17 febbraio – Una nuova cittadina

I diritti di Anna

Anna Addo Twum mi guarda con tutta la determinazione che i suoi 18 anni le consentono.
Tempo fa si è dovuta procurare il suo personale permesso di soggiorno (“prima ero registrata su quello della mamma – precisa – e non mi ponevo il problema”) per poter fare un brevissimo viaggio in un paese europeo. Alle amiche che viaggiavano con lei non  era stato imposto nulla del genere: a loro bastava la carta di identità. A Anna no.
I suoi genitori – ghanesi – si erano trasferiti in Italia dal paese d’origine nel 1989, migranti per ragioni di lavoro hanno sempre lavorato in Friuli e Anna è nata a Udine.
“Io non ho chiesto di venire in Italia. Non ho scelto di migrare. Sono nata qui: perché devo essere trattata come fossi diversa?”
Con questo convincimento ben chiaro ascolta le conversazioni durante le riunioni familiari, capisce che avere la cittadinanza italiana fa la differenza. Pur non avendo ricevuto alcun avviso formale si documenta su internet, ottiene informazioni da un’associazione e da un patronato sindacale, e – con l’aiuto validissimo di un’impiegata del comune di Udine, come lealmente riconosce- raccoglie tutta la documentazione necessaria per dimostrare la continuità della sua presenza in Italia dalla nascita al compimento del 18mo anno e diventa cittadina italiana.
Della questione avevamo scritto su Ho un sogno dello scorso mese di ottobre (n. 202/2011) e fa piacere riscontrare che una ragazza di seconda generazione possiede con chiarezza la cognizione dei suoi diritti.
Ora si appresta a concludere il suo corso di studi presso un istituto professionale di stato dove frequenta l’ultimo anno del corso per tecnici dei sevizi socio-assistenziali.
“A scuola –mi dice – sono ben integrata nella classe dove so di essere una figura importante”. Anna non chiede nulla alla benevolenza altrui: sa cosa significa essere cittadini. pari per “dignità sociale”, “ eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Confida di sentirsi  ben integrata anche nella chiesa metodista di cui fa parte dove, afferma, è stata accolta con una disponibilità che le ha consentito di crescere anche nella sua dimensione di fede.
Ma qui è bene che la curiosità si fermi. Sappiamo entrambe che l’appartenenza religiosa non impone mai la necessità di dare spiegazioni ad alcuno. Anche il pudore che ci accomuna è un rifiuto del pregiudizio.

17 Febbraio 2012Permalink