Gentile Presidente Giorgia Meloni,
ho letto della polemica nata dal fatto che la sua bambina l’ha accompagnata a Sharm el Sheickh dove la sua maternità – evidentemente voluta e desiderata – si è espressa nel desiderio di quella presenza.
Di fronte a quella polemica Lei ha detto: “Ho diritto di fare la madre come ritengo. Non vi riguarda”
Concordo e per oggi tralascio le considerazioni che nascono da pur ineludibili situazioni di differenza sociale per soffermarmi su una parola chiave: diritto.
Se diritto è, lo si può declinare solo in termini di uguaglianza altrimenti diventa un privilegio. Se come tale lei lo affermasse ciò andrebbe a suo disonore.
E quindi approfitto di questa lettera aperta, inviata al suo indirizzo ufficiale, per proporle qualche considerazione sul problema che la sua dichiarazione della maternità come diritto fa emergere.
Quando nel 1998 fu istituito con la cd legge Turco Napolitano il permesso di soggiorno vennero anche indicati i casi (eccezioni li chiamava e li chiama la legge) in cui non dovesse venir esibito e fra questi la richiesta di registrazione nei registri di stato civile della nascita di un figlio in Italia.
Il legislatore era evidentemente consapevole che la condizione di irregolarità dei genitori, se si fosse fatta evidente, sarebbe stata ostacolo a presentarsi allo sportello del comune e una eventuale mancanza a tale dovere si sarebbe riversata sul nato che deve essere
“registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da essi” (art. 7 legge 176/1991).
Purtroppo nel 2009 la situazione cambiò radicalmente.
Era il tempo del IV governo Berlusconi e il ministro Roberto Maroni impose il voto di fiducia alla legge 94, un coacervo di norme disparate dove un solo articolo basta a umiliare i genitori obbligandoli , se non comunitari, a presentare il permesso di soggiorno anche quando si accostino allo sportello del comune per assicurare al figlio, nato in Italia, la registrazione nei registri di stato civile.
Se mai vorrà verificare il Testo Unico sulle Immigrazioni potrà constatare che fra le eccezioni alla presentazione del permesso di soggiorno non c’è più la domanda di registrazione dell’atto di nascita del figlio nato in Italia
(dlgs 286/1998, art. 6 comma 2).
Il legislatore lo ha trasformato in un tranello per i suoi genitori, facendone una piccola spia a costo zero per chi voglia usarne per danneggiare uno straniero trasformando il momento della gioia di mettere al mondo un essere umano in una situazione di paura .
Così viene beffato l’art. 3 della legge 176 per cui “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”.
E viene beffato soprattutto il nuovo essere umano. Se non registrato sarà privo di identità, non avrà un’esistenza giuridicamente riconosciuta.
Sarà invisibile, un fantasma.
E’ chiaro che io non chiedo a Lei un intervento legislativo :
lei come ognuna/o di noi è soggetta alle leggi del paese che pur governa.
A Lei chiedo di mettersi in atteggiamento di umiltà di fronte alla consapevolezza nella gestione della sua maternità, sapendo che ad altre madri ciò è negato e che , a questo punto, il crinale fra diritto e privilegio diventa un
luogo pericoloso, un punto in cui i fondamenti della democrazia possono crollare.
L’ “adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” non ha più spazio “e il “compito della Repubblica a rimuovere gli ostacoli che […] impediscono il pieno sviluppo della persona umana” perde ogni significato.
Tutto viene soffocato da una comprensibile paura.
A Lei scrivo questa lettera aperta nelle speranza di stimolare le forze politiche presenti in Parlamento ad adoperarsi con efficacia alla modifica della legge .
A Lei chiedo, ogni volta che guarda la sua bambina e la contempla come figlia amata, di pensare alle sue simili a cui questo è negato.
I fantasmi non sono riconosciuti, non sono né figlie né figli.
Distinti saluti
Augusta De Piero