10 luglio 2009 – Non solo infamia –Il sindaco non è un podestà- 4

Per tre volte nei giorni scorsi ho scritto delle ‘Disposizioni in materia di sicurezza pubblica’, legge approvata il due luglio dal Senato dopo mesi di dibattito, svoltosi fra consensi strappati a voti di fiducia e passaggi a ping pong dal senato (codice 733), alla camera (codice 2180 – testo approvato con modificazioni 14 maggio 2009) e infine all’approdo, definitivo ma forse non troppo, al senato (codice 733-B).

Ho scritto anche delle lettere, moltissime (ne ho pubblicate due nel precedente ‘Una sola sicurezza: l’infamia’ dell’otto luglio) che cittadine e cittadini inviano, anche a titolo personale, al Presidente della Repubblica perché, nell’esercizio del suo ruolo, rifiuti di promulgare quella norma, aiutando, come gli ha scritto l’ex parlamentare Giancarla Codrignani che gli fu collega, “il paese a mantenere quella dignità” che nasce dal “massimo rispetto delle garanzie istituzionali”.
Voglio però segnalare, in attesa di quello che accadrà in futuro, un aspetto che mi sta particolarmente a cuore.

Il silenzio dei sindaci.
Certamente non è stato un silenzio totale: in Friuli si erano tempestivamente espressi prima delle elezioni di giugno (e credo sia importante intendere il significato di questa precisazione cronologica) i comuni di Palazzolo dello Stella, Colloredo di monte Albano e Talmassons (del cui documento ho scritto nel mio articolo del 24 maggio -Nemici dell’Italia: Neonati senza madre e senza padre, fantasmi senza nome). Sono infinitamente grata ai consiglieri comunali che hanno lavorato per raggiungere quell’approvazione.
Il sindaco di Udine è intervenuto a filo della scadenza del tempo massimo a una manifestazione promossa da una serie di associazioni, il 27 giugno scorso, affermando che, come si evince da un comunicato dell’Ufficio Stampa del Comune datato 26 giugno: “Questa politica anziché favorire il processo d’integrazione <…> rischia invece di comprometterlo, innescando gravi meccanismi di esclusione, con la pericolosa conseguenza di abbassare i livelli di coesione e sicurezza sociale.
E ancora: “
L’art. 45 del ddl “Disposizione in materia di sicurezza”, infatti, introduce l’obbligo per il cittadino straniero di esibire il permesso di soggiorno in sede di richiesta di provvedimenti riguardanti gli atti di stato civile, tra i quali sono inclusi anche gli atti di nascita. Una norma che di fatto impedisce la registrazione della nascita e si configura come una misura che oggettivamente scoraggia una protezione del minore e della maternità. Senza contare che molte delle donne prive di permesso di soggiorno, temendo che il figlio venga loro tolto, decidano di non partorire in ospedale, con il conseguente ed elevatissimo rischio che aumentino le morti per parto o di quelle dei neonati.
I minori non registrati, infatti, secondo quanto denunciato, resterebbero privi di qualsiasi documento e totalmente sconosciuti alle istituzioni. In mancanza di un’attestazione da cui risulti il rapporto di filiazione, molti di questi bambini non potranno acquisire la cittadinanza dei genitori e diventeranno apolidi di fatto. In secondo luogo c’è il forte rischio che i neonati partoriti in ospedale non vengano consegnati ai genitori privi di permesso di soggiorno, visto che a quest’ultimi è impedito il riconoscimento del figlio, e che in tali casi venga aperto un procedimento per la dichiarazione dello stato d’abbandono.
E infine, come spiega l’assessore con delega ai Diritti di Cittadinanza Kristian Franzil “ … Tra le azioni che ci proponiamo di intraprendere per appoggiare l’iniziativa della Rete per i Diritti di Cittadinanza e del Centro Balducci c’è la possibilità di convocare la presidenza dell’Ordine dei Medici e delle Ostetriche alla presenza dei responsabili dei servizi anagrafici per esplorare, qualora il comma relativo al segreto sanitario diventasse legge, la possibilità di misure di contrasto alla creazione di apolidi.”

Due precisazioni …
La prima riguarda una citazione sbagliata. L’articolo citato aveva il n. 45 nel progetto di legge noto con il codice 2180 ma, nel testo approvato al senato (733-B), era identificato come “lettera g, comma 22, articolo 1” (modificato a seguito del blindato voto di fiducia su emendamenti) e così é stato approvato.
La seconda attiene alla proposta presente nella parte finale del comunicato stampa citato sopra. Certamente sussiste un gravissimo vulnus, non superato nonostante indicazioni vanificate dal fatto che la ‘clandestinità’ è diventata reato, relativo al rispetto del segreto professionale per i medici. Ma la questione non è tutta qui: il problema del riconoscimento dei neonati dipende dagli uffici anagrafe dei comuni, ci sia o non ci sia il vincolo di segreto professionale.
Ne ho scritto nel mio articolo del primo giugno “Ci resta solo il silenzio mentre aspettiamo che il Senato decida di cancellare i neonati privi di un pezzo di carta?”, che contiene anche alcuni collegamenti che potranno essere utili a chi voglia approfondire l’argomento.

…e un desiderio.
Spero che se il Comune di Udine (il cui ruolo come capoluogo di provincia è importante) saprà mettere in atto la volontà espressa di non creare apolidi, con una definita volontà politica, senza trascurare un’adeguata documentazione.
E’ materia questa troppo delicata per accostarla con superficialità.
Ma soprattutto spero che rilevi, con fermezza e precisione, il significato che la non iscrizione anagrafica di neonati figli di sans papier assumerebbe nei confronti del comune stesso, il cui ruolo istituzionale –la conoscenza di coloro che nascono e vivono sul proprio territorio- soffrirebbe un vulnus doloroso e grave.
Non posso dimenticare che il comune è (ancora?) il primo livello che garantisce a una persona un rapporto con le istituzioni da cittadino e non da suddito.
Il sindaco non é un podestà!

10 Luglio 2009Permalink