24 giugno 2009 – 5. Diario di viaggio, Iran 2009. Due interviste a Shirin Ebadi e un articolo del premio Nobel.

5 – Documentazione e un po’ di terminologia
Gli articoli che trascrivo più avanti riguardano tutti donne e in buona parte sono opera del premio Nobel Shirin Ebadi.

Intendo la mia scelta di privilegiare l’informazione al femminile, come un piccolissimo omaggio a Neda, vittima simbolo di questo giugno iraniano.
Traggo le prime due interviste dal Numero 861 del 24 giugno 2009
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO – e-mail: nbawac@tin.it
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo –

 IRAN. FRANCESCA CAFERRI INTERVISTA SHIRIN EBADI
Dal quotidiano “La Repubblica” del 23 giugno 2009 col titolo “”In Iran censura e violenza: chiedo l’aiuto dell’Europa”

Avrebbe voluto tornare in Iran, ma i suoi amici l’hanno fermata. Da dieci giorni Shirin Ebadi è in Europa. Gli occhi sono fissi a Teheran, dove la premio Nobel si ripromette di rientrare fra pochi giorni, ma la scelta, per ora, è quella di rimanere lontana da casa, dove rischia l’arresto, per far sentire al mondo la voce dei riformisti iraniani. “Sono più utile fuori dal Paese che all’interno, dove regna la censura”, spiega. La settimana scorsa la Ebadi è andata alle Nazioni Unite di Ginevra per chiedere che le elezioni siano annullate. Ieri ha ripetuto questo messaggio all’Alto rappresentante per la politica estera della Ue Javier Solana: nelle prossime ore lo ribadirà al Parlamento europeo.
Francesca Caferri: Signora Ebadi, la tensione nel suo Paese è altissima. Si aspettava quello che è successo quando è partita, il giorno delle elezioni?
Shirin Ebadi: No. Tutti si aspettavano che avrebbe vinto Moussavi. Era un’opinione condivisa. Poi ci sono stati quei risultati e le persone hanno cominciato a chiedersi dove fossero finiti i loro voti. Ed è esplosa la rabbia: non sono stati solo gli annunci sui falsi risultati che hanno fatto infuriare la gente. Ma soprattutto le premature congratulazioni della Guida suprema Khamenei ad Ahmadinejad. Nessuno poteva aspettarsi che le leggi venissero violate in questa maniera. Nè tantomeno questo comportamento verso il popolo.
Francesca Caferri: Quindi lei pensa che ci siano stati brogli nei risultati…
Shirin Ebadi: Gli oppositori di Ahmadinejad e le persone che dimostrano in piazza lo pensano. Giustamente, ritengo. I raid dei poliziotti dopo il voto, quando sono stati attaccati i dormitori degli studenti universitari e molte persone sono state arrestate, rendono questa ipotesi più credibile. Ma a questo punto il fatto più importante non sono più i brogli ma la maniera in cui sono state trattate le persone che partecipavano alle proteste. La gente che manifesta pacificamente non merita di ricevere pallottole come risposta. Nessuno immaginava che il governo fosse così crudele e violento.
Sono state aggredite persone indifese: la Costituzione iraniana dice che le manifestazioni e i raduni pacifici devono essere consentiti. Questo non è stato rispettato. Tutto il mondo ha visto quanto pacifiche fossero le manifestazioni del popolo iraniano e quanto violenta la risposta.
Francesca Caferri: Da fuori questa appare soprattutto come una rivolta di giovani e di donne: la sorprende?
Shirin Ebadi: No. Sia i giovani che le donne negli ultimi anni hanno sofferto per la diseguaglianza, che comunque ha toccato tutta la popolazione. Volevano più libertà, non erano soddisfatti, volevano cambiare. Pensavano, come tanta gente, che i riformisti avrebbero vinto. Sarebbe andata così se non ci fossero stati i brogli che hanno portato alla vittoria di Ahmadinejad. Di fronte a questo il popolo iraniano ha chiesto di annullare le elezioni: e non si fermerà fino quando questo non succederà.
Francesca Caferri: Anche se questo significherà più violenza?
Shirin Ebadi: Le persone che sono a favore delle riforme non ricorrono alla violenza. Non è nel loro modo di comportarsi. La violenza è venuta dalla parte della polizia e del governo. Le proteste continueranno, la gente non userà la violenza, così come non l’ha usata fino a questo momento: in questa maniera otterrà i risultati che vuole.

IRAN. FRANCESCA DONNER INTERVISTA RIYA HAKAKIAN
[da Notizie Minime della nonviolenza in cammino….
Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per averci messo a disposizione la seguente intervista nella sua traduzione]

Roya Hakakian, giornalista nata a Teheran, è l’autrice di numerose raccolte di poesie e del romanzo autobiografico Viaggio dalla Terra del No. Poiché ha lasciato l’Iran nel 1984 all’età di 18 anni non le è mai stato permesso di tornare nel proprio paese.
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Francesca Donner: Qual è stata la tua prima reazione nel vedere donne fra i dimostranti nelle strade dell’Iran?
Roya Hakakian: La presenza delle donne non è affatto una sorpresa per me.
Sono decenni che l’Iran ha un vigoroso movimento femminista. Negli ultimi anni ’90 la nuova generazione si è fatta avanti, e nei primi anni del 2000 le donne si sono organizzate ed unite in modi che non avevano più sperimentato sin dalla rivoluzione del 1979. La cosa è cominciata con il movimento raccoltosi attorno alla petizione per porre fine alle condanne a morte delle donne per lapidazione, e si è espansa sino a divenire la campagna “Un milione di firme”. Perciò, quel che ho visto è esattamente quel che mi aspettavo.
Francesca Donner: Che rischi stanno correndo i dimostranti?
Roya Hakakian: Enormi. Solo guardando le fotografie e i video ti accorgi che il regime sta usando delle tattiche particolari: agenti travestiti armati di lame circolano tra la folla e aggrediscono i dimostranti dall’interno mentre questi si sentono relativamente al sicuro, convinti di essere circondati da persone che la pensano come loro. Non è lontanamente paragonabile alla situazione del 1978-1979, quando lo Scià venne rovesciato. Sebbene io fossi molto giovane, ero conscia della nettezza del confronto: la gente sapeva chi stava fronteggiando, c’era una chiara contrapposizione tra le guardie ed i soldati dello Scià e il resto del popolo. I confini erano chiari, allora, ma il presente regime non agisce così. Alcuni giornalisti hanno notato l’uso di polizia che non parla persiano. Poiché il regime teme che la lealtà dei poliziotti possa andare altrove, ha importato truppe per il controllo della folla da altri paesi arabi, di modo che i dimostranti non possano comunicare con loro. Gli iraniani parlano persiano, gli arabi parlano arabo, e ciò rende difficile comunicare e far passare la polizia dall’altra parte. Credo che a questo punto al regime non importi più chi ha di fronte, se donne o uomini, giovani o vecchi. L’unica misura che può garantire un certo grado di sicurezza è il numero delle persone che scendono in strada. Negli scorsi 15 anni, non abbiamo mai avuto manifestazioni da un milione di persone. Negli ultimi giorni più di un milione di persone hanno marciato per le strade di Teheran. La gente dev’essere talmente disgustata da essere pronta a pagare il prezzo che la protesta richiede.
Francesca Donner: È un momento di cambiamento per le donne?
Roya Hakakian: Si’. Il movimento femminista, che non è mai scomparso in Iran, si è unito ad altri movimenti contrari al regime. Ciò era accaduto in Iran anche alla fine degli anni ’70, ma purtroppo ebbe un effetto terribile sul movimento delle donne. Le donne in qualche modo si convinsero che le restrizioni alla loro libertà non erano poi così importanti, che dovevano fare sacrifici per il bene comune, così lo Scià se ne andò, e arrivarono i veli. Questa generazione di femministe è molto più avvisata al proposito. E i movimenti sociali sono molto più favorevoli alle cause delle donne di quanto lo fossero negli anni ’70. Trent’anni più tardi, gli uomini iraniani hanno compreso che il loro destino è legato a quello delle donne iraniane: se le donne stanno meglio, gli uomini staranno meglio anche loro.
Francesca Donner: La moglie di Mousavi, Zahra Rahnavard, rappresenta in qualche modo il volto nuovo delle donne in Iran?
Roya Hakakian: La sua presenza sulla scena politica è una manifestazione della forza del movimento femminista. È stata una strategia intelligente che lei fosse visibile. Mousavi voleva appellarsi alle donne, che costituiscono un grosso blocco elettorale, sono tenaci e sanno come organizzarsi. Così Mousavi, più che a chiunque altro, ha parlato al
movimento femminista.
Francesca Donner: Che ruolo giocano internet e la moderna tecnologia nell’aiutare le iraniane a portare il loro messaggio all’esterno?
Roya Hakakian: Penso un ruolo enorme. Io ho una pagina su Facebook dove centinaia di persone sono diventate mie amiche dall’Iran. È gente che non ho mai visto o conosciuto. Postano fotografie, videoclips, notizie. Non ho avuto bisogno di guardare nessun telegiornale, guardo il telegiornale solo per misurare la differenza di tempo fra la velocità dei network sociali e la lentezza delle televisioni nel riportare le notizie.
Francesca Donner: Cos’hai saputo negli ultimi anni della situazione delle donne in Iran? Le loro vite sono cambiate o no?
Roya Hakakian: Le situazioni variano. La vita può essere molto differente per una donna che abiti in una grande città o in un remoto villaggio. C’è stata però una grande metamorfosi dal 1979, quando il regime cominciò ad erodere e cancellare i diritti delle donne che sotto lo Scià il movimento femminista era persino riuscito ad estendere. Il regime teocratico ha adottato un approccio molto “macho”, e ha visto come una priorità assoluta lo spingere indietro le donne. Ha istituito i codici di abbigliamento ed ha chiuso importanti campi accademici alle donne, come la legge e l’ingegneria.
Non aveva messo in conto l’enorme contrattacco che ne sarebbe scaturito, e non solo da donne che avevano goduto delle loro libertà. Le sfide sono venute al regime anche dall’interno, dalle “loro” donne, che hanno detto: “Siamo musulmane, abbiamo il velo in testa e vogliamo partecipare. Continuate a ripeterci che siamo fratelli e sorelle, perciò, fintanto che siamo devote, dovete garantirci pari opportunità”. Il regime aveva promosso e incoraggiato le donne “devote”, e spesso erano donne che non avevano mai pensato a se stesse fuori dalla cucina, perciò esse si sono sentite legittimate a protestare. È stato un risvolto a cui gli uomini non avevano pensato. Queste donne hanno contribuito a coltivare un’intera generazione che in precedenza non era politicamente attiva.
Francesca Donner: A questo punto, qual è la tua più grande speranza per le donne iraniane?
Roya Hakakian: Che ottengano una più vasta solidarietà e che si dedichino con forza alla causa femminista. Molto di quel che vediamo in questo stesso momento, quello che percepiamo come un grande movimento sociale contro i brogli elettorali, viene in realtà dall’enorme ammontare di attività svolte nel corso degli anni dal movimento femminista. Le donne sono quelle che hanno messo insieme le infrastrutture, che hanno pianificato ed organizzato le manifestazioni, e sanno come farlo bene. Il movimento odierno deve moltissimo della sua esistenza a quello delle donne, ed alle infrastrutture che le donne hanno costruito.
Francesca Donner: Cosa possono fare le persone che in tutto il mondo vorrebbero mostrare il loro sostegno all’eguaglianza delle donne in Iran?
Roya Hakakian: Si potrebbe cominciare una campagna portando nastri o distintivi. Ma soprattutto dobbiamo tenere in mente questo: siamo tutti molto più connessi, come esseri umani, di quanto lo siamo mai stati. I nostri destini sono legati insieme, interdipendenti.

Riporto ora un articolo, sempre di Shirin Ebadi, tratto -Giovedì 12 Febbraio,2009 – dal sito ildialogo.org
LA DONNA E IL DIVORZIO IN IRAN di Javad Daneshpour

Le donne iraniane sono costrette a convivere con una situazione paradossale. Da un lato hanno conquistato ampi spazi nella società (più del 65% degli iscritti all’università’ sono donne e molte di loro ricoprono posti di rilievo a livello professionale) e dall’altro devono ancora lottare per affermare i propri diritti in una società intrisa di una tradizione e di una religione interpretate in modo maschilista. Il movimento femminile iraniano resta, tuttavia, molto combattivo, al di là dei molti ostacoli legali e istituzionali, delle minacce e degli arresti. L’iniziativa più rilevante è stata la Campagna di un milione di firme per cambiare le leggi discriminatorie per le donne in Iran, dichiarata vincitrice del Premio Simone de Beauvoir 2009, un premio destinato al personaggio femminile più meritevole nel campo della lotta contro le discriminazioni e per la libertà della donna.

Questo articolo, scritto da Shirin Ebadi, Premio Nobel per la pace 2003, è apparso sul quotidiano Rooz on line, il 6 febbraio 2009, e tratta di una nuova norma che riduce ulteriormente i diritti già limitati delle donne iraniane.

OGNUNO INFORMI ALTRE CINQUE PERSONE
La protesta delle donne iraniane al disegno di legge intitolato “Diritto di Famiglia” e il parziale smacco dei conservatori nell’imporre loro ulteriori maggiori limitazioni con il matrimonio ha indotto i difensori delle leggi misogine a escogitare un nuovo espediente. Questo espediente consiste nel cercare di “ingannare legalmente” le donne, al momento della stipula del contratto di matrimonio, grazie a una piccola ma determinante variante al contratto stesso. Ciò è reso possibile grazie alla sostituzione di un termine arabo, ‘end ol motaleba, con un altro termine anch’esso arabo, ‘end ol esteta, in un contesto dove, probabilmente, la maggior parte delle donne non solo non si accorge di questa modifica, ma anche nel caso in cui se ne accorgesse, non si renderebbe conto delle gravi ripercussioni giuridiche del nuovo termine, di cui, probabilmente, molte di loro ignorano perfino il significato.
Bisogna chiarire che, in Iran, da circa settanta anni, nel contratto di matrimonio, veniva fissato il mehrieh, che la moglie poteva esigere ‘end ol motaleba, vale a dire in qualsiasi momento avesse voluto reclamarlo, anche subito dopo il matrimonio, e che il marito aveva l’obbligo di onorare. L’aggiunta di questa clausola e la sottoscrizione del contratto erano molto importanti poiché, in caso di fallimento del matrimonio, offriva alla donna una possibilità – anche se minima – di mettere fine alla vita coniugale.
È noto che in Iran, la legge riconosce all’uomo il diritto al divorzio, mentre la donna può avvalersi di questo diritto solo se può dimostrare che il marito è violento o è affetto da gravi problemi psichici o fisici. L’iter è talmente impervio che molte donne, che vorrebbero mettere fine alla vita coniugale, si trovano costrette, loro malgrado, a portare avanti per lunghi anni e, a volte, per tutta la vita, una difficile convivenza matrimoniale. In queste circostanze segregazioniste, l’unica via di uscita per affrancarsi da una tale situazione era esigere il mehrieh, in altri termini la donna considerando il mehrieh qualcosa di ‘end ol motalebe (comunque esigibile) nel contratto di matrimonio, poteva rivolgersi al tribunale e nel caso in cui il marito non fosse stato in grado di onorare la richiesta, in cambio della rinuncia al mehrieh poteva convincere o costringere il marito al divorzio (la famosa frase: “Rinuncio al mehrieh e mi salvo la vita.”). Comunque neppure questa via si rivelava per molte donne, reticenti per vari motivi a citare il marito in giudizio per esigere il mehrieh, una soluzione per affrancarsi da una vita grama. Restava, tuttavia, per una buona parte di quelle donne, che erano scontente della vita coniugale e non avevano diritto di chiedere il divorzio, l’unica via percorribile. In breve, il mehryeh, essendo ‘end ol motaleba, restava l’unico strumento per le donne private del diritto al divorzio.
La recente modifica al contratto di matrimonio toglie, purtroppo, anche questa minima possibilità. Nei nuovi contratti di matrimonio, dopo l’indicazione del mehryeh, viene stabilito che il mehryeh deve essere soddisfatto ‘end ol esteta (in luongo di ‘end ol motaleba). Questo vuol dire che il marito, contrariamente a prima, quando era tenuto a onorare il mehrieh “nel momento in cui la moglie lo esigeva”, ora è tenuto a onorarlo “nel momento in cui ha la possibilità di farlo”. In altri termini, qualora una donna non tolleri più suo marito e intenda porre fine alla vita coniugale, non solo non avrà diritto al divorzio, ma, rivolgendosi al tribunale per esigere il mehrieh, non avrà neppure la possibilità di divorziare dal marito, giacché il marito potrà dichiarare in tribunale di essere nell’impossibilità di onorare il mehrieh. Questo provvedimento, in un momento in cui i diversi strati sociali si trovano in difficoltà economiche e molti uomini, per diverse motivazioni, possono sostenere o dimostrare di essere nell’impossibiltà di onorare il mehrieh, offre il destro a quegli uomini dispotici che vogliono costringere le mogli impotenti a non mettere fine alla vita coniugale.
L’irrigidimento della legge in materia di matrimonio per le donne, come è stato esposto, significa, forse, che, a seguito delle modifiche apportate ad hoc nel contratto di matrimonio, le donne iraniane non avranno più la possibilità di usare la leva del mehrieh per ottenere il divorzio?
Bisogna precisare che questo diritto vige ancora, anche se con più difficoltà rispetto a prima. Tuttavia, perfino nella nuova situazione, le donne potrebbero impedire di vedere calpestata la loro minima possibilità di divorziare purché accorte e irremovibili sui loro diritti. Per fare ciò, è necessario che le donne, al momento della stipula del contratto di matrimonio, pretendano che venga aggiunta allo stesso contratto una frase scritta a mano, che imponga che il mehrieh debba essere esigibile ‘end ol motalebe. L’aggiunta di questa formula, firmata da entrambi i coniugi prima del matrimonio, dà la possibilità alla donna, nel caso in cui intenda mettere fine alla vita coniugale, di poter esigere il mehrieh in aula di tribunale. In questo modo, nel caso in cui il marito fosse impossibilitato a onorarlo, la donna, potrebbe divorziare dal marito, in cambio di rinuncia.
Questa soluzione, in ogni caso, ha bisogno della fermezza delle donne, nel momento del matrimonio, per convincere il futuro marito a sottoscrivere questa clausola che non sarà sempre facile e possibile. Ma, sicuramente, in molti casi, le donne, al momento del matrimonio, quando non ci sono ancora contrasti tra i coniugi e non c’è ancora un matrimonio, che le neghi il diritto al divorzio, possono mantenere un minimo di diritto, ricorrendo a questo sistema.
Qui emerge una domanda importante: qual è la percentuale delle donne a conoscenza di questa piccola modifica apportata al contratto di matrimonio e delle conseguenze che questa comporta? Logicamente questa percentuale non è molto alta.
Sembra, dunque, necessario che, a parte le attività, a lungo termine, dei militanti dei diritti della donna che cercano di contrastare le leggi e le regole segregazioniste in scala macroscopica, ogni donna (e sicuramente ogni uomo egualitario) si attivi per informare altri sulle nuove condizioni imposte alla donna, al momento del matrimonio, e i metodi per contrastare le nuove imposizioni.
A questo proposito, esorto ogni persona che legga questo articolo a farlo conoscere a cinque donne tra parenti e conoscenti. Ognuno di noi, tenti di chiarire ad almeno cinque donne iraniane quali varianti siano state apportate nei nuovi contratti di matrimonio, quali possano essere le conseguenze per la donna e come si possano contrastare gli effetti.
Questo è il minimo che possono fare, quanti diano importanza al destino delle proprie figlie e sorelle di fronte ai nemici incalliti della parità dei diritti tra donne e uomini.
Shirin Ebadi (traduzione dal persiano di Javad Daneshpour)

24 Giugno 2009Permalink