che faranno la fortuna di uomini spregiudicati come Phineas T. Barnum capaci di trascinare sul palco nani lillipuziani e donne cannone e fratelli siamesi e disabili con quattro gambe come Myrtle Corbin…

Uno show orrendo (con gli occhi di oggi) e insieme stratosferico. Dove l’immenso Blind Tom mischia insieme brani di «classica» mai studiati ma impeccabili da Chopin a Mendelssohn, da Hoffman a Donizetti e perfette imitazioni di suoni e canti d’animali e sfide impossibili ai musicisti in sala che gettano lì grandinate di note sparse chiedendo che il «mostro» le ripeta uguali identificandole una ad una o che riproduca brani mai sentiti prima. Infallibile. Trionfale.

Un giorno, su un treno dell’Illinois, lo vede Mark Twain: «Un negro corpulento sul lato opposto del vagone iniziò a oscillare violentemente il suo corpo avanti e indietro e imitare con la bocca il sibilo e il rumore del treno…». «Ma chi è?», chiede. «Il famoso pianista Blind Tom». Mesi dopo, stregato, scriverà sul giornale «Alta California» di San Francisco d’esser andato a sentirlo tre sere di seguito: «Se mai c’è stato un idiota ispirato, questo è lui. Dominava le emozioni del suo pubblico come un autocrate. Li spazzava come una tempesta con i suoi pezzi forti; li cullava per farli di nuovo riposare con melodie tenere come quelle che udiamo nei sogni; li allietava con altre che ondeggiavano nell’aria incantata con la stessa gioia e allegria del pandemonio che fanno gli uccellini nei boschi della California… E ogni volta che il pubblico applaudiva quando un pezzo era finito, questo innocente felice si univa e batteva anche lui le mani…». Finché l’entusiasmo fu tale che «venne giù la sala».

Se fece lo stesso anche nei concerti-show in un tour europeo non si sa. Certo lasciò tra i giornalisti e i musicisti inglesi, nel 1866, impressioni indelebili. Era un genio? A modo suo, sicuramente. Certo pochi al mondo furono così sfruttati: nel 1870, quando fu assegnato dal giudice al suo vecchio proprietario, secondo i giornali dell’epoca arrivò a fruttare 100 mila dollari l’anno. Pari, per le stime ufficiali, a quasi due milioni di dollari di oggi. A lui e alla madre Charity finirono pochi spiccioli. Il dettaglio più osceno è però un altro. L’annuncio sul «Columbus Daily Sun», nel 1864, che Blind Tom aveva «donato 5 mila dollari» a una raccolta fondi per le «cause benevoli». Oltre 82 mila dollari di oggi. Destinati agli schiavisti. Ma che ne sapeva, l’innocente felice?

8 settembre 2020 (modifica il 8 settembre 2020

https://www.corriere.it/cultura/20_settembre_08/blind-tom-pianista-bambino-schiavo-schiavitu-thomas-green-wiggins-9b575eb4-f1e9-11ea-a04c-fd3ebc88ed6c.shtml

 

9 Settembre 2020Permalink