6 febbraio 2019 – Una chiesa olandese salva una famiglia condannata all’espulsione. I vescovi italiani invece …

1 febbraio 2019   –  La messa è finita: la preghiera non stop salva la famiglia armena . Non sarà espulsa dall’Olanda. (link in calce)

La celebrazione durata più di tre mesi è riuscita nel suo intento: la famiglia Tamrazym, nel Paese da 9 anni non verrà rimandata nel paese d’origine dal quale scappava.
La maratona religiosa della chiesa protestante di Bethel, all’Aia, è finita. Era stata una strategia per evitare il rimpatrio di una famiglia di profughi armeni, che si era vista rifiutare la richiesta di asilo, nonostante viva in Olanda da nove anni.
Il governo dell’Aia si è espresso positivamente nei confronti della famiglia: i due genitori e i tre figli potranno restare, soprattutto perché i ragazzi vanno ancora a scuola e all’università.
In Olanda la polizia non ha il diritto di entrare in un luogo di culto e interrompere una funzione religiosa. È proprio così che il parroco della chiesa è riuscito ad evitare il rimpatrio.La famiglia Tamrazyan, cristiana credente, ma con il permesso di soggiorno scaduto, si era vista rifiutare la richiesta d’asilo, e ha avuto l’idea di chiedere “asilo” in chiesa.
Giorno e notte. La cerimonia è durata oltre tre mesi, con quasi 650 pastori e fedeli, provenienti da tutto il Paese, ma anche da Francia, Germania e Belgio, che si sono dati il cambio per proteggere i cinque armeni, organizzando una messa a oltranza.
La costanza è servita: il governo olandese si è arreso e ha garantito alla coppia, con i suoi tre figli, di restare nel Paese.

Mio commento: Una chiesa ha sfidato il governo olandese e ha salvato una famiglia armena condannata all’espulsione con una continua preghiera che – per più di tre mesi – ha impedito alla forza pubblica di entrare nel luogo che era diventato il loro rifugio sicuro.
Ora è sicuro tutto il territorio dello stato.

Non posso non pensare ai bambini nati in Italia che la legge condanna a non avere esistenza giuridica riconosciuta come loro dovuto. Continuo a dirlo da dieci anni trovando incompetenza e cinismo nei partiti politici, indifferenza nell’opinione pubblica, fastidio in associazioni altrimenti rispettabili, rigetto del problema nelle chiese cristiane cui appartiene anche la chiesa cattolica..
Dal 2009 la legge 94 all’art. 1 comma 22 lettera g richiede il permesso di soggiorno per registrare la dichiarazione di nascita.
Ancora una volta affido il chiarimento del problema alle parole del Terzo Rapporto Supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia (novembre 2017. cap.3.1):
«Rispetto … al diritto di registrazione alla nascita, si fa presente che l’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello stato, avvenuta con la legge 15 luglio 2009 n.94 in combinato disposto con gli artt. 316-362 c.p., obbliga alla denuncia i pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio che vengano a conoscenza delle irregolarità di un migrante. Tale prescrizione condiziona i genitori stranieri che, trovandosi in situazione irregolare, spesso non si presentano agli uffici anagrafici, proprio per timore di essere eventualmente espulsi».
E il rapporto ancora raccomanda «di intraprendere una campagna di sensibilizzazione sul diritto di tutti i bambini ad essere registrati alla nascita, indipendentemente dall’estrazione sociale ed etnica e dallo status soggiornante dei genitori».
Contestualmente alla legge era stata però emanata la circolare n. 19 del 7 agosto 2009 del Ministero dell’Interno (Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali) che afferma:
« Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto».
Nella migliore delle ipotesi si affida la sicurezza dell’esistenza alla fragilità di una circolare, negando a chi richiede asilo la certezza della legge e umiliando tutti noi, quando accettiamo questo vulnus di civiltà, a cittadini che si beffano di umanità e, non a caso, degli art. 3 e 10 della Costituzione

La chiesa di Bethel e il Vaticano
Nel 2015 i vescovi italiani convocarono un Sinodo sulla famiglia in cui si occuparono di tutte le criticità che la caratterizzano e riuscirono ad identificare. E lo fecero con attenzione e competenza.
Non vollero però occuparsi dei bambini che nascevano ed erano condannati per legge a non avere famiglia.
Un omaggio a coloro che una decina di anni fa esercitarono la loro influenza sull’opinione pubblica come ‘atei devoti’?
Un salvagente lanciato a quei cattolici che votano Lega ormai debordata oltre il punto cardinale che le era caro? O direttamente a un tale che agita pubblicamente rosari e Vangeli mentre fa tutto ciò che gli riesce per cacciare i richiedenti asilo?

Sia chiaro che la garanzia del certificato di nascita a chi nasce in Italia (quale che ne sia la cittadinanza) non implica alcun aumento di spesa.
O … non so immaginare tutte le perversioni che possono sostenere questo silenzio vigliacco più che opportunistico. Lo mantengono mentre il papa in terra di Arabia invoca la pace.
Anche in questa situazione fingono di non sapere che dentro quel richiamo ognuno ha un ruolo, a partire dal rispetto dei diritti negati ai più deboli anche in Italia non solo in Arabia Saudita.

https://www.tpi.it/2019/01/31/messa-olanda-armeni-no-espulsione/?fbclid=IwAR3BBTg1HEelkEuq1_tdRZi862M0r3UEdjzPwPwsXnVJ-S_h_soNQx6W7xQ

6 Febbraio 2019Permalink

15 novembre 2018 _ Giovanni Franzoni _ Un ricordo

Trovo su “Nev.it – Agenzia stampa della Federazione delle chiese evangeliche in Italia” la cui newsletter ricevo regolarmente.
Ricopio la breve relazione di una tavola rotonda che ricorda Giovanni Franzoni, una persona straordinaria che ha vissuto con coerenza la sua vita, non si è sottratto alle domande che la conoscenza della realtà e la coerenza nella fede gli ponevano.
Ho conosciuto Giovanni in anni in cui il clima di speranza condivisa assicurava speranza e gioia che oggi mi sembrano impossibili. Di seguito riporto l’articolo di Adista che ricorda alcuni avvenimenti di cui voglio assicurarmi il ricordo..

12 novembre 2018 _ Franzoni, l’ecumenismo e le chiese ‘approssimative’

Il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Luca Maria Negro, ha partecipato alla Tavola rotonda per ricordare Giovanni Franzoni

Roma (NEV), 12 novembre 2018 – Si è tenuto il 9 e 10 novembre il convegno “Storia e Profezia: L’eredità di Giovanni Franzoni. La Comunità cristiana di base di San Paolo fa memoria di Giovanni Franzoni nel suo novantesimo compleanno”.
Fra le diverse iniziative, una tavola rotonda presso la sala teatro dell’Abbazia di san Paolo fuori le Mura a cui ha partecipato il pastore Luca Maria Negro, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).

“Giovanni Franzoni è stato sicuramente un maestro – ha esordito Negro nel suo intervento –. Ho avuto il privilegio di lavorare al suo fianco prima come giovane redattore di Com Nuovi Tempi, e poi come direttore di Confronti. Maestro di giornalismo e maestro di eresia; e poi fratello maggiore nella fede, che mi ha insegnato soprattutto a interrogarmi sempre in profondità, a non accontentarmi di formule scontate, di stereotipi. Mi è stato chiesto di parlare dell’ecumenismo di Giovanni, cosa che non è facile perché Franzoni ha scritto poco di ecumenismo e si è preoccupato poco di teorizzarlo, ma lo viveva, specialmente a partire da quell’ esperienza di ecumenismo pratico che è stata appunto la rivista Com Nuovi Tempi”.
Negro ha poi proseguito citando un articolo di Confronti del 1991, intitolato “Per una chiesa approssimativa”, in cui Franzoni rifletteva sul rapporto tra le comunità di base e il protestantesimo, a partire da un suo intervento svoltosi pochi giorni prima all’Assemblea della FCEI a Santa Severa. Nella nota Franzoni proponeva una nuova classificazione delle chiese soggetto di ecumenismo distinguendo tra chiese dogmatiche, chiese tautologiche e chiese ‘approssimative’. “Secondo Giovanni, a fare dell’ecumenismo reale – ha detto Negro – possono starci solo le frange ‘eretiche’ delle chiese, perché mettono l’approssimarsi al mistero della salvezza manifestatosi nell’Evangelo al di sopra dell’autoriproduzione o della conservazione delle chiese stesse. Le comunità di base e le chiese protestanti, nella linea di questa chiesa ‘approssimativa’, potrebbero e dovrebbero fare qualcosa di più insieme. Lui sognava un specie di federazione, o meglio, lui sognava che le nostre piccole chiese accogliessero in sé le comunità di base. Ma era un sogno un po’ difficile da realizzare. Credo però che questa sua visione di una chiesa ‘approssimativa’ resti di grande attualità” ha concluso.

All’incontro hanno partecipato anche Luigi Sandri, Paolo Lojudice, Alberto Melloni, Marinella Perroni, Anna Maria Marlia. L’attore Marco Baliani ha letto dei brani del libro di Franzoni “La terra è di Dio. In sala, fra gli altri, il fondatore del Centro interconfessionale per la pace (CIPAX) Gianni Novelli e monsignor Luigi Bettazzi.  [fonte 1]

Un ricordo puntuale ricco di notizie a un anno dalla morte di Giovanni Franzoni

Tratto da: Adista Notizie n° 29 del 04/08/2018
27 luglio 2018 _ Un anno fa è morto Giovanni Franzoni. Che resta “fuori le mura” Marcello Vigli

39470 ROMA-ADISTA. La Chiesa di papa Francesco ha ri-aperto le sue porte a molti preti e laici scomodi, magari indagati dal Sant’Ufficio, talvolta con clamorose riconciliazioni. Per Giovanni Franzoni non c’è stata pacificazione. Non è certo il solo a rimanere escluso dal riconoscimenti ufficiali, come quelli tributati a Mazzolari e Milani, ma è stato escluso anche dalla silenziosa riabilitazione di preti europei e di quelli sudamericani. Nessuna svalutazione di gesti così significativi e nessun rammarico, ma l’occasione per una domanda: perché non Giovanni Franzoni?
Giovanni nonostante la giovane età era un abate, una sicura speranza per l’ordine benedettino, il prelato italiano più giovane che aveva partecipato al Vaticano II, la sua pastorale era coinvolgente e le sue dichiarazioni su questioni di pubblico interesse autorevoli.
Certo la sue scelte avevano compromesso la dignità della gerarchia, soprattutto, però, gli nuoceva la costruzione intorno a lui di una comunità che, in sintonia con le sue dichiarazioni ma in piena autonomia, esprimeva critiche alla gestione dei rapporti della Santa Sede con lo Stato, in particolare verso le operazioni finanziarie compiute dallo IOR.
In verità questa comunità, sollecitata dall’abate, andava assumendo una sua autonomia nella lettura della Bibbia e nell’esercizio della responsabilità ecclesiale riattivata dal Vaticano II, coniugando l’ascolto del Vangelo con la lettura delle situazioni politiche ed ecclesiali e con prese di posizione in senso progressista. Di particolare significato era l’opposizione al Concordato tra Stato e Chiesa, all’interno di altre scelte significative: la condanna verso la guerra in Vietnam e la solidarietà con le lotte operaie dell’autunno caldo.
In questo contesto nasce la lettera pastorale La terra è di Dio, pubblicata, provocatoriamente, nelle edizioni di Com, la struttura editoriale che lo stesso Franzoni aveva contribuito a far nascere per editare il settimanale che, con lo stesso titolo, era diventato la voce dei cristiani critici quando già la tensione con la Santa Sede era nell’aria. Questa pubblicazione fu determinante per la sua sconfessione e l’imposizione a dimettersi. A questi provvedimenti Franzoni ripose pubblicando Il mio regno non è di questo mondo, un libello edito anch’esso da Com.
Più difficile fu, per quei cristiani che si erano coinvolti con le sue scelte, costruire un percorso che testimoniasse il significato di tale coinvolgimento, perché non apparisse solo frutto di una controversia tutta interna alla Istituzione. Si aprì un dibattito sul come essere comunità cristiana in aperto confronto con la gerarchia.
Il cammino fu lungo e travagliato, ma poi la scelta fu chiara, con l’inserimento nel processo già avviato da altre esperienze simili impegnate a non ridursi a gruppi di consumo spirituale, per essere, invece, proposta di un nuovo modo di vivere la comunità cristiana.
Franzoni, intanto, in occasione del referendum sulla proposta abrogativa della legge che ha legalizzato il divorzio, diede la sua adesione alla scelta per il “no”. La sua scelta fu clamorosa perché rappresentava l’affermazione del diritto dei cattolici ad essere liberi nelle scelte politiche.
Libertà che Franzoni rivendicava, insieme ad altri cattolici, nel diritto di rinnegare anche ogni Concordato con lo Stato, anche quello stipulato con il nuovo Accordo siglato nel 1984 da Bettino Craxi. Queste sue scelte, insieme al dichiarato voto per il Pci, lo portarono successivamente alla sospensione a divinis fino alla “riduzione allo stato laicale”.
Per la ricerca di un modo diverso nell’esprimere il rapporto con il divino, determinante fu la riflessione che Franzoni andava proponendo con i suoi scritti che elaboravano una nuova teologia, e che al contempo leggevano, da cristiano, il quotidiano dell’uomo.
Per la nuova teologia, alla citata La terra è di Dio vanno aggiunte: Le cose divine. Omelie (1970-73), Il posto della fede, Farete riposare la terra, Anche il cielo è di Dio, La donna e il cerchio spezzato.
Ancora più numerosi sono gli scritti in cui esprime un modo nuovo d’intendere la società nelle sue diverse manifestazioni alla luce del Vangelo, che fosse comprensibile agli uomini di fine millennio.
Per tutto questo Franzoni è ancora fuori dal gruppo dei riabilitati: non è ancora recuperabile chi ha preteso, e continua a pretendere – senza però creare una nuova istituzione – di essere Chiesa in autonomia da quella Cattolica Apostolica Romana.
La crisi che stiamo vivendo, che non lascia ampi margini di scelta neppure nei Paesi sviluppati, rende certo ancora più lontani i tempi previsti da Gesù in cui regnerà la pace sulla Terra sempre più piccola e ancor più divisa, ma niente autorizza a tradire le sue parole istituzionalizzando l’esistente, presentandolo come la sua Chiesa. Per questo ricordare Franzoni aiuta a sperare in una Chiesa-comunità universale, mentre impone l’impegno a costruirne oggi un progetto. [fonte 2]

[fonte 1] www.nev.it/nev/2018/11/12/franzoni-lecumenismo-e-le-chiese-approssimative

[fonte 2] https://www.adista.it/articolo/59308

 

 

15 Novembre 2018Permalink

27 luglio 2018 – Ciò di cui si parla, fra chiacchiere e dichiarazioni più o meno autorevoli

(per una rapida consultazione nel pezzo che segue con la stessa data ho inserito per mia comodità alcuni articoli della Costituzione, del Concordato 1929, dell’Accordo 1984)

Mi è capitato ieri di trovare la segnalazione di un tweet di padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica. Dopo aver trasalito (confesso con molta simpatia) per la forma di comunicazione, ben strana a fronte della solenne rivista nata nel 1850, ho verificato che il tweet fosse certo e ne ho trovato svariate conferme fino ad approdare a un interessante articolo di Avvenire, quotidiano di ispirazione cattolica, da cui traggo la citazione che segue relativa al Direttore de La Civiltà Cattolica. [fonte 1]
«Usare il Crocifisso come un Big Jim qualunque è blasfemo. La croce è segno di protesta contro peccato, violenza, ingiustizia e morte, non è mai un segno identitario. Grida l’amore al nemico e l’accoglienza incondizionata. È l’abbraccio di Dio senza difese. Giù le mani». 
Per fortuna lo stesso Avvenire mi ha svelato l’identità di Big Jim che non mi era nota: “bambola maschile tutta muscoli e snodabile, adattabile a qualsiasi posizione e circostanza”.

Ma l’articolo di Avvenire mi ha rivelato anche una faccenda più importante e lo ha fatto con il silenzio. L’articolo infatti sottotitola: Fa discutere la proposta leghista per ribadire l’obbligo (n.d.r. del crocifisso) in tutti gli edifici pubblici.
Così mi sono detta «finalmente saprò in quali termini se ne giustifica l’obbligatorietà nelle aule scolastiche accanto al ritratto del presidente dell Repubblica» .
Avvenire riporta un elenco di decisioni in merito che si snodano fra il 2004 e il 2009, la Corte Costituzionale e la Corte Europea dei diritti dell’uomo.
Uso diligentemente i link e non trovo quello che cercavo, il Concordato fra l’Italia e la Santa Sede del 1929 (rivedo le firme che, quando ne parlavo a scuola mai mancavo di sottolineare, PIETRO Cardinale GASPARRI BENITO MUSSOLINI …. in nome della Santissima Trinità) e l’accordo del 1984 che ha al suo attivo firme più sobrie. AGOSTINO CARD. CASAROLI – B:CRAXI

Non si va alla fonte per un argomento così caro ad Avvenire?
Non è possibile mi dicevo scorrendo enciclopedie cartacee e digitali, riguardando i testi ufficiali nel bellissimo sito della Santa Sede (Vatican.va per chi ne volesse approfittare).
All’alba perché mi sono rovinata la notte per ciò che non c’è ho concluso che nulla dicono le originali fonti ufficiali precedenti le sentenze citate in merito a pareti e crocifissi.
Ne parla invece una circolare (e le circolari per le amministrazioni cui sono rivolte sono un obbligo) del 1967, preceduta da due regi decreti del 1928.
Grazie al soccorso dell’Ansa ne ricopio il testo

I regi decreti del 1924 e del 1928
ROMA – L’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche italiane – oggetto di esame il 30 giugno da parte della ‘Grande Camera’ della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo – viene formalmente prescritta da due vecchie norme, mai abrogate: si tratta dell’articolo 118 del Regio Decreto 30 aprile 1924, n. 965, che prevede disposizioni sull’ordinamento interno degli istituti di istruzione elementare e media; e dell’art 119 del Regio Decreto 26 aprile 1928, n. 1297 (e, in particolare, nella Tabella C allo stesso allegata), che è riferito agli istituti di istruzione elementare.
Ecco cosa prevedono i due Regi decreti riguardo all’esposizione del crocifisso:
REGIO DECRETO 30 APRILE 1924, numero 965 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 giugno 1924, numero 148) – Ordinamento interno delle Giunte e dei Regi istituti di istruzione media (omissis) art. 118 – Ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula, l’immagine del Crocifisso e il ritratto del Re.
REGIO DECRETO 26 APRILE 1928, numero 1297 (pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale 19 luglio 1928, numero 167) – Approvazione del regolamento generale sui servizi dell’istruzione elementare (omissis). Capo V – Arredamento scolastico art. 119 – Gli arredi, il materiale didattico delle varie classi e la dotazione della scuola sono indicati nella tabella C allegata al presente regolamento (nell’allegato C il crocifisso è la prima voce in ciascuno degli elenchi riguardanti ogni classe, ndr). (ANSA). [Fonte 2]

Edilizia e arredamento di scuole dell’obbligo
Ministero della Pubblica Istruzione, Circolare 19 ottobre 1967, n. 367/2527, Edilizia e arredamento di scuole dell’obbligo: legge 28 luglio 1967, n. 641: artt. 29 e 30, in Bollettino Ufficiale – Ministero della Pubblica Istruzione, parte prima – Anno 94°, n. 40-41.

(omissis)

Ai fini suddetti si precisa che l’arredamento di un’aula è cosi costituito:
Scuole elementari:
a) Crocifisso; b) ritratto del Presidente della Repubblica; c) tavolini e seggiole per gli alunni; d) tavolino e scrivania con due poltroncine per l’insegnante; (…)

Scuole medie:
1) Aule normali: a) Crocifisso; b) ritratto del Presidente della Repubblica; c) tavolini e seggiole per gli alunni; d) tavolino o scrivania con due poltroncine per l’insegnante; (..)
2) Locali per le osservazioni ed elementi di scienze naturali, applicazioni tecniche ed educazione artistica: a) Crocifisso; b) ritratto del Presidente della Repubblica; c) banchi-cattedra per l’insegnante con due seggiole; d) banchi per gli alunni;(…)». [fonte 3]

    Il crocifisso come arredo
Non mi arrendo, cerco ancora e trovo alcuni vecchi precedenti finché, come in un girotondo, torno alla circolare 367.
Ordinanza ministeriale 11 novembre 1923 n. 250, nelle aule giudiziarie con Circolare del Ministro Rocco, Ministro Grazia e Giustizia, Div. III, del 29 maggio 1926, n. 2134/1867 recante “Collocazione del crocifisso nelle aule di udienza”.
In materia scolastica si ricordano, le norme regolamentari art. 118 Regio Decreto n. 965 del 1924 (relativamente agli istituti di istruzione media) e allegato C del Regio Decreto n. 1297 del 1928 (relativamente agli istituti di istruzione elementare), che dispongono che ogni aula abbia il crocifisso.
Con circolare n. 367 del 1967, il Ministero dell’Istruzione ha inserito nell’elenco dell’arredamento della scuola dell’obbligo anche i crocifissi.
Nello sconcerto per il brutto cammino percorso una speranza che il prossimo comunicatore, quando sventolerà un qualche oggetto ritenuto sacro, citi a sua fonte anche la Circolare del Ministro Rocco, un nome più appropriato di altri che pronunciare in certe circostanza è improprio e scorretto.
Se non lo farà il proponente posso ricordarglielo io e, se il caso, non mancherò.

Leggo – e la Bibbia è sempre un conforto per la ragione e, per chi crede, anche
    per la fede :“”Siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo” (Lv 19, 2).
Santo, non sacro oggetto.
[fonte 1]
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/la-storia-infinita-del-crocifisso-a-scuola
[fonte 2]
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2010/06/27/visualizza_new.html_1847483283.html
[fonte 3]
https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=1323

27 Luglio 2018Permalink

27 maggio 2018 – Piero Stefani Dall’Antigone di Sofocle al testamento biologico

Il Regno         Parole delle Religioni Nessuno vive per sé

È dato di parlare di realtà contemporanee anche partendo da molto lontano. Così avviene anche nel caso del testamento biologico.

Primo quadro. Nel più celebre coro dell’Antigone di Sofocle (rappresentata ad Atene nel 442 a.C.) si legge che «molte sono le cose meravigliose/misteriose ma nessuna lo è più dell’uomo», lui che inventò le tecniche, vinse il mare e la terra, soggiogò gli animali e costruì case e città e «a se stesso insegnò l’uso dell’agile pensiero espresso in aeree parole e l’impulso di ordinarsi in città».

Nell’elenco trovano posto la cultura, la tecnica, la socialità e la politica. L’orizzonte generale vale anche per il nostro tema. Tutti i fattori nominati rientrano in gioco nel testamento biologico; tuttavia, se si fosse costretti a scegliere a chi dare la preminenza, bisognerebbe optare, almeno per certi versi, per la tecnica. È così perché è stata quest’ultima a realizzare quanto un tempo era giudicato impossibile. I problemi inediti sorgono là dove ci si inoltra su terreni un tempo preclusi.

La domanda se sia giusto o conveniente fare tutto quello che ci è dato di compiere sorge solo allorché è diventato possibile quanto un tempo era giudicato impossibile. «Ad impossibilia nemo tenetur»; i «possibilia», di contro, sono luoghi della scelta. La decisione implica la cultura, la socialità, la polis; essa non dipende perciò in modo diretto dalla tecnica. Tuttavia è quest’ultima (che naturalmente è, a sua volta, frutto della cultura) che ci costringe a confrontarci con scelte in precedenza precluse. Di fronte all’impetuosa crescita di quel che è dato di fare, insorge il problema di cosa sia giusto compiere o non compiere. I confini di pertinenza dell’etica si sono dilatati.

Secondo quadro. Le considerazioni fin qui compiute sono riferite a un ambito greco; cosa dire quando si prendono le mosse dalla Bibbia? In linea di massima si potrebbe affermare che una specie di corrispettivo biblico del coro dell’Antigone è costituito dal Salmo 8.

«Signore (JHWH), Signore (Adonay) nostro, quanto è magnifico il tuo nome su tutta la terra! / Poiché elevata sopra i cieli è la tua maestà, / dalla bocca di bimbetti e lattanti hai tratto forza a motivo dei tuoi avversari / per ridurre al silenzio nemici e ribelli. / Quando vedo i cieli, opera delle tue dita, / la luna e le stelle che hai collocato, / che cos’è l’uomo perché te ne ricordi, / il figlio dell’uomo perché vigili su di lui? / L’hai diminuito fino a essere di poco inferiore a Dio, / di gloria e onore lo hai incoronato / gli hai conferito il governo sulle opere della tua mano / tutto hai posto sotto i suoi piedi, / tutte le greggi e gli armenti / e anche le bestie della campagna, / gli uccelli del cielo e i pesci del mare / che percorrono le vie del mare. / Signore (JHWH), Signore (Adonay) nostro, quanto / è magnifico il tuo nome su tutta la terra!».      [Nota 1]

Nel Salmo è racchiusa una domanda rivolta al tu divino: «Che cos’è l’uomo perché te ne ricordi?». Il testo biblico non solleva la questione filosofica del «che cos’è (ti esti)?» greco; esso però non chiede neppure «chi è l’uomo?» usando una forma personale (in ebraico sarebbe consentito farlo). Gli esseri umani, pur chiamati a governare la terra e a essere vicari e luogotenenti (khalifa, come dichiara il Corano 2,30-31) di Dio in questo mondo, sono legati alla condizione biologica del «che cos’è».

Il Signore ha affidato alle creature umane il compito d’amministrare la terra (che è sua, non nostra); tutto ciò rimanda però a un’ulteriore domanda avvertita fortemente nella nostra epoca: colui che governa gli altri è in grado di farlo nei confronti di se stesso? La creatura umana sa autogovernarsi? La risposta biblica è che è nelle condizioni di compierlo soltanto se si pone in ascolto del tu di Dio. La prospettiva vale ancora oggi? Vale per tutti?

Terzo quadro. Partiamo anche questa volta da un passo biblico che però assumeremo in modo largamente metaforico. È tratto dal libro del Levitico. Preso alla lettera, si tratta di una legge agricola e sociale: «Quando mieterete la messe della vostra terra, non mieterete fino ai margini del campo, né raccoglierete ciò che resta da spigolare della messe; quanto alla tua vigna, non raccoglierai i racimoli e non raccoglierai gli acini caduti: li lascerai per il povero e per il forestiero» (Lv 19,9-10).

Quando si miete un campo non si deve andare fino in fondo. Non bisogna fare tutto quanto si è nelle condizioni di attuare, occorre lasciare uno spazio non mietuto. Anche nel campo della vita si può decidere di non spingersi fino ai confini estremi resi accessibili dalla tecnica. Ci è concesso di sospendere la mietitura. C’è anche comandato di arrestarci? Il fattore decisivo sta nel fatto che quando ci si ferma, non lo si faccia solo per sé stessi. La sospensione deve andare a favore del povero.

Nel lessico corrente l’aggettivo «povero» è riservato al morto; poveri sono tuttavia anche coloro che sopravvivono, privati della presenza di chi è a loro caro. La scelta di non impugnare più la «falce» non deve essere frutto di una pura autodeterminazione. Il criterio da seguire da parte di tutti è una recezione laica del detto di Paolo: «Nessuno vive per se stesso, nessuno muore per se stesso» (Rm 14,7); a questo la fede aggiunge una sua motivazione specifica: «Perché se viviamo, viviamo per il Signore, se moriamo, moriamo nel Signore» (Rm 14,8). Tuttavia si può giungere alla seconda parte solo passando per la prima, che vale per tutti.

Sul testamento biologico. Nel caso del testamento biologico entrano in gioco fattori anche più specifici di quelli finora elencati. Essi sono riconducibili in buona misura all’ambito di tre coppie [nota 2]. La prima è costituita da un confronto tra «biofilia» e «biolatria». Occorre essere amanti della vita, ma non porla come valore assoluto. Vi sono circostanze in cui il credente è chiamato a ripetere con il salmista: «Poiché il tuo amore è meglio della vita» (Sal 63,4). Ma vi sono pure situazioni che vanno coniugate in modi, per così dire, più laici.

Quasi ogni persona sa che, a volte, rinunciare alla vita in favore di altri può essere un valore più alto che trattenerla. Il punto è così chiaro che al riguardo non ci sono molte parole da aggiungere. Più significativo è occuparsi del secondo binomio nel quale si confrontano tra loro «biocentrismo» e «antropocentrismo». Su questo fronte si è infatti assistito alla nascita di un atteggiamento inedito definibile «biocentrismo antropocentrico».

Quando si afferma che la vita va rispettata fino alla sua fine naturale, oltre ad applicare un aggettivo improprio a una condizione che sussiste solo a motivo di una dose molto elevata di artificialità, si riserva un integrale rispetto biologico esclusivamente all’essere umano. Tuttavia, sul piano della biologia la vita è inserita in una rete relazionale che esclude ogni netta separazione tra ambiti.

L’approccio evolutivo ha dimostrato in modo inconfutabile il legame tra le vite. Nell’ambito del biologismo nulla riesce a separare la vita della specie umana da quella di altri viventi; se si vuole individuare una distinzione occorre dunque situarla su un altro piano. Il biologismo antropologico che si ostina a prolungare la vita umana mentre non avanza alcuna obiezione alla soppressione di quella animale è dunque una contraddizione logica da cui derivano, a cascata, una serie di improprie conseguenze etiche.
Il kerygma della risurrezione. «Nessuno vive per se stesso»: la massima interagisce anche con la nostra terza coppia che mette in relazione tra loro «vita biologica» e «vita biografica». Nella prospettiva biologistica tutto si colloca su un piano che esula dalla soggettività personale; non così nell’ambito delle biografie, nel quale l’autocoscienza soggettiva e le relazioni con altre persone svolgono un ruolo determinante.

Nelle scelte relative alla parte finale della vita, la componente biografica è chiamata a prevalere su quella biologica; in questo caso, il versante qualitativo conta molto di più di una estenuata componente quantitativa orientata a un puro e semplice prolungamento dell’esistenza. Occorre dunque cercare di dar senso al vissuto non isolando la morte dell’individuo da quanto ha costituito il multiforme tessuto della sua vita.

Le prospettive fin qui indicate sono ormai largamente condivise dalle Chiese, le quali in molti casi sembrano propense a promuovere una nuova forma di ars moriendi volta a donare senso e conforto all’atto di congedarsi dalla vita. In questo ambito, si forniscono aiuti d’ordine spirituale non alieni da apporti psicologici e si favorisce il controllo del dolore compiuto attraverso il potenziamento di cure palliative.

L’aspetto positivo di questa linea di condotta è evidente. Rimane l’interrogativo se il compito insostituibile delle Chiese sia soltanto quello di proporre un modo d’agire largamente condiviso pure da approcci etico-sapienziali di orientamento laico, o non comporti soprattutto la presenza nei dibattiti e nella prassi di quanto raramente emerge: l’annuncio del kerygma della risurrezione.

Darlo come un ovvio presupposto dottrinale, non bisognoso d’essere riannunciato di fronte a ogni morte, è segno inequivocabile dello smarrimento di un autentico linguaggio di fede. L’annuncio perciò viene avvolto nel silenzio, proprio nei momenti fondamentali nei quali sarebbe chiamato a testimoniare la presenza di un orizzonte che trascende sia il dominio della tecnica sia i benefici arrecati da una condivisa sapienza etica.

[nota 1] Traduzione mia.

[nota 2] Per queste tre coppie sono debitore all’intervento di don Roberto Massaro, pronunciato nel corso del convegno promosso dal gruppo SAE di Napoli: «Testamento biologico e tematiche di fine vita: aspetti etici, psicologici e spirituali», Napoli, 15.3.2018.

FONTE:

http://www.ilregno.it/attualita/2018/10/nessuno-vive-per-se-piero-stefani

27 Maggio 2018Permalink

26 aprile 2018 – A volte gli antichi testi … Parole delle Religioni. Governano i peggiori?

Digressioni bibliche Piero Stefani

È una domanda antica che con il trascorrere del tempo non perde d’attualità. Un dramma della politica è che non si può fare a meno del governo; eppure, di frequente, il potere cade nelle mani dei peggiori; ciò avviene anche perché i migliori rifiutano di assumere le responsabilità pubbliche che a loro competerebbero. Il discorso però è meno schematico di quanto non appaia.

Governano i peggiori? È una domanda antica che con il trascorrere del tempo non perde d’attualità. Uno dei fattori in gioco per formulare la risposta è il modo in cui i governanti hanno conquistato il potere; se ciò è avvenuto attraverso la violenza, il giudizio tende a orientarsi in senso negativo. Così però non capitò nella lunga stagione delle moderne rivoluzioni politiche, durante la quale venne legittimato l’uso di una determinata violenza.

Non si tratta però solo del ricorso alla forza fisica. I regimi democratici (o sedicenti tali), pur esenti da colpi di stato o da altre forme di violenza armata, non sempre sono al riparo né da forme d’intimidazione, manipolazione, propaganda demagogica, persuasione occulta (fattore sempre meno circoscrivibile nell’era massmediatica), né dalla comparsa di improvvise fascinazioni legate a mirabolanti promesse.

La Bibbia, assai familiare con un potere conquistato o mantenuto attraverso lo spargimento di sangue, non ignora però neppure procedure legate a forme in cui il consenso è catturato in modi incruenti. È il caso, per esempio, di Assalonne. Nella sua vicenda, non per nulla, fanno la loro comparsa alcuni consiglieri (Ioab, Achitòfel, Cusài), figure tipiche di chi usa l’intelligenza e l’astuzia al fine di raggiungere o mantenere il potere.

Il quadro interpretativo generale della storia legata alla famiglia di Davide è saldamente teologico, il suo fil rouge è ascrivibile alla storiografia deuteronomistica che spiega gli accadimenti negativi imputandoli alla presenza del peccato e ai successivi interventi punitivi di Dio; tuttavia, se si presta attenzione ai particolari, nella Scrittura si vedono all’opera dinamiche ampiamente trascrivibili in termini più «laici» e attuali. Come era stato preannunciato dal profeta Natan, nonostante il pentimento del re, il peccato di Davide provoca una serie di torbide conseguenze: Amnon violenta la sorellastra Tamar, Assalonne (fratello di quest’ultima) fa assassinare il colpevole dell’infamia arrecata alla sorella e fugge (cf. 2Sam 13); tuttavia, grazie a uno stratagemma ideato da Iaob, in seguito è riammesso a Gerusalemme, gli è però precluso di vedere il padre. Assalonne, uomo dall’aspetto bellissimo (cf. 2Sam 14,25-27), il che ha, come sempre, un suo peso, cominciò a promettere aiuto a coloro che si recavano a Gerusalemme per discutere la loro causa di fronte al re; la sua fortuna inizia da qui. Non essendo tra le pagine più conosciute della Bibbia conviene trascriverla:

Assalonne si procurò un carro, cavalli e cinquanta uomini che correvano innanzi a lui. Assalonne si alzava al mattino presto e si metteva da un lato della via di accesso alla porta della città. Quando qualcuno aveva una lite e veniva dal re per il giudizio, Assalonne lo chiamava e gli diceva: «Di quale città sei?». L’altro gli rispondeva: «Il tuo servo è di tale tribù d’Israele». Allora Assalonne gli diceva: «Vedi le tue ragioni sono buone e giuste, ma nessuno ti ascolta per conto del re». Assalonne aggiungeva: «Se facessero me giudice del paese! Chiunque avesse una lite o un giudizio verrebbe da me e io gli farei giustizia». Quando uno gli si accostava per prostrarsi davanti a lui, gli porgeva la mano, l’abbracciava e lo baciava. Assalonne faceva così con tutti gli Israeliti che venivano dal re per il giudizio; in questo modo Assalonne si accattivò il cuore degli Israeliti (2Sam 15,1-6).

Il crescente consenso goduto dal figlio di Davide lo portò alla ribellione nei confronti del padre (cf. 2Sam 15,7-18,18). Da qui in poi il racconto conosce il versamento di molto sangue; tuttavia, il suo inizio è imperniato non sulla violenza bensì sui modi atti ad accattivarsi la simpatia collettiva mediante l’ostentazione e le facili promesse.

In un tempo in cui non vigeva la divisione dei poteri, assicurare da parte di un membro della casa reale il proprio sostegno nelle cause giudiziarie era operazione dotata di una capacità di convincimento paragonabile a quella con la quale oggi si promettono riduzioni di tasse, sussidi a pioggia, posti di lavoro garantiti, riforme palingenetiche, ordine e sicurezza prive di smagliature.

Il tutto, allora come ora, sostenuto da una fastosa e accattivante messa in scena posta al servizio di colui che si dimostra affabile e familiare nei confronti della gente. Nei nostri anni, almeno in Occidente, le rivoluzioni, le congiure, i colpi di stato non sono moneta corrente. Il discorso invece è ben diverso rispetto agli altri fattori sopraindicati; essi, con le grandi varianti del caso, sono tutti ancora all’ordine del giorno.

Ciascuno dà i propri frutti

La Bibbia dà grande spazio alla violenza collegata alla conquista e all’esercizio del potere. Tra i molti esempi ve n’è uno il quale, soprattutto perché sceglie d’anticipare la vicenda attraverso un apologo favolistico, sembra destinato a imprimere la convinzione secondo cui governano i peggiori.
Si tratta di una serie di avvenimenti contenuti nel libro dei Giudici. Abimèlec, figlio di Gedeone, in combutta con i signori di Sichem, conquistò il potere facendo uccidere, su una sola pietra, i suoi settanta fratelli (cf. Gdc 9,1-6). Dalla carneficina si salvò il solo Iotam.

A quest’ultimo si deve il fantasioso apologo degli alberi rivolto ai signori di Sichem. Iotam raccontò che gli alberi si misero in cammino per eleggere sopra di loro un re. L’ulivo, il fico, la vite non vollero rinunciare ai loro frutti per andarsi a librare sopra i loro colleghi. Alla fine, ci si rivolse al rovo, il peggiore, che accettò subito la nomina accompagnandola con parole di oscura minaccia: «Se davvero mi ungete re su di voi, venite e rifugiatevi alla mia ombra; se no, esca un fuoco dal rovo e distrugga i cedri del Libano» (Gdc 9,7-21).

Nella Bibbia l’apologo diviene una specie di profezia. Nel resto del capitolo si parla, infatti, della rottura avvenuta tra i signori di Sichem e Abimelèc. Il quadro interpretativo è di nuovo teologico: «Questa avvenne perché la violenza fatta ai settanta figli di Ierub-Baal [Gedeone; nda] ricevesse castigo» (Gdc 9,24).

Dopo una serie di scontri reciproci, ci fu una prima conclusione atroce. Tutti i signori di Sichem si erano radunati nei sotterranei del tempio di El-Berit. Abimèlec e i suoi uomini vi appiccarono il fuoco: «Così perì tutta la gente della torre di Sichem, circa mille persone, fra uomini e donne» (Gdc 9,49).

Segue un episodio in cui Abimèlec si reca a Tebes; giuntovi, cinge d’assedio una torre in cui si erano rifugiati i signori della città. La sua intenzione era anche questa volta d’incendiarla, tuttavia una donna dall’alto fece cadere una macina sul cranio di Abimèlec e quest’ultimo ordinò al proprio scudiero di trafiggerlo perché non si dicesse che fosse stato ucciso da una donna. L’episodio si conclude con la chiosa secondo la quale Dio fece ricadere su Abimèlec e sui signori di Sichem tutto il male da loro compiuto: «Così si avverò su di loro la maledizione di Iotam» (Gdc 9,57).

Assunto nel suo contesto, l’apologo è una maledizione efficace perché conforme alla visione deuteronomistica della storia; tuttavia, la suggestione delle sue immagini paradossali trascende l’ambientazione specifica. Grazie a esse, da un lato constatiamo il rifiuto di darsi alla politica da parte di coloro che producono frutti nella società (ulivo, fico, vite), dall’altro registriamo la volontà di occupare quel posto a opera di coloro che sono improduttivi sul piano economico e culturale (rovo).

Un dramma della politica è che non si può fare a meno del governo; eppure, di frequente, il potere cade nelle mani dei peggiori; ciò avviene anche perché i migliori rifiutano di assumere le responsabilità pubbliche che a loro competerebbero. Il discorso però è meno schematico di quanto non appaia. Lo è se si tiene conto della motivazione espressa dagli alberi fruttiferi, i quali concordemente sostengono di rinunciare alla carica perché la sua assunzione impedirebbe loro di produrre frutti. In altri termini, governano i peggiori anche perché è l’esercizio stesso del potere a rendere le persone peggiori.

Sciolte da ogni contesto teologico legato a un Dio che regge la storia (in modi peraltro non più accettabili dalle nostre coscienze), riflessioni legate al «governo dei peggiori» sono presenti nella componente autobiografica della settima Lettera di Platone.

Da giovane il grande filosofo pensava di dedicarsi alla politica, anzi era stato invitato a farlo anche da alcuni suoi familiari e conoscenti che rientravano nella cerchia dei Trenta tiranni. In effetti, egli allora riteneva che essi avrebbero potuto purificare la città dall’ingiustizia; tuttavia il loro comportamento ben presto fece apparire oro il governo precedente. Non andò meglio con la democrazia restaurata, la quale mise addirittura a morte Socrate.

Platone dovette quindi constatare che era sempre più difficile «partecipare all’amministrazione dello stato rimanendo onesti». La conclusione è nota: «Vidi dunque che mai sarebbero cessate le sciagure delle generazioni umane, se prima al potere politico non fossero pervenuti uomini veramente schiettamente filosofi, o i capi politici della città fossero divenuti, per qualche corte divina, veri filosofi».

Avendo ormai alle spalle sia la convinzione che Dio regga la storia attraverso punizioni atroci volte a suscitare pentimenti risanatori, sia la fiducia che la ragione filosofica possa rigenerare la politica, la nostra priorità si concentra sull’impegno che l’ulivo, il fico e la vite continuino a produrre i loro frutti nonostante l’incombere dei rovi; se risanamento ci sarà, non potrà cominciare che da lì.

http://www.ilregno.it/attualita/2018/8/governano-i-peggiori-piero-stefani

26 Aprile 2018Permalink

1 marzo 2018 – Gerusalemme: la serrata del Santo Sepolcro

25 febbraio 2018 – Santo Sepolcro chiuso per protesta [fonte nota 1]

Con un’azione senza precedenti, le Chiese cristiane hanno deciso la chiusura indefinita del Santo Sepolcro a Gerusalemme come protesta contro le autorità israeliane. Il passo è stato annunciato congiuntamente dalla Chiesa cattolica, la chiesa greco ortodossa e la Chiesa Armena apostolica, in un comunicato in cui si parla di “campagna sistematica di abusi contro le Chiese e i Cristiani”.
Al centro della controversia, spiegano i media israeliani, vi è l’intenzione della municipalità di Gerusalemme di congelare beni ecclesiastici per ottenere il pagamento di tasse anche sulle proprietà delle chiese cristiane diverse dai luoghi d culto.
LA PROTESTA – Inoltre, i cristiani sono preoccupati per una legge in discussione alla Knesset che permetterà allo Stato di espropriare proprietà vendute dalle chiese cattolica e greca ortodossa a partire dal 2010.
VIOLAZIONE – Il documento diffuso dal Custode della Terrasanta Francesco Patton, il Patriarca greco ortodosso Teofilo III e il Patriarca armeno Nourhan Manougian parla di “flagrante violazione dello status quo” religioso di Gerusalemme e di “rottura degli accordi esistenti e degli obblighi internazionali”.
LA LEGGE – Il testo attacca con durezza “la legge razzista e discriminatoria che attacca soltanto le proprietà della comunità cristiana”, un provvedimento che ricorda “leggi di simile natura che furono messe in opera contro gli ebrei in periodi bui della storia europea”.

28 febbraio Non è questione di tasse, a Gerusalemmedal blog di Paola Caridi. [fonte nota 2 – per la foto vedi nota 3]

Il grande portone del Santo Sepolcro a Gerusalemme è stato riaperto all’alba.
La clamorosa protesta delle chiese cristiane presenti nella Città Santa e proprietarie di immobili si è chiusa, per il momento. O meglio, è stata sospesa quando si è aperta una linea di dialogo con il governo israeliano ed è stato messo per ora in un cassetto il progetto di legge presentato alla Knesset dalla deputata Rachel Azaria su complesse questioni immobiliari.
Sarebbe riduttivo descrivere lo scontro tra le chiese cristiane di Gerusalemme e Israele come una mera questione fiscale. Nessun parallelo è possibile con l’imposta sugli immobili di proprietà ecclesiastica in Italia. Gerusalemme è, nella sua parte orientale, occupata. Nella parte orientale, peraltro, ricade il Santo Sepolcro, così come molti degli appartamenti in cui vive, per esempio, la piccola comunità cattolica. La municipalità israeliana di Gerusalemme ha chiesto alle chiese (soprattutto a quelle che possiedono più immobili e più terra, come il patriarcato greco-ortodosso, la Custodia francescana di Terrasanta, gli armeni) il pagamento di imposte arretrate. Non sulle chiese, viene detto, bensì su appartamenti e alberghi. Dal punto di vista della comunicazione, non c’è dubbio che le autorità israeliane abbiano toccato un nervo sensibile, soprattutto in Italia. Perché non dovrebbero pagare, come tutti, l’esosa imposta sugli immobili che in loco porta il nome di “arnona”? Peccato che Gerusalemme sia una città completamente diversa da Roma, dal punto di vista del diritto internazionale. Peccato che la proprietà immobiliare debba relazionarsi non con una semplice amministrazione comunale, ma con una potenza occupante, per quanto concerne Gerusalemme.
E poi ci sono i nodi politici e diplomatici. La questione fiscale è parte integrante del negoziato pluridecennale tra Vaticano e Israele. E’ un negoziato complesso che non comprende solo gli alberghi per i pellegrini, ma proprietà delicatissime come – per esempio – la famosa Collina del Papa, un pezzo di terra tra l’area della Tomba di Lazzaro (quartiere palestinese) e la colonia israeliana di Maaleh Adumim che incide sulla stessa strategia di Tel Aviv verso il totale controllo della città. Re Hussein di Giordania donò la Collina a Paolo VI in occasione della sua visita in Terrasanta nel 1964. Appena alla vigilia del nuovo stravolgimento della terra e dei confini sancito dalla Guerra dei Sei Giorni. La Collina del Papa è all’interno di un’area cruciale per ridisegnare i confini municipali della città e tagliare il collegamento tra i quartieri orientali palestinesi e Ramallah.
E poi ci sono le case, gli appartamenti di proprietà della chiesa, dove vivono ad affitto calmierato famiglie palestinesi cristiane. A Beit Fage (l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, per intenderci), così come a Beit Hanina o a Shuafat, quartiere dove sono stati costruiti edifici residenziali sulla terra di proprietà ecclesiastica. Quelle case sono un piccolo polmone all’interno di un contesto abitativo difficilissimo: i palestinesi (compresi i palestinesi di fede cristiana) debbono fronteggiare una carenza nell’offerta immobiliare che penalizza la loro comunità a vantaggio degli abitanti israeliani. Praticamente impossibile ottenere una licenza per ampliare i piccoli edifici a Gerusalemme est, nella neanche tanto velata strategia di spingere i palestinesi fuori dalla città, verso Ramallah e Betlemme. Le famiglie che non vogliono abbandonare Gerusalemme e perdere il diritto di risiedervi hanno poche alternative: costruire abusivamente, senza licenza; essere costretti a vivere in piccoli spazi affollatissimi; pagare affitti sproporzionati nei pochi quartieri rimasti a maggioranza palestinese. Oppure, ma sono in pochi a poter avere questo privilegio, ottenere un appartamento di quelli che le chiese (greco-ortodossa e cattolica) riescono a costruire sulle terre di loro proprietà. L’arnona è l’ultimo dei problemi, dunque, in una situazione così complessa, e soggetta a un evidente doppio standard.
Il gesto clamoroso ed eclatante di questi giorni, in cui le chiese hanno reagito a un chiaro tentativo di rompere uno status quo vecchio di circa 150 anni, ha indotto Israele a non spingere sull’acceleratore. Il governo è stato cioè costretto a una ritirata tattica che non significa, però, la chiusura del caso. Il caso, cioè, verrà molto probabilmente riproposto quando si abbasseranno le luci per ora dirette sul portone del Santo Sepolcro. E dunque, sarà necessario continuare a seguire la vicenda.
Vi è una riflessione ulteriore da fare. La chiusura eccezionale del Santo Sepolcro fa il paio con la protesta su Al Aqsa di un anno e mezzo fa. In entrambi i casi, toccare i Luoghi Santi di Gerusalemme ha suscitato reazioni immediate e ferme da parte sia delle istituzioni religiose sia della popolazione palestinese, scesa subito in massa a protestare senza distinzione di fede. Palestinesi musulmani e cristiani assieme. I Luoghi Santi non si toccano, perché incarnano una dimensione che va ben oltre quella religiosa: è dimensione identitaria, comunitaria, nazionale, popolare, politica. Occorre non dimenticarlo, in queste settimane che preludono a una delle fasi più delicate di Gerusalemme, e cioè lo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv. Proprio in concomitanza con il settantesimo anniversario della fondazione dello Stato di Israele. In aperto conflitto con l’anniversario coincidente, la naqba, la catastrofe palestinese.

Nota 1:
http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2018/02/25/santo-sepolcro-chiuso-per-protesta_fFQcCCdhxsfBqrwqCTjRIL.html
Nota 2
https://www.invisiblearabs.com/tag/santo-sepolcro/
Nota 3
La foto del Santo Sepolcro è di circa un secolo fa, ed è conservata nel fondo Eric Matson presso la Library of Congress di Washington.

1 Marzo 2018Permalink

31 dicembre 2017 – Dopo lo squallore che il senato ci ha imposto il 23 dicembre

Appello al Presidente Gentiloni

Signor Presidente
potrà tranquillamente esimersi dalla lettura di questa lettera aperta che porta una sola firma, firma probabilmente inutile e che però corrisponde al vizio di affermare la propria competente responsabilità, almeno per la propria dignità se altro non rimane.
Ci sono principi cui non si addice il silenzio.
Ho trovato nel sito del senato il testo dell’Articolo 3 della Costituzione in una forma che ha il merito (per ogni termine che è definizione precisa di una condizione) di segnalare i successivi articoli che quel termine evoca.

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale [cfr. XIV] e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso [cfr. artt. 29 c. 2, 37 c. 1, 48 c. 1, 51 c. 1], di razza, di lingua [cfr. art. 6], di religione [cfr. artt. 8, 19], di opinioni politiche [cfr. art. 22], di condizioni personali e sociali.

E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Un solo termine manca di ogni riferimento, quello che suona ‘condizioni personali e sociali’.
Fra le tante ‘condizioni’ personali che è possibile evocare c’è anche l’età, un fatto oggettivo che oggi però ha la sua precisazione nell’art 7 della Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che in Italia è legge (n.176 del 1991).

Art. 7
1. Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi.
2. Gli Stati parti vigilano affinché questi diritti siano attuati in conformità con la loro legislazione nazionale e con gli obblighi che sono imposti loro dagli strumenti internazionali applicabili in materia, in particolare nei casi in cui se ciò non fosse fatto, il fanciullo verrebbe a trovarsi apolide.

Quindi il minore è portatore di diritti propri la cui garanzia è affidata agli stati (comma 2 dell’art. 7). Nello specifico ha diritto ad esistere.
Con la norma ‘Disposizioni in materia di cittadinanza’ (cd ius soli) che il Senato non ha voluto approvare c’erano studenti della nostra scuola che – per poter vivere pienamente il loro diritto allo studio – chiedevano fosse considerato lo ‘ius culturae’ un principio nuovo, inserito in quella norma cui anche 29 senatori di un partito di maggioranza hanno voltato irrispettosamente le spalle.
E dico ‘irrispettosamente’ perché il diritto allo studio appartiene a tutti, anche ai ‘figli degli altri’ e non solo ai ‘figli nostri’, come vuole una cultura diffusa che cerca di obbligarci a un salto all’indietro che fa paura perché ci costringe ad affacciarci su un baratro di cui conosciamo i frutti perversi che hanno devastato l’Europa tutta.

In quella norma cancellata c’era però anche un comma (comma 3 dell’art. 2) che riguardava l’esistenza giuridicamente riconosciuta di ogni nuovo nato in Italia.

E’ bene ricordare che nel 2009 il ‘pacchetto sicurezza’ (legge 94) introdusse un principio nuovo che assicurava alla cultura del disprezzo e dell’odio la possibilità di rendere impraticabili due atti di stato civile: il matrimonio e la registrazione delle dichiarazioni di nascita (quella dichiarazione che assicura a ogni nuovo nato il certificato di nascita).

A sanare il problema matrimonio provvide la Corte Costituzionale che nel 2011, con sentenza 245, cancellò il permesso di soggiorno dai documenti necessari per presentare la richiesta di contrarre matrimonio.
Restavano i nati in Italia, figli di migranti non comunitari, irregolari perché senza permesso di soggiorno e a questi nulla fu perdonato, restarono e restano eredità disperata di un principio che dal quarto governo Berlusconi, ha attraversato inamovibile i governi Monti, Letta, Renzi per approdare al governo che Lei ancora presiede.

Se le Disposizioni fossero state approvate anche quel vulnus alla nostra civiltà sarebbe stato sanato e il suo governo non dovrebbe misurarsi con questa misura di inciviltà che invece anche Lei lascerà in eredità a chi uscirà vincitore dalle elezioni del 4 marzo
Il 23 dicembre infatti è paradossalmente sfuggito alla bocciatura, altrimenti operata dalle ‘Disposizioni in materia di cittadinanza’, solo l’articolo discriminatorio introdotto nel 2009 perché quello è legge – mentre tutto il resto, tutto l’impegno per sostenere il cd ‘ius soli’, tutti i concetti elaborati e discussi, tutta la passione di chi aveva capito il senso di quella norma e si era adoperato a sostenerla è stato radicalmente vanificato, flatus vocis avrebbero detto con sintetica efficacia i filosofi medievali.

L’approvazione mancata il
23 dicembre ha assicurato ai cristiani
un Natale di cui è protagonista indiscusso re Erode, lo stragista d’epoca. Gesù Bambino nulla ha da dire perché è stato nascosto e salvato con la fuga (nel caso d’epoca in Egitto).
Però, egregio Presidente, se il suo impegno per lo ‘ius soli’ è stato reale, conforma a quanto andava dicendo, c’è una cosa che ancora può fare nei tre mesi che sono a disposizione prima delle elezioni.

 

E così vengo, finalmente, all’appello

Quando fu approvata la lettera g del comma 22 dell’art. 1 della legge 94 (ormai presente anche nel Testo unico sull’immigrazione come art. 6 comma 2) persino il governo di allora (quarto Berlusconi) ricorse a una misura che lo tutelasse da penalizzazioni internazionali ed emanò immediatamente una circolare che, in materia di registrazione anagrafica, diceva e dice il contrario della legge, concedendo quindi, con misura amministrativa, il certificato di nascita che la legge negava e nega (Ministero dell’interno, circolare n. 19 del 2009).

Mentre ho la dolorosa consapevolezza che per ciò che riguarda lo ’ius soli’ tutto ormai sarà da rifare, so che l’articolo di legge negazionista resterà in vigore fintanto che altra legge non lo cancelli (e che lei – oggettivamente – ne sarà traghettatore alla prossima legislatura come i suoi predecessori sono stati per la sua) e che la circolare 19 resterà in vigore almeno per i prossimi tre mesi (non so se dopo le elezioni scomparirà o resterà).

In questi tre mesi se ne faccia garante, pubblicizzi la circolare 19, verifichi che tutti i comuni la applichino regolarmente, ne faccia consapevoli i soggetti interessati, assicuri loro una tutela se ci fossero comuni che ne ostacolassero il rispetto.
Quando altro non resta anche una sola vita salvata ha un senso.

Augusta De Piero
Udine

31 Dicembre 2017Permalink

12 novembre 2017 – Fra clero e senato cerco uno spazio umanamente abitabile

Un parroco di Bologna (tale don Lorenzo) ha reso nota la sua posizione nei confronti del recente caso di stupro avvenuto nella sua città il 9 novembre e denunciato dalla vittima abbandonata dopo la violenza in un vagone ferroviario.
Non voglio entrare nella descrizione del fatto che potrei riprendere dalle tante, troppe dettagliate informazioni riportate dalla stampa con l’attenzione che viene data a ciò che dovrebbe turbare e indurre a pensare a come prevenire la violenza e invece suscita partecipazione anche morbosa.

Trascrivo invece la foto di una consistente parte della fotografia dell’intervento di don Lorenzo che sono riuscita a copiare.

 

Sulla porta della chiesa di cui don Lorenzo è parroco è stato affisso un comunicato del Vescovo di Bologna che si dissocia dalle posizioni del prete e, a mio parere in forma un po’ generica e un po’ sfuggente, almeno si esprime.
Diverso il senso delle espressioni proposte dall’on. Salvini e dal sen. Giovanardi.

Se l’è andata a cercare in vulgata aggiornata
Evidentemente c’è una attualizzazione del tradizionale “se l’è andata a cercare” che sta diventando pervasiva e, temo, corruttiva della razionalità e dell’etica.
Il sen. Giovanardi, che pur immagino affaticato dalla mobilità delle denominazioni del gruppo di cui fa parte (ne riporto in nota l’elenco limitatamente alla XVII legislatura che ho copiato alla sua scheda ufficiale), ha concesso una esaustiva, illuminante dichiarazione all’ANSA
(ANSA) – ROMA, 10 NOV – “Avrà pure usato una frase infelice Don Lorenzo Guidotti, della quale ha fatto bene a scusarsi, ma nella sostanza ha perfettamente ragione nel denunciare la cultura dello sballo e spiace che troppi abbiano cercato di fargli fare la fine del grillo parlante. Ricorderete infatti che il grillo parlante sgrida Pinocchio chiamandolo “povero grulloncello” e gli pronostica o “l’ospedale o la prigione” quando il burattino gli spiega di volere nella vita “mangiare, bere, dormire, divertirsi e fare dalla mattina alla sera la vita del vagabondo”. Poi come racconta Collodi il povero grillo parlante rimane stecchito e appiccicato alla parete, colpito da un martello scagliato da un Pinocchio tutto infuriato per essere stato chiamato “testa di legno”. Morale della favola i veri amici di Pinocchio non erano i tanti Lucignolo, che lo spingevano verso la rovina, ma il fastidioso grillo parlante dalla cui parte mi schiero con convinzione“. Lo afferma il senatore Carlo Giovanardi. (ANSA). PH 10-NOV-17 12:33 NN

Fra crociati e improbabili difensori della morale e della religione
Forse l’on Salvini sta preparandosi alle tradizionali crociate pro presepio e pro crocifisso, crociate in cui la Lega ama esibirsi in una sorta di neocattolicesimo di propria ma ampiamente condivisa fabbricazione.
Ho ancora davanti agli occhi la gestualità disordinata e ancora sento il fastidio delle urla scomposte del sen Giovanardi durante il dibattito sulla legge Cirinnà (Legge 20 maggio 2016, n. 76 Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze).
Non a caso – e non senza il contributo del sunnominato senatore – il prezzo più grosso, secondo me, nelle modifiche subite dalla legge nel corso del dibattito è stato imposto ai minori per i quali non sussiste nessuna forma di protezione qualora il genitore legalmente riconosciuto venga a mancare. Anche se il loro legame con il partner fosse di lunga durata e profondo agli effetti di un possibile affido è del tutto irrilevante.
Il principio del superiore interesse dei minori, presente nella Convenzione di New York del 1989 che l’Italia ha ratificato, del tutto ignorato.
Se qualcuno deve pagare il prezzo di trattative per ignobili che siano questi sono i più deboli e nella normativa italiana i più deboli sono i bambini.

E sembra che anche la ‘scienza’ aderisca alle crociate
Trovo un passo tratto da un blog collegato a Il Fatto Quotidiano (condivido pienamente e ricopio: fonte Vincenzo Puppo | 9 novembre 2017). Vi è trascritta la citazione di Raffaele Morelli, citato come “famoso psichiatra”, che avrebbe pronunciato le seguenti parole: ” che in ogni donna sono presenti entrambi i volti la donna pura e la prostituta, che la classica santarellina prima o poi si prostituirà, che la donna santa non esiste e se esiste santa è una grave malattia, che in molte di queste attrici che parlano c’è molto esibizionismo, che devono imparare a stare con tutto questo da sole e tacere, che soltanto il silenzio, soltanto l’oblio, soltanto stando con la prostituta che hai scoperto che c’era in te, tu potrai conoscere la maturità completamente ”

La continuità affettiva, diritto del minore
Ritorno al capoverso “Fra crociati e improbabili difensori …” che impone di non trascurare il problema della continuità affettiva.
Ne avevo trattato nel mio blog dello scorso 4 aprile. Il tema è suddiviso in due testi che si possono rileggere. Ora ho trovato un testo molto interessante che si può raggiungere con il link in nota.
Si tratta di “L’affidamento del minore e la continuità affettiva: rivisitazione dell’adozione mite e nuove prospettive in tema di adozione di Valeria Montaruli Presidente del Tribunale per i minorenni di Potenza” Viene pubblicata la relazione a Catania il 13 giugno 2017
Merita veramente una lettura integrale

FONTI:
Articolo che contiene posizione vescovo Zuffi
http://bologna.repubblica.it/cronaca/2017/11/10/news/bologna_frasi_choc_sullo_stupro_giovanardi_e_salvini_con_don_lorenzo-180752970/

Articolo che alla fine contiene posizioni favorevoli al parroco dei suoi seguaci parrocchiani:
http://www.corriere.it/cronache/17_novembre_10/ragazza-stuprata-bologna-mamma-incontrero-don-lorenzo-guidotti-basta-giudizi-03e22676-c641-11e7-831f-15bae6a1a312.shtml
foto intervento parroco
https://immagini.quotidiano.net/?url=http://p1014p.quotidiano.net:80/polopoly_fs/1.3522188.1510235328!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/wide_680/image.jpg&h=350&w=606

Opinioni del sindaco di Bologna e posizioni on. Salvini e on Giovanardi:
http://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/cronaca/prete-stupro-merola-giovanardi-1.3524302

Qualche spostamento e modifiche dei nomi del gruppo senatoriale di appartenenza dell’on. Giovanardi nella XVII legislatura (si leggono nella sua scheda nel sito del senato)
– Gruppo Il Popolo della Libertà : Membro dal 19 marzo 2013 al 14 novembre 2013
– Gruppo Nuovo Centrodestra: Membro dal 15 novembre 2013 al 20 dicembre 2015 (dall’11 dicembre 2014 il Gruppo assume la denominazione Area Popolare (NCD-UDC))
– Gruppo Grandi Autonomie e Libertà (Grande Sud, Popolari per l’Italia, Federazione dei Verdi, Moderati, Movimento Base Italia, Idea
– Gruppo Grandi Autonomie e Libertà (Grande Sud, Popolari per l’Italia, Federazione dei Verdi, Moderati, Movimento Base Italia, Idea) :
– Membro dal 21 dicembre 2015 al 24 maggio 2017 (dal 14 gennaio 2016 il Gruppo assume la  denominazione Grandi Autonomie e Libertà (Grande Sud, Popolari per l’Italia, Moderati, Movimento Base Italia, Idea, Euro-Exit))
– (dal 16 febbraio 2016 il Gruppo assume la denominazione Grandi Autonomie e Libertà (Grande Sud, Popolari per l’Italia, Moderati, Idea, Euro-Exit, M.P.L.-Movimento politico Libertas) )
– (dal 10 maggio 2016 il Gruppo assume la denominazione Grandi Autonomie e Libertà (Grande Sud, Popolari per l’Italia, Moderati, Idea, Alternativa per l’Italia, Euro-Exit, M.P.L. – Movimento politico Libertas))
(dal 22 novembre 2016 il Gruppo assume la denominazione Grandi Autonomie e – Libertà (Grande Sud, Popolari per l’Italia, Moderati, Idea, Euro-Exit, M.P.L. – Movimento politico Libertas))
– (dal 1 febbraio 2017 il Gruppo assume la denominazione Grandi Autonomie e Libertà (Grande -Sud, Popolari per l’Italia, Moderati, Idea, Euro-Exit, M.P.L. – Movimento politico Libertas, – Riscossa Italia))
(- dal 16 maggio 2017 il Gruppo assume la denominazione Grandi Autonomie e Libertà (Direzione Italia, Idea, Grande Sud, Moderati, M.P.L. – Movimento politico Libertas, Riscossa Italia, Euro Exit))
– Gruppo Federazione della libertà (Idea Popolo e Libertà, PLI Membro dal 25 maggio 2017.

Lega e presepio
http://www.corriere.it/scuola/medie/15_dicembre_11/no-presepe-no-ferie-proposta-lega-presidi-obiettori-7400f646-a021-11e5-9e42-3aa7b5e47d96.shtml
Lega e crocifisso
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2016/09/06/news/lega-crocifisso-obbligatorio-per-legge-nei-luoghi-pubblici-1.282041

Il fatto quotidiano – psichiatra
https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/11/09/raffaele-morelli-in-ogni-donna-ce-una-prostituta-sbagliato-lo-stupro-e-sempre-un-crimine/3968718/

Affidamento e continuità affettiva
http://www.questionegiustizia.it/articolo/l-affidamento-del-minore-e-la-continuita-affettiva_06-10-2017.php

 

12 Novembre 2017Permalink

8 novembre 2017 – Raccolgo documenti per costruire ricordi alternativi. Temo serviranno

RIFORMA.IT
Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia.

07 novembre 2017 Comunità ebraica e Chiesa valdese insieme per i Corridoi umanitari di Redazione
A Torino la locale comunità ebraica mette a disposizione un alloggio per ospitare una famiglia siriana giunta in Italia grazie al progetto dei Corridoi umanitari
Continua a dare frutti importanti il progetto dei Corridoi umanitari avviato dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia e dalla Comunità di Sant’Egidio con il contributo decisivo della Tavola valdese, l’organo deliberativo della Chiesa valdese. Dal Nord al Sud dello stivale stanno fiorendo collaborazioni e manifestazioni di interesse che non possono che essere di buon auspicio, di fronte anche al rinnovo del protocollo d’intesa con il ministero dell’Interno, che prevede la prosecuzione del progetto a beneficio di altre mille persone che troveranno quindi un approdo sicuro nel nostro paese; accordo che verrà siglato proprio oggi a Roma, mentre a Genova stamane viene presentato al pubblico il protocollo d’intesa fra l’Ospedale evangelico internazionale del capoluogo ligure e la Diaconia valdese, proprio per la gestione di alcuni aspetti legati all’arrivo delle donne, dei bambini e degli uomini dai Paesi di guerra.
Domani invece sarà il turno della presentazione, a Torino, della sinergia fra la locale comunità ebraica e la Diaconia valdese, sempre nell’ambito del progetto dei Corridoi. Una delle ultime famiglie provenienti dal Libano, accompagnate e accolte in Italia in maniera sicura e legale, sarà infatti ospitata in un appartamento generosamente messo a disposizione dalla Comunità ebraica, nell’ottica di un forte e concreto impegno in ambito umanitario e di un prezioso rapporto con la Chiesa valdese coltivato negli anni. Si tratta di un alloggio in uno stabile già utilizzato dalla Comunità ebraica per ospitare richiedenti asilo, e rappresenta il frutto concreto di una sinergia che si va sempre più consolidando.
Domani, mercoledì 8 novembre, alle ore 18 nei locali del centro di aggregazione “Il Passo Social Point” di via Nomaglio 6 a Torino verrà dunque presentata l’iniziativa alla presenza fra gli altri dei rappresentanti della Chiesa valdese di Torino nella persona della pastora Maria Bonafede e di Dario Disegni, presidente della Comunità ebraica della città piemontese. Un altro granello, un altro seme di speranza.

Il Regno – Documenti, 17/2017, 01/10/2017, pag. 571
Fra Gerusalemme e Roma
Conferenza dei rabbini europei, Gran rabbinato d’Israele, Consiglio rabbinico d’America
“Nonostante le differenze teologiche inconciliabili, noi ebrei consideriamo i cattolici nostri partner, alleati stretti, amici e fratelli nella nostra mutua ricerca di un mondo migliore benedetto da pace, giustizia sociale e sicurezza». La dichiarazione Fra Gerusalemme e Roma. Riflessioni sui 50 anni della Nostra aetate, è stata consegnata il 31 agosto a papa Francesco da una delegazione rabbinica in rappresentanza delle istituzioni ebraiche che l’hanno firmata: la Conferenza dei rabbini europei, il Gran rabbinato d’Israele, il Consiglio rabbinico d’America. Il testo riconosce la svolta nelle relazioni tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo costituita dalla dichiarazione Nostra aetate del concilio Vaticano II e dagli atti e dialoghi ufficiali successivi, grazie ai quali l’inimicizia e i pregiudizi del passato hanno ceduto il passo a relazioni di amicizia e fratellanza. «Per allargare le relazioni fraterne e le cause comuni coltivate fra cattolici ed ebrei come frutto della Nostra aetate chiediamo a tutte le denominazioni cristiane che non lo hanno ancora fatto di seguire l’esempio della Chiesa cattolica: estirpare l’antisemitismo dalla loro liturgia e dalle loro dottrine, porre fine alla missione attiva presso gli ebrei e lavorare per un mondo migliore mano nella mano con noi, il popolo ebraico».

FONTI:
per Riforma
http://riforma.it/it/articolo/2017/11/07/comunita-ebraica-e-chiesa-valdese-insieme-i-corridoi-umanitari

per Il Regno
http://www.ilregno.it/documenti/2017/17/fra-gerusalemme-e-roma-conferenza-dei-rabbini-europei-gran-rabbinato-disraele-consiglio-rabbinico-damerica

8 Novembre 2017Permalink

27 ottobre 2017 – Sedicesima giornata del dialogo cristiano-islamico

Seguono l’appello, pubblicato il 21 luglio nel sito www.ildialogo.org, e la lettera agli uomini e donne di buona volontà di Karima Angionila Campanelli

Appello
Le stragi compiute in questi ultimi anni in diverse città europee, hanno incrementato la paura e la diffidenza nei confronti dei musulmani, in gran parte di origine straniera. Sommando l’islam all’immigrazione, i partiti e i movimenti ultranazionalisti e xenofobi sono riusciti ad incrementare il proprio consenso popolare, focalizzando la loro propaganda politica sulla presunta minaccia che incomberebbe sull’identità culturale e religiosa dell’Europa, rappresentata come “bianca” e “giudaico-cristiana”.
La realtà è che il vecchio continente oggi ha un tessuto sociale irreversibilmente multietnico, multiculturale e multireligioso, come dimostra chiaramente la presenza di cittadini europei di origine straniera all’interno delle istituzioni statali di molti stati europei e a tutti i livelli dei vari organismi istituzionali, dal livello comunale ai parlamenti nazionali e allo stesso parlamento europeo. Questa presenza costruttiva nella vita politica e istituzionale in molti Paesi europei, compresa l’Italia, è destinata a crescere e a fungere sempre di più da ponte di dialogo sociale.
Ciononostante, il problema del terrorismo, che è parte integrante della guerra in corso dall’11 settembre 2001, della sicurezza e la crisi socio-economica, che toccano oggi molti Paesi europei, stanno rendendo molto difficile il dialogo. Di fronte al razzismo e alla discriminazione cresce il sentimento di paura e di insicurezza in seno alle minoranze culturali e religiose. Questa dicotomia favorisce la tendenza alla ghettizzazione, che a sua volta diviene terreno fertile per forme di devianze sociali, tra le quali la radicalizzazione religiosa. In tal senso la minoranza musulmana – la prima minoranza in termini numerici in Italia e in molti Paesi europei – rischia l’auto-isolamento con tutto quello che ciò comporta. Per contrastare questo pericolo occorre tenere vivo e soprattutto proattivo il canale di dialogo con i musulmani.
Nel quadro del clima sociale che si respira oggi in Italia, la Giornata Ecumenica del Dialogo Cristiano-Islamico, nata nel 2001, è più che mai indispensabile. A 16 anni dalla sua costituzione, la Giornata oggi è di fronte a una grande sfida culturale e sociale: quella di potenziare il dialogo rendendolo proattivo. E, affinché ciò possa avvenire, occorre un maggiore sforzo di tutti coloro che in tutti questi anni hanno creduto e sostenuto questa esperienza di grande interesse, dalle istituzioni religiose, alle realtà laiche, a quelle dei giovani e delle donne.
Il contributo delle donne è fondamentale, ma non è abbastanza interpellato e incoraggiato. In tal senso la Giornata di quest’anno – venerdì 27 ottobre 2017 – sarà dedicata al ruolo delle donne nel dialogo interculturale e interreligioso.
Chiediamo a tutte le comunità cristiane e musulmane uno sforzo comune per la pace e la salvezza dell’umanità.
Comitato promotore nazionale della giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico
Roma 21/07/2017

Trascrivo le adesioni del 21 luglio
1. Giovanni Sarubbi, Monteforte Irpino, il: 2017-07-21 – 19:03:31
Messaggio : Direttore del sito www.ildialogo.org
2. Francesca Del Corso, Pisa, il: 2017-07-21 – 19:45:45
3. Gemma Jeva, Legnano (MI), il: 2017-07-21 – 20:01:28
4. Augusta De Piero, Udine, il: 2017-07-21 – 22:34:36

 

Lettera agli uomini e alle donne di buona volontà in occasione della sedicesima giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico di Karima Angiolina Campanelli

Bi-smi ‘llāhi al-Rahmāni al-RahÄ«mi
La lode sia resa ad Allah (Dio) in principio e alla fine.

Ebraismo, Cristianesimo e Islam. Fra i punti di contatto tra le religioni abramitiche vi è una “regola d’oro”: Rabbi Hillel (Shabbat 31a): «non fare agli altri quello che non vuoi che essi facciano a te»; Gesù (Mt 7,12, Lc 6,31): «tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro»; Muhammad (40 ʾaḥādÄ«the di an-Nawawi 13): «nessuno di voi è un credente fino a quando non desidera per il suo fratello quello che desidera per se stesso». Se rinunciamo al dialogo non sarà più possibile vivere insieme in un mondo libero, rispettoso delle diversità, dove vi sia giustizia per tutti.
Come musulmana desidero ardentemente un confronto dialettico, lo stesso che l’Islàm illuminato introdusse nei secoli passati all’interno del pensiero e della civiltà occidentale, per oppormi con il dialogo, la cultura e la bellezza dell’arte, al dramma e alle tensioni politiche che oggi, come in altre epoche oscure, separano uomini e popoli, seminando odio e paura tra le diversità etniche-culturali e religiose. Prego che l’Italia divenga presto una nazione vibrante di vita, edificata da un nuovo Rinascimento che la riporti alla fama mondiale di fucina di arte e bellezza, di pluralità, cultura, accoglienza, generosità, tolleranza e condivisione. Mi rivolgo a tutte le donne e uomini di buona volontà, ai coraggiosi e coraggiose, a tutti coloro che vogliono lavorare uniti per creare una civiltà della giustizia e della pietas. Perché rivolgo il mio appello ai coraggiosi e coraggiose? Perché ci vogliono coraggio e volontà per trasmutare la realtà in cui viviamo; l’epoca di Babele, l’epoca del non ascolto, del linguaggio contorto, dello sproloquio, delle offese, della rabbia, della mistificazione. Razzisti e xenofobi dai teleschermi incitano quotidianamente all’odio, alla paura del diverso. Questi inoculatori di veleni sono diventati i nuovi profeti, i valorosi patrioti che lottano per difendere i confini della nostra “civiltà”.
Dalla politica alla finanza, dalle istituzioni ai media, nella strada o nelle banali discussioni domestiche , assistiamo (e partecipiamo) al suicidio della comunicazione e della verità. L’odio impera mentre continue interferenze e interruzioni, più o meno aggressive, impediscono l’ascolto “ dell’altro “. L’altro non è più un abitante del pianeta, è un alieno, è il diverso: quello da temere, quello che non parla come me, che non mangia come me, che non prega come me, che non ha il mio odore e colore. E’ il “nemico” da mettere in ridicolo, quello a cui dobbiamo imporre il nostro punto di vista, quello da minacciare o mettere in guardia, quello da ricattare moralmente! Gli uomini costruiscono muri sempre più invalicabili. Guerre di inciviltà in ogni angolo del pianeta ci svegliano ad ogni alba con le grida delle vittime innocenti sacrificate al dio denaro. C’è forza vendicativa in una parte del pianeta che opprime, e una disperazione nell’altra parte del pianeta che subisce. Non facciamo altro che domarci “Perché qualcuno non fa qualcosa per cambiare la situazione”. Quando prenderemo consapevolezza che quel qualcuno siamo NOI!! Abbiamo dimenticato che la grande ricchezza dell’umanità sta nella cooperazione, nella solidarietà!
Non ci sentiamo ascoltati e non ascoltiamo. Eppure, tutti abbiamo sperimentato almeno una volta nella vita la profonda frustrazione, l’ irritazione e dispiacere quando parlando con qualcuno ci accorgiamo che non presta attenzione alle nostre parole, ai nostri accorati appelli.Ascoltiamo selettivamente, prediligendo solo alcune parti dei discorsi, così che i nostri timori, prevenzioni e paranoie possano subito formulare giudizi inappellabili. Così facendo perdiamo irrimediabilmente la comprensione dei contenuti e delle emozioni. La condizione primaria perché il dialogo sia possibile tra gli umani è il rispetto! Reciprocamente abbiamo il dovere di comprendere l’altro lealmente nelle sue intenzioni e esternazioni. I dialoghi umani stanno diventando conversazioni senza capo ne coda, dialoghi tra sordi. Dovremmo ascoltare la vita e i nostri fratelli e sorelle nell’umanità come ascoltiamo la musica, mettendo in campo tutta la sensibilità, l’attenzione, la comprensione, l’intelligenza, l’empatia di cui siamo capaci. Potremmo scoprire universi splendenti dentro di noi se solo attivassimo l’audace telescopio del cuore, scrutando senza timore gli infiniti cieli che completano le creature umane su questo pianeta. Se aprissimo le nostre orecchie al vero ascolto, alle inarrestabili melodie che ogni uomo e donna, nella gioia e nel dolore, nelle diversità dei credo, nel colore che i diversi idiomi intonano, la nostra vita diverrebbe col permesso del Misericordioso un opera d’arte di mirabile bellezza.
Mi rivolgo a tutti, e con affetto alle donne, sorelle, amiche, compagne. La donna ha un ruolo di grande responsabilità nell’educazione dei cittadini che sono il presente e il futuro dell’umanità, noi donne di tutte le nazioni, atee o di diverse professioni di fede dobbiamo recuperare in noi stesse e insegnare ai nostri figli il valore del dono, della gratuità, della solidarietà. Questo capitalismo venefico ci ha imposto la logica del profitto ad ogni costo, del dare per ottenere, dello sfruttamento sfrenato senza rispetto per il pianeta e per le diverse forme di civiltà, senza salvaguardare le persone nelle loro naturali innate diversità. Questo meccanismo di ingiustizia sociale e di negazione dell’altro è la crisi che stiamo vivendo, è la barriera che ci separa, la catastrofe che ci annienterà!
Qualcuno disse che la nostra società è molto simile a una volta di pietre: cadrebbe, se le pietre non si sostenessero reciprocamente…. «Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». Ma egli rispose: «Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre». »… Quando fu vicino, vedendo la città, pianse su di essa, dicendo: «Oh se tu sapessi, almeno oggi, ciò che occorre per la tua pace! Ma ora è nascosto ai tuoi occhi. Poiché verranno su di te dei giorni nei quali i tuoi nemici ti faranno attorno delle trincee, ti accerchieranno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, (Vangelo secondo Luca,19,39-40-41-42-43-44)
La produzione deve servire ai bisogni reali degli uomini, non alle esigenze di questo malsano e devastante sistema economico; niente di quel che capita agli uomini è estraneo alla nostra esistenza. Siamo tutti uniti saldamente da legami invisibili: non si può umiliare e ferire una vita umana , senza umiliare e ferire l’anima dell’umanità. Dobbiamo instaurare tra gli uomini nuovi rapporti di collaborazione anziché di sfruttamento. Come il ricorso alla forza o alla violenza è espressione di debolezza, così la capacità di ascolto e dialogo è lo strumento e la ricchezza dei forti . Don Andrea Gallo diceva che dal dialogo con i laici, con gli atei, con gli agnostici, con i credenti di altre religioni non possono che nascere curiosità, rispetto, tolleranza e amicizia.
Quando l’odio diventa codardo, se ne va mascherato in giro per il mondo e si fa chiamare guerra per portare la “democrazia”
Salam shalom pace namasté
Karima Angiolina Campanelli
Regista, pittrice, autrice, musulmana

27 Ottobre 2017Permalink