7 agosto 2014 – La voce di pace di Samer da Jenin agli USA attraverso Verona –2

 

E venne piombo fuso

Gli incontri fra ragazzi israeliani e palestinesi (di cui ho scritto il 5 agosto, ospiti in Italia per  un paio di settimane con la supervisione dei loro educatori e in particolare di Mostafà Qossoqsi, uno psicologo di Nazaret) avevano  trovato un importante riferimento a Verona, dove ldisponibilità ed entusiasmo di chi organizzava l’accoglienza assicuravano condizioni ottimali per il loro soggiorno.
Ragazzi nei loro paesi obbligati a considerarsi nemici, resi inavvicinabili l’uno all’altro da un confine invalicabile, a Verona trovavano un ambiente preparato ad accoglierli.
I ragazzi della scuola che li ospitava erano informati sulla situazione israelo   palestinese, il che li rendeva collaboratori consapevoli del progetto.
Ma nel 2009 accadde qualche cosa che introdusse un drammatico elemento di novità nel clima così sapientemente creato.
Era l’anno della campagna militare ‘piombo fuso’ (Gaza 27 dicembre 2008 – 18 gennaio 2009) finalizzata a neutralizzare i missili che Hamas lanciava contro le città del sud di Israele.
Nella precedente puntata del mio racconto ho reso disponibile la registrazione dell’intervista di Lucia Cuocci, girata nel 2007..
Ne erano protagonisti il palestinese Samer e l’israeliano Liron.
Ne ripeto il riferimento   http://www.arcoiris.tv/scheda/it/9577/
Ora lascio la parola alla relazione di Marco Menin, coordinatore veronese del progetto, che fortunatamente ho conservato.

Fiori di Pace alla prova della guerra.

«Da alcuni anni (il primo dei 5 gruppi finora ospitato a Verona è stato nella nostra città nell’ottobre 2005) siamo impegnati ad offrire a ragazzi israeliano e palestinesi l’opportunità di un incontro impossibile nella loro terra, attraverso il progetto Fiori di Pace.
 
I drammatici eventi di questi giorni hanno messo i “nostri” ragazzi di fronte ad una sfida inedita, mettendo a dura prova le relazioni che fra loro si sono sviluppate nel tempo: certamente è molto difficile sentirsi “amici” quando il nostro paese è sottoposto ad un attacco di cui anche il solo nome, “piombo fuso”, mostra con eloquenza gli obiettivi.

La sollecitazione è venuta da due ragazze israeliane, Maya e Shir, con un messaggio inviato agli amici del gruppo su Facebook che riunisce alcuni fra i ragazzi israeliani, palestinesi e italiani che hanno partecipato a Fiori di Pace: “Ciao a tutti voi… ciò che avviene a Gaza e l’entrata degli israeliani a Gaza ci rende davvero tristi e crediamo che questo sia il luogo migliore per comprendere le ragioni dell’altra parte.
È davvero importante per noi che voi possiate ricordare le discussioni che abbiamo avuto in Italia, e speriamo anche che possiate tentare di capirci, perché noi stiamo tentando di capire voi.
Crediamo che anche se è triste che siano uccisi dei civili, Israele non avesse altra scelta… e persino mentre Israele porta aiuti a Gaza loro continuano a bombardare Israele… Israele non può continuare così.
Vogliamo sapere cosa pensate di questo, e ci dispiace se qualcuno si sente offeso”.

Questa richiesta ha scatenato risposte polemiche e aspre, quanto le notizie che ci arrivavano sulle morti e le foto ed i filmati che riprendevano la distruzione (la discussione è riportata integralmente sul sito www.fioridipace.org). E mentre i ragazzi israeliani tentavano di comunicare la sofferenza di fronte a quella che percepiscono come una via senza altre uscite, i coetanei palestinesi rispondevano con rabbia, come Mohammed: “Maya, non puoi pensare a qualcosa che Israele non abbia ancora tentato? Bene, certamente non puoi farlo, sono sicuro che non c’è altra via che uccidere la gente a Gaza. Forse potrebbero colpirli con bombe nucleari??? E finirla del tutto con loro??? Mi chiedo come diavolo tu possa giustificare queste azioni!!! Intendo dire che se è sbagliato è sbagliato. In che modo quei civili che sono morti a Gaza potevano mettere in pericolo la pace e la sicurezza di Israele??? 300 esseri umani in tre giorni!!! Noi stiamo parlando di vite, anime!!! Non solo numeri!!! È incredibile! Qualunque cosa tu dica non cambierà mai il mio pensiero!!! È del tutto sbagliato!”.

Anche la posizione di Manal, ragazza Araba Israeliana, è molto sofferta. Quando viene accusata di non identificarsi con il paese dove vive, esprime tutta la sua fatica e contraddizione dell’essere cittadina di uno stato che sente come aggressore del suo popolo: “quando vedi oltre 300 persone morire in 4 giorni, e le fotografie dell’accaduto sono davvero dure da guardare, non credo vorresti identificarti con Israele, sebbene io viva qui. So che la gente di Sderot è spaventata dai razzi ma Hamas sta facendo questo a causa dell’insostenibile situazione a Gaza: non c’è abbastanza cibo, né medicine, né elettricità. Vorresti tu vivere in questa condizione?”

Certamente da parte di molti prevale la ripetizione acritica delle posizioni politiche di parte. Per qualcuno fra gli israeliani le idee sono molto chiare e nette: “Dite cose senza senso!!! Parlate di Gaza? Degli attacchi dell’esercito? E cosa dite degli attacchi di Hamas? Ashkelon? Ashdod? Della gente che passa tutto il giorno nei rifugi, da anni? Voi dite sempre che Israele è colpevole e Israele doveva e Israele tutto! E questa è la prima volta che Israele attacca!!!”.

Però quello che è stupefacente è la volontà di comunicare comunque: anche se in tutti c’è la consapevolezza che non può essere una discussione su Facebook a risolvere un intricato problema politico, c’è grande in tutti la volontà di far comprendere all’altro il proprio punto di vista, e di tentare di comprendere a loro volta. Senza rinnegare le proprie idee, ma senza neppure rinunciare al confronto.
E così Itai, diciassettenne israeliano, dopo aver ribadito la sua convinzione che il governo israeliano non avesse altra scelta per garantire la sicurezza della sua popolazione, ha riflettuto sulla possibilità di scelta che è invece possibile per le persone da ambo le parti: “La “regola” per questa scelta è che almeno una persona dall’altra parte ti stia ascoltando. Questa scelta è ascoltare e rispettare questa “persona dall’altra parte” per un grande obiettivo: comprendersi. Cercare di capire perché è così arrabbiato o perché è così triste, prudente o felice. Comprendere è qualcosa di grande e piccolo, e non è così facile, perché nessuno che viva “dall’altra parte” può davvero comprendere cosa significhi attendere ore e ore ai checkpoint o convivere con la paura dei soldati, oppure quali siano i sentimenti di una madre che lascia i suoi figli andare alle armi, o un uomo che piange mentre suona l’allarme missilistico…

Credo che in questo si possa leggere la grandezza del percorso che stanno seguendo questi ragazzi: anche in una situazione di conflitto acceso e drammatico, che porta a serrare le file per respingere l’idea stessa che il nemico possa avere delle ragioni, ostinarsi a voler mantenere aperto un canale di comprensione ascoltando le opinioni dell’altro, perfino quando accendono un fuoco, nella convinzione che comunque l’altro è una persona, con i suoi sogni, desideri, passioni, errori».

Il nostro Samer però taceva.

continua e fa seguito al pezzo precedente del 5 agosto

7 Agosto 2014Permalink