7 gennaio 2024 _ Francesca Mannocchi_ I palestinesi condannati all’esilio

Francesca MANNOCCHI
GAZA e i PALESTINESI condannati all’ESILIO
(LA STAMPA, 5 gennaio 2024)
Una Striscia senza palestinesi per il governo Netanyahu è «imperativo morale». Secondo il ministro Smotrich, il 90 per cento dei gazawi deve andarsene: «Paesi africani e dell’America Latina sono disposti ad assorbire i rifugiati»
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Mentre il bilancio delle vittime della guerra supera le 22 mila persone, gli esponenti politici israeliani diventano sempre più espliciti nell’obiettivo di trasferire il maggior numero di abitanti di Gaza al di là dei confini della Striscia. Le dichiarazioni, sempre più numerose e sempre più trasparenti, stanno suscitando gli allarmi delle organizzazioni umanitarie e degli alleati di Tel Aviv, soprattutto gli Stati Uniti. Allarmi che però, continuano a cadere nel vuoto.
Domenica scorsa, il ministro delle finanze Bezalel Smotrich, al vertice del partito ultranazionalista Sionismo religioso, riferendosi a Gaza, ha parlato di un ghetto in cui è necessario incoraggiare l’emigrazione. «Per evitare che Gaza resti un focolaio in cui due milioni di persone crescano nell’odio aspirando a distruggere Israele» Smotrich suggerisce che almeno il 90% della popolazione debba andarsene.
«Se a Gaza ci saranno 100 o 200 mila arabi, e non più due milioni – ha detto – parlare del “giorno dopo” sarà diverso».
È questo il tema della discussione oggi: parlare del giorno dopo. La strategia sul presente della guerra è la strategia sul futuro della Striscia. Cosa sarà domani delle persone che oggi sono di fatto intrappolate in una prigione a cielo aperto e sul cui destino molti esponenti della leadership israeliana, sembrano avere le idee chiare: ristabilire l’insediamento ebraico nel territorio e incoraggiare i palestinesi ad andarsene. Scenario che per i gazawi rappresenta la messa in atto dell’incubo di una seconda catastrofe, la Nakba, lo sfollamento forzato seguito alla guerra del 47-49, e che per gli osservatori della politica israeliana, rappresenta le ambizioni delle frange più estremiste del governo Netanyahu, a cui il Primo Ministro deve la formazione dell’ultimo governo, il sostegno politico e quindi la speranza che la sua leadership non termini con la fine della guerra.
«Incoraggiare i trasferimenti»
Il progetto di trasferire o incoraggiare lo spostamento “volontario” dei palestinesi da Gaza era, un tempo, una posizione marginale all’interno della società israeliana, per lo più sostenuta dai Kahenisti. Questa idea è andata via via normalizzandosi dopo la formazione dell’ultimo governo Netanyahu, lo scorso anno ed estremizzata dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Per gli esponenti politici e gli aperti sostenitori delle tesi Kaheniste, la strage di ottobre e la guerra che ne è seguita sono diventate «un’opportunità per concentrarsi sull’incoraggiamento dei residenti di Gaza a migrare», queste le parole del ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir per cui il trasferimento dei gazawi è una «scelta corretta, giusta, morale ed umana».
A novembre, i deputati Danny Danon del Likud, ex ambasciatore presso le Nazioni Unite, e Ram Ben Barak del partito di opposizione Yesh Atid, ex vicedirettore del Mossad, hanno scritto sul WSJ un editoriale dal titolo: «Il mondo dovrebbe accogliere i rifugiati di Gaza, anche se i Paesi accogliessero solo 10.000 persone ciascuno, ciò aiuterebbe ad alleviare la crisi», terminando l’appello con queste parole: «La comunità internazionale ha l’imperativo morale – e l’opportunità – di dimostrare compassione, aiutare il popolo di Gaza a muoversi verso un futuro più prospero e lavorare insieme per raggiungere maggiore pace e stabilità in Medio Oriente» .
A dicembre il ministro dell’Intelligence Gila Gamliel ha pubblicato un editoriale sul Jerusalem Post usando parole analoghe, invitando i paesi occidentali ad accogliere i residenti della Striscia di Gaza, in un atto di «reinsediamento volontario». In risposta alla richiesta di Gamliel di istituire una task force sul tema, Netanyahu la settimana scorsa ha ammesso che il governo sta lavorando per facilitare il movimento dei gazawi fuori confine. «Il problema – ha detto – è trovare Paesi disposti ad assorbirli, stiamo lavorando su questo».
La settimana scorsa sempre Danny Danon ha rincarato la tesi del gesto umanitario: «Israele deve rendere più facile per gli abitanti di Gaza partire verso altri Paesi. Un’immigrazione volontaria dei palestinesi che vogliono andarsene», ha detto, aggiungendo di essere già stato contattato da «Paesi africani e dell’America Latina disposti ad assorbire i rifugiati dalla Striscia di Gaza».
Secondo fonti anonime del gabinetto di sicurezza citate dalla testata Zman Israel il Congo sarebbe stato disposto ad accogliergli. Tra gli intermediari sul reinsediamento dei palestinesi in altri Paesi, secondo il canale israeliano Channel 12, anche l’ex primo ministro britannico Tony Blair (ma il Tony Blair Institute for Global Change, un’organizzazione no-profit da lui fondata nel 2016) ha smentito gli incontri con Gantz e Netanyahu su questo tema: «Tony Blair non sosterrebbe una simile discussione, l’idea è sbagliata di principio. Gli abitanti di Gaza dovrebbero poter restare e vivere a Gaza», scrivono nel comunicato. Le indiscrezioni di Channel 12, arrivavano dopo che due ministri del governo di estrema destra hanno ipotizzato che i coloni potranno tornare nella Striscia di Gaza a guerra finita.
Sono molti i politici israeliani che hanno cominciato esplicitamente a chiedere il ripristino degli insediamenti israeliani a Gaza (i coloni israeliani si sono ritirati dalla Striscia nel 2005), e in un recente articolo del Jerusalem Post, un geografo israeliano, ha definito la penisola egiziana del Sinai «un luogo ideale per sviluppare un ampio reinsediamento per la popolazione di Gaza».
Nelle ultime settimane sono state diffuse molte immagini di soldati israeliani che si sono ritratti nel territorio della Striscia, con cartelli che riportavano le scritte «Siamo tornati!» e «Siamo qui per restare!».
Ovviamente queste immagini hanno allarmato la comunità internazionale e confermato l’idea che il piano di Israele sia quello di sfollare forzatamente e in maniera permanente i palestinesi.
La fame di Gaza
La guerra a Gaza ha già costretto allo sfollamento la stragrande maggioranza della popolazione. Dall’inizio dell’offensiva Israele ha ripetutamente esortato i civili a spostarsi verso sud, in aree presentate come «più sicure», nei fatti però i bombardamenti hanno seguito il flusso di persone e oggi anche i grandi centri meridionali sono sotto bombardamenti continui, le infrastrutture e le abitazioni sono devastate e un milione e mezzo di persone devono far fronte a necessità mediche enormi e a una carestia incombente.
A dicembre le Nazioni Unite hanno definito la situazione a Gaza catastrofica, avvertendo che oltre il novanta per cento della popolazione si trova ad affrontare «una grave insicurezza alimentare» e dove «praticamente tutte le famiglie saltano i pasti ogni giorno».
Il rapporto rilevava che i livelli di fame rappresentano «la percentuale più alta di persone che affrontano livelli elevati di insicurezza alimentare acuta» mai registrata «per una determinata area o Paese».
Secondo Arif Husain, capo economista del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, intervistato il 3 gennaio dal New Yorker, a Gaza in questo momento praticamente l’intera popolazione di 2,2 milioni di persone si trova in una crisi di sicurezza alimentare. «Faccio questo lavoro da vent’anni e sono stato testimone di ogni tipo di conflitto e di ogni tipo di crisi – ha detto –. E, per me, questa situazione non ha precedenti, non ho mai visto nulla di simile in termini di gravità, di scala e quindi di velocità. A Gaza c’è una doccia ogni 450 persone, c’è un bagno ogni 220 persone. Più di 1 milione e mezzo di persone vive in luoghi molto congestionati. Un quarto della popolazione versa già in livelli catastrofici di fame. Se ciò che sta accadendo continua o peggiora, molto presto, entro i prossimi sei mesi, avremo una vera e propria carestia».
L’espulsione dei gazawi come «atto morale»
In una lunga e dettagliata ricostruzione sulla diffusione delle tesi kahaniste nella società israeliana, a novembre il quotidiano Hareetz, ha pubblicato un lungo articolo dal titolo: La destra israeliana sta cercando di riformulare il trasferimento della popolazione di Gaza come un «atto morale». L’idea di espellere gli arabi verso altri Paesi un tempo, dice Haaretz, era legata a Meir Kahane e ad altri radicali di estrema destra, e quindi considerata un anatema dalla maggior parte degli israeliani.
Oggi la situazione è cambiata e l’idea sta guadagnando terreno come soluzione «morale» alla guerra. Rimettendo in fila i passaggi che hanno reso esplicito, accettabile nella società israeliana questo scenario, Hareetz ne ricostruisce alcuni passaggi di comunicazione nei tre mesi di guerra: a un mese dall’inizio dell’offensiva, il conduttore televisivo Guy Lerer scrisse sui suoi social: «Perché milioni di rifugiati siriani sono andati in Turchia e milioni di ucraini sono andati in tutte le parti d’Europa? – perché in ogni guerra esistono i rifugiati ad eccezione della guerra nella Striscia di Gaza?». Lo stesso giorno su Channel 12, il canale informativo più seguito del paese, il parlamentare Ram Ben Barak disse: «Se consideriamo tutta Gaza composta da rifugiati, disperdiamoli in giro per il mondo. Ci sono 2,5 milioni di persone lì. Ogni Paese potrebbe accogliere 20.000 persone – 100 Paesi. È umano, è logico, meglio essere un rifugiato in Canada che un rifugiato a Gaza. Se il mondo vuole davvero risolvere questo problema, può farlo». Sia Lerer che Ben Barak sono seguaci delle idee del rabbino ultranazionalista Meir Kahane, ma quello che è interessante e inquietante allo stesso tempo è che le loro tesi, che un tempo sarebbero state appannaggio dell’estrema destra, oggi stanno diventando sentire comune nella società israeliana.
Dieci giorni dopo la strage del 7 ottonre, era stato pubblicato un documento che cercava di dare legittimità all’idea del trasferimento della popolazione. Il dottor Raphael BenLevi, dell’organizzazione di destra Tikvah Fund e ricercatore presso l’Istituto Misgav per la sicurezza nazionale e la strategia sionista, sempre citato da Haaretz, ha scritto che l’unico modo per stabilizzare il confine sud di Israele «è agire per spingere la popolazione nella penisola del Sinai e creare un’iniziativa internazionale per assorbire gli sfollati del Sinai in paesi stranieri. Nonostante l’opposizione prevista, Israele deve agire per creare una situazione intollerabile a Gaza, che obbligherà altri Paesi ad aiutare la partenza della popolazione – e gli Stati Uniti a esercitare forti pressioni a tal fine».
Come a dire: quanto più la situazione a Gaza sarà intollerabile, tanto più i civili spingeranno per lasciare la Striscia. E, di conseguenza, sarà inevitabile che gli sforzi diplomatici cominceranno a muoversi per convincere i paesi arabi ad accogliere i rifugiati e i paesi Occidentali a fare la loro parte.
A cercare di piegare l’espulsione dei gazawi secondo queste tesi è anche un articolo uscito su Hashiloach, ad ottobre, dal titolo: «Necessario, morale e possibile: non tornare a Gaza». L’autore, Yoav Sorek, presenta delle argomentazioni «etiche» alla sua tesi, passaggio che Haaretz definisce un «sofisticato upgrade per i Kahanisti».
Sorek sa che il rischio del trasferimento forzato, che è un crimine di guerra, rischia di provocare l’isolamento di Israele dai suoi alleati internazionali, perciò delinea una tesi secondo cui l’unico modo per abbandonare l’invito alla vendetta e l’uccisione dei civili, è trasferire la popolazione. «Il trasferimento di una popolazione o l’attuazione di uno scambio di popolazione sono pratiche pervasive nella risoluzione dei conflitti e sono completamente indipendenti al crimine noto come “pulizia etnica”».
Trasferire per non uccidere dunque. Questo lo scambio esplicitamente proposto dalle frange estremiste della politica e, dunque, della società israeliana, questo il dilemma morale di cui l’Occidente e i Paesi arabi stanno prendendo coscienza.
In tale contesto la migrazione presentata come “volontaria” equivale sempre di più a uno sfollamento forzato illegale.
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7 Gennaio 2024Permalink