17 maggio 2019 – La memoria del presente: ieri a Trieste oggi a Palermo

L’anno scorso: 15 ottobre 2018 – 75 anni fa: 16 ottobre 1943,
dalla riprovazione di un’iniziativa alla condanna di una insegnante

Il 15 ottobre 2018 una pagina del mio blog annunciava la soluzione positiva della vicenda di un lavoro degli studenti del Liceo Petrarca che avevano analizzato l’espulsione degli ebrei dalle scuole del regno – imposta dalle leggi razziali del 1938 – con un lavoro svolto nell’ambito dei progetti di alternanza scuola lavoro previsti anche dal MIUR.      [fonte 1]
Al lavoro degli studenti avevano contribuito il Dipartimento di studi umanistici dell’Università di Trieste, il Museo della comunità ebraica di Trieste “Carlo e Vera Wagner” e l’Archivio di Stato in occasione degli ottanta anni dalla promulgazione delle leggi razziali
Tutto si era concluso con una mostra cui in un primo tempo il sindaco –che avrebbe dovuto assicurare una sala per esporla – aveva espresso il suo diniego con una battuta che, se non fosse stata pronunciata nel mezzo del ricordo di una tragedia, direi ridicola.
“Quando ho visto quel titolo del Piccolo dell’epoca, così estremamente pesante, e con quella scritta lì sotto sul razzismo mi è sembrato esagerato. Dico io, dobbiamo ancora sollevare quelle cose? Io andrò a condannare la promulgazione delle leggi razziali con una grande manifestazione in consiglio comunale e con l’inserimento di una targa fatta dall’unione delle comunità ebraiche. Chiedevo solo di ammorbidire quel manifesto: per non accendere, cioè, rancori né da una parte né dall’altra”.

La mostra negata fu poi presentata e, da Trieste, si spostò altrove accompagnata anche dal documentario di Sabina Benussi “1938 Vita amara”.
Nessuna autorità preposta alla ‘vigilanza’ nelle scuole trovò nulla da dire. L’opinione pubblica protestando ne aveva assicurato la pubblica presentazione.                                                                                                                                                                                       [fonte 2]

Oggi a Palermo : l’autorità vigilante sulla scuola si è scossa                         [fonte 3]
Una docente d’italiano in servizio all’istituto tecnico industriale “Vittorio Emanuele III” di Palermo, Rosa Maria Dell’Aria, è stata sospesa dall’insegnamento a seguito di un’ispezione dell’ufficio scolastico regionale, perché accusata di omessa vigilanza. Per 15 giorni quindi è stata allontanata dalla scuola con stipendio dimezzato per non aver vigilato sulla produzione di un filmato realizzato dai suoi alunni lo scorso 27 gennaio, in occasione della Giornata della memoria.
Il filmato accostava la promulgazione delle leggi razziali del 1938 al recente “decreto sicurezza” del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Un paragone definito “demenziale” dallo stesso vice premier, mentre il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti ha chiesto ai propri uffici un “approfondimento” della vicenda con l’ufficio provinciale che ha assunto il provvedimento.

La voce dignitosa della prof. Dall’Aria si può ascoltare da varie fonti.
Segnalo Il Sole 24ore                                                                                                               [fonte 4]

Dice la Costituzione
Articolo 33. L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento..

  Un articolo importante che sembra avere per esegeti ufficiali tre chiacchierate signore .

 

Un codicillo serale per un articolo interessante

Giuseppe Savagnone

Direttore Ufficio Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Palermo.
Scrittore ed Editorialista.

https://www.tuttavia.eu/2019/05/17/i-chiaroscuri-la-scuola-alla-prova-del-nuovo-fascismo/?fbclid=IwAR1R3MnzhuyiOBb8uLcvowyuvSb8aIpq0-UBQPaeKEOwvGlP8COQeNGR1-4

[fonte 1]   https://diariealtro.it/?p=6164
[fonte 2]
https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/trieste-la-locandina-non-piace-al-comune-salta-la-mostra-razzismo-in-cattedra-polemiche-e-dietrofront_3163431-201802a.shtml
[fonte 3]
http://www.ansa.it/sicilia/notizie/2019/05/16/prof-sospesa-mia-vita-dedicata-a-scuola_0827408b-4aed-4247-afc9-5d7b05ea2444.html
Segnalo che i mezzi di informazione non si sono sottratti al loro dovere e si trovano notizie nel merito nei siti de Il Sole 24 ore, Corriere della sera, La Repubblica il cui articolo consente anche di vedere le due immagini eversive.

https://video.repubblica.it/edizione/palermo/palermo-la-docente-sospesa-per-il-video-su-salvini-ecco-le-immagini-contestate-nessuno-e-stato-offeso/334679/335280?ref=RHPPLF-BH-I226461865-C4-P5-S1.4-T1

[fonte 4]
https://stream24.ilsole24ore.com/video/notizie/studenti-accostano-salvini-duce-prof-sospesa-diventa-caso/ACpNUqD

17 Maggio 2019Permalink

4 maggio 2019 – Sostituzione di popoli con popoli

Deja vu: Bambini confezionati e madri fattrici

Un testo del 29 aprile scorso.
Trasecolo e, prima di pubblicare ascolto la registrazione . Corrisponde allo scritto alla cui fonte si può accedere con il link in calce.

Adulto confezionato a gloria dell’impero

LA CRONACA
Matteo Salvini a Cantù si scaglia contro i bambini «confezionati in Africa» – Video
Redazione – 29/04/2019

Durante il comizio in favore della candidata sindaca leghista, il vicepremier ha parlato di «sostituzione dei popoli», facendo riferimento ai bambini stranieri

Dal palco di Piazza Garibaldi a Cantù, in provincia di Como, nella sua Lombardia, per lanciare la vicesindaca leghista Alice Galbiati, in corsa per diventare prima cittadina, il vicepremier si è rivolto agli spettatori, invitando i bambini sul palco: «Ci sono dei bimbi che vogliono salire? Venite su».
Poi, dopo aver fatto i complimenti a una coppia di genitori con sei figli – «Tenete su l’economia del Paese!» – Salvini si è rivolto alla platea: «È questa l’Italia a cui stiamo lavorando, [vogliamo] che i figli nascano in Italia e che non ci arrivino sui barconi dall’altra parte del mondo già confezionati», un chiaro riferimento all’esodo di migranti e di profughi dal nord Africa.

Ai microfoni dei giornalisti il vicepremier ha poi accusato «una certa sinistra» di incoraggiare l’immigrazione per rimediare alla crisi demografica in Italia e per alimentare la forza lavoro del Paese, dicendosi contrario. «Io sono al Governo per aiutare gli italiani a fare figli, perché accogliere chi scappa dalla guerra è giusto, ma le sostituzioni di popoli con altri popoli non mi piacciono».

Una frase – «sostituzioni di popoli con popoli» – usata spesso dai suprematisti bianchi, come nel caso del terrorista del 28enne australiano Brenton Tarrant che a marzo ha ucciso a colpi di arma da fuoco 49 musulmani mentre pregavano in alcune moschee a Chirstchurch, in Nuova Zelanda.
Nel manifesto in cui spiegava le ragioni dell’attentato Tarrant faceva riferimento alla Grande sostituzione, una teoria cospirazionista per cui ci sarebbe in atto una sostituzione sistematica delle popolazioni bianche da parte di persone provenienti in particolare dal Medio Oriente e dall’Africa sub-sahariana attraverso migrazioni di massa.
Durante il comizio a Cantù, il vicepremier ha parlato di truffe agli anziani, del traffico di droga e di maltrattamenti di animali. Nessun accenno alla criminalità organizzata, nonostante in passato sia stata rilevata la presenza dell’ndrangheta nella cittadina.
Fonte video: YouTube/Davide Cantoni

https://www.open.online/cronaca/2019/04/28/video/salvini_cantu_no_bambini_confezionati_africa-202020/

4 Maggio 2019Permalink

3 maggio 2019 – Leonardo da Vinci morì 500 anni fa.

2 maggio   – Un uomo senza fucile.

Leonardo da Vinci e la responsabilità della scienza e della tecnica.
Leonardo progettò macchine per immergersi, escogitando una possibilità di respirazione per chi lo facesse, ma….:
“E questo non pubblico o divolgo per le male nature delli omini, li quali userbono le assassinamenti nel fondo de’ mari col rompere i navili in fondo e sommergeli insieme colli omini che vi son dentro”.

Era un ricordo di molti anni fa e i continui richiami a Leonardo (ieri cadevano i 500 anni dalla sua morte) l’immagine che mi suscitava la parola “assassinamenti” mi tormentava e non mi sono data pace finché non l’ho trovata.
Oggi so che si trova nel Codice Atlantico

Nato il 15 aprile 1452, Leonardo morì in Francia il 2 maggio del 1519

3 Maggio 2019Permalink

1 maggio 2019 – Calendario

.1 maggio – Giornata internazionale del lavoro [fonte 1]
.1 maggio 1947 – Strage di Portella della Ginestra. [fonte 2 ]
.2 maggio 1519 – Morte in Francia di Leonardo Da Vinci
.2 maggio 2011 – Uccisione di Osama Bin Laden ad Abbottabad (Pakistan)
…………………………….Operazione Neptune Spear
.2 maggio 2017 – Muore il giornalista Valentino Parlato
.3 maggio – Giornata internazionale della libertà di stampa
.3 maggio 1476 – Nascita di Machiavelli
.4 maggio 1949 – L’Italia entra ufficialmente nella NATO
.5 maggio 1818 – Nasce Karl Marx
.5 maggio 1981 – Morte di Bobby Sand (Irlanda del Nord)
.5 maggio 2019 – Anno islamico 1440. Inizio del mese di Ramadan
.6 maggio 1976 – Terremoto del Friuli
.6 maggio 2016 – Elezione di Sadiq Khan a sindaco di Londra (avvocato,
……………………………….figlio di immigrati pachistani)
.6 maggio 2019 – Inizio del Ramadan dell’anno 1440 [fonte 3]
.7 maggio 1999 – La Nato bombarda l’ambasciata cinese a Belgrado
.7 maggio 2017 – Liberazione di 83 ragazze rapita da Boko Aram [fonte 4]
.7 maggio 2017 – Elezione di Emmanuel Macron alla presidenza della Francia
.8 maggio 1936 – Mussolini proclama la fondazione dell’impero.
.9 maggio – Giornata dell’Europa [fonte 5]
.9 maggio 1978 – Ritrovamento del corpo di Aldo Moro
.9 maggio 1978 – Omicidio di Peppino Impastato
10 maggio 1933 – Berlino. Rogo delle opere considerate “non tedesche” [fonte 6]
10 maggio 1994 – Primo governo Berlusconi
11 maggio 1960 – Argentina: il Mossad rapisce il nazista Eichmann
11 maggio 2016 – Il parlamento approva la legge sulle Unioni Civili
…………………………………Legge 20 maggio 2016, n. 76 Regolamentazione delle unioni
……………………………… civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze.
12 maggio 1974 – Referendum sul divorzio
12 maggio 1977 – Assassinio di Giorgiana Masi
13 maggio 1888 – Brasile: abolizione della schiavitù
13 maggio 1978 – Approvazione della legge 13 maggio 1978 n.180
…………………………………”Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”,
…………………………………nota come ‘legge Basaglia’.
13 maggio 2015 – Il Vaticano apre alla Palestina
15 maggio – Giornata internazionale per l’Obiezione di coscienza
15 maggio 2015 – Condanna a morte di Dzhokhar Tsarnaev, attentatore nella
………………………………maratona di Boston del 15 aprile 2013.
16 maggio 1916 – Accordo Sykes Picot [fonte 7]
16 maggio 1944 – Rivolta di Rom e Sinti ad Auschwitz
16 maggio 2015 – Condanna a morte dell’ex presidente egiziano Morsi
17 maggio – Giornata contro l’omotransfobia [fonte 8]
17 maggio 1961 – Inizia l’embargo USA contro Cuba
17 maggio 1972 – Assassinio del commissario Calabresi
17 maggio 2013 – Morte in carcere di Jorge Rafael Videla ex presidente
……………………………………..dell’Argentina
18 maggio 1872 – Nascita di Bertrand Russel
19 maggio 1296 – Muore papa Celestino V
19 maggio 1975 – Viene approvata la legge 19 maggio 1975, n. 151.
………………………………….Riforma del diritto di famiglia
19 maggio 2016 – Muore Marco Pannella
20 maggio 1999 – Le Nuove Brigate Rosse uccidono Massimo D’Antona
22 maggio 1978 – Approvazione della legge 22 maggio 1978 n. 194
…………………………………Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione
………………………………..volontaria della gravidanza.
22 maggio 2017 – Strage di Manchester [fonte 9]
23 maggio 1992 – Strage di Capaci
23 maggio 2015 – Beatificazione di mons Romero (assassinato nel 1980)
24 maggio 1915 – L’Italia entra nella prima guerra mondiale
26 maggio 2011 – Arresto dell’ex generale serbo Ratko Mladic
26 maggio 2018 – Irlanda, referendum sull’aborto – 66,4%
27 maggio 1564 – Morte di Giovanni Calvino
27 maggio 1993 – Firenze – attentato di via dei Georgofili [fonte 10]
28 maggio 1926 – Colpo di Stato in Portogallo: prende il potere Salazar
28 maggio 1974 – Strage di piazza della Loggia a Brescia
28 maggio 1980 – Viene assassinato Walter Tobagi, giornalista e scrittore
29 maggio 2005 – Referendum in Francia. Bocciata la Costituzione europea
29 maggio 2013 – Morte di Franca Rame
30 maggio 1967 – Secessione del Biafra dalla Nigeria: inizia la guerra civile
31 maggio 1972 – Strage di Peteano [fonte 11]
31 maggio 2019 – La prof sospesa viene ricevuta in Senato con i suoi alunni,
………………………………….ospite delle senatrici Liliana Segre e Elena Cattaneo.

NOTE:
[fonte 1]   L’origine della festa del Primo Maggio appartiene alla storia degli Usa.
In Europa fu ufficializzata nel 1889 (Seconda Internazionale)
In Italia fu istituita nel 1891, soppressa nel 1925 e istituita nuovamente nel 1945.

[fonte 2] Sebbene sia scaduto il termine della segretazione di documenti di stato
sulla strage di Portella della Ginestra e le sue conseguenze gravano ancora molte oscurità.

[fonte 3] Il conto degli anni secondo il calendario islamico prende le mosse dal venerdì 16 luglio 622,
in cui fu compiuta l’Egira dal profeta dell’Islam Maometto, e si snoda in 12 mesi lunari di 29 o 30 giorni.
L’anno, quindi, dura per lo più 354 giorni e al massimo 355, evento che si verifica circa ogni tre anni.
convertitore: http://www.arab.it/calendario/conv_home.htm

[fonte 4]
http://www.globalist.it/world/articolo/215489/mutilate-e-maltrattate-i-retroscena-delle-ragazze-liberate-in-nigeria.html

[fonte 5] 9 maggio L’Unione europea festeggia la Giornata dell’Europa. Si tratta della data della Dichiarazione Schuman del 1950, considerata come l’atto di nascita di ciò che oggi chiamiamo Unione europea.
https://www.coe.int/it/web/portal/international-and-european-days
COE: Conseil de l’Europe – Council of Europe

[fonte 6] «Quando i libri verranno bruciati, alla fine verranno bruciate anche le persone». È una frase del poeta ottocentesco tedesco Heinrich Heine, riportata sul monumento di Bebelplatz, a Berlino che ricorda il rogo dei libri “non tedeschi” voluti ed effettuati dai nazisti. Il 10 maggio 1933 l’Associazione studentesca della Germania organizzò fiaccolate nelle principali città universitarie tedesche. Furono dati alle fiamme migliaia di volumi: le opere delle teorie marxiste, quelle che attaccavano i fondamenti della religione o morale, ma anche quelle di scrittori considerati di sinistra come Bertold Brecht e Thomas Mann, e degli autori ebraici, da Albert Einstein a Sigmund Freud. Quel giorno segnò di fatto l’inizio della censura nazista.
http://www.linkiesta.it/it/article/2013/05/10/berlino-80-anni-fa-la-follia-del-rogo-dei-libri/13574/

[fonte 7] Accordo Intesa segreta (1916) fra l’Inghilterra, rappresentata da M. Sykes (1879-1918), e la Francia, rappresentata da F. Georges-Picot (1870-1951), con l’assenso della Russia zarista, per decidere le rispettive sfere d’influenza e di controllo in Medio Oriente, dopo il crollo ritenuto imminente dell’impero ritenuto imminente dell’impero ottomano. All’Inghilterra fu riconosciuto il controllo, diretto e indiretto, di un’area comprendente la Giordania attuale e l’Iraq meridionale, con l’accesso al mare attraverso il porto di Haifa, mentre la Francia avrebbe avuto la regione siro-libanese, l’Anatolia sudorientale e l’Iraq settentrionale, e la Russia Costantinopoli con gli stretti e l’Armenia ottomana. Il resto della Palestina sarebbe stato sotto il controllo internazionale. L’intesa, che smentiva l’Accordo Husain-McMahon (1915), fu poi parzialmente modificata dai trattati del primo dopoguerra.
www.treccani.it/enciclopedia/accordo-sykes-picot_%28Dizionario-di-Storia%29/

[fonte 8] Ventidue anni dopo la decisione dell’Organizzazione mondiale della Sanità, di togliere l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali, l’Unione Europea sceglie il 17 maggio come giorno di sensibilizzazione e prevenzione per contrastare il fenomeno dell’omofobia.

[fonte 9] L’attentato di Manchester del 22 maggio 2017 è stato un attacco suicida avvenuto alla Manchester Arena alle ore 22:31 locali, al termine del concerto della cantante statunitense Ariana Grande. L’esplosione ha provocato 23 morti (incluso l’attentatore) e 250 feriti, il che lo rende il peggior attacco avvenuto nel Regno Unito .

[fonte 10] In via dei Georgofili a Firenze, un attentato dinamitardo di origine mafiosa provoca la morte di cinque persone. Una Fiat Fiorino imbottita di esplosivo viene fatta esplodere nei pressi della torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili. Anche gli Uffizi subiscono dei danni. L’attentato viene fatto risalire alla reazione dal parte del clan dei corleonesi di Totò Riina all’applicazione dell’articolo 41 bis che prevede carcere duro e isolamento per i mafiosi. La sede dei Georgofili sarà ricostruita nel 1996.
http://www.raistoria.rai.it/articoli/firenze-attentato-in-via-dei-georgofili/13178/default.aspx

[fonte 11] La strage di Peteano è un atto terroristico di estrema destra avvenuto il 31 maggio 1972 in località Peteano, frazione di Sagrado (Go) che provocò la morte di tre carabinieri e il ferimento di altri due.
http://www.raistoria.rai.it/articoli/la-strage-di-peteano/1322

1 Maggio 2019Permalink

27 aprile 2019 – Il 25 aprile straripa oltre le 24 ore che gli sono attribuite

Girellando per i siti internet (un lusso da pensionata: non devo nemmeno togliermi il pigiama appena mi alzo) trovo inaspettatamente il testo del discorso tenuto da Luca Bottura, un giornalista, scrittore, conduttore radiofonico e autore televisivo italiano.

Il tono è leggero come voleva Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane.
Ben si addice a chi pronuncia il suo discorso a Sasso Marconi, una città che nel 2010 è stata insignita di Medaglia d’Oro al Merito Civile per il suo ruolo durante la II guerra mondiale.
E il valor civile, tradotto in impegno civile, non si contempla ma si fa proprio proseguendo, ricercando oltre il contesto di allora il contesto di oggi.
Nel discorso di Luca Bottura che trascrivo e di cui in calce ci sono i link (mi piace verificare e contribuire alle altrui verifiche: anche questo è impegno civile oltre gli ululati e i piagnistei che sembrano essere il gioco della parti di due vicepresidenti in attività di disservizio) ci sono molte citazioni comprensibili per chi le sa identificare come in una mattutina caccia al tesoro che posso giocare da sola e spesso la tiro in lungo perché mi piace.

Ecco una citazione fulminante : nasce dal discorso della luna di Giovanni 23mo , un papa che la pronunciò l’11 ottobre 1962 alla folla che lo volle alla finestra durante la fiaccolata serale di apertura del Concilio Vaticano II.

Tra poco tornerete nelle vostre case… date una carezza ai bambini,
così il papa… e Luca Bottura spiega la sua carezza dicendo subito “scherzo” come se appropriarsi della parola di un papa, quel papa, fosse una birichinata.
«Noi oggi celebriamo qualcosa che continua. Una piccola battaglia di civiltà quotidiana contro tutti i fascismi, anche quelli più subdoli, che cambiano nome ma alla fine una cosa sola vogliono: la sottomissione dei più fragili e dei più deboli.
Grazie alle donne e agli uomini che hanno dato la loro vita perché oggi potessimo essere qui.
Perché i diritti ci mancano solo quando li abbiamo persi».

E aggiungo io quando li neghiamo ad altri – fino a rifiutarne la visibilità di un’identità riconosciuta-
colpevoli di essere, nati in Italia, figli di migranti senza permesso di soggiorno e lo facciamo non in una pur intollerabile violenza privata ma con la legge che, per starsene incontrastata da dieci anni, ci trasforma da cittadini in sudditi complici di una misura ripugnante, finalizzata ad assicurare la paura come condizione per la sicurezza di un governo uso a giocare spudoratamente con i pregiudizi.

25 aprile, l’orazione civile di Luca Bottura a Sasso Marconi [Fonte 1]
di LUCA BOTTURA

Ringrazio il sindaco, l’Anpi, le autorità per l’onore che mi concedono oggi.

Quando ho ricevuto la chiamata, ho subito chiesto chi avesse dato buca all’ultimo momento.

Era una battuta, ma neanche tanto.

Loro non mi hanno risposto.

Forse qualcuno aveva DAVVERO dato buca all’ultimo momento. E sono quasi sicuro che sarebbe stato meno emozionato di me nell’affrontare questi pochi minuti che vi ruberò, sperando che non mi chiediate di restituirveli.

È che come molti della mia generazione, e ancora di più delle generazioni che hanno fatto seguito alla mia, mi dimeno tra diversi mestieri. Scrivo, più o meno seriamente, per qualche giornale. Scrivo, più o meno seriamente, per la televisione. Scrivo, più o meno seriamente, in genere.

E la domanda che mi sono fatto, dovendo celebrare la festa della Liberazione in questo comune che è medaglia d’oro al merito civile, che fu distrutto dalla guerra, che fu svuotato dai bombardamenti, era proprio sul tono da usare, su come parlare: più o meno seriamente?

Permettetemi allora di cominciare con una battuta di spirito: il fascismo ha fatto anche cose buone.

Lo so, non è una battuta nuova. La dicono in tanti, ormai sempre di più. E ce ne sono tante altre divertentissime. Il Duce ci diede la tredicesima… falso. Il duce creò le pensioni… falso. Il duce sconfisse la mafia e la corruzione… falso. Matteotti fu ucciso anche perché aveva scovato i fascisti ladri.

Italiani brava gente… falso.

Io non so voi, ma se uno che porta la mia stessa bandiera commette qualcosa di atroce, non lo giustifico. Mi incazzo il doppio. Quindi che ci siano stati italiani che durante il fascismo hanno commesso atrocità in Libia, in Etiopia, in Grecia… che siano stati manovalanza per il macello nazista di ebrei, omosessuali, zingari, dissidenti, che abbiano torturato e ucciso a mio nome… mi fa vergognare il doppio. Perché hanno avevano un passaporto in tasca simile al mio.

Come i soldati italiani che in Jugoslavia hanno ammazzato 7000 persone. Inermi. Dopo ci sono state le foibe. Nelle quali sono finite a loro volta migliaia di persone. Inermi. Non è vero che i morti sono tutti uguali. I morti sono uguali quando sono innocenti. Per questo le vittime dei fascisti e dei partigiani titini vanno piante alla stessa maniera.

Magari nello stesso giorno. Oggi.

Anche se venivano da patrie diverse.

Perché… avete notato una cosa? I fascisti più io meno dichiarati si riempiono la bocca col concetto di patria. E per schernire gli altri, quelli che la propria bandiera la vorrebbero senza il sangue degli innocenti, parlano di anti-italianità. L’altro giorno la leader di un partito di estrema destra, quella che sui manifesti si fa sostituire da Scarlett Johannson, tanto sono ritoccate le foto, ha lanciato sui social network un sondaggio: “Chi è il più antitaliano?”.

Molti hanno risposto che era lei, col suo concetto distorto di nazione.

Ma provo a chiederglielo io. Chi è più antitaliano? Chi prese le armi per salvare il nostro onore e aiutare gli alleati, o chi fece morire 500.000 italiani in guerra? Chi accendeva le camere a gas della Risiera di San Sabba o i caduti italiani che a Cefalonia si immolarono per non lustrare le scarpe ai nazisti? I repubblichini che sono rimasti legati fino all’ultimo a uno sterminatore o i partigiani, e le partigiane, che hanno difeso l’onore della nostra gente combattendo il male assoluto?

Però forse hanno ragione loro. Non bisogna farsi corrodere dall’ideologia. Bisogna riconoscere i meriti del fascismo… anzi: voglio elencarli uno per uno. Fatto.

Che poi, come diceva credo Goethe, ma grazie al piffero, che hai costruito quattro strade, che hai bonificato due paludi, che i treni partivano in orario però poi magari finivano ad Auschwitz.

C’era una dittatura. Vent’anni di diritti civili sequestrati. I prigionieri politici. Le libertà di espressione violentate. Guerre insensate. Cinquecentomila morti nei vari conflitti, appunto. Italiani. Non so voi, ma io mi tengo i Frecciarossa in ritardo. Almeno posso dirlo senza finire al confino. Per ora.

Ecco, lo so. Non dovrei. Ho parlato di politica. Durante il fascismo c’era scritto persino nei bar: qui non si parla di politica.

Andrebbe scritto anche in qualche talkshow di prima serata, oggi. Magari facendo la prova del palloncino a chi partecipa.

Però tutto è politica. E poi, anche se non te ne occupi, prima o poi si occupa di te. Prima o poi arriva il momento in cui tocca schierarsi. In cui anche i buonisti, nel loro piccolo, s’incazzano.

Vi racconto la storia di un giovane autiere, faceva il birocciaio, da civile. Portava in giro i cavalli. Un giorno Mussolini decise che era l’ora delle decisioni irrevocabili e quel contadino si ritrovò a 17 anni in caserma. Era a Treviso. Quando era arrivato avevano chiesto chi sapesse guidare la macchina… quelli che avevano risposto di sì erano finiti a pulire i cessi. Lui, al volante. Il 25 luglio 1943, quando cadde il fascismo, rimase come tutti senza ordini. Scriveva alla fidanzata di allora che le milizie fasciste provavano a prendersi la caserma, ma loro li respingevano. La salutava così: viva il re, viva Badoglio, abbaso i fascisti. Abbaso, con una “s” sola. Aveva la terza elementare.

L’8 settembre arrivarono i tedeschi e gli diedero la possibilità di scegliere: Salò o la deportazione, a fare lo schiavo. Poche ore dopo era su un vagone piombato in direzione Kostryn, Prussia orientale. Oggi è in Polonia. Ho cercato la storia di quello stalag: ci morirono oltre diecimila prigionieri di guerra. Il campo fu liberato poco prima della caduta di Berlino dall’Armata Rossa. L’autiere riuscì a tornare in Italia nel settembre del 1945. Pesava 36 chili.

Era mio padre.

Io sono stato fortunato, perché, finché è campato, il manuale di storia ce l’avevo in casa. E sono quasi felice che non gli sia toccato in sorte di vedere questa specie di fascismo strisciante, da operetta, in cui rischiamo di vivere oggi. Perché badate bene: anche quello di allora era un fascismo da operetta, all’inizio. Ma ce l’avete presente Mussolini? Un comico. Le braccia a botticella. Lo sguardo che roteava. Malato di fi… passione sessuale. Un mitomane. Un clown. Finché non trovò la spalla coi baffetti e partì per il suo tour europeo.

E lì, la farsa diventò tragedia.

Chiedo scusa, sto dicendo banalità. Ovvietà. Ma le ovvietà siano ormai sono quasi rivoluzionarie. Noi siamo l’unico Paese al mondo in cui quelli che cantano nel coro dicono di essere fuori dal coro.

Il teppismo della maggioranza che si definisce minoranza. Il senso comune più becero scambiato per buonsenso.

L’ipocrisia che si fa violenza, verbale e non. Codarda. Sempre.

Tipo allo stadio. Dove, non a caso, abbonda gente che ha di sé una percezione eroica, antagonista, coraggiosa. Il coraggio che serve loro per fare gu gu a un giocatore nero che sta a centro metri. Vigliacchi. Come quelli che ieri a Milano, ultrà della Lazio, hanno esposto uno striscione inneggiante a Mussolini. Impuniti. Perché da qualche tempo in qua, in questo curioso Paese, se fischi il Ministro dell’Interno ti portano via e ti identificano. Se sfili col braccio teso il massimo che rischi è un battimani.

Dice: stai dicendo cose divisive. È una festa…

Ma certo che dico cose divisive, anche se i ragazzi che salirono in montagna 74 anni fa la divisa manco ce l’avevano.

Ma erano patrioti veri, mica come i fascistelli da Facebook di oggi. Perché volevano, semplicemente, la loro patria libera. A prescindere dalle convinzioni politiche. Piccoli eroi che oggi, i pochi che sono ancora tra noi, quasi devono giustificarsi. Eppure erano davvero un unico fronte. C’erano i partigiani bianchi, gli azionisti, la brigata ebraica, non solo i “nostri”, se capite cosa intendo.

Perché anche se è vero che non tutti i partigiani erano comunisti, ma tutti i comunisti erano partigiani, è anche vero che la presenza così forte della sinistra ha indotto troppi di noi in un errore: pensare che il contrario di fascismo fosse, appunto, comunismo.

Invece no. Invece il contrario di fascismo è democrazia.

E non è neanche populismo. Il populismo è l’anticamera della dittatura. Fa credere al popolo che un tizio li rappresenti. Invece li manipola. Un bacione dopo l’altro. Un vaffanculo dopo l’altro.

Quella tra partigiani e nazifascisti non fu ciò che oggi qualcuno cerca di spacciarci, una lotta tra pari. Tra posizioni ugualmente redimibili, negoziabili, presentabili.

Perché da qualche anno c’è un aspetto grottesco che accompagna questo giorno di festa. Ed è difficile non vederlo. Ci siamo abituati, ci hanno abituati, a considerarlo come una specie di derby.

L’altro giorno sentivo un giornale radio della Rai che parlava del 25 aprile come data controversa. Cosa c’è di controverso?

È facile, semplice, a prova di cretino.

Da un lato la resistenza, la democrazia. Dall’altro i nazifascisti, la dittatura.

Democrazia bene, dittatura male.

Poi, certo, ci saranno anche stati, anzi: ci sono stati, partigiani per male, vendette sanguinarie, violenze compiute contro inermi. E saranno esistiti fascisti dabbene, gente che qualche ebreo magari l’ha nascosto, perché lo conosceva, perché da vicino non solo nessuno è normale, ma nessuno è davvero il male, anche se te lo dice il duce.

Ci saranno stati repubblichini che credevano a una loro forma di coerenza.

Però: democrazia, resistenza, bene.

Fascisti, dittatura, male.

Come scriveva Italo Calvino: dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c’erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l’Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c’era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, ché di queste non ce ne sono.

Non era un derby.

Anche se oggi dirlo è impopolare. Anzi, come direbbero loro, fuori dal coro.

Nella via in cui abito, a Milano, c’è un negozio per il fascista moderno… Non scherzo: vendono scarpe, giubbotti, magliette… tutte riconducibili a quello che voleva Dio, Patria e Famiglia ed era ateo, fu preso mentre scappava in Svizzera, e di famiglie ne aveva almeno un paio.

Hanno usato come ragazzo immagine, come testimonial, come modello grandi forme, proprio il ministro dell’Interno, che poi all’Interno non c’è mai, farebbero meglio a chiamarlo ministro dell’esterno.

Lui, che usa le frasi di Mussolini per vedere l’effetto che fa. E ne produce due, di effetti: i suoi camerati lo riconoscono, noi ci abituiamo a considerarla una simpatica provocazione. Finché rimane tale. Perché quando ci si abitua alle parole della discriminazione, quando si dà che per scontato che ci sia qualcuno che ha meno diritti, sia per il colore della sua pelle, per la sua religione, per il suo genere, per i suoi orientamenti sessuali, si cambia nel profondo e tutti insieme.

E poi c’è il luna park di Predappio, coi calendari del duce, e l’ironia involontaria chi li compra poi li appende.

E c’è la leader di un partito dell’estrema destra, che fino a questa piccola Weimar senza manco lo strudel, sembrava persino una persona gradevole. La stessa di prima, quella che è entrata nel tunnel del photoshop. Ora ha bisogno di like, di consensi spiccioli, di sfidare il ministro dell’esterno a chi estroflette meglio la mascella. E candida uno che si chiama Mussolini, e si fa fotografare all’Eur sotto il colosseo quadrato, a Roma.

Come se fosse normale.

Ora pensate al nipote di Hitler che si candida in Germania facendosi fotografare davanti allo stadio olimpico di Berlino.

Non è normale. E non succede. Perché loro, i conti con la loro storia li hanno fatti. A differenza nostra.

Ma non è solo una questione di simboli, di esteriorità. C’è un bel libro di William Sheridan Allen che racconta come si possa scivolare nell’autoritarismo senza accorgersene, basta che ci venga indicato un nemico chiaro. Si intitola “Come si diventa nazisti”. E qui voglio citare la senatrice a vita Liliana Segre, numero 75190 ad Auschwitz: “Mio papà mi spiegò che ero stata espulsa da scuola facendomi sentire per la prima volta “l’altra”, la diversa… La maestra venne a casa e invece di abbracciarmi disse: “Non le ho fatte mica io le leggi razziali”. Quell’indifferenza fu peggio di uno schiaffo. La parola “indifferenza” è peggio della violenza”.

Quindi non possiamo essere indifferenti a quello che accade in Italia qui e ora. A quelli che dicono “voi vedete fascisti ovunque”.

Voi vedete fascisti ovunque: li ho visti a Milano inneggiare a Mussolini, li ho visti irrompere nelle sedi di associazioni che aiutano i migranti, li ho visti sparare addosso ai neri come a Macerata, li ho visti bruciare la statua della partigiana di Vighignolo, li ho visti ieri a Bologna a spaccare una lapide che ricordava la liberazione, li vedo a raccogliere i fondi solo per gli italiani, a occupare le case e le sedi a Roma come Casa Pound, li vedo quando picchiano gli omosessuali, li vedo fare i concerti con la loro musica di merda, quando aggrediscono quelli che chiamano zecche rosse, li vedo allo stadio, li vedo sui giornalacci che spargono odio, livore, vittimismo passivo aggressivo.

Li vedo approfittarsi della stessa democrazia che è nata contro di loro. Perché è facile fare i fasci in democrazia, è eroico essere democratici durante il fascismo.

Ma non mi rassegno. E non per una questione di memoria. Che la memoria ce l’abbiamo ancora, è la consapevolezza che ci manca. La consapevolezza che quelli fuori dal coro siamo diventati noi. Che ci facciamo mettere all’angolo da quelli che parlano di retorica della resistenza. Ma quale retorica? I conformisti sono loro. I conformisti dell’anticonformismo. Che lasciamo parlare perché ci sentiamo anacronistici, passati, vecchi.

Ma cosa c’è di più vecchio di un vecchio fascista?

Proviamo a guardarci da fuori.

In tutto il mondo Bella Ciao è un canto intonato da chi cerca la libertà. Lo cantavano in Francia dopo la strage del Bataclan, lo cantavano i turchi oppressi da Erdogan, la cantano in Spagna, in Grecia, la intonavano durante la primavera araba… l’hanno cantata i dissidenti cinesi. È un canto di libertà che solo in Italia e diventato sinonimo di una fazione. Pochi giorni fa la suonavano in una scuola materna, qua vicino, non a Salò, e le maestre hanno dovuto scusarsi perché il solito papà che non si occupa di politica ha chiesto lumi. Ha protestato. E loro si sono scusate: “Ma no, la musica era quella. Ma cantavano La nonna è vecchierella!”.

La nonna è vecchierella?

Ma perché dobbiamo vergognarci dell’unico mito fondante di questo Paese dopo il risorgimento? Perché noi che ne siamo i custodi non la difendiamo ogni giorno soprattutto ora che è in discussione.

È come l’Europa. All’inizio abbiamo capito quanto ci servisse… ci ricordavamo ancora di quando Alcide De Gasperi andava all’Onu, nel ’46, col cappello in mano sapendo, come disse, che tutto era contro di lui tranne la cortesia di chi lo ascoltava.

Per colpa dei fascisti.

Eravamo i paria del mondo. L’Europa ci ha accolti. Protetti. Ridato dignità. E adesso è diventata il nemico solo perché, con tutti i difetti, ci ricorda che se fai parte di un condominio devi cercare di tenere pulito per la tua parte.

Dalle mafie, per esempio.

Devi pagare le quote. È normale. Anzi: essere in regola è un onore. Sono i poveri che hanno sempre odiato avere debiti. Me lo insegno mio padre.

Diamo per scontati 74 anni di pace, dacché gli europei hanno smesso di spararsi addosso. Basterebbe solo questo, per voler bene all’Europa.

Ho quasi concluso. Tra poco tornerete nelle vostre case… date una carezza ai bambini… scherzo.

Però i bambini sono la nostra memoria. La nostra consapevolezza. La nostra speranza. Loro, o gli adolescenti, che consideriamo a volte sdraiati, spesso hanno la schiena più dritta della nostra, si informano senza abbeverarsi al conformismo ai giornali e ai telegiornali iniettano odio nel Paese per qualche copia in più. E se conosci, se ti informi, se sai cosa è successo, se i migranti ce li hai ogni giorno in classe e sai bene che sono persone e non nemici, compagni e non bersagli, che sono come te ma per avere una vita degna hanno dovuto prendere una rincorsa più lunga, saprai anche che la Resistenza non è una parola vuota.

Noi oggi celebriamo qualcosa che continua. Una piccola battaglia di civiltà quotidiana contro tutti i fascismi, anche quelli più subdoli, che cambiano nome ma alla fine una cosa sola vogliono: la sottomissione dei più fragili e dei più deboli.

Di un popolo che in realtà disprezzano profondamente.

Grazie alle donne e agli uomini che hanno dato la loro vita perché oggi potessimo essere qui.

Perché i diritti ci mancano solo quando li abbiamo persi.

Viva la Liberazione, viva la Resistenza, viva il 25 aprile.

Comunicato stampa – Sasso Marconi (BO), 19/04/2010 [Fonte 2]
La Città di Sasso Marconi si prepara a ricevere una nuova onorificenza: il 25 Aprile infatti verrà insignita della Medaglia d’Oro al Merito Civile per il suo ruolo durante la II guerra mondiale..
Il sindaco di Sasso Marconi, Stefano Mazzetti, andrà a Roma nella mattinata di domenica 25 aprile per ricevere dalle mani del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano la medaglia d’oro al Merito Civile, rientrando a Sasso Marconi in tempo utile per festeggiare insieme ai cittadini sassesi il prestigioso riconoscimento, in occasione delle celebrazioni di piazza dedicate al 65° Anniversario della Liberazione.
I motivi che hanno portato la precedente amministrazione (sindaco Marilena Fabbri) a richiedere l’onoreficenza (prevista dalla Legge n. 658 del 1956*)stanno nel ruolo del nostro comune durante la Seconda Guerra Mondiale: “…Posto in posizione strategica per l’accesso alla Città di Bologna dall’Appennino e attraversato da importanti linee di comunicazione, Sasso Marconi subì durante il Secondo Conflitto Mondiale danni gravissimi non solo alle infrastrutture ed alle abitazioni, ma soprattutto al proprio tessuto sociale. Gran parte della popolazione fu costretta ad evacuare, anche se molti restarono per contribuire alla Lotta di Liberazione, a prezzo di grandi sacrifici e della vita stessa. L’occupazione nazi-fascista fu infatti particolarmente cruenta, tanto che nello storico Borgo di Colle Ameno venne insediato un campo di prigionia, teatro di violenze e torture…”.
Oggi la comunità sassese continua a ricordare i tristi avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale con un costante lavoro sulla memoria: incontri pubblici, pubblicazioni e ricerche storiche, allestimento di un’aula didattica dedicata alla Memoria locale (www.auladellamemoria.it), coinvolgimento delle scuole e dei giovani con le staffette (di corsa e di lettura) e il confronto con i protagonisti in occasione delle celebrazioni del 25 aprile.
“Sarà per me un onore poter ricevere dalle mani del Capo dello Stato questa importante onorificenza – ha commentato Stefano Mazzetti -, si tratta di un riconoscimento che testimonia il pesante tributo pagato dalla nostra comunità durante la Seconda Guerra Mondiale ma anche di un simbolo a cui fare riferimento nei momenti più difficili per la collettività. Intendo condividere questo riconoscimento con tutti i cittadini di Sasso Marconi, soprattutto con i più giovani, per ricordare che un tessuto sociale coeso e compatto intorno a valori etici e morali è sempre meglio attrezzato per affrontare le avversità”.
Sasso Marconi è il quinto Comune Medaglia al Merito Civile della provincia di Bologna, insieme a Casalecchio di Reno, Monzuno, Pianoro e Vergato che hanno ricevuto in passato la prestigiosa onorificenza.
*L’art. 1 della Legge n. 658 del 20/6/1956 prevede la possibilità di concedere ricompense al Merito Civile intese a premiare persone, enti e corpi che si siano prodigati, con eccezionale senso di abnegazione nell’alleviare le altrui sofferenze o, comunque, nel soccorrere chi si trovi in stato di bisogno. I riconoscimenti al Valore Civile sono riservati esclusivamente a quanti siano stati diretti protagonisti di specifici atti o fatti di eroismo civile, mentre le persone fisiche e la persone giuridiche che si sono distinte e prodigate in atti di valore e di abnegazione possono ottenere il riconoscimento di ricompense al Merito Civile

[Fonte 1]
https://bologna.repubblica.it/cronaca/2019/04/26/news/25_aprile_orazione_civile_luca_bottura_sasso_marconi-224883127/
[Fonte 2]
http://www.comune.sassomarconi.bologna.it/upload/sassomarconi_ecm8v2/gestionedocumentale/Comunicato%20stampa_784_2541.pdf

27 Aprile 2019Permalink

25 aprile 2015 – 1 dicembre 1943: Il rettore Concetto Marchesi si conceda dagli studenti

Oggi Giampaolo Borghello nel discorso ufficiale all’evento del 25 aprile ha ricordato il saluto di Marchesi agli studenti dell’Università di Padova, congedandosi da loro come rettore prima di entrare in clandestinità.

Studenti dell’Università di Padova!
Sono rimasto a capo della vostra Università finché speravo di mantenerla immune dall’offesa fascista e dalla minaccia germanica; fino a che speravo di difendervi da servitù politiche e militari e di proteggere con la mia fede pubblicamente professata la vostra fede costretta al silenzio e al segreto. Tale proposito mi ha fatto resistere, contro il malessere che sempre più mi invadeva nel restare a un posto che ai lontani e agli estranei poteva apparire di pacifica convivenza mentre era un posto di ininterrotto combattimento.
Oggi il dovere mi chiama altrove.

Oggi non è più possibile sperare che l’Università resti asilo indisturbato di libere coscienze operose, mentre lo straniero preme alle porte dei nostri istituti e l’ordine di un governo che – per la defezione di un vecchio complice – ardisce chiamarsi repubblicano vorrebbe convertire la gioventù universitaria in una milizia di mercenari e di sgherri massacratori.

Nel giorno inaugurale dell’anno accademico avete veduto un manipolo di questi sciagurati, violatori dell’Aula Magna, travolti sotto la immensa ondata del vostro irrefrenabile sdegno. Ed io, o giovani studenti, ho atteso questo giorno in cui avreste riconsacrato il vostro tempio per più di vent’anni profanato; e benedico il destino di avermi dato la gioia di una così solenne comunione con l’anima vostra. Ma quelli, che per un ventennio hanno vilipeso ogni onorevole cosa e mentito e calunniato, hanno tramutato in vanteria la disfatta e nei loro annunci mendaci hanno soffocato il vostro grido e si sono appropriata la vostra parola.

Studenti: non posso lasciare l’ufficio del Rettore dell’Università di Padova senza rivolgervi un ultimo appello. Una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra patria. Traditi dalla frode, dalla violenza, dall’ignavia, dalla servilità criminosa, voi insieme con la gioventù operaia e contadina, dovete rifare la storia dell’Italia e costituire il popolo italiano.

Non frugate nelle memorie o nei nascondigli del passato i soli responsabili di episodi delittuosi; dietro ai sicari c’è tutta una moltitudine che quei delitti ha voluto e ha coperto con il silenzio e la codarda rassegnazione; c’è tutta la classe dirigente italiana sospinta dalla inettitudine e dalla colpa verso la sua totale rovina.
Studenti: mi allontano da voi con la speranza di ritornare a voi maestro e compagno, dopo la fraternità di una lotta assieme combattuta. Per la fede che vi illumina, per lo sdegno che vi accende, non lasciate che l’oppressore disponga della vostra vita, fate risorgere i vostri battaglioni, liberate l’Italia dalla schiavitù e dall’ignominia, aggiungete al labaro della vostra Università la gloria di una nuova più grande decorazione in questa battaglia suprema per la giustizia e per la pace nel mondo.
Il Rettore: Concetto Marchesi
(1° dicembre 1943)

CONCETTO MARCHESI biografia
Concetto Marchesi nacque a Catania nel 1878 e frequentò in questa città il prestigioso liceo classico “Nicola Spedalieri”. All’università di Catania fu discepolo di Mario Rapisardi e da costui derivò non solo il primo interesse per la poesia (vedi il libro di versi “Battaglie”) e per i classici latini, ma anche quello spirito ribelle e polemico che lo portò anche in prigione per qualche mese. Infatti, prendendo il titolo del poema rapisardiano “Lucifero”, fondò e diresse per breve tempo l’omonimo giornale “Lucifero”, avendo dei guai con la polizia, che lo censurò e soppresse, anche perchè il Marchesi già a 16 anni aveva cominciato a prendere le difese di operai, contadini e detenuti miserabili o politici.
Si laureò a Firenze nel 1899 col latinista Sabbadini, discutendo una tesi su Bartolomeo della Fonte, lavoro a carattere filologico-erudito come il successivo sull’Etica Nicomachea (1904).Cominciò ad insegnare nei ginnasi inferiori di Nicosia (EN) e Siracusa e nei licei di Verona e Messina. Ottenuta poi una cattedra nel liceo di Pisa, cominciò a prepararsi per la docenza universitaria e vinse anche il concorso per provveditore agli studi, venendo assegnato a Grosseto. A Pisa si sposò con la figlia del Sabbadini, Ada, avendone la figlia Lidia. Divenuto titolare di letteratura latina all’università di Messina, insegnando studiava per una seconda laurea; e così i suoi stessi colleghi lo proclamarono dottore in giurisprudenza con una tesi sul pensiero politico di Tacito Il Marchesi passò poi all’università di Padova, ricoprendone la carica di Rettore nel difficile periodo della Repubblica Sociale. A Padova visse per 30 anni.
Intanto curava le edizioni di Apuleio, Ovidio, Amobio e Sallustio, e fra l’altro uscivano sue monografie su Marziale (1914), Seneca (1921), Giovenale (1922), Fedro (1923), Tacito (1924), Petronio (1940) e soprattutto la sua Storia della letteratura latina (1924-27), che ebbe anche un’edizione minore intitolata Disegno storico della letteratura latina.
Socialista dall’età di 15 -16 anni, nel 1921 a Livorno partecipò alla fondazione del Partito Comunista, rimanendo fedele a questa ideologia (sia pure con differenziazioni personali) fino alla morte. Nel periodo del rettorato padovano rivolse un celebre e nobile appello agli studenti, invitandoli a liberare l’Italia dall’ignominia e a farne uno Stato democratico.
Quindi partecipò attivamente alla Resistenza, operando a Milano e nel bellunese e poi riparando in Svizzera. Nel 1944 avvenne a Firenze l’assassinio di Giovanni Gentile, e il Marchesi fu accusato d’esserne il mandante morale, essendo quell’anno uscita una sua lettera aperta in cui s’annunciava un’imminente sentenza di morte. In realtà il suo scritto era stato manomesso dai capi partigiani e il primo a dolersene fu lo stesso Marchesi.
Dopo la guerra, fu deputato alla Costituente e svolse un elevato ruolo d’intellettuale e di maestro. Come costituente, violando la disciplina del suo partito, votò contro l’inclusione dell’art. 7 (patti lateranensi) nella Costituzione, della quale fu uno dei più attivi artefici.
Scrisse anche saggi di profonda umanità, come il libro di Tersite (1920-1951), “Divagazioni” (1953) e il “Cane di terracotta” (1954). Sebbene non credente e in polemica con le gerarchie ecclesiastiche, amò lo studio della letteratura cristiana, dichiarò di preferire Sant’Agostino e coltivò amicizie con sacerdoti dotti, con cui discuteva di cultura classica: notevoli i suoi soggiorni all’eremo di Rua di Feletto (TV) e l’amicizia con don Primo Mazzolari. Qualcuno ha anche affermato che alla fine si sia convertito.
Morì nel 1957, e la sua commemorazione alla Camera fu fatta da Palmiro Togliatti, in un clima di generale commozione e ammirazione. Una testimonianza su di lui ha lasciato Norberto Bobbio, mentre suoi biografi sono stati Ezio Franceschini (autore del libro Concetto Marchesi), Luciano Canfora e Sebastiano Saglimbeni. Canfora lo ha definito “un latinista e un intellettuale di singolare e solitario profilo, che affondava le sue radici nella tradizione risorgimentale meridionale”; mentre il Saglimbeni ha curato la pubblicazione in volume dei discorsi parlamentari, degli articoli di giornali e di altre opere del Marchesi.
Concetto Marchesi Partigiano
Interruppe, comunque, la sua attività di pubblicista politico poco dopo il trasferimento a Padova: fino all’agosto 1924 aveva collaborato (con lo pseudonimo di Aper) al Prometeo di Bordiga; l’ultimo scritto politico fu una dura requisitoria contro i cattolici apparsa ne l’Unità in data 17 genn. 1925 (Giubileo). Poi, dopo gli anni di apparente inerzia del periodo fascista, nella primavera del 1943 Marchesi, contattato da Amendola, rappresentante del centro estero del Partito comunista italiano (PCI), riacquistò un ruolo politico.
Nella prima fase della cospirazione antifascista, precedente il 25 luglio, tenne un atteggiamento duttile, di moderata apertura nei confronti della monarchia. In maggio, come altri esponenti dell’antifascismo, incontrò clandestinamente il generale Cadorna, appena giunto a Ferrara al comando della divisione Ariete, per sondare l’atteggiamento dell’esercito nel caso di eventuali iniziative contro il regime. Partecipò a riunioni clandestine dei partiti antifascisti e fu in tali circostanze che Amendola lo definì “collegato con l’organizzazione comunista”. Tramite Antoni, fece pervenire alla principessa Maria José di Savoia un messaggio del PCI di appoggio all’azione della monarchia nel caso il re avesse preso l’iniziativa di congedare Mussolini.
Dopo la caduta di Mussolini, il 12 agosto, con Roveda e Amendola, Marchesi rappresentò il PCI nel Comitato centrale delle opposizioni, costituito dai partiti antifascisti, e il successivo 10 settembre, insieme con Trentin ed Meneghetti, fondò il Comitato di liberazione nazionale (CLN) veneto. Intanto, dal 1° settembre, era stato nominato dal governo Badoglio rettore dell’Università di Padova; le sue dimissioni da quella carica, presentate dopo la nascita, sempre in settembre, della Repubblica sociale italiana (RSI) furono respinte dal ministro dell’Educazione nazionale “repubblichino”, Biggini; Marchesi, nonostante le pressioni del PCI in senso contrario, decise di rimanere rettore in cambio dell’impegno, da parte di Biggini, che fosse garantita “l’immunità dell’Università”.
Suo proposito era quello di fare del rettorato una sede “protetta” e insospettabile per organizzare la resistenza e “coprire gli studenti attivisti”. Il discorso da lui pronunciato il 9 novembre per l’inaugurazione dell’anno accademico, pur essendo, in realtà, una sorta di sfida alla faccia “socializzatrice” del neofascismo ottenne, forse strumentalmente, una eco positiva nella stampa repubblichina e gli procurò, da parte del centro romano del PCI, una “grave misura disciplinare” (forse sospensione, non espulsione dal partito) a causa della sua ostinazione a permanere nel rettorato.
Probabilmente per evitare l’arresto già meditato dalle autorità tedesche, il 15 novembre, mentre si riproponevano incidenti tra studenti e milizia repubblichina, Marchesi si spostò a Firenze e rientrò però dopo poco a Padova dove, nascosto in casa di Turra, scrisse il celebre appello agli studenti che incitava alla resistenza armata (datato 1° dicembre, fu diffuso il 5 dello stesso mese). Il 29 novembre, sotto falso nome, era trasferito da Padova a Milano; infine, il 9 febbr. 1944, nonostante il centro milanese del PCI lo volesse a Roma, passò in Svizzera, con l’appoggio dalla rete partigiana facente capo al suo allievo Franceschini.
L’attività di Marchesi in Svizzera, nel corso del 1944, fu intensa: dal 22 febbraio, attraverso i servizi di informazione anglo-americani, Radio Londra e la stampa locale, provvide a diffondere l’appello agli studenti e la “lettera aperta”, replica all’iniziativa “pacificatrice” di Giovanni Gentile; dal 9 febbraio al 4 dicembre costituì il “capolinea” svizzero della formazione clandestina FRAMA (Franceschini-Marchesi) connessa al CLN veneto e al Partito d’azione (Pd’A). Dopo aver stabilito, sempre grazie alla FRAMA, rapporti con Dulles e MacCaffery, dei servizi di informazione alleati, recuperò il contatto con il PCI, cui comunicò le ipotesi di collaborazione militare che venivano dagli alleati; da aprile a novembre diresse una nuova via di aviorifornimenti per i partigiani combattenti nel Nord-Italia, mentre in settembre, nel breve periodo della Repubblica partigiana della Val d’Ossola, si era recato a Domodossola.
Rientrato a Roma il 10 dic. 1944, Marchesi proseguì l’attività politica all’interno del PCI. Il 23 genn. 1945, fu nominato capo dell’ufficio stampa del ministero dell’Italia occupata (ministro Marchesi Scoccimarro) nel II governo Bonomi; in febbraio, membro dell’Alta Corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo, poi del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, nonché della Consulta nazionale. L’8 genn. 1946 entrò a far parte del nuovo comitato centrale del PCI; eletto in giugno alla Costituente, per la circoscrizione di Verona, vi pronunciò un memorabile discorso a sostegno della sua scelta personale di non votare, rompendo la disciplina di partito, l’articolo 7 della Costituzione, inglobante i Patti lateranensi nella nuova carta repubblicana. Nell’aprile 1948, fu eletto alla Camera dei deputati per la circoscrizione di Venezia.
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25 Aprile 2019Permalink

25 aprile 2015 – Il discorso del Presidente Mattarella

Intervento del Presidente Sergio Mattarella alla cerimonia commemorativa del 74° Anniversario della Liberazione
Vittorio Veneto – Teatro Da Ponte, 25/04/2019

Un saluto intensamente cordiale a tutti, al Presidente della Regione, al Sindaco e, attraverso di lui, a tutti i vittoriesi, ai rappresentanti del Parlamento, a tutte le autorità, ai Sindaci presenti salutandoli con molta cordialità.
Ringrazio per gli interventi già svolti. Abbiamo ascoltato delle cose di grande interesse e significato, in cui mi riconosco pienamente.
Sono davvero lieto di essere a Vittorio Veneto, per celebrare qui la Festa della Liberazione, in questo luogo simbolo caro all’Italia, che vide i nostri soldati segnare la conclusione vittoriosa della Prima guerra mondiale, sancendo così il compimento dell’unità territoriale italiana. Unità territoriale che corrispondeva all’unità morale e spirituale dell’Italia, all’aspirazione a una Patria libera e indipendente.
Quella stessa aspirazione – dopo poco più di un ventennio – animò i volontari della Libertà, in queste terre generose e martoriate del Veneto, negli aspri combattimenti contro l’oppressione nazifascista, con tutto il suo carico di sangue, lutti e devastazioni. E con pagine straordinarie di sacrificio, eroismo e idealità, che non possono essere rimosse e che vanno ricordate.
Festeggiare il 25 aprile – giorno anche di San Marco – significa celebrare il ritorno dell’Italia alla libertà e alla democrazia, dopo vent’anni di dittatura, di privazione delle libertà fondamentali, di oppressione e di persecuzioni. Significa ricordare la fine di una guerra ingiusta, tragicamente combattuta a fianco di Hitler. Una guerra scatenata per affermare tirannide, volontà di dominio, superiorità della razza, sterminio sistematico.
Se oggi, in tanti, ci troviamo qui e in tutte le piazza italiane è perché non possiamo, e non vogliamo, dimenticare il sacrificio di migliaia di italiani, caduti per assicurare la libertà a tutti gli altri. La libertà nostra e delle future generazioni.
A chiamarci a questa celebrazione sono i martiri delle Fosse Ardeatine, di Marzabotto, di Sant’Anna di Stazzema e di tanti altri luoghi del nostro Paese; di Cefalonia, dei partigiani e dei militari caduti in montagna o nelle città, dei deportati nei campi di sterminio, dei soldati di Paesi stranieri lontani che hanno fornito un grande generoso contributo e sono morti in Italia per la libertà. Questo doveroso ricordo ci spinge a stringerci intorno ai nostri amati simboli: il tricolore e l’inno nazionale (così ben cantato dal coro di ragazzi e adulti, complimenti al maestro Sabrina Carraro).
È il dovere, morale e civile, della memoria. Memoria degli eventi decisivi della nostra storia recente, che compongono l’identità della nostra Nazione da cui non si può prescindere per il futuro.
Il 25 aprile del 1945 nasceva, dalle rovine della guerra, una nuova e diversa Italia, che troverà i suoi compimenti il 2 giugno del 1946, con la scelta della Repubblica e il primo gennaio 1948 con la nostra Costituzione.
Il 25 aprile vede la luce l’Italia che ripudia la guerra e s’impegna attivamente per la pace. L’Italia che, ricollegandosi agli alti ideali del Risorgimento, riprende il suo posto nelle nazioni democratiche e libere. L’Italia che pone i suoi fondamenti nella dignità umana, nel rispetto dei diritti politici e sociali, nell’eguaglianza tra le persone, nella collaborazione fra i popoli, nel ripudio del razzismo e delle discriminazioni.
Non era così nel ventennio fascista. Non libertà di opinione, di espressione, di pensiero. Abolite le elezioni, banditi i giornali e i partiti di opposizione. Gli oppositori bastonati, incarcerati, costretti all’esilio o uccisi. Non era permesso avere un pensiero autonomo, si doveva soltanto credere. Credere, in modo acritico e assoluto, alle parole d’ordine del regime, alle sue menzogne, alla sua pervasiva propaganda. Bisognava poi obbedire, anche agli ordini più insensati o crudeli. Ordini che impartivano di odiare: gli ebrei, i dissidenti, i Paesi stranieri. L’ossessione del nemico, sempre e dovunque, la stolta convinzione che tutto si potesse risolvere con la forza della violenza.
E, soprattutto, si doveva combattere. Non per difendersi, ma per aggredire.
Combattere, e uccidere, per conquistare e per soggiogare. Intere generazioni di giovani italiani furono mandate a morire, male armati e male equipaggiati, in Grecia, in Albania, in Russia, in Africa per soddisfare un delirio di dominio e di potenza, nell’alleanza con uno dei regimi più feroci che la storia abbia conosciuto: quello nazista.
Non erano questi gli ideali per i quali erano morti i nostri giovani nel Risorgimento e nella Prima Guerra Mondiale
La storia insegna che quando i popoli barattano la propria libertà in cambio di promesse di ordine e di tutela, gli avvenimenti prendono sempre una piega tragica e distruttiva.
L’8 settembre 1943 e gli eventi che ne susseguirono rappresentarono, per molti italiani, la fine drammatica di una illusione. Con la dissoluzione dello Stato, i morti, i feriti, le gravissime sconfitte militari.
L’Italia era precipitata in una lenta e terribile agonia. Il Re era fuggito a Brindisi abbandonando Roma al suo destino, le truppe germaniche avevano invaso il territorio nazionale, seminando ovunque terrore e morte, a Salò si era insediato un governo fantoccio, totalmente nelle mani naziste.
Fu in questo contesto che molti italiani, donne e uomini, giovani e anziani, militari e studenti, di varia provenienza sociale, culturale, religiosa e politica, maturarono la consapevolezza che il riscatto nazionale sarebbe passato attraverso una ferma e fiera rivolta, innanzitutto morale, contro il nazifascismo. Nacque così, anche in Italia, il movimento della Resistenza. Resistenza alla barbarie, alla disumanizzazione, alla violenza: un fenomeno di portata internazionale che accomunava, in forme e modi diversi, uomini e donne di tutta Europa.
Alla barbarie si poteva resistere in tanti modi: con le armi, con la propaganda, con la diffusione di giornali clandestini, con la non collaborazione, con l’aiuto fornito ai partigiani, agli alleati, agli ebrei in fuga. Ma ci voleva forza d’animo e grande coraggio, perché ognuna di queste azioni poteva comportare la cattura, la tortura e la morte. Accadde, in forme e gradi diversi, in tutto il territorio nazionale soggetto all’occupazione nazista.
Contadini, operai, intellettuali, studenti, militari, religiosi, costituirono il movimento della Resistenza: tra loro vi erano azionisti, socialisti, liberali, comunisti, cattolici, monarchici e anche molti ex fascisti delusi. Non fu un esercito compatto, non poteva esserlo, ma piuttosto una rete ideale, che operava, in montagna o nelle città, in ordine sparso e in condizioni di grande difficoltà e pericolo.
Vi erano i partigiani, capaci di coraggio, di spirito di sacrificio e di imprese audaci; i soldati italiani che combatterono fianco a fianco con l’esercito alleato, coprendosi di valore. Accanto a essi, come componente decisiva della Resistenza italiana, desidero ricordare i tanti militari che, catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre, rifiutarono l’onta di servire sotto la bandiera di Salò e dell’esercito occupante e preferirono l’internamento nei campi di prigionia nazisti. Seicentomila: un numero imponente che fa riflettere sulla decisa prevalenza del senso di onor di Patria rispetto al fascismo fra gli appartenenti alle Forze Armate. Quasi cinquantamila di questi morirono nei lager in Germania, di stenti o per le violenze.
Né va dimenticato il contributo fondamentale delle centinaia di migliaia di persone che offrirono aiuti, cibo, informazioni, vie di fuga ai partigiani e a militari alleati; e dei tanti giusti delle Nazioni che si prodigarono per salvare la vita degli ebrei, rischiando la propria.
Nel tessuto sociale del Veneto, permeato dalle cooperative di braccianti e dalle leghe contadine, la Resistenza germogliò dal basso in modo pressocché spontaneo: gruppi di cittadini, spesso guidati dal clero locale, che cercavano di mettere in salvo prigionieri alleati, perseguitati politici, ebrei e chi voleva sfuggire all’arruolamento nell’esercito di Salò o alla deportazione in Germania.
Spicca, nel territorio del Vittoriese, la personalità di don Giuseppe Faè, parroco di Montaner, vero cappellano dei partigiani. Arrestato insieme a collaboratori e familiari e condannato a morte, scampò alla fucilazione per intervento del Vescovo. Ma la sorella Giovanna, deportata in un lager nazista, non fece più ritorno.
Attorno a don Faè muovono i primi passi coloro che diventeranno i capi partigiani di questa zona: Ermenegildo Pedron, detto “Libero”, Attilio Tonon detto “Bianco” e dal giovane sottotenente degli alpini Giobatta Bitto, detto “Pagnoca”, che agirono soprattutto nella zona del Cansiglio.
In tutto il Veneto la guerra partigiana fu particolarmente difficile e dura. I tedeschi volevano preservarsi il Veneto come via di possibile fuga verso la Germania. Le formazioni partigiane, infersero all’occupante diverse e cocenti sconfitte, pur se i continui rastrellamenti operati dai nazisti e dai fascisti nell’inverno 1944-45, specialmente sul Grappa e sul Cansiglio, ne ridussero la capacità operativa.
In quel drammatico periodo ci furono molte esecuzioni di partigiani e rappresaglie contro la popolazione civile. Come la terribile impiccagione di 31 giovani agli alberi del corso centrale di Bassano del Grappa il 26 settembre 1944, di cui ha parlato la professoressa Giulia Albanese, che ringrazio per il suo intervento appassionato e puntuale. Alcuni di questi giovani impiccati avevano meno di 17 anni.
Il bilancio dei rastrellamenti pesò molto sulla Resistenza veneta: in pochi giorni vennero impiccati 171 combattenti per la libertà, 603 vennero fucilati, 804 deportati, oltre tremila fatti prigionieri e centinaia di case vennero bruciate.
Ma nella primavera del 1945, rafforzate da nuovi giovani venuti a irrobustire le loro file e dagli aiuti alleati, le formazioni partigiane venete riusciranno a infliggere nuovi, decisivi colpi alle forze tedesche, fino alla Liberazione. In alcuni casi, come in quello di Vittorio Veneto, l’esercito tedesco negoziò direttamente la resa con i capi partigiani.
Ringrazio la signora Meneghin per il suo appassionato intervento. E la ringrazio ancor di più per il coraggio dimostrato in quegli anni terribili della guerra partigiana. Concordo con lei: per la Resistenza fu decisivo l’apporto delle donne, volitive e coraggiose. In Veneto furono staffette, ma anche combattenti. Su di loro, se catturate, la violenza fascista si scatenava con ulteriore terrificante brutalità, come le sopravvissute raccontarono del trattamento della banda Carità, un gruppo di torturatori di inaudita ferocia che aveva sede presso Villa Giusti a Padova.
Ne abbiamo già ricordate alcune e tante altre giovani venete di allora andrebbero citate per quanto hanno fatto, per il loro impegno. Per tutte ricordo Tina Anselmi, con cui ho avuto l’opportunità e l’onore di lavorare a stretto contatto in Parlamento.
Fondamentale per animare il movimento resistenziale fu, in Veneto, il contributo del mondo della cultura e dell’università. Come è stato appena ricordato, l’Università di Padova, unico caso tra gli atenei italiani, fu insignito della medaglia d’oro al valore della Resistenza.
Ricordo l’appello, di grande suggestione e di altissimo valore morale, che il grande latinista Concetto Marchesi, rettore dell’università padovana, rivolse ai suoi studenti in piena occupazione nazista, invitandoli alla rivolta: «Una generazione di uomini – scrisse Marchesi – ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra Patria. Traditi dalla frode, dalla violenza, dall’ignavia, dalla servilità criminosa, voi insieme con la gioventù operaia e contadina, dovete rifare la storia dell’Italia e costituire il popolo italiano».
Non furono queste solo parole. Perché Marchesi, comunista, insieme al suo allievo Ezio Franceschini, cattolico, diedero insieme vita a una organizzazione segreta, operativa (FraMa, dalle iniziali dei loro cognomi) capace di fornire assistenza logistica agli alleati, ai resistenti e agli ebrei. La FraMa ebbe i suoi martiri: il padre francescano Placido Cortese, torturato a morte nella Risiera di San Sabba, e la suora laica Maria Borgato, scomparsa nei lager tedeschi.
Anche in Veneto, come in altre zone d’Italia, ci furono, dopo il 25 aprile, vendette e brutalità inaccettabili contro i nemici di un tempo, peraltro prontamente condannate dai vertici del Cln. Nessuna violenza pregressa, per quanto feroce, può giustificare, dopo la resa del nemico, il ricorso alla giustizia sommaria. Mai questa può essere commessa in nome della libertà e della democrazia.
La Resistenza, con la sua complessità, nella sua grande attività e opera, è un fecondo serbatoio di valori morali e civili.
Ci insegna che, oggi come allora, c’è bisogno di donne e uomini liberi e fieri che non chinino la testa di fronte a chi, con la violenza, con il terrorismo, con il fanatismo religioso, vorrebbe farci tornare a epoche oscure, imponendoci un destino di asservimento, di terrore e di odio.
A queste minacce possiamo rispondere con le parole di Teresio Olivelli, partigiano, ucciso a bastonate nel lager di Hersbruck: «Lottiamo giorno per giorno perché sappiamo che la libertà non può essere elargita dagli altri. Non vi sono liberatori. Solo uomini che si liberano».
Buon 25 Aprile!!

https://www.quirinale.it/elementi/28579

25 Aprile 2019Permalink

25 aprile 2019 – Il 25 aprile, festa nazionale.

Il 22 aprile 1946, su proposta del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, il re Umberto II
emanò un decreto che dichiarava festa nazionale il 25 aprile di quell’anno.
Il 27 maggio 1949 fu stabilmente istituzionalizzato come festa nazionale (L. 27 maggio 1949, n. 260. Disposizioni in materia di ricorrenze festive).

SCRIVE LILIANA SEGRE

La libertà è una condizione assoluta, irrinunciabile. E non importa se qualche ministro resterà a casa. Sono sicura che domani saremo in tanti a provare la stessa emozione civile,
di LILIANA SEGRE

Per me il 25 aprile del 1945 non fu il giorno della Liberazione. Non poteva esserlo perché io quel giorno ero ancora prigioniera nel piccolo campo di Malchow, nel Nord della Germania.
C’era un grande nervosismo da parte dei nostri aguzzini, ma non sapevamo nulla di quel che accadeva in Europa. A darci qualche notizia furono dei giovani francesi prigionieri di guerra mentre passavano davanti al filo spinato. «Non morite adesso! », scongiurarono alla vista delle disgraziate ombre che eravamo. «Tenete duro. La guerra sta per finire. E i tedeschi stanno perdendo su due fronti: quello occidentale con gli americani e quello orientale con i russi».
Nelle ultime ore da prigioniere assistemmo alla storia che cambiava.
Fuori dal lager ci costrinsero all’ennesima orribile marcia ma niente era uguale a prima.
La mia personale festa di liberazione fu quando vidi il comandante del campo mettersi in abiti civili e buttare a terra la sua pistola. Era un uomo terribile, crudele, che ad ogni occasione picchiava selvaggiamente le prigioniere. La vendetta mi parve a portata di mano ma scelsi di non raccogliere quell’arma. All’improvviso realizzai che io non avrei mai potuto uccidere nessuno e questa era la grande differenza tra me e il mio carnefice. Fu in quel momento che mi sentii libera, finalmente in pace.

Il 25 aprile 1945 fu quindi un’esplosione di gioia che mi sarebbe arrivata più tardi filtrata dai racconti di amici e familiari. Avevo avuto bisogno di una tregua prima di tornare in Italia.
E dovevo guarire da troppe ferite per riuscire a far festa insieme agli altri.
Ero stata ridotta a un numero, costretta a vivere in un mondo nemico e con il male altrui davanti a me, come diceva Primo Levi. Ci vollero anni perché riscoprissi il sentimento della felicità collettiva.

Poi quel momento è arrivato. Il 25 aprile è diventato una festa familiare, la festa della libertà ritrovata. Simboleggiava la caduta definitiva del nazifascismo e la liberazione. E rendeva omaggio al sacrificio di partigiani e militari, ai resistenti senz’armi, ai perseguitati politici e razziali.
Era la festa del popolo italiano ma anche una festa celebrata in famiglia insieme a mio marito Alfredo che era stato un internato militare in Germania per aver detto no alla RSI.
Avevamo patito entrambi la privazione della libertà e potevamo capire il significato profondo di quella data che poneva le fondamenta della democrazia e della carta costituzionale.
Ogni 25 aprile sventolavamo idealmente la nostra bandiera.

Non ho mai smesso di sventolare quella bandiera. E ancora oggi mi ostino a spiegare ai ragazzi perché è una festa fondamentale. Ma è sempre più difficile combattere con i vuoti di memoria. Solo se si studia la storia si comprende cosa è stato il depauperamento mentale di masse di italiani e tedeschi indottrinati indottrinate dai totalitarismi fascista e nazista. Bisogna raccontare alle giovani generazioni cosa è stata la dittatura , soprattutto ora che il saluto romano non stupisce più nessuno. Mi chiedo se a una parte della politica non convenga questa diffusa ignoranza della storia. Chi ignora il passato è più facilmente plasmabile. E non oppone “resistenza”.

In anni non lontani, c’è stato anche chi ha proposto di abolire il 25 aprile dal calendario civile. Temo che prima o poi si arriverà a cancellarlo. Perché il tempo è crudele: livella i ricordi e confonde la memoria, mentre le persone muoiono e le generazioni passano. Qualche anno fa ci siamo illusi che interno a questa data fosse stata raggiunta l’unanimità delle forze politiche. Oggi leggo con preoccupazione che alla festa della Liberazione di preferisca una cerimonia di altro genere. Se devo dire la verità, rimango esterrefatta. In tarda età assisto a degli atti che non avrei mai immaginato di vedere: soprattutto avendo vissuto cosa volesse dire essere vittime prime del 25 aprile, quando la democrazia non c’era, e dissidenti e minoranze venivano imprigionati, torturati e anche uccisi.

Così come rimango tristemente stupita di fronte alla cancellazione della prova di storia alla maturità. La mancanza di memoria può portare a episodi come quello che ha coinvolto pochi giorni fa un istituto alberghiero di Venezia. Un insegnante su Facebook ha offeso la Costituzione con parole che preferisco non ripetere. E si è augurato che Liliana Segre finisca in un «simpatico termovalorizzatore ». Questa non l’avevo ancora sentita: probabilmente il «simpatico termovalorizzatore » è la forma aggiornata del forno crematorio.

Preferisco però concentrarmi sui moltissimi italiani che mi vogliono bene. E insieme ai quali festeggerò il 25 aprile, un rito laico che continua a emozionarmi. E a portarmi via con sé. Perché la libertà è una condizione assoluta, irrinunciabile. E non importa se qualche ministro resterà a casa. Sono sicura che domani saremo in tanti a provare la stessa emozione civile. Buon 25 aprile a tutti.                                         [fonte 1]

RISPONDE LILIANA SEGRE

Liliana Segre: «I politici non possono ignorare la storia. Così chi ha dato la vita muore di nuovo »
di Stefano Landi

Consuma le scarpe in giro per l’Italia. Una vita da testimone quella di Liliana Segre, 88 anni, sopravvissuta all’Olocausto e senatrice a vita. «Infatti sono stanca. Questo 25 aprile credo che rimarrò a casa. Mi hanno invitato in tv, ma ho davvero bisogno di staccare. Forse non ho più l’età per andare in corteo. Devo cominciare a delegare».

Che impressione le hanno fatto le polemiche sulla partecipazione del governo al 25 Aprile? I 5 Stelle ci saranno, la Lega lo ignora. Salvini dice che la vera liberazione è solo quella dalla mafia…
«Chi fa politica non può ignorare la storia. Deve averla studiata. Con ognuna di queste dichiarazioni chi ha dato la vita muore una volta di più. Non penso solo ai partigiani, ma anche ai militari italiani, morti di stenti, malattie, in un campo di concentramento, pur di non aderire alla Repubblica Sociale».

La statua bruciata di una partigiana domenica alle porte di Milano. Gli episodi di violenza che ogni anno si ripetono regolarmente…
«Non possiamo sempre ridurre tutto all’ignoranza. È il bisogno di odiare che muove certa gente. Appena messo piede in Senato mi sono battuta per una legge contro gli hate speech. L’odio torna a galla in contesti molto diversi. Per strada, su Internet soprattutto. È un sentimento che c’è sempre stato: la storia è fatta di corsi e ricorsi. Diciamo che dopo la Seconda guerra mondiale, dopo tutto quello che si era visto e sofferto, si aveva paura di ripetere certi atteggiamenti. Si è abbassato il volume, non si è spenta la musica».

Le hanno pure attribuito profili social finti che pubblicano dichiarazioni false a suo nome…
«Prese di posizione, spesso molto aggressive, che non corrispondono al mio pensiero. Ho già denunciato la situazione alla Polizia postale che sta indagando».

È più facile dimenticare il passato?
«Credo che la storia sia maestra di vita. Non si può capire il 25 Aprile se non si è studiato il passato. Non è solo colpa della superficialità dei giovani d’oggi. Gli stessi genitori non ricordano. E gli insegnanti sono troppo presi da altre dinamiche, pensano più alla forma che ai contenuti».

Lei incontra tantissimi ragazzi nelle scuole. Che idea si è fatta di questa generazione bollata come quella del disimpegno?
«Il 99 per cento di loro vive incollato al telefono, non si informa e accetta di essere omologato da una tv ignorante. Ma c’è quell’1 per cento che riscatta una classe intera. Hanno fatto una scelta, quella di non stare nell’ombra del gruppo. C’è chi in questi giorni ha rinunciato alle vacanze per venirmi ad ascoltare. La loro attenzione mi emoziona. Concludo sempre la mia testimonianza spiegando come andando da loro abbia ricordato una parte di storia per me tragica. Uno sforzo che sarà ripagato se solo uno di loro accenderà una candela della memoria».

Cosa vede nei loro occhi?
«Il desiderio di provarci. A casa ho scatole piene di lettere di ragazzi che mi scrivono. Ricevo anche migliaia di mail. Ci sono delle riflessioni bellissime, che lascerò come eredità».

Qualche settimana fa più di mille ragazzi si sono alzati in piedi per lei a New York dopo averla ascoltata in videoconferenza in religioso silenzio…
«Spiegavo come nei lager non si va in gita, ma per ascoltare la propria coscienza».

Riceve molti insulti?
«Regolarmente, di ogni genere. Pesantissimi. Un professore di Venezia, ex militante di Forza Nuova, mi ha augurato di finire in un termovalorizzatore. Altri mi volevano nei forni. Non reagisco agli insulti, ho imparato a lasciarli cadere».

Le testimonianze pesano..
«Siamo morti quasi tutti. Chi resta lo deve sentire come un dovere. Alla fine ogni sforzo vale ancora la pena».
[fonte 2]

[fonte 1]
https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2019/04/23/news/il_25_aprile_la_mia_nuova_resistenza-224719912/
[fonte 2]
https://www.corriere.it/politica/19_aprile_23/liliana-segre-politici-non-possono-ignorare-storia-cosi-chi-ha-la-vita-muore-nuovo-9313a748-6609-11e9-8d28-170002d143ad.shtml?refresh_ce-cp

25 Aprile 2019Permalink

24 aprile 2019 – Una circolare per assicurare esistenti tutti coloro che nascono in Italia

Ieri nel mio blog ho scritto della senatrice Segre e ho proposto qualche mia considerazione che oggi voglio approfondire inviandola ai sindaci del Friuli Venezia Giulia che hanno aderito alla manifestazione del 13 aprile ‘Prima le persone’, manifestazione contro razzismo e discriminazione per la convivenza pacifica e l’integrazione, promossa dalla rete DASIFVG, centro Balducci Zugliano che a Trieste riprendeva quella precedente di Milano.
Tutto comincia con l’espressione di apprezzamento che un piccolo gruppo di donne ha inviato ai sindaci ufficialmente presenti a Trieste (quattro di loro poi ci hanno risposto in forma molto interessane che a me piacerebbe fosse fondamento di un progetto).

Apprezziamo i sindaci ufficialmente presenti e alcune di noi glielo comunicano.
Siamo un piccolo numero di donne che ha inviato all’organizzazione responsabile della manifestazione ‘prima le persone’ un proprio documento per ricordare la precarietà della situazione giuridica che da dieci anni caratterizza l’esistenza di nati in Italia, se figli di migranti non comunitari irregolari.
Per questo scriviamo ai sindaci ufficialmente presenti alla bella manifestazione di Trieste, uno di quegli incontri in cui si vive l’esperienza appagante di sentirsi insieme ai propri simili per uno scopo buono e giusto e sappiamo quanto questo sia importante per raggiungere un risultato che rappresenti un obiettivo comune.
Crediamo comunque che pur riconoscendo il significato di questo comune sentire ci voglia anche un altro passaggio.
Il nostro essere cittadini non è un dono di natura esclusivo ma uno status le cui caratteristiche sono determinate dalla Costituzione della Repubblica, che non è un testo costruito da ‘sovranisti’ in forma esclusiva ma un insieme di principi aperti a una dimensione umana che la storia ha costruito cui le norme che ci siamo dati danno certezze e indicazioni di metodo.
E figura fondante la relazione primaria che si costruisce fra le persone e la società è il sindaco, responsabile dell’onore di garantire il riconoscimento di ogni vita cui gli sportelli del suo comune devono assicurare un’esistenza riconosciuta.
Sappiamo che a ogni nuovo nato è dovuto il certificato che lo riconosce cittadino non necessariamente italiano perché, se i suoi genitori sono stranieri, quella cittadinanza risulterà riconosciuta nel documento che è fondamento della sua vita di relazione, che ne assicura il diritto ad avere dei diritti.
Da una decina d’anni quel principio assoluto ha subito una ferita dovuta all’affermazione di una norma cui il voto di fiducia ha dato una immeritata certezza: il genitore che si presenta allo sportello del comune ad assicurare ciò che è dovuto al figlio deve, se non comunitario, presentare secondo la legge, il permesso di soggiorno. Se irregolare la sua irregolarità incide sul figlio trasformandolo in ‘spia’ del genitore stesso che a seguito di questa emersione della situazione irregolare può subire l’espulsione o altra pena.
Il rischio che corre può portarlo a non denunciare la nascita del figlio, un’omissione di gravità estrema come è facile comprendere.
Ci è noto che una circolare, emanata in puntuale contemporaneità con la legge, segnala che in questa situazione il titolo di soggiorno dei genitori non deve essere richiesto perché in tal caso l’evidenza di una loro irregolarità inficerebbe l’inviolabilità del diritto del nuovo nato.
Ci troviamo quindi in un paradosso per cui l’atto più importante che consente di inserire un essere dalla totale fragilità nella società umana –o almeno in quella tipologia di società che l’Europa (e certamente anche l’Italia) conosce – è assicurato dal più fragile dei documenti amministrativi, una circolare.
E nello stesso tempo constatiamo che l’onore di trasformare quella fragilità in certezza dovuta ad ogni nuovo essere umano spetta ai sindaci.
Questo abbiamo letto nella vostra presenza oltre ogni emozione e di ciò vi siamo grate.

Adriana Libanetti , Alessandra Missana, Andreina Baruffini, Chiara Gallo, Giuliana Catanese, Ivana Bonelli , Maria Grazia Zanol, Marina Giovannelli con Gruppo Anna Achmatova, Mary Silva Remonato, Alida Mason, Rita Turissini, Silvana Cremaschi, Valentina Degano con Donne in nero.Udine, Suzi Cucchini, Augusta De Piero.

Incalzata dal 25 aprile mi vengono in mente alcune considerazioni
Nel documento ricordavamo l’obbligo di ogni comune a registrare le dichiarazioni di nascita di chiunque nasca sul territorio del comune stesso, obbligo che si sostanzia nel rispetto del diritto di ogni nato ad avere il certificato di nascita.
Purtroppo una pessima modalità informativa ha portato ad identificare la registrazione della nascita con l’attribuzione della cittadinanza italiana creando confusione nell’opinione pubblica.
Sarebbe bello ma non è (ancora?!) così: oggi ogni nato ha diritto ad esistere e la cittadinanza che gli viene riconosciuta è, nel caso di nati in Italia, quella italiana.
Questo sarebbe ius soli ma in Italia vige ancora lo ius sanguinis, peggiorato dalla discriminazione di neonati che si vogliono fantasmi.

Non dobbiamo dimenticare che in Italia la prossima estate – e precisamente il 7 agosto – cadrà il decennale della ferita inferta alla nostra dignità di cittadini e cittadine dalla legge che – ostacolando la concessione del certificato di nascita ai nati in Italia, figli di non comunitari irregolari – si fa beffe del principio affermato dalla Convenzione di New York del 1989, ratificata in legge 176/1991, di cui trascrivo l’art. 7

1. Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi.
2. Gli Stati parti vigilano affinché questi diritti siano attuati in conformità con la loro legislazione nazionale e con gli obblighi che sono imposti loro dagli strumenti internazionali applicabili in materia, in particolare nei casi in cui se ciò non fosse fatto, il fanciullo verrebbe a trovarsi apolide.

Per necessità che nasce dalla stessa legge 176 (“con gli obblighi che sono imposti dagli strumenti internazionali applicabili in materia”) lo stesso giorno dell’entrata in vigore della legge 94/2009 (art. 1 comma 22 lettera g) fu emanata una circolare (n. 19/2011-Ministero dell’interno) che cancella, per quanto può una circolare, l’obbligo di presentazione del permesso di soggiorno dei genitori, una misura che può farsi lesione di un diritto assoluto del figlio, che nulla ha a che fare con la situazione di irregolarità burocratica di chi lo ha generato.
La conseguenza è evidente: il permesso di soggiorno non deve essere richiesto a una mamma e a un papà che, nel rispetto del diritto del loro figlio, non possono in quella circostanza essere costretti a dichiarare una condizione che può prevederne l’espulsione.
E ci piacerebbe che i sindaci, consapevoli dell’onore che loro appartiene di trasformare la fragilità del più debole degli strumenti di cui sono responsabili, una circolare, nella garanzia del diritto alto e irrinunciabile di ogni essere umano ad avere un’esistenza giuridicamente riconosciuta, ne facessero pubblica informazione nel modo più trasparente per rompere – ove ci fosse – il muro della paura.
E naturalmente in questo impegno non dovrebbero essere lasciati soli.

Cittadine e non suddite (e anche cittadini, naturalmente)

A fronte della assicurazione che facesse di una circolare il fondamento per ogni persona, senza eccezione alcuna, del diritto ad avere dei diritti, ci è consentito superare il senso di umiliazione che una pessima legge, non modificata in un punto dirimente, impone a chiunque si senta cittadino e non suddito, come furono gli italiani sottomessi alle leggi razziali del 1938.
Sono certa di poter scrivere tutto questo anche a nome delle amiche che con me hanno firmato la lettera ai sindaci del 13 aprile.
E aggiungo la mia solidarietà di madre a quelle altre madri cui l’esultanza di poter dire, di fronte a un loro piccolo nato, “questo è mio figlio”, è stata soffocata da una norma, simile a quelle che hanno causato tragedie che molti fingono di non ricordare.

Blog del 23 aprile: https://diariealtro.it/?p=6560

24 Aprile 2019Permalink

23 aprile 2019 — La voce di una richiedente asilo di ieri per i richiedenti asilo di oggi

Ho letto in un tweet della senatrice Segre:
Ho la paura della perdita della democrazia, perché io so cos’è la non democrazia. La democrazia si perde pian piano, nell’indifferenza generale, perché fa comodo non schierarsi.”
L’occhio vigile è reso consapevole non solo dalla memoria della sua tragica esperienza di ragazzina ma anche dal continuo esercizio che ne ha fatto con il suo prezioso regalo a tutti noi e in particolare ai giovani con cui si è confrontata in tanti incontri.
Ha avuto la capacità di descrivere la sua tragedia con le parole dell’oggi , offrendo al nostro linguaggio un significato che trascende il tempo: «Quando mio padre decise – troppo tardi, purtroppo – la fuga dall’Italia, siamo stati dei richiedenti asilo respinti dalla Svizzera al confine».

Ho letto in un tweet di Bruno Segre.
«Quando suona a morto la campana della libertà non chiedere per chi suona, suona anche per te».
Ce lo aveva detto anche Martin Niemöller (1892-1984).
Gli costarono il campo di concentramento
«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare»

Lo dice anche la mia tartarughina con  il suo tozzo collo mantenuto dritto a fronte del gallo bello e arrogante che la sovrasta minaccioso. E’ una bestia che ha successo e il suo successo suscita adesione. Ma la mia tartarughina sa che in democrazia la parola, anche un No consapevole, è più forte di  qualsiasi mitraglietta, il simulacro di chi non conosce la forza di quella  ragione il cui sonno genera mostri.

23 Aprile 2019Permalink