27 gennaio 2023 – Il discorso del presidente Sergio Mattarella

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della celebrazione del Giorno della Memoria

 Palazzo del Quirinale, 27/01/2023

Rivolgo un saluto molto cordiale, ai Presidenti del Senato, della Camera e del Consiglio dei ministri, alla Vice Presidente della Corte Costituzionale, a tutti i presenti e a quanti stanno seguendo questo momento di memoria.
Un saluto particolare a Edith Bruck e Sami Modiano, ringraziandoli per essere qui.
Ogni anno, il Giorno della Memoria, istituito con legge nel 2000, ci sollecita a ricordare, a testimoniare e a meditare sui tragici avvenimenti che attraversarono e colpirono l’Europa nella prima metà del secolo scorso, il Novecento; definito, da alcuni storici, non senza ragione, come «il secolo degli Stermini.»
Lo facciamo, sempre, con l’animo colmo di angoscia e di riprovazione. Gli anni che sono passati da quegli eventi luttuosi, infatti, non attenuano il senso di sconforto, di vuoto esistenziale, di pena sconfinata per le vittime innocenti che si prova di fronte alla mostruosità del sistema di sterminio di massa – degli ebrei e di altri gruppi considerati indegni di vivere – pianificato e organizzato dal nazismo hitleriano e dai suoi complici in Europa.

Il sistema di Auschwitz e dei campi ad esso collegati fu l’estrema, ma diretta e ineluttabile, conseguenza di pulsioni antistoriche e antiscientifiche, di istinti brutali, di pregiudizi, di dottrine perniciose, di gretti interessi, e persino di conformismi di moda.
Tossine letali – razzismo, nazionalismo aggressivo e guerrafondaio, autoritarismo, culto del capo, divinizzazione dello Stato – che circolarono, fin dai primi anni del secolo scorso, dalle università ai salotti, persino tra artisti e scienziati, avvelenando i popoli, offuscando le menti, rendendo aridi cuori e sentimenti.
Ringrazio i relatori. Il professor Sacerdoti, per la sua puntuale e appassionata relazione. Noemi Di Segni e il Ministro Valditara, per le parole piene di significato. Il professor Foà, che ha condiviso con Chiara e Martina la sua testimonianza dolorosa e preziosa. Il giovane Davide Milano. Rai Cultura per il filmato così efficace.
Grazie ad Andrea Pennacchi, che ci ha condotto e ci ha fatto condividere brani illuminanti. E al Maestro Lotoro con i suoi musicisti.

L’arte è una forma alta di comunicazione, che ci emoziona e ci aiuta a comprendere in profondità fatti complessi e tragici, per i quali le semplici parole non sempre sono sufficienti.
Avvicinarsi alla comprensione dei motivi per cui la storia dell’umanità – e, nello specifico, d’Europa – abbia compiuto, nel secolo scorso, una così grave e spaventosa involuzione è un cammino difficile, ma necessario..
Così come è fondamentale mettere in luce come la persecuzione razziale poggiasse su un complesso sistema di leggi e di provvedimenti, concepiti da giuristi compiacenti, in spregio alla concezione del diritto, che nasce – come ben sappiamo – dalla necessità di proteggere la persona dall’arbitrio del potere e dalla prevaricazione della forza.
La Shoah, infatti, ossia la messa in pratica di una volontà di cancellare dalla faccia della terra persone e gruppi ritenuti inferiori, è stato un lento e inesorabile processo, una lunga catena con molti anelli e altrettante responsabilità.
La scelta nazista, con le famigerate leggi di Norimberga, e quella fascista – che la seguì omologandovisi – di creare una gerarchia umana fondata sul mito della razza e del sangue fornì i presupposti per la persecuzione e per il successivo sterminio.
Il regime fascista, nel 1938, con le leggi razziali agì crudelmente contro una parte del nostro popolo. È di grande significato che la Costituzione repubblicana, dopo la Liberazione, volle sancire solennemente, all’articolo 3, la pari dignità ed eguaglianza di tutti i cittadini, anche con l’espressione “senza distinzione di razza”. Taluno ha opinato che possa apparire una involontaria concessione terminologica a tesi implicitamente razziste. I Costituenti ritennero, al contrario, che manifestasse, in modo inequivocabile, la distanza che separava la nuova Italia da quella razzista. Per ribadire mai più.

Agli italiani di origine ebraica fu sottratta, da un giorno all’altro, la cittadinanza, cioè l’appartenenza allo Stato. Tra tutti questi innocenti vi erano numerosi volontari e decorati della prima guerra mondiale, vi erano protagonisti della vita sociale, culturale, economica dell’Italia.
Vennero espulsi dall’esercito, dalla pubblica amministrazione, dalle scuole e dalle università. Fu loro vietato l’esercizio della libera professione. I loro libri, le loro opere d’arte vennero bandite e bruciate. I beni confiscati. Il loro censimento in quanto ebrei favorì la successiva concentrazione nei ghetti o nei campi di detenzione e consentì ai carnefici nazisti di portare a termine l’infame opera di deportazione, su vagoni bestiame, verso le fabbriche della morte: i campi di Auschwitz-Birkenau, Chelmno, Belzec, Sobibor, Treblinka e tanti altri.
Nel Nord e nel Centro Italia, dopo i drammatici fatti seguiti all’8 settembre del 1943, le milizie fasciste parteciparono alla caccia degli ebrei. Tanti furono così consegnati alle SS tedesche.
Vi furono tanti italiani, i “giusti”, che rischiando e a volte perdendo la propria vita, decisero di resistere alla barbarie nazista, nascondendo o aiutando gli ebrei a scappare.
Rendendo oggi onore a questi italiani, non possiamo sottacere anche l’esistenza di delatori, informatori, traditori che consegnarono vite umane agli assassini, per fanatismo o in vile cambio di denaro.
I racconti dei pochi sopravvissuti dai campi di sterminio, ma anche la imponente documentazione raccolta negli archivi del Reich, descrivono quei luoghi come l’inferno, il regno della crudeltà, dell’arbitrio, della morte.
Bambini, anziani, uomini e donne inabili al lavoro finivano direttamente dal treno alle camere a gas, sperimentate dai tecnici nazisti, prima per la spietata e criminale campagna di eliminazione dei disabili e poi con i prigionieri di guerra.
Agli altri, agli scampati, gli aguzzini riservavano un’esistenza lugubre, durissima, precaria, fatta di massacranti lavori forzati, di freddo, di fame, di umiliazioni, di punizioni corporali, di terrore. Al minimo segno di cedimento fisico, attraverso la terribile pratica delle selezioni, venivano spediti anch’essi alle camere a gas. I più sfortunati perirono, tra immani sofferenze, come cavie degli esperimenti dei medici nazisti. Altri morirono di freddo o furono uccisi brutalmente durante il trasferimento in altri campi, le cosiddette “marce della morte”. Milioni di donne e di uomini, furono spogliati e depredati di tutto, della dignità e della vita, ridotti e trattati come oggetti senza valore.

Rincuora pensare che adesso, oltre ai tanti in visita, ogni anno, migliaia di ragazzi diano vita a una “marcia dei viventi” da Auschwitz a Birkenau, per vicinanza ai sopravvissuti e per ricordo di quanti vi trovarono la morte.

La Shoah fu un unicum nella storia dell’uomo, pur segnata da sempre da barbarie, guerre, stragi ed eccidi. Nessuno Stato aveva mai, come scrisse lo storico tedesco Eberhard Jäckel, «deciso e annunciato, con l’autorità e sotto la responsabilità del proprio leader, di voler uccidere, il più possibile e senza sosta, un determinato gruppo di esseri umani, inclusi gli anziani, le donne, i ambini e i neonati; e mai aveva messo in atto questa decisione con tutti i mezzi possibili al potere statale.»

Questo gruppo – cui fa riferimento questo storico – era costituito soprattutto dagli ebrei, considerati il livello più basso nella folle gerarchia umana, concepita dai nazifascisti. Nei campi di sterminio perirono anche prigionieri di guerra, oppositori politici, omosessuali, rom e sinti, testimoni di Geova, appartenenti ad altre minoranze etniche o religiose.
Gli ebrei italiani vittime delle persecuzioni razziste – come abbiamo visto nel filmato – sono migliaia di persone, la maggioranza delle quali scomparse nell’oscuro universo di Auschwitz.

Non possiamo dimenticare – ricordando i deportati italiani – le sofferenze patite dai nostri militari, internati nei campi di prigionia tedesca, dopo il rifiuto di passare nelle file della Repubblica di Salò, alleata e complice dell’occupante nazista. Furono 650 mila. Il loro ‘no’ ha rappresentato un atto di estremo coraggio, di riscatto morale, di Resistenza.

Bertold Brecht, a commento dell’immagine di una donna che si aggirava disperata tra le macerie di un palazzo raso al suolo dai bombardamenti, scrisse: «Non incolpare il destino, o donna! Le potenze oscure che ti dilaniano hanno un nome, un indirizzo, un volto.»
Dare un nome e un volto alle potenze oscure, ai criminali che hanno scatenato la guerra e causato la morte di milioni di persone, significa smitizzare la cupa e sanguinosa stagione del nazifascismo e riportare l’accaduto sul terreno concreto delle colpevoli attitudini degli uomini e delle terribili potenzialità insite nel loro animo.

La parte maggiore della responsabilità delle leggi e della politica razzista, in Germania e in Italia va attribuita ai capi dei due regimi, Hitler e Mussolini. Ma il terribile meccanismo di distruzione non si sarebbe messo in moto se non avesse goduto di un consenso, a volte tacito ma comunque diffuso, nella popolazione. Un consenso con gradi e motivazioni diversi: l’adesione incondizionata, la paura, ma anche, e spesso, il conformismo e quell’orribile apatia morale costituita dall’indifferenza. Poche e isolate furono le voci e le figure illuminate che, in Germania e in Italia, parlarono per condannare il razzismo e la sua letale deriva.
Colpiscono particolarmente le testimonianze dei carnefici. Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz, che costruì e diresse un sistema che produsse la morte di milioni di innocenti, poco prima di essere giustiziato per crimini di guerra, scrisse un agghiacciante memoriale sulla sua carriera di funzionario statale. Dopo aver espresso un non celato compiacimento burocratico per il grado di efficienza nello sterminio raggiunto nel suo campo, confidò di aver talvolta coltivato dubbi sulla necessità di uccidere tante persone, ma di aver trovato risposta e conforto nel fatto di eseguire, con zelo e sollecitudine, un ordine proveniente direttamente da Hitler.
L’adesione al Führerprinzip, la fiducia e l’obbedienza cieca e incondizionata al capo supremo e alle sue volontà, era arrivata a tal punto da provocare in lui l’indifferenza tra il bene e il male, tra la giustizia e l’iniquità, anche di fronte al quotidiano spettacolo di migliaia di uomini, donne e bambini, avviati per file ordinate verso le camere a gas.

Come ha ricordato, nei giorni scorsi, Ferruccio De Bortoli, “senza memoria non c’è giustizia”.
Il valore della Memoria non si esprime soltanto nel ricordo, doveroso e partecipe, delle vittime e delle disumane sofferenze loro inflitte. Ma è espresso nell’impegno che – alla fine della Seconda Guerra mondiale – gli uomini liberi e gli Stati democratici presero, sulle ceneri di Auschwitz, per dire mai più.
Un impegno che oggi ci unisce e ci interpella. Mai più a un mondo dominato dalla violenza, dalla sopraffazione, dal razzismo, dal culto della personalità, dalle aggressioni, dalla guerra. Mai più a uno Stato che calpesta libertà e diritti. Mai più a una società che discrimina, divide, isola e perseguita. Mai più a una cultura o a una ideologia che inneggia alla superiorità razziale, all’intolleranza, al fanatismo.
I principi che informano la nostra Costituzione repubblicana e la Carta dei Diritti Universali dell’Uomo rappresentano la radicale negazione dell’universo che ha condotto ad Auschwitz. Principi che oggi, purtroppo, vediamo minacciati nel mondo da sanguinose guerre di aggressione, da repressioni ottuse ed esecuzioni sommarie, dal riemergere in modo preoccupante – alimentato dall’uso distorto dei social – dell’antisemitismo, dell’intolleranza, del razzismo e del negazionismo, che del razzismo è la forma più subdola e insidiosa.

Autorità, gentili ospiti, cari ragazzi,
le origini, lo sviluppo, le cause e le nefande conseguenze dell’avvento delle ideologie e dei regimi nazifascisti nel Vecchio Continente sono stati analizzati, interpretati e discussi sotto la lente di studiosi delle più diverse discipline: storici, filosofi, psicologi, giuristi, sociologi, economisti, politologi, teologi. La ricerca sulla Shoah continua a produrre, incessantemente, contributi nuovi e rilevanti.
Ma osservando, dall’alto e a distanza crescente di anni, il baratro di abominio e perversione culminato nelle camere a gas e nei forni crematori, si viene tuttora colti da un senso di smarrimento, di impotenza, di incredulità. «Eventi incredibili – scrisse Luigi Meneghello – e insieme orribilmente documentabili.»
I cancelli di Auschwitz si spalancano tuttora sopra un abisso oscuro e impenetrabile di cancellazione totale della dignità dell’uomo: il buio della ragione che, come avvertiva Goya, genera mostri.

Auschwitz – punta emblematica di un sistema e di un’ideologia perversi – è dunque il simbolo della mancanza di luce e di speranza, della negazione dell’umanità e della vita, l’indicibile, il non-luogo per antonomasia.
Un biglietto di una tra le tante vittime sconosciute, seppellito e ritrovato nei pressi dei crematori di Auschwitz, ammonisce e insegna ancora: «Sapete cosa è successo, non lo dimenticate, e tuttavia non saprete mai.»

https://www.quirinale.it/elementi/78887

28 Gennaio 2023Permalink

21 dicembre 2022 – NON SOLO CERCIVENTO. QUANDO LA MEMORIA DIVENTA STORIA

Come per il precedente  articolo ricordo  che anche  questo è stato pubblicato nel  n. 270  del periodico  Ho un sogno (reperibile alla libreria CLUF di via Gemona 22) . Vive da 31 anni ed  è l’unica fonte di informazione per alcune notizie ignorate .

Da anni Ho un Sogno si occupa dei fusilaz di Cercivento una storia di caduti per mano della patria che i discendenti e il paese consapevole non hanno permesso soffocasse nel silenzio, riposta nella sfera degli affetti privati.
Così accanto al cimitero nel luogo in cui il 1° luglio 1916 Silvio Gaetano Ortis, Basilio Matiz, Giovan Battista Corradazzi e Angelo Massaro furono fucilati sorge un cippo che ne ricorda la violenza subita.
“NON SOLO CERCIVENTO”. L’11 novembre il loro caso ha dato il titolo a un convegno che si è svolto presso la sede dell’Università di Udine , promosso dalla “Consulta sulle fucilazioni e decimazioni per l’esempio”, un organismo nato a seguito della legge regionale 7/2021 che ha fra i suoi compiti quello di costruire “l’Albo dei caduti per l’esempio” .
L’11 novembre, nel presentarsi per la prima volta pubblicamente, la Consulta ha dato spazio agli interventi di storici, che necessariamente sono andati oltre la memoria di quel fatto e che saranno raccolti in una apposita pubblicazione.
Tra i relatori, Giulia Sattolo che nel 2018 ha pubblicato “Questa sera verrà il bello! La decimazione di Santa Maria la Longa”.
In questo testo, l’autrice ci affida, fra i tanti documenti raccolti con una cura che svela una partecipazione che va ben oltre la diligenza, l’ordine del duca d’Aosta Emanuele Filiberto di Savoia, che con impudica arroganza ben svela l’intento omicida delle decimazioni dove la vita degli uomini è affidata al sorteggio: “Intendo che la disciplina regni sempre sovrana fra le mie truppe. Ho approvato che, nei riparti che sciaguratamente si macchiarono di così grave onta, alcuni colpevoli o non, fossero immediatamente passati per le armi. Così farò, inesorabilmente, quante volte sarà necessario. […] Per compierlo, non mi arresterò davanti a nessuna misura, per quanto grave. Questo ordine sia letto a tutte le truppe (pag. 58)”.
A Santa Maria la Longa il 16 luglio 1917 furono fucilati 28 uomini, il cui corpo era stato ridotto a un tirassegno differenziato: “fucilazione al petto per reati gravi ma non infamanti e fucilazione alla schiena per delitti considerati disonorevoli e vergognosi (pag. 142)”.
A Santa Maria la Longa venivano concentrati i militari per il riposo previsto e regolamentato nel corso della terribile guerra in trincea. Un gruppo di costoro, appartenente alla Brigata Catanzaro, resosi conto che ciò che era loro dovuto non era invece assicurato, aveva organizzato una protesta che si sarebbe consolidata una sera, quando fosse venuto “il bello”!
L’ingenuità dei militari che avevano organizzato la comprensibile protesta li aveva indotti ad immaginare che i ‘superiori’ li considerassero esseri umani.
E la sera in cui la situazione si sarebbe dovuta risolvere come il regolamento prevedeva, sperimentarono il risultato dell’arroganza di un potere incontrollato e folle.
La loro fucilazione avvenne lontano dall’abitato, fu vista da alcuni ragazzini nascosti, chi sapeva tacque a lungo.
A strage consumata i ‘sopravvissuti’ furono allontanati dal luogo del massacro e dispersi fra altre brigate e compagnie.
Le salme dei fucilati vennero gettate in una fossa comune: il dolore e la pietà non dovevano aver rifermenti tali da sollecitare l’orrore consapevole di chi ne venisse a conoscenza e il disonore delle vittime la cui sorte era stata affidata ai dadi doveva estendersi ai parenti lontani. Solo “agli inizi degli anni Venti, i familiari delle vittime di fucilazioni ed esecuzioni sommarie iniziarono a chiedere legittimamente notizie dei propri cari” (pag. 163).

A Santa Maria la Longa trascorse una sosta anche il fante Giuseppe Ungaretti. Probabilmente questa esperienza ispira il breve componimento “Soldati”, (luglio 1918) che , mentre trasmette lo stato d’animo di un momento, lo estende a tutta condizione umana

Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie

LA MEMORIA CONDIVISA DELL’ORRORE
Le guerre portano una infinita serie di orrori e di costi in termini di vite umane: centinaia di migliaia di morti sul campo o negli ospedali, di invalidi destinati a una misera esistenza e di prigionieri.
Uno degli aspetti più sconvolgenti riguardò, tra il 1914 e il 1918, la repressione interna per il mantenimento della disciplina tra i soldati, ovvero la “fucilazione come esempio” (termine diffuso in Francia), o “fucilazioni sommarie” (termine italiano).
Già il 24 maggio 1915 Luigi Cadorna stabiliva, nella sua Circolare n.1 che: “Il Comando Supremo vuole che in ogni contingenza di luogo e di tempo regni sovrana in tutto l’esercito una ferrea disciplina”. Per mantenerla “si prevenga con oculatezza e si reprima con inflessibile rigore”.
Il 28 settembre dello stesso anno, il “Reparto Disciplina avanzamento e giustizia militare” del Comando Supremo, con la Circolare n, 3525 poneva le basi per le fucilazioni sommarie, dettando la procedura per l’intervento di repressione di fronte all’apparire di gravi sintomi di “indisciplina individuale o collettiva nei reparti al fronte”.
Al terzo punto era scritto che “il superiore ha il sacro diritto e dovere di passare immediatamente per le armi i recalcitranti e i vigliacci. Per chiunque riuscisse a sfuggire a questa salutare giustizia sommaria subentrerà inesorabile quella dei tribunali militari”.

 

 

 

21 Dicembre 2022Permalink

23 novembre 2022 – Una serata a Cervignano il 2 dicembre

Musica, matematica e pace
Un mix affascinante
Penso alla ‘mia’ legge  sulla cultura della pace, Un’iniziativa così avrebbe avuto un finanziamento. Chissà se è ancora in vigore!
Sono  passati tanti anni!

𝐕𝐞𝐧𝐞𝐫𝐝𝐢̀ 𝟐 𝐝𝐢𝐜𝐞𝐦𝐛𝐫𝐞 / 𝐨𝐫𝐞 𝟏𝟗 / 𝐂𝐚𝐬𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐌𝐮𝐬𝐢𝐜𝐚 𝐜/𝐨 𝐋𝐚𝐫𝐠𝐨 𝐦𝐚𝐞𝐬𝐭𝐫𝐨 𝐆𝐚𝐥𝐥𝐢𝐚𝐧𝐨 𝐁𝐫𝐚𝐝𝐚𝐬𝐜𝐡𝐢𝐚 – 𝐂𝐞𝐫𝐯𝐢𝐠𝐧𝐚𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐅𝐫𝐢𝐮𝐥𝐢

“𝐒𝐞 𝐯𝐮𝐨𝐢 𝐥𝐚 𝐩𝐚𝐜𝐞 𝐩𝐫𝐞𝐩𝐚𝐫𝐚 𝐥𝐚 𝐩𝐚𝐜𝐞”: da quando il mondo, e l’Europa in modo specifico, si stanno riarmando, questo imperativo richiede un’urgente concretizzazione, proprio perché sono i discorsi di guerra a prevalere sia nei mezzi di comunicazione sia in una larga parte della politica europea e italiana che essi raccontano. Si è diffuso un più convincente “prepara la guerra” che ripercorre passi di una Storia mai finita, quella in cui l’ultima parola sembra che spetti alle armi, peraltro ormai ampiamente capaci di distruzione totale.

La matematica si è certamente in parte prestata alla guerra, ma è molto più affine alla pace, la sa dire, praticare, suggerire. Molti matematici (e matematiche) si sono occupati e si occupano di pace, hanno individuato modelli per la risoluzione non violenta dei conflitti, hanno seguito e seguono un imperativo etico che li ha portati a fare della pace il centro del proprio agire. Sono stati fondati centri in cui studiosi/e di discipline scientifiche e no fanno ricerca sui temi della pace, sui suoi argomenti, a partire da come la pace possa essere definita.
Discuteremo su alcuni di questi nomi e sul loro lavoro, su perché matematica, scienza, democrazia, pace e giustizia siano ambiti collegati, a volte così profondamente da apparire coincidenti nel metodo. Attraverso esempi concreti cercheremo vie che la matematica è capace di offrire, strumenti per aprire porte dove vie d’uscita sembra non ci siano.

Ne parleremo con Giorgio Gallo e Furio Honsell. Moderatrice: Dianella Pez.

23 Novembre 2022Permalink

13 ottobre 2022 – Apertura (?!) XIX legislatura . Cessiamo il fuoco!

“Cessate il fuoco”: l’appello del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale

Redazione 11/10/2022, 13:39

Un appello per il “Cessate il fuoco” nel conflitto in Ucraina – sulla scia di quello di papa Francesco – è stato diffuso lo scorso 7 ottobre dalla Presidenza del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale (Cdc). «Con la formale annessione alla Federazione Russa delle regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson si è verificato un fatto nuovo che cambia profondamente la natura del conflitto in corso in Ucraina e apre la strada ad un’ulteriore escalation».

Dopo 7 mesi di combattimenti ininterrotti, si legge nell’appello, quella che i russi chiamano «operazione militare speciale» rischia ora di trasformarsi «in una sorta di guerra santa per la difesa della madre patria». Nulla di buono all’orizzonte insomma, afferma il Cdc e, anzi, la minaccia nucleare da parte russa, le intenzioni ucraine di riprendersi i territori occupati, la rigida chiusura di Zelensky alle ipotesi di negoziato aprono «uno scenario tremendo di violenza bellica simile a quello della Prima guerra mondiale», con l’aggiunta – decisamente non irrilevante – dell’angoscia per un possibile «olocausto mondiale».

Il Cdc invita dunque a «un cambiamento di rotta», smettendo di «alimentare l’ambizione del governo ucraino di “vincere” la guerra» e «di recuperare con la forza quei territori che si sono distaccati nel 2014». Il diritto ucraino alla difesa va senza dubbio riconosciuto, spiega la nota, ma non può «trascinare il mondo in una guerra mondiale e tanto meno nucleare che cancellerebbe buona parte dell’umanità».

La Presidenza del Cdc condivide, infine, «la necessità di una mobilitazione popolare promossa dal più largo schieramento possibile di associazioni e di persone che vogliono un immediato cessate il fuoco, l’avvio di trattative di pace, una conferenza internazionale per definire come uscire da questo pericoloso conflitto». E «aderisce alle iniziative di associazioni laiche e cattoliche, dalle reti italiane ed europee che invocano il cessate il fuoco immediato, condizione imprescindibile per costruire percorsi di pace ed avviare una conferenza internazionale (come quella di Helsinky del 1975), che consenta di ricostruire una convivenza pacifica in Europa e nel mondo».

Link: https://www.adista.it/articolo/68828?utm_campaign=shareaholic&utm_medium=google_mail&utm_source=email

13 Ottobre 2022Permalink

24 luglio 2022 – Ucraina: direttissimo Sigonella – Mar Nero

https://www.adista.it/articolo/68428

Adista è un settimanale di informazione indipendente «su mondo cattolico e realtà religiose» (il nome Adista è l’acronimo di “Agenzia Di Informazioni STAmpa”).

Antonio Mazzeo 23/07/2022, 11:29

Questo articolo è stato pubblicato sul blog di Antonio Mazzeo il 21 luglio 2022

Vola, individua, spia e spara. È il “gioiello” di guerra della Marina militare degli Stati Uniti d’America a cui è stato dato il nome del dio del mare e delle catastrofi dei terremoti e dei maremoti. È il pattugliatore multi missione P-8A “Poseidon”, realizzato dall’holding industriale aerospaziale Boeing per la lotta antisommergibile ed antinave e per le attività di intelligence, sorveglianza e ricognizione. Il velivolo è stato consegnato nel 2014 e dal settembre 2016 opera stabilmente dalla grande base militare siciliana di Sigonella sotto il comando e il controllo di un distaccamento del Patrol Squadron 45 di US Navy appositamente trasferito in Sicilia da Jacksonville, Florida.

“Sigonella consente lo schieramento dei P-8A in uno scacchiere geostrategico che comprende il Mediterraneo, l’Africa settentrionale e l’Europa orientale a supporto del Comando delle forze armate USA in Europa e nel continente africano”, spiega il Pentagono. Per i nuovi pattugliatori sono state ampliate a NAS Sigonella le aree di parcheggio e le piste ed è stato realizzato un maxi-hangar con annesso centro di manutenzione del costo di 26,5 milioni di dollari, inaugurato ufficialmente a metà gennaio 2022. “Progettato per ospitare simultaneamente due P-8A Poseidon, l’hangar di 56.000 piedi quadrati offre uno spazio per gli squadroni aerei trasferiti a rotazione e per le operazioni della Commander Task Force 67 di US Navy”, spiega il Dipartimento della Difesa. “Lo scorso anno, la parte dell’hangar già completata, è stata utilizzata come luogo di transito per i cittadini afgani evacuati prima del loro trasferimento definitivo in altri paesi”.

Insieme ai droni “Global Hawk” di US Navy e AGS NATO – anch’essi con quartier generale Sigonella – i pattugliatori “Poseidon” hanno assunto un ruolo chiave nelle operazioni militari di Washington e dell’Alleanza Atlantica a sostegno del governo di Kiev contro l’occupazione russa di ampie regioni ucraine. Una specie di occhio e orecchio non poi tanto segreto contro le manovre dell’esercito di Mosca e una sorta di consigliere-guida della controffensiva delle forze armate ucraine che ha già consentito di ottenere sul campo rilevanti e sanguinosi “successi” sugli avversari.

Droni e pattugliatori decollano da Sigonella verso l’Europa orientale e il Mar Nero con frequenza ormai quotidiana e lo fanno da molto prima dell’invasione russa del 24 febbraio. Un servizio dell’emittente statunitense CNN andato in onda il 16 febbraio ha riferito di un incontro ravvicinato nel cieli del Mediterraneo tra alcuni cacciabombardieri russi Sukhoi SU-35 e un P-8 “Poseidon” proveniente dallo scalo siciliano. “Non sono state fornite informazioni dal Pentagono sul punto esatto in cui è avvenuto l’incontro, ma le manovre aeree dei russi sono state definite pericolose e scarsamente professionali”, riferiva la CNN. Con lo scoppio della guerra e l’escalation militare di USA, NATO e UE in Est Europa, gli analisti indipendenti di ItaMilRadar hanno documentato la crescita progressiva delle operazioni dei velivoli-spia, con e senza pilota, in Mar Nero e ai confini con Ucraina, Russia e Bielorussia e nel Mediterraneo orientale in prossimità del porto di Tartus, Siria, utilizzato per le soste tecniche della flotta militare russa.

E un “Poseidon” ha avuto un ruolo importantissimo in quella che ad oggi, per il valore politico-simbolico ma soprattutto per le sue drammatiche conseguenze in termini di vite umane, rappresenta una delle azioni di guerra più significative: l’affondamento dell’incrociatore russo Moskva a largo di Odessa, mercoledì 13 aprile, presumibilmente dopo essere stato colpito dai militari ucraini con uno o più missili anti-nave. Sono ancora fittissimi i misteri sulle dinamiche e sulle unità protagoniste dell’attacco, così come è ancora ignoto il numero delle vittime. E’ tuttavia certo che l’operazione militare contro la nave ammiraglia russa nel Mar Nero è stata “monitorata” e registrata a poche miglia di distanza da un Boeing P-8A di US Navy decollato dalla stazione aeronavale di Sigonella. Il 12 aprile, ItaMilRadar ha pubblicato un breve post segnalando che “per la prima volta dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, stiamo tracciando una missione di un Boeing P-8A di US Navy sul Mar Nero”.

Incontri ravvicinati sulla pelle della gente

“Da quando è iniziata la guerra non ci sono state missioni di sorveglianza sul Mar Nero da parte di velivoli con pilota e questo tipo di operazioni sono state lasciate ai droni”, aggiungeva ItaMilRadar. “Oggi, tuttavia, un Poseidon di Sigonella sta svolgendo una missione di pattugliamento a largo delle coste della Romania e della Bulgaria, E’ interessante notare che l’aereo è giunto a 20 km dall’isola del Serpente (Snake Island), attualmente occupata dalla Marina russa, pur rimanendo nello spazio aereo rumeno. Questo è certamente l’incontro più ravvicinato sin dall’inizio della guerra tra un velivolo NATO e le truppe russe direttamente coinvolte nel conflitto. Va anche sottolineato che il P-8A ha spento il transponder ADS-B mentre stava volando sul mare”.

Un articolo comparso il 20 aprile sull’autorevole quotidiano londinese The Times, prontamente ripreso dal francese Le Figaro ha fornito una descrizione delle evoluzioni aeree del pattugliatore “Poseidon” prima e durante l’attacco contro l’incrociatore lanciamissili russo. “Un Boeing P8 era a meno di 100 miglia dal Moskva il giorno che l’incrociatore russo ha subito un danneggiamento catastrofico”, esordisce The Times. “Si crede che centinaia di marinai siano morti quando l’unità ammiraglia della flotta russa nel Mar Nero è stata colpita da almeno un missile ucraino anti-nave Neptune. Il suo affondamento ha drammaticamente ridotto la probabilità di un assalto anfibio su Odessa e ha inferto un colpo all’operatività della Russia nel Mar Nero”.

Il quotidiano londinese ha ricostruito dettagliatamente il volo del pattugliatore marittimo di US Navy sin dal decollo dallo scalo siciliano. “Il 13 aprile, un P8, identificato con il codice AE681B, ha lasciato la base aeronavale USA di Sigonella, per dirigersi verso il Mar Nero”, rivela The Times. “Esso è stato tracciato per la prima volta in volo sul Mediterraneo alle ore 13.32 (fuso orario di Kiev). I dati forniti da FlightRadar24 mostrano che il P8 ha sorvolato i Balcani e la Bulgaria, per poi raggiungere la costa rumena sul Mar Nero nelle prime ore del pomeriggio”.

“Il velivolo è stato localizzato per l’ultima volta mentre volava sulla città di Valea Nucarilor in Romania, a circa 12 miglia dalla frontiera con l’Ucraina, alle ore 15.27”, prosegue il quotidiano. “A quel punto il P8 era a meno di un centinaio di miglia da dove è stato colpito l’incrociatore Moskva. All’ora in cui è scomparso ai monitor di FlightRadar24, il P8 si era abbassato in volo da un’altitudine di 29.000 piedi a 11.900 (da 8.840 a 3.627 metri, nda)”. Sempre secondo The Times, nelle successive tre ore è stato impossibile per i radar tracciare la rotta del pattugliatore di US Navy. “Alla fine esso è riapparso alle ore 18.23, mentre volava sulla costa del Mar Nero in prossimità della città di Casimcea in Romania, a circa 37 miglia dalla sua ultima posizione documentata”, spiega la testata. “Dopo 19 minuti, il P8 ha spento ancora una volta il suo transponder, per riapparire 42 minuti più tardi vicino Abrud, nella Romania meridionale, alle ore 19.24, per poi rientrare alla base di Sigonella. Il primo report noto su quanto stava accadendo al Moskva risale alle ore 20.42, quando un volontario ucraino con legami con i militari ha postato un messaggio su Facebook. Alle 22.31 il governatore ucraino di Odessa ha fornito la prima conferma ufficiale sullo strike”.

La disinformazione italiana

Amelia Smith, analista statunitense indipendente, ha spiegato a The Times che la presenza del P8 in vicinanza dell’unità russa “era inusuale, ma non del tutto fuori dall’ordinario”. “L’analista ha anche detto che in quella giornata c’è stato un numero leggermente maggiore di velivoli USA che hanno sorvolato le coste del Mar Nero”, aggiunge The Times. “Il Segretario della Difesa USA, Lloyd Austin, ha ammesso questo mese che gli Stati Uniti stanno fornendo intelligence ai militari ucraini nella regione del Donbass, la prima ammissione pubblica che sono state condivise informazioni classificate con Kiev”. A conclusione, il quotidiano inglese si sofferma sulle caratteristiche tecniche del pattugliatore. “Il Boeing P8 Poseidon è il più sofisticato velivolo dell’arsenale USA per individuare i sottomarini e le unità da guerra di superficie; esso utilizza sonoboe contro le unità nemiche e può essere equipaggiato pure con sofisticati radar APY-10”, scrive The Times. “Anche se le sue capacità operative sono secretate, è parere degli esperti che un P8 può mappare con i radar un’area di 10.000 metri quadri da una distanza di più di 220 miglia, è ciò significa che il Moskva poteva essere tracciato perfettamente il giorno del suo affondamento”.

Il quotidiano francese Le Figaro si è spinto ancora oltre rivelando un particolare assai inquietante: “Il P8 Poseidon è pure armato con missili antinave AGM-84 Harpoon e siluri Mark 54. Sono simili ai sistemi impiegati a bordo del velivolo equivalente francese ATL2, utilizzato con il gruppo aeronavale da febbraio ad aprile 2022 (nel Mediterraneo orientale, nda), guidato dalla portaerei Clémenceau”. In verità altri analisti militari hanno scartato l’ipotesi che i missili che hanno colpito la nave russa siano partiti dal pattugliatore USA. Secondo uno dei massimi esperti di intelligence e questioni militari, l’ex vice-sottosegretario alla difesa statunitense Stephen Bryen “non esiste alcuna evidenza che il P-8A abbia lanciato qualsiasi dispositivo d’arma”. Se ciò fosse accaduto, aggiunge Bryen in un lungo articolo apparso su Asia Times, “sarebbe stata superata una linea assai sensibile e ciò avrebbe spinto gli USA direttamente alla guerra in Ucraina senza l’autorizzazione del Congresso o della Presidenza”. “Certo, ogni cosa è possibile”, commenta in conclusione. “Sicuramente, se il P-8A era lì, inseguendo le navi e i sottomarini russi, non avrebbe non potuto testare i differenti sistemi presenti a bordo contro le maggiori unità da guerra della Marina russa. Il P-8A ha una sofisticata suite di contromisure elettroniche AN/ALR-55 realizzata da BAE Systems. Questi sono sistemi nuovi di zecca e se si trovano sui pattugliatori P-8 che operano nell’arena del Mar Nero, dovrebbero essere stati installati lo scorso anno o anche nell’ultimo paio di mesi. Molto di ciò che l’ALR-55 può fare è sottoposto a segreto, ma si sa che è capace di disturbare i radar nemici o, possibilmente, di annullarne i segnali. Tuttavia è teoricamente possibile che se il P-8A di US Navy era connesso in tempo reale o quasi agli operatori ucraini del Neptune, esso potrebbe aver oscurato e annullato i sistemi radar a bordo delle navi russe. Ci sono pochi dubbi che il P-8A non si sia coordinato con gli ucraini, forse direttamente o attraverso connessioni satellitari, o possibilmente dopo il passaggio tra le forze USA e NATO e poi a quelle ucraine”. In un servizio pubblicato il 5 maggio dal New York Times sono state citate fonti ufficiali statunitensi e ucraine che avrebbero riferito anche di una possibile “distrazione” del Moskva con un drone “Bayraktar” di produzione turca ma in possesso delle forze armate di Kiev.

Da Sigonella direttamente sul Mar Nero

Le operazioni dei pattugliatori “Poseidon” sono proseguite anche nei giorni successivi all’affondamento della nave ammiraglia. ItaMilRadar ne ha documentato una il 15 aprile sul Mediterraneo orientale e un’altra ancora il giorno successivo. “Nel pomeriggio abbiamo tracciato una nuova missione sul Mar Nero di un USN Boeing P-8A partito da NAS Sigonella”, recita il report del 16 aprile. “Dopo una lunga sospensione (sin dall’inizio della guerra in Ucraina), nell’ultimo paio di giorni abbiamo registrato diverse nuove missioni dei Poseidon a largo delle coste bulgare e rumene (la prima il 12 aprile). Coincidenza (o no?), le missioni sono state riesumate appena prima dell’affondamento dell’incrociatore Moskva. Molto probabilmente essi stanno monitorando la situazione nel Mar Nero di fronte ad Odessa per comprendere le intenzioni della flotta russa riguardo a un possibile sbarco vicino la città ucraina”.

Nella mattinata del 19 aprile ItaMilRadar ha tracciato il decollo da Sigonella di un pattugliatore ATR P-72A dell’Aeronautica Militare italiana poi direttosi in missione nel mar Ionio e, subito dopo, di un Boeing P-8A di US Navy che ha raggiunto il Mar Nero per poi rientrare in serata nella base siciliana. “Durante il volo sul Mar Nero l’aereo ha spento il transponder ma possiamo affermare con certezza che la missione si è svolta di fronte alla Romania e alla Bulgaria, in una zona (specialmente quella settentrionale) che è ad appena un paio di miglia di distanza dall’area delle operazioni della flotta della Marina russa”. Un “Poseidon” ha operato nel Mediterraneo orientale pure tutta la giornata del 20 aprile, a breve distanza da un pattugliatore marittimo Lockheed CP-140 “Aurora” dell’Aeronautica militare del Canada, anch’esso decollato da Sigonella. E poi ancora il  24 aprile per l’ennesima missione top secret in Mar Nero (con il transponder spento per sfuggire al controllo radar) e nella serata di giorno 26, contemporaneamente a un’operazione vicina al confine occidentale dell’Ucraina di un drone “Global Hawk” dell’US Air Force (nome in codice Forte10) anch’esso decollato da NAS Sigonella.

Mentre in Italia nessuna grande rete televisiva né tanto meno un quotidiano di tiratura nazionale ha provato ad approfondire la vicenda relativa all’affondamento del Moskva e al ruolo assunto dal “Poseidon” decollato dalla Sicilia, il 5 maggio due importanti emittenti Tv degli Stati Uniti hanno fornito ulteriori dettagli sull’azione di guerra consumatasi in mare a metà aprile. La CNN ha riferito che “sono stati gli Stati Uniti a fornire le informazioni di intelligence che hanno aiutato a colpire l’incrociatore russo”. “Un funzionario statunitense – che ha parlato in forma anonima – ha affermato che l’Ucraina da sola ha deciso di prendere di mira e affondare l’ammiraglia della flotta russa del Mar Nero, usando i propri missili anti-nave”, ha aggiunto la CNN. “Tuttavia, visti i continui attacchi della Russia dal mare verso la costa ucraina, gli Stati Uniti hanno fornito una serie di informazioni, compresa l’ubicazione delle navi”.

“Dopo aver avvistato una nave da guerra russa nel Mar Nero, Kiev ha chiamato i suoi contatti americani per avere conferma che si trattasse del Moskva”, aggiunge l’emittente. “Gli Stati Uniti hanno confermato che era l’incrociatore e hanno fornito informazioni sulla sua posizione. Non è chiaro se gli USA sapessero che l’Ucraina avrebbe attaccato e non sono stati coinvolti nella decisione, hanno sottolineano le fonti militari”. Le rivelazioni della CNN sono state prontamente smentite dal portavoce del Pentagono, John Kirby. “Non abbiamo fornito all’Ucraina informazioni specifiche per affondare l’incrociatore russo Moskva”, ha dichiarato il funzionario alla CNN. “Non siamo stati coinvolti nella decisione degli ucraini di colpire l’imbarcazione o nell’operazione che hanno effettuato. Non eravamo a conoscenza dell’intenzione dell’Ucraina di colpire la nave (…) Gli ucraini hanno le loro capacità di intelligence per tracciare e colpire imbarcazioni russe come hanno fatto in questo caso”.

Sempre il 5 maggio anche l’NBC riportava quanto dichiarato da “alcune fonti ufficiali secretate”: “L’intelligence statunitense ha aiutato l’Ucraina ad affondare l’ammiraglia russa Moskva, dicono i funzionari”, riportava l’emittente televisiva. “L’attacco è avvenuto dopo che le forze armate ucraine hanno chiesto informazioni agli americani sull’unità in navigazione nel Mar Nero a sud di Odessa, hanno spiegato gli ufficiali USA ad NBC News. Gli statunitensi l’hanno identificata nel Moskva, hanno dichiarato gli ufficiali, e li hanno aiutati a confermare la sua localizzazione, dopo il quale gli ucraini hanno mirato alla naveGli USA non sapevano al momento che l’Ucraina stava per colpire il Moskva, hanno aggiunto, e non sono stati coinvolti nella decisione di colpirlaL’intelligence navale viene scambiata con gli ucraini per aiutarli nella difesa contro gli attacchi delle navi russe, hanno aggiunto gli ufficiali. Il ruolo USA nell’affondamento non era stato ammesso in precedenza. Ma NBC News aveva documentato il mese scorso come l’intelligence americana scambiata con l’Ucraina fosse stata strumentale nei successi riportati dall’Ucraina fino ad oggi, incluso l’aiuto agli ucraini per prendere di mira le forze armate russe ed evitare i suoi attacchi. Gli ufficiali statunitensi hanno espresso preoccupazione che le prove sullo scambio di intelligence USA con l’Ucraina possano far arrabbiare Putin e provocare una risposta imprevedibile. La politica odierna statunitense proibisce espressamente lo scambio di intelligence per colpire in modo letale i leader civili e militari russi, hanno spiegato ai due ufficiali statunitensi che hanno voluto rispondere a NBC News. Nei primi giorni di conflitto, il Moskva è stato protagonista di ciò che è divenuto un incidente iconico quando i militari a bordo ordinarono di arrendersi alle guardie di frontiere ucraine presenti a Snake Island. Nave da guerra russa, vaffan.., risposero le guardie”.

Il vaffanculo urlato contro l’incrociatore russo è divenuto uno degli immancabili ingredienti chiave della macchina da propaganda di guerra del governo di Kiev. Quando l’1 aprile 2022 attraversammo con la Carovana della Pace Stop The War la frontiera tra Polonia e Ucraina diretti a Leopoli, ci trovammo di fronte un cartellone gigante con al centro la siluette della cittadella del Cremlino disegnata a mo’ di nave da guerra, piegata su un fianco, mentre affonda in un lago di sangue. Sopra, a caratteri cubitali, in cirillico, Mosca vaffanculo!!! Cartelloni simili per demonizzare, dissacrare e disumanizzare un’intera città, un popolo, una lingua, una storia, una cultura, riempivano le piazze del centro storico di Leopoli, patrimonio dell’umanità. Un manifesto-icona per fomentare odio e intolleranza, altro che legittima resistenza alla brutale aggressione dell’esercito di Putin. Tragicamente profetico.

Adista News – Ucraina: direttissimo Sigonella – Mar Nero

 

 

 

24 Luglio 2022Permalink

12 maggio 2022 –    In una foto  il “no alla guerra”  (da L’Osservatore Romano)

Un’emozione di anni lontani che luna fotografia dal Vietnam rinnova implacabilmente nel dolore per le sporche guerre dei giorni nostri

Kim e Nick la guerra la conoscono bene. Vietnam, 8 giugno 1972: fuoco sul villaggio di Trang Bàng, 40 chilometri a ovest di Saigon. Dall’alto cadono bombe al napalm. Nick Ut “ferma” in uno scatto la disperazione della piccola Kim Phúc Pahn Thi che corre, avvolta dal napalm, con i vestiti evaporati per il fosforo.

Quella fotografia è diventata una delle immagini più iconiche della storia del Novecento.

Quasi mezzo secolo dopo eccoli qui, insieme, Kim e Nick, in piazza San Pietro, con Papa Francesco. A dire che la guerra è una follia. Per questo hanno donato al Pontefice una copia, con le loro due firme, della foto che da cinquant’anni dice “no alla guerra”.

E quel “no alla guerra” che arriva dal Vietnam, Papa Francesco lo ha rilanciato, stamani, accogliendo due giovani donne che stanno conoscendo gli orrori di un altro conflitto, stavolta in Ucraina. Sono le mogli di militari ucraini del battaglione Azov asserragliato nell’acciaieria di Mariupol. Francesco, alzandosi in piedi, ha stretto le loro mani nel gesto della preghiera.

Già, la guerra. Racconta Kim che oggi ha 59 anni: «A distanza di mezzo secolo, da sopravvissuta, mi permetto di dire che non vogliamo la guerra ma la pace perché il mondo ha bisogno di pace». E proprio con questo impegno per la pace stanno lavorando, sempre insieme, al documentario La bambina del napalm.

«Quella mattina piovevano bombe sul villaggio, scappavano tutti» ricorda Nick, oggi 71 anni, che era in prima linea come fotoreporter. «Ho visto una bomba far esplodere una pagoda: pensavo che dentro non ci fosse nessuno invece, tra il fumo, ho intravisto la nonna di Kim che stringeva un bimbo, morto fra le sue braccia. E subito dopo ho visto Kim che urlava “aiutatemi!”. Ho smesso di fotografare dopo uno scatto, “quello” scatto: dovevo agire. Ho preso l’acqua e gliel’ho gettata addosso. Ho caricato tanti bambini sul furgone e li ho portati all’ospedale».

Rientrato nel suo ufficio a Saigon, Nick sviluppò la foto divenuta subito «lo scatto che racconta la guerra in Vietnam». Vinse anche il premio Pulitzer.

Essenziale il racconto di Kim: «Quell’immagine continua a ricordarmi che ho perso la mia infanzia. Solo col tempo, però, ne ho compreso il valore. All’inizio l’ho odiata, ci vedevo un’umiliazione: una bimba esposta al mondo mentre, nuda, grida disperata. Sono stata anche aiutata, curata: 14 mesi di ospedale e 17 operazioni chirurgiche, senza pagare nulla».                                                                                                                                                                        di GIAMPAOLO MATTEI

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2022-05/quo-107/in-una-foto-il-no-alla-guerra.html

12 Maggio 2022Permalink

5 marzo 2022 — Leggendo Donatella De Cesare — No alle armi

04 marzo 2022 Guerra Ucraina-Russia, Di Cesare: “Non si aiutano ucraini dandogli armi” – Donatella Di Cesare

La filosofa cita l’opera di Kant del 1795: “Se in Europa non c’è pace perpetua, ci sarà nei cimiteri”
“Non si aiutano gli ucraini armandoli: è semplicemente questa la mia posizione. E l’Europa, che celebra una riunificazione in armi, in realtà nasconde il proprio fallimento”. Parlando con l’Adnkronos, è netta la filosofa Donatella Di Cesare nel sottolineare le proprie “posizioni pacifiste, ci tengo moltissimo a dirlo e a esserlo”, anche nei confronti di una guerra “raccontata attraverso una narrazione semplicistica: l’idea che tutto sia iniziato con l’invasione russa. Certo, chi non condannerebbe la Russia partendo soltanto da questo ‘antefatto’? Invece, bisognerebbe indagare un po’ più in profondità, andare indietro nel tempo, a prima della guerra, a cosa l’ha determinata”, aggiunge la professoressa di filosofia teoretica dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma, molto criticata dopo le sue affermazioni di ieri sera a ‘Piazza Pulita’ su La7.
Ciò che mancano e invece servirebbero, secondo la Di Cesare, sono “le voci della politica e della diplomazia che chiedano la pace: un’unificazione in armi, infatti, è una sconfitta e non la vittoria tanto celebrata dell’Europa. Vivo con dolore e angoscia le vicissitudini degli ucraini, ma penso che non si possa aiutare il popolo con le armi o mandando legionari. Non mi sarei mai aspettata una simile presa di posizione da parte dell’Italia e della Germania, non solo per la loro dipendenza energetica dalla Russia, ma anche per i legami culturali e politici che nel tempo avevano creato. Penso ad esempio al convegno su Kant a Kaliningrad (l’ex città di Königsberg, dove il filosofo tedesco era nato) in programma per il prossimo anno e che è stato annullato: un fatto grave quanto la cancellazione a Milano del corso su Dostoevskij di Paolo Nori. Evidentemente anche i morti fanno paura”.
A proposito di Kant, conclude, “mi viene in mente uno dei suoi testi più importanti, ‘Per la pace perpetua’, opera dal titolo ambiguo, che gioca con il riferimento alla quiete dei defunti nei camposanti. Se non ci sarà la pace perpetua in Europa, se la diplomazia non tenta di sostituirsi alle armi, ci sarà quella perpetua nei cimiteri”.
(di Cristiano Camera)

5 Marzo 2022Permalink

4 marzo 2022 – Indossare l’elmetto….o no?

04-03-2022 Non indossiamo l’elmetto! – di: Domenico Gallo

«Ecco gli elmi dei vinti / e quando un colpo / ce li ha sbalzati dalla testa / non fu allora la disfatta / fu quando obbedimmo / e li mettemmo in testa». Questa poesia di Bertold Brecht è il miglior commento possibile al momento drammatico che stiamo vivendo in perfetta incoscienza.

Da quando è iniziata la tragedia della guerra, il 24 febbraio, non è esploso soltanto un conflitto fondato sulla violenza delle armi. È dilagato in tutt’Europa lo spirito nefasto della guerra, si è materializzata l’immagine del nemico ed è iniziata una mobilitazione bellica della comunicazione, della cultura, delle coscienze. La condanna secca e senza appello dell’aggressione russa all’Ucraina si è trasformata velocemente nell’acritica accettazione della logica della guerra. Di fronte a questo disastro, segno tangibile del fallimento della politica di sicurezza e cooperazione in Europa, le principali forze politiche, non solo in Italia, con il conforto del fuoco di sbarramento unanime dei mass media, hanno assunto il linguaggio della guerra e si sono esercitate in una guerra delle parole contro il nemico. Lo spirito di guerra comporta una divisione manichea dell’umanità, per cui tutto il male sta dalla parte del nemico e tutto il bene dall’altra. Il dissenso non è tollerato perché giova al nemico. Così l’ex deputata europea Barbara Spinelli è stata additata come filoputiniana per aver scritto su Il Fatto Quotidiano che «il disastro poteva forse essere evitato, se Stati Uniti e Ue non avessero dato costantemente prova di cecità, sordità, e di una immensa incapacità di autocritica e di memoria» e il corrispondente della RAI Marc Innaro è stato oggetto dei fulmini del PD per aver osservato: «Basta guardare la cartina geografica per rendersi conto che chi si è allargato negli ultimi trent’anni non è stata la Russia, è stata la NATO». Ma il linciaggio mediatico più velenoso è quello effettuato contro l’ANPI e il suo Presidente, Gianfranco Pagliarulo, reo di aver scritto – in un comunicato precedente all’invasione russa – che «l’allargamento della Nato a Est è stato vissuto legittimamente da Mosca come una crescente minaccia». Non sono ammesse critiche sugli indirizzi di ordine politico che ci hanno fatto passare dallo smantellamento della guerra fredda, frutto delle scelte di disarmo e di distensione della politica di Gorbaciov, a una nuova corsa al riarmo e al confronto politico militare con la Russia di Putin, adesso drammaticamente sfociato in una guerra “calda” con l’invasione dell’Ucraina. Anzi non solo non sono ammessi ripensamenti, ma addirittura c’è la consacrazione di quelle scelte al punto che il segretario del PD, Enrico Letta, in una recente intervista a La Stampa ha dichiarato: «Quello che è successo dimostra che la Nato doveva fare entrare l’Ucraina prima. E che l’alleanza atlantica serve perché la democrazia va difesa».

Insomma la politica ha indossato l’elmetto ed è scesa simbolicamente in guerra. Però questa settimana è stata superata un’ulteriore soglia, col passaggio dalle parole alle azioni di guerra. Il presidente del Consiglio Draghi nelle sue comunicazioni alle Camere, il 1 marzo, ha motivato la decisione di inviare armi al Governo ucraino, con queste parole: «L’Italia ha risposto all’appello del presidente Zelensky, che aveva chiesto equipaggiamenti, armamenti e veicoli militari per proteggersi dall’aggressione russa. È necessario che il Governo democraticamente eletto sia in grado di resistere all’invasione e difendere l’indipendenza del Paese. […] La minaccia portata oggi dalla Russia è una spinta a investire nella difesa più di quanto abbiamo mai fatto finora». In sostanza la lezione che il Governo trae da questi fatti è che bisogna incrementare la corsa agli armamenti. L’unica opzione esistente – secondo Draghi – è «scegliere se farlo a livello nazionale oppure europeo». Lo scenario che si prefigura è quello della costruzione di un’Europa come potenza militare, armata fino ai denti, che costruisce le relazioni con i suoi vicini fondate sull’intimidazione invece che sul dialogo e la cooperazione: insomma la guerra fredda permanente.

Quello che non è stato spiegato al Parlamento e all’opinione pubblica è che la legge italiana sulla neutralità (regio decreto n. 1415 del 1938, All. B, art. 8) vieta di fornire armi ai paesi in guerra. La ragione è semplice: chi fornisce armi a un paese in guerra partecipa al conflitto e quindi non può essere più considerato neutrale. Con l’invio di uno stock imprecisato e secretato di armamenti e di mezzi bellici, l’Italia abbandona la neutralità e diviene un paese belligerante, sia pure per interposta persona. Insomma, armiamoci e partite! Queste forniture – ha scritto la rivista militare Analisi Difesa – ci rendono a tutti gli effetti “belligeranti” contro la Russia. Si tratta di un atto di ostilità in senso tecnico, che come tale è stato percepito dalla Russia. In nota ripresa dalla Tass il ministero degli Esteri russo dichiara: «Coloro che sono coinvolti nella fornitura di armi letali alle forze armate ucraine saranno responsabili delle conseguenze di queste azioni».

Come si vede si tratta di una scelta gravida di conseguenze imprevedibili. Dalla doverosa condanna dell’ingiustificabile aggressione russa, siamo passati – sia pure ambiguamente – alla partecipazione al conflitto armato. Quasi senza accorgercene ci hanno calato in testa l’elmetto e arruolato nella guerra contro la Russia. In questo modo si alimenta il conflitto e si rende più impervia la strada per una soluzione negoziata. E quel che è ancora più grave si crea un’ulteriore pericolo di escalation della guerra, rendendo più probabile il coinvolgimento della NATO. E allora togliamoci gli elmetti prima che un colpo fatale ce li sbalzi dalla testa.

NOTA: L’articolo che ho copiato da Adista, è pubblicato oggi sul sito del magistrato Domenico Gallo.

4 Marzo 2022Permalink

19 marzo 2021 – Lamento in memoria di alcune galline

Numerose galline sono morte nello scoppio e nel crollo di una parte del manufatto che le ospitava.

La Procura di Pordenone ha aperto un’inchiesta. Indagini in corso da parte dei Carabinieri: i carri armati impegnati nell’esercitazione – sarebbero almeno 4 – sono stati posti sotto sequestro. La zona dove si trova l’allevamento è alla prima periferia del paese. Da quanto apprende l’ANSA, l’incidente si è verificato durante un’esercitazione notturna della Brigata Pozzuolo del Friuli, in cui erano impegnati congiuntamente il Genova Cavalleria e i Lagunari di Venezia. I militari non si sarebbero accorti immediatamente dell’errore perché il colpo non ha innescato alcun incendio. Le indagini della Procura di Pordenone dovranno chiarire perché il “Blindo centauro” ha sparato in direzione del centro abitato, visto che l’area riservata ai tiri si trova in direzione opposta. Ad accorgersi dell’incidente sono stati stamani i titolari dell’azienda agricola, che non riuscivano a darsi una spiegazione del danno al capannone e del decesso delle galline e hanno chiesto ai Carabinieri della Compagnia di Spilimbergo di intervenire. I militari dell’Arma, che erano informati dell’esercitazione notturna, hanno collegato gli elementi e risolto quello che sembrava un giallo.

Così la notizia pubblicata dall’ANSA cui seguono alcune mie considerazioni (link in calce)

Un carro armato dell’Esercito, impegnato in un’esercitazione di tiro in un poligono riservato alle Forze Armate sul torrente Cellina, ha sbagliato mira e ha centrato un allevamento di galline di Vivaro (Pordenone).
L’incidente si è verificato nel pomeriggio di ieri, ma i titolari dell’azienda agricola si sono accorti degli ingenti danni provocati dal colpo soltanto stamani, entrando nel capannone.

Le mie considerazioni

  1. Penso che le esercitazioni a tiro meritino la considerazione dei giochi del luna park dove si valuta ciò che ne consegue (sia il riscontro premiale di un lecca-lecca o di un pupazzo).
    Non sto proponendo una distribuzione di lecca lecca a chi ha fatto fuoco ma pensavo che ci fosse una verifica sull’esito del tiro altrimenti che esercitazione è?
    E se verifica c’è stata e nessuno ha denunciato la strage di pollame come mai i carabinieri si sono allertati richiamati dai proprietari del capannone che se ne sono accorti al mattino successivo (e buon per loro che non avevano pollame a casa loro).
  2. Devo dedurne:
    a – che i responsabili del tiro avevano verificato ed erano scappati come un qualsiasi         automobilista che crea un incidente;
    b  – che i responsabili del tiro non avevano fatto verifica alcuna come in un tirassegno   giocattolo (a prescindere dai possibili costi umani per fortuna non intervenuti pensavo   che  anche la gestione dei carri armati avesse un costo);
    c) –  ho letto di interventi di animalisti in difesa e tutela  di orsi, lupi ecc. ecc.
    Un piccolo pianto sulle galline atrocemente defunte no?
    d) – passando dal nazionale all’internazionale ricordo che i 3 febbraio 1998 avvenne la strage   del Cermis causata da un elicottero americano partito dalla base di Aviano.
    Allora non si trattava di una esercitazione ma di una abitudine  giocosa dei piloti a  passare    sotto  i cavi della funivia.
    Era andata bene tante volte  quel giorno andò male almeno per i cavi , la cabina distrutta
    ecc. ecc. e    il danno collaterale di 20 morti.
    I due piloti che avevano giocato male furono immediatamente riportati a casetta loro
    prima che la giustizia italiana potesse bloccarlihttps://www.ansa.it/friuliveneziagiulia/notizie/2021/03/18/carro-armato-sbaglia-mira-e-centra-allevamento-galline_b87d1a21-01a6-47a3-8dfb-df8c9743e05a.html
19 Marzo 2021Permalink