Dal 1992 vive in Italia Božidar Stanišić, scrittore bosniaco per non trovarsi a combattere su un territorio che allora stava perdendo anche il nome : lo chiamavamo ex Jugoslavia
Ormai cittadino italiano vive con noi la situazione confusa che caratterizza questo indecifrabile occidente .
In occasione della giornata della memoria mi ha inviato qualche pagina (che in parte riporto) dal romanzo dello scrittore Ivan Ivanji,
“La mia bella vita all’inferno”
Riporto telegraficamente alcuni fatti necessari per fornire un’immagine esplicativa dell’andamento della mia bella vita scandita da brevi viaggi all’inferno. La zia Olga, suo marito Endre, mia sorella Ildi, come anche la nonna materna Gizela, sopravvissero al campo di concentramento di Bergen-Belsen e tornarono a Subotica. Lo zio Pišta, sua moglie e i loro due figli morirono soffocati dai gas di scarico, trasportati dal lager di Staro Sajmište per le vie di Belgrado su quel camion speciale delle SS, “dušegupka”, di cui si è già scritto molto, però per me questo è un capitolo concreto della mia storia familiare. Anche mia madre fu uccisa allo stesso modo. Mio padre fu internato nel campo di Topovske šupe, poi lo prelevarono e lo fucilarono come ostaggio. Avevo un altro zio, Saša, l’avevo visto solo una o due volte nella vita, dicono che era ricco e bello. Fu ucciso a Jasenovac insieme alla moglie e ai due figli. Un altro zio, Imre, ingegnere, sposato con una donna serba, Budimka, trascorse gran parte del periodo bellico dalle nostre parti, in un luogo sperduto, dove i suoi muratori lo nascosero. Riassumendo, mia nonna, una volta tornata dal campo di concentramento, non poté che constatare di aver perso tre figli, mentre altri due si salvarono, un bilancio assai positivo per una famiglia ebrea dalle nostre parti. Si può dire così? Beh, io lo posso dire, ma guai a chi si azzarda a utilizzare tali toni per parlare di quell’inferno che fu il prologo alla mia bella vita.
…In ogni epoca – passata o contemporanea – il tempo del Male comprende momenti di impotenza e paura tremenda. Si pensi alle Sabine di fronte ai romani, agli ebrei di fronte alle SS, a Goethe davanti ai soldati sfrenati di Napoleone. Tuttavia, come già detto: l’ex campo di concentramento di Buchenwald lassù – la violenza – e la casa in Piazza Frauenplan a Weimar – Goethe – distano tra loro solo pochi chilometri in linea d’aria. In nessun altro posto al mondo il simbolo del Male assoluto e quello della grandezza umana assoluta sono così vicini l’uno all’altro. Da sedicenne, a Buchenwald, sulla collina di Etersburg, vicino a Weimar, non ne sapevo nulla. Non conoscevo nemmeno la leggenda della quercia di Goethe nello stesso campo. Di tanti fatti non sappiamo nulla, di molte leggende quasi nulla.
Il 16 settembre del 1939 il governo del Regno di Jugoslavia emanò due decreti riguardanti gli ebrei, di cui uno interessava anche me. Il primo decreto vietava agli ebrei qualsiasi commercio di generi alimentari. Allora? I miei genitori erano medici. Il secondo però riguardava proprio me, cioè “le persone di origine ebraica” e la loro istruzione nelle scuole superiori e nelle università. Nessuna scuola poteva accettare una percentuale di [alunni] ebrei superiore alla percentuale di ebrei sul totale della popolazione. Mio padre cercò di spiegarmelo, ritenendo che per via di tutti questi cambiamenti io dovessi essere particolarmente diligente e obbediente, ma io dissi: “Se mi vieteranno di studiare, diventerò il capitano di una nave”.
La notte di Capodanno 1941. L’ultima, ma anche la prima festeggiata in quel modo con papà. Stavo per compiere dodici anni, di certo non potevo sapere che una notte così non si sarebbe mai ripetuta, ma perché mio padre non lo aveva nemmeno intuito? Oppure lo aveva intuito? Non ricordo se nevicava. Sembra che proprio quei tasselli di memoria che dovrebbero rivelarmelo siano andati perduti. Sicuramente nevicava. Oggi mi sembra che prima del Tempo del Male tutto fosse ordinato e prevedibile. Se non a fine novembre, a inizio dicembre sicuramente cominciò a nevicare. Papà decise di trascorrere la notte di Capodanno solo con mia sorella e me. Non so dove fossero la mamma e la governante. Di sicuro cenammo, ma ormai non ricordo cosa. Di nuovo compare solo qualche tessera del mosaico. Tantissimi tasselli sono scomparsi. Papà aveva quarantadue anni. Giocammo a ramino.
… Ne tanto meno pensavamo che circa un anno e dieci mesi più tardi sarebbe stato fucilato Papà