Avvenire 24 settembre 2025.
Chiese unite sul confine « Da questa terra ferita il nostro Grido di pace » di Giacomo Gambassi inviato a Gorizia
«A 80 anni dalla fine della seconda Guerra mondiale, in un tempo sempre più dilaniato da conflitti violenti, noi, Chiese in Italia, Slovenia e Croazia, leviamo insieme, con forza, il nostro grido di pace». Vescovi e giovani, gli uni accanto agli altri, di tre Paesi che per decenni anni la geopolitica con la sua cortina di ferro ha etichettato come “nemici” si ritrovano lungo il confine, figlio dell’ultima guerra mondiale, che ancora taglia a metà piazza Transalpina a Gorizia e che passa davanti alla stazione ferroviaria di Nova Gorica. Da una parte, l’Italia; dall’altra, le terre dell’ex Jugoslavia. Confine ormai soltanto sulla carta, dove fino a ventuno anni fa correva il filo spinato e poi il cemento e la recinzione che, in mezzo alle case e alle strade, avevano diviso la città e di fatto ne avevano create due: Gorizia e Nova Gorica. Di quella “linea del terrore” resta un’impronta circolare nel cuore della piazza che è oggi simbolo della riconciliazione oltre le ferite della storia. Ed è da qui che viene lanciato l’Appello per la pace nel mondo voluto dalle Chiese dei tre Paesi e firmato questa sera poco dopo le 8 di sera dai presidenti delle tre Conferenze episcopali: il cardinale Matteo Zuppi per quella italiana; il vescovo di Novo Mesto, Andrej Saje, per quella slovena; e l’arcivescovo di Zagabria, Drazen Kutlesa per quella croata. Con loro, i ragazzi «germogli di pace», come vengono definiti nel testo, «in questa terra di confine che porta ancora i segni di tragiche esperienze di guerra e di violenza, ma che è anche crocevia di dialogo interculturale, ecumenico e interreligioso».
Il documento viene letto prima della veglia di preghiera che si tiene nella chiesa di Maria Santissima Regina, nei pressi del confine-non confine fra Italia e Slovenia. L’unica navata non riesce a contenere la folla. La pioggia costringe a spostare dalla piazza all’interno l’appuntamento che la Cei ha voluto proprio a Gorizia dove ha “trasferito” per tre giorni il Consiglio permanente. Una preghiera che «parte da questo territorio, si estende a tutti i Balcani e si allarga fino ad unire, in un unico abbraccio, Terra Santa, Ucraina e tutte le altre zone insanguinate dalla guerra», prosegue l’Appello. Perché «non possiamo rimanere in silenzio di fronte alla drammatica escalation di violenza, al moltiplicarsi di atti di disumanità, all’annientamento di città e di popoli. Il grido che sale da molte parti del Pianeta è straziante e non può restare inascoltato».
Le tre Chiese si fanno interpreti del “sogno di fraternità” che sale dal basso e che le località dell’Isonzo hanno saputo trasformare in realtà. «Esprimiamo e incarniamo nel quotidiano questo anelito per superare frontiere e barriere, troviamo insieme la forza, il coraggio, la determinazione per spezzare ogni spirale di risentimento e di violenza – evidenzia il documento –. Guardando oltre i confini nazionali, non più linee di separazione, ma luoghi di amicizia e incontro, comprendiamo che le identità culturali e spirituali nazionali si fondono oggi in un più alto e condiviso patrimonio identitario europeo» Come testimoniano Gorizia e Nova Gorica unite quest’anno dall’esperienza della Capitale europea della cultura: la prima Capitale transfrontaliera della cultura. « »
Tutto ciò, aggiungono i vescovi, «richiama ed esige coraggiose e feconde esperienze», per « perdonare e chiedere perdono, dalle quali può sorgere il bene assoluto della pace, secondo le intuizioni dei “padri fondatori” dell’Europa comunitaria.
Un’Europa di pace, aperta al mondo, capace di ispirare fratellanza e universalismo ben al di là della sua geografia». Visione che contrasta con un continente che ha appena varato un piano di riarmo e che è attraversato da venti bellicisti.
«Dio vuole la pace e noi siamo i suoi artigiani», è il compito che si assume il mondo cattolico. Poi il richiamo alle parole che Leone XIV aveva rivolto ai vescovi italiani nella prima udienza alla Cei lo scorso giugno.
«Ci impegniamo – assicura l’appello – a essere “case della pace” e a promuovere nei nostri territori, con i giovani, le famiglie, le scuole proposte di educazione alla nonviolenza, iniziative di accoglienza che aiutino a trasformare la paura dell’altro in occasioni di scambio».
A partire dalle bussole che sono antidoto a conflitti e soprusi: il «rispetto dell’inalienabile dignità di ogni persona, dal concepimento alla morte naturale»; la «vicinanza ai poveri, ai malati e agli anziani»; «la verità e la giustizia»; la «libertà religiosa, diritto umano fondamentale»; la «guarigione delle ferite storiche»; la «cura del Creato, che siamo chiamati a custodire e a consegnare alle nuove generazioni».
Infine l’invito ai «responsabili dei popoli» perché puntino sulla «nonviolenza, il dialogo, l’ascolto» e «favoriscano soluzioni capaci di garantire sicurezza e dignità per tutti». « »
La serata si apre con i saluti dell’arcivescovo di Gorizia, Carlo Roberto Maria Redaelli, padrone di casa, e del vescovo di Capodistria, Peter Stumpf, nel cui territorio si trova Nova Gorica. E con gli interventi dei sindaci delle due città, Rodolfo Ziberna e Samo Turel. Una presenza che dice come la politica «apprezzi i valori cristiani che costruiscono ponti di pace», sottolinea Stumpf. «Da Gorizia, con l’esperienza che ha reso le frontiere delle cerniere, diciamo a chi è nella disperazione: la pace è possibile – incoraggia il cardinale Zuppi nell’omelia -. Di fronte alla violenza che si profila come uno spettro apocalittico armato da inauditi strumenti di micidiali distruzioni, non vogliamo che la pace diventi di nuovo una tregua, quasi sia ineluttabile la guerra».
Da qui la richiesta di «pace per la Striscia di Gaza, pace per l’Ucraina, pace per tutti i conflitti che sono pezzi di quell’unica guerra mondiale».
Il presidente della Cei punta l’indice contro le «ideologie totalitarie» e i «nazionalismi che hanno reso l’altro solo un nemico». E sprona a superare il «senso di impotenza» e a «disarmare i cuori» praticando «l’amore del prossimo, la giustizia, il perdono cristiano» e «non rifiutando qualche sacrificio che, senza offendere la dignità di chi si fa generoso, renda la pace più rapida, cordiale e duratura».
Nella veglia vengono ripercorse le intuizioni profetiche degli ultimi Papi: dall’«inutile strage» di Benedetto XV all’urgenza di essere «artigiani» di pace «nei luoghi della vita quotidiana» di Leone XIV.
Parole che sono pronunciate in quattro lingue: italiano, sloveno, croato e friulano.
E alla fine il popolo della pace che raccoglie tre nazioni raggiunge piazza Transalpina, il punto della frontiera e dell’incontro, dove, dopo una processione nel cuore della notte ma illuminata dalla luce della candele, viene recitata la preghiera dell’unità: quella del “Padre nostro”.
Pubblichiamo qui di seguito il testo dell’appello per la pace pronunciato questa sera in piazza Transalpina durante la Veglia di preghiera per la pace nel mondo, alla quale ha preso parte una rappresentanza di giovani italiani e sloveni.
A 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, in un tempo sempre più dilaniato da conflitti violenti, noi, Chiese in Italia, Slovenia e Croazia, leviamo insieme, con forza, il nostro grido di pace e il nostro appello, perché ogni comunità cristiana sia protagonista di speranza, vigile e attiva nel promuovere e sostenere cammini di riconciliazione.
Siamo qui con i giovani, “germogli di pace”, in questa terra di confine che porta ancorai segni di tragiche esperienze di guerra e di violenza, ma che è anche crocevia di dialogo interculturale, ecumenico e interreligioso. Non a caso, san Giovanni Paolo II definì Gorizia «la porta dell’Italia, che pone in comunicazione il mondo latino con quello slavo: porta aperta sull’est euro- peo e sull’Europa centrale» (2 maggio 1992).
La nostra preghiera parte da questo territorio, si estende a tutti i Balcani e si allarga fino ad unire, in un unico abbraccio, Terra Santa, Ucraina e tutte le altre zone insanguinate dalla guerra. Non possiamo restare in silenzio di fronte alla drammatica escalation di violenza, al moltiplicarsi di atti di disumanità, all’annientamento di città e di popoli. Il grido che sale da molte parti del Pianeta è straziante e non può restare inascoltato.
Dio vuole la pace e noi siamo i suoi artigiani. Esprimiamo e incarniamo nel quotidiano questo anelito per superare frontiere e barriere, troviamo insieme la forza, il coraggio, la determi- nazione per spezzare ogni spirale di risentimento e di violenza.
Guardando oltre i confini nazionali – non più linee di separazione, ma luoghi di amicizia e incontro fra i popoli – comprendiamo che le identità culturali e spirituali nazionali si fondono oggi in un più alto e condiviso patrimonio identitario europeo. Questo richiama ed esige coraggiose e feconde esperienze di riconciliazione, per perdonare e chiedere perdono, dalle quali può sorgere il bene assoluto della pace, secondo le intuizioni dei “padri fondatori” dell’Europa comunitaria. Un’Europa di pace, aperta al mondo, capace di ispirare fratellanza e universalismo ben al di là della sua geografia.
Noi, Chiese in Italia, Slovenia e Croazia, ci impegniamo a essere “case della pace” e a promuovere – nei nostri territori, con i giovani, le famiglie, le scuole – proposte di educazione alla nonviolenza, iniziative di accoglienza che aiutino a trasformare la paura dell’altro in occasioni di scambio, momenti di preghiera e attività che favoriscano la cultura dell’incontro, del dialogo ecumenico e interreligioso, del disarmo e della solidarietà.
Noi, Chiese in Italia, Slovenia e Croazia, ci impegniamo per il rispetto dell’inalienabile dignità di ogni persona, dal concepimento alla morte naturale; per la vicinanza ai poveri, ai malati e agli anziani; per la verità e la giustizia come cardini della vita comune; per la libertà religiosa, diritto umano fondamentale; per la riconciliazione e la guarigione delle ferite storiche; per la cura del Creato, che siamo chiamati a custodire e a consegnare alle nuove generazioni migliore di come lo abbiamo ricevuto.
Unite dall’unico anelito di pace, riaffermiamo la nonviolenza, il dialogo, l’ascolto e l’incontro come metodo e stile di fraternità, coinvolgendo tutti, a partire dai responsabili dei popoli e delle nazioni, perché favoriscano soluzioni capaci di garantire sicurezza e dignità per tutti. Per questo, offriamo la nostra testimonianza e la nostra azione.
Matteo Card. Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana
Andrej Mons. Saje, presidente della Conferenza episcopale slovena
Dražen Mons. Kutleša, presidente della Conferenza episcopale croata
E non manca il richiamo alla tragedia che si consuma in Palestina
«Violenza inaccertabile contro un intero popolo». «Esilio forzato della popolazione palestinese». «Inutile strage». Sono parole inequivocabili quelle che arrivano dai vescovi italiani sulla tragedia di Gaza. Contenute nella Nota approvata dal Consiglio permanente che per tre giorni si è riunito a Gorizia, la terra che racconta una riconciliazione possibile oltre gli scontri, le guerre, i nazionalismi e le ideologie. Una Nota targata Cei che è prima di tutto una «denuncia», come si legge nel testo diffuso ieri. «Perché la vicinanza della Chiesa all’uomo di ogni tempo comporta anche la denuncia di situazioni incompatibili con la sua dignità», spiega il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, l’arcivescovo Giuseppe Baturi, nella conferenza stampa in cui presenta il documento. “Sia pace in Terra Santa”, il titolo. «Vogliamo essere desti di fronte agli eventi della storia e critici di fronte a scelte che provocano morte e distruzione», dicono i vescovi. Da qui il grido: «Chiediamo con forza che a Gaza cessi ogni forma di violenza». L’arcivescovo Baturi cita il cardinale presidente Matteo Zuppi che aveva già puntato l’indice contro le «sofferenze ingiustificabili, intollerabili, inconcepibili» che si vivono nella Striscia.